Sperimentazione in campo medico



Ricevo richiesta dal Prof. Leonardo Santi (Istituto Tumori di Genova) di diffondere all'interno della nostra Universita' il seguente editoriale circa il caso Di Bella.

Le sperimentazioni dei medici nazisti nei campi di sterminio furono condannate nel Processo di Norimberga come crimini all'umanità e fu quindi rilevata la necessità di approvare regole comportamentali che tutti i medici avrebbero dovuto rispettare per sperimentare sull'uomo.
Nel 1949 fu pertanto redatto il Codice di Norimberga con cui fu stabilito il principio fondamentale che per ogni sperimentazione è necessario avere il consenso della persona interessata.
Nel 1964 l'Assemblea Medica Mondiale ad Helsinki ritenne insufficiente questo principio tenuto conto che molti soggetti cosiddetti vulnerabili avrebbero potuto essere consenzienti per sottoporsi a studi clinici influenzati dall'aspettativa di presunti benefici o perché affetti da malattie incurabili o perché in situazioni di emergenza o perché minori. Il Codice di Norimberga fu quindi integrato introducendo l'obbligo di sottoporre ogni protocollo di sperimentazione sull'uomo a un Comitato etico che deve essere indipendente dal ricercatore e dallo sponsor e conforme alle leggi e ai regolamenti del Paese in cui viene condotta la sperimentazione (Dichiarazione di Helsinki ulteriormente integrata nel 1989). Ogni Nazione stabilì quindi proprie norme per disciplinare le sperimentazioni cliniche ed anche l'Italia provvide in merito con il Decreto Ministeriale no. 86 del 27 aprile 1992 recependo la Direttiva Europea dell'anno precedente e facendo esplicito riferimento alla Dichiarazione di Helsinki.
Sul valore di queste norme che meglio chiarivano la necessità di regole indispensabili per una buona pratica clinica si pronunciò nello stesso anno anche il Comitato Nazionale per la bioetica sottolineando che per secoli il medico ha curato i propri pazienti con i non molti mezzi a disposizione e si è sempre dato per scontato che egli fosse il miglior giudice dell'efficacia terapeutica di un nuovo medicamento - con una valutazione di tipo testimoniale non essendo ancora applicati i principi del metodo sperimentale.
Il grande sviluppo delle conoscenze scientifiche, la complessità delle ricerche che superano la capacità di un singolo ricercatore per ampliare gli studi a gruppi di ricerca spesso appartenenti a istituzioni diverse a quella di appartenenza ha tuttavia reso evidente l'insufficienza del medico testimoniale per quanto autorevole e quindi può talora sorgere il sospetto che l'interesse scientifico del medico possa prevalere rendendo inevitabile l'esigenza di una garanzia esterna, pubblica, costituita da un terzo attore imparziale che, per così dire, si faccia espressione e garante del consenso della società e del comportamento del medico.
Questi concetti, espressi dal Comitato nazionale di bioetica erano già stati in parte espressi anche dalla FNOM nel 1989 nel Codice di Deontologia medica in cui all'art. 52 si precisava che la sperimentazione deve essere programmata secondo adeguati protocolli della cui validità ed esperibilità sono garanti apposite Commissioni etico-scientifiche.
Dal 1992 a epoca recente, malgrado sollecitazioni espresse da più parti non era stato possibile regolamentare in modo più organico tutto il settore delle sperimentazioni cliniche per renderlo più consono alle esigenze della ricerca e ciò malgrado che il Ministro Guzzanti avesse predisposto in piena esplosione emotiva creata dal caso UK 101 un decreto che avrebbe potuto meglio disciplinare questo tipo di sperimentazioni. Il Parlamento però non ritenne questo decreto urgente, decreto che fu quindi dichiarato decaduto. Solo recentemente il Ministro Bindi ha messo mano a una serie di provvedimenti, con una circolare del luglio scorso e con il D.M. 15/7/97 con cui sono state recepite le linee guida europee predisposte dall'Agenzia europea per la valutazione dei medicinali al fine di poter garantire una buona pratica clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche. Questo decreto prevede che spetta ai Comitati Etici indipendenti approvare l'esecuzione delle singole sperimentazioni, i relativi protocolli sperimentali e i documenti connessi e nessuna sperimentazione clinica di medicinali pur essere condotta senza l'approvazione del competente Comitato Etico chiarendo nello stesso tempo che si deve intendere per prodotto soggetto alle norme di sperimentazione non solo una forma farmaceutica di un principio attivo ma anche prodotti già autorizzati alla commercializzazione qualora impiegati in modo diverso da quello autorizzato oppure qualora venga utilizzato per un'indicazione diversa da quella approvata o sia impiegato allo scopo di ottenere ulteriori informazioni per un uso già approvato.
Lo stesso decreto riprende quindi il concetto già evidenziato dalla Dichiarazione di Helsinki sui soggetti vulnerabili e sulla necessità di garantire non solo la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti interessati ma anche l'attendibilità dei dati relativi allo studio clinico. Indispensabile pertanto la valutazione da parte di una struttura indipendente costituita da medici e membri non medici come garante della collettività.
Già nel decreto del 15 luglio di quest'anno sono contenuti i principi su cui devono costituirsi i Comitati Etici (già peraltro esistenti in molti casi) ma il Ministro Bindi ha ritenuto di dover utilmente predisporre un ulteriore specifico decreto in corso di definizione con cui provvede a meglio precisare la istituzione e il funzionamento dei Comitati Etici indipendenti preposti alla valutazione delle sperimentazioni cliniche. Si completa così un iter procedurale atteso da anni, in attesa di un'ulteriore direttiva europea in corso di approvazione. Tutti questi provvedimenti sono stati emanati a tutela dei cittadini e per vincolare i medici che vogliono sperimentare medicinali o metodiche terapeutiche innovative siano questi medici al vertice di Istituzioni accademiche, medici di famiglia o medici indipendenti da qualsiasi struttura, a rispettare norme che debbono essere valide per tutti.
Come si vede l'iter che ha nel tempo sviluppato principi comportamentali a garanzia dei cittadini e specie dei malati è stato lungo e complesso, esito di numerose discussioni e valutazioni a cui hanno partecipato anche in modo determinante organizzazioni non mediche rappresentative degli interessi dei malati e dei loro familiari.
Nel tempo l'asse decisionale si è quindi spostato dal medico curante, a decisioni di gruppo, con l'obbligo del consenso informato da parte del malato. E' stata quindi identificata una maggiore garanzia nei Comitati Etici indipendenti formati da medici e non medici. Sono state inoltre assunte prese di posizione da parte di Comitati nazionali di bioetica o disposizioni governative o dei Parlamenti nazionali o dell'Unione Europea.
La complessità della medicina moderna, la difficoltà di effettuare scelte responsabili pongono quesiti inquietanti. In alcune nazioni la non sufficiente disponibilità di medicinali indispensabili per salvare una vita ha obbligato a scelte in base a lotterie per l'assegnazione di farmaci mentre in altri casi si rifiuta il trapianto di cuore a chi è forte fumatore o il trapianto di fegato a chi è alcolista in base al principio che fornendo un medicinale o una prestazione a qualcuno si impedisce a un altro di usufruirne o per altro verso, essendo le risorse limitate, finanziando una prestazione si impedisce la possibilità di fornire altre prestazioni più utili.
Chi deve fare queste scelte? Quali principi adottare?
Pur non soddisfacendo a pieno tutte le esigenze e ponendosi ogni giorno interrogativi di questo tipo di fronte ai malati avevamo creduto che comunque sia a livello internazionale, che in ogni nazione civile e finalmente anche in Italia, sarebbero state adottate le norme indispensabili a tutelare i cittadini norme che trovano ispirazione nei grandi principi morali espressi in codici di comportamento e dichiarazioni internazionali come quelle che ho prima citato. La polemica di questi giorni mette in discussione tutto questo e purtroppo in termini disgraziatamente peculiari nel nostro Paese. Farmaci, medicamenti o metodi non provati hanno provocato periodicamente in Italia ma anche all'estero episodi di notevole emotività collettiva con testimonianze diffuse di guarigioni o di miglioramenti inusuali con pressioni dell'opinione pubblica tali da provocare provvedimenti che talora hanno determinato sperimentazioni effettuate però come negli Stati Uniti per il Loetrile, presso il National Cancer Institute. Mai è stato infatti messo in forse il sistema di verifica esistente istituito dalle Autorità Sanitarie.
Alcuni episodi di questi giorni mettono però in discussione non solo gli organismi preposti alla verifica delle sperimentazioni cliniche ma anche le normative che regolano le sperimentazioni sull'uomo.
La Buona Pratica clinica adottata dall'Unione Europea e recepita con provvedimento del governo italiano corrisponde a uno standard internazionale di etica e qualità scientifica per progettare, condurre, registrare e relazionare sugli studi clinici che coinvolgono soggetti umani.
Suscita peraltro stupore che, mentre nelle altre Nazioni e anche per altri episodi avvenuti in passato in Italia le Istituzioni pubbliche pur intervenendo in vario modo, hanno sempre agito nel contesto delle normative da loro stesse ritenute valide, in questa occasione si registrano episodi inquietanti (intervento della Magistratura, proposte parlamentari, inchieste da parte di un Assessore regionale alla Sanità) che tendono a sovvertire ogni principio sinora ritenuto valido a tutela dei cittadini.
Non vi è dubbio che si è creata una situazione in cui sia i malati che i medici sono fortemente smarriti. Quali sono i principi validi per tutelare la salute dei malati? Quelli sinora identificati non hanno più valore? Basta un episodio montato dai mass-media per calpestare ogni principio? Se i principi sinora identificati in campo internazionale non sono più validi si dica quali sono quelli che li devono sostituire o è ammessa una sperimentazione selvaggia senza alcuna valutazione se non da parte dei Carabinieri?
La Commissione Oncologica Nazionale ha predisposto linee-guida per cercare di garantire a tutti i cittadini un uguale trattamento in ogni regione identificando strutture integrate tra specialità diverse (oncologia medica, radioterapia, chirurgia) per garantire la messa a punto di protocolli di diagnosi e cura scientificamente validi e la loro applicazione in collaborazione con i medici di medicina generale. Il lavoro interdisciplinare è stato quindi ritenuto essenziale per garantire la qualità delle prestazioni mediche in oncologia. Il Codice di Deontologia medica, approvato del tutto recentemente, stabilisce che La sperimentazione clinica, disciplinata dalle norme di buona pratica medica, pur essere inserita in trattamenti diagnostici e/o terapeutici, solo in quanto sia razionalmente e scientificamente suscettibile di utilità diagnostica o terapeutica per i pazienti interessati. In ogni caso di studio clinico, il malato non potrà comunque essere deliberatamente privato dei consolidati mezzi diagnostici e terapeutici indispensabili al mantenimento e al ripristino dello stato di salute. La sperimentazione deve essere programmata secondo adeguati protocolli e aver ricevuto il preventivo assenso di un Comitato etico secondo la normativa vigente.
Sono ancora tutti questi concetti validi e utili per una cura dei tumori? Le istituzioni devono ormai pronunciarsi. Il Ministro della Sanità e il governo devono mantenere fermezza in questo momento per far rispettare normative civili. Queste norme riconosciute in tutti i Paesi del mondo possono essere tacciate come burocratiche accusando di insensibilità chièh preposto per farle osservare come il Ministro Bindi il cui comportamento è stato in questa vicenda esemplare.
In passato avevamo chiesto, in occasione di discussioni sulle sperimentazioni cliniche di costituire un comitato ministeriale per la valutazione di protocolli clinici sperimentali. Questo Comitato potrebbe quindi pronunciarsi ogni volta che viene presentata una proposta per sperimentare nuovi farmaci o nuove metodiche particolarmente innovative. Sarebbe questo un organismo in condizione di esprimere valutazioni su questo caso o eventualmente allorché si dovessero presentare anche in futuro analoghe situazioni.
La discussione è quindi da affrontare non limitata al caso Di Bella ma sulle regole che deve seguire un Paese civile.


Leonardo Santi
Direttore Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro
Coordinatore Direttori Scientifici IRCCS oncologici