Lettera aperta al Magnifico Rettore e alla Comunità Universitaria

 Venuti a conoscenza della lettera del Rettore ai docenti dell’Ateneo, in merito all’applicazione della 63-bis, non possiamo esimerci dal rappresentare innanzitutto il nostro disappunto.

Avremmo infatti avuto il piacere di una risposta diretta a chi, a fianco dei lavoratori interessati, ha più volte cercato una interlocuzione.

Ci sembrava che le affermazioni del Rettore al Senato Accademico, di non considerare chiusa la vicenda e di arrivare ad un confronto con le OO.SS., rappresentassero effettivamente questa volontà.

Ai docenti firmatari non si chiedeva ovviamente una consulenza di diritto del lavoro ma un atto politico, una valutazione di merito, un gesto concreto di solidarietà. E la stessa cosa chiediamo al Rettore.

Se sia corretta l’interpretazione di merito dell’Amministrazione o quella del Sindacato (e cioè se "la legge imponga, la retroattività dell'inquadramento") è questione che a questo punto deciderà il Giudice.

Quel giudice deciderà se l’Amministrazione ha trovato un appiglio giuridicamente efficace per evitare di riconoscere ai lavoratori e alle lavoratrici la retribuzione per il lavoro svolto e il riconoscimento della carriera effettivamente percorsa (dati da tutti riconosciuti) oppure riconoscerà i diritti rivendicati dai lavoratori come noi crediamo, come credono i nostri legali, come hanno creduto le Amministrazioni di altri Atenei. In questo ultimo caso la "patata bollente" di reperire le risorse necessarie forse passerà ad un nuovo Rettore e ad una nuova Direzione Amministrativa.

Aldilà dei formalismi e dei tatticismi, chiediamo al Rettore se sia vero che questi lavoratori e queste lavoratrici abbiano svolto una funzione (e dunque assunto responsabilità, svolto un lavoro, messo a disposizione del buon funzionamento e dello sviluppo del nostro ateneo delle competenze) superiore a quella formalmente indicata nel loro contratto di lavoro. E’ vero che a fronte di questa attività concreta, come previsto dalla Legge, si è svolta una verifica delle effettive competenze di queste persone e che esse abbiano superato le prove che ne verificavano l’idoneità? Sappiamo che è una domanda retorica dato che l’Amministrazione, con atti formali ha dato una risposta positiva a tutti e due questi quesiti.

Esiste dunque uno stato di fatto di comune riferimento (Amministrazione e lavoratori): esistono circa 200 lavoratori che svolgono funzioni superiori a quelle previste dal contratto, questi lavoratori le svolgono con competenze adeguate e certificate, questa attività, aggiungiamo noi, è condizione del funzionamento delle attività dell’Ateneo anche a fronte dello strangolamento della ricerca pubblica da parte del Governo che impedisce nuove assunzioni.

Da questo punto di partenza si può scegliere la strada che si ritiene più opportuna ma a questa scelta corrisponde una responsabilità politica precisa.

Non si tratta quindi di "solidarietà sul piano umano" quella che si è chiesto a ricercatori, docenti e personale tutto, ma una valutazione di cosa significhi amministrare un moderno sistema della ricerca e dell’alta formazione, di quale ruolo abbiano in questo sistema le intelligenze e l’impegno delle persone, la loro professionalità acquisita. La questione delle risorse umane, della loro motivazione e valorizzazione è tema troppo spesso richiamato nei convegni, quando non negli appelli elettorali, ma sistematicamente dimenticato nel concreto governo degli Atenei.

La correttezza amministrativa che il Rettore richiama nella Sua lettera e che impone la puntuale e corretta applicazione della Legge non solleva l’Amministrazione dalla responsabilità delle proprie scelte. Anzi, se il Rettore ritiene che la Legge rimetta alla discrezionalità degli Atenei la possibilità di corrispondere ai lavoratori quanto maturato negli anni successivi all’approvazione della Legge ciò non fà che rinviare con più forza ad una scelta politica. Su questa scelta aspettiamo una risposta da chi governa il nostro Ateneo.

Roma, 25 marzo 2003