INDICE IMPOSTE (DRE/IRPEG) al 31/5/1999
dre/irpeg/g5-724a9.doc
DRE LOMBARDIA - SERVIZIO I°, DIVISIONE I^ Prot. n. 2642/97
Oggetto: II.DD. Società non operative. Applicazione della normativa per società immobiliare con nuda proprietà di un solo immobile. Quesito
Con la nota sopra evidenziata è stato chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito all'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 30 della legge 724/94, e successive modifiche, nei confronti di una società immobiliare che detiene la nuda proprietà di un solo immobile. A parere dei professionisti istanti, l'eventuale applicabilità della disciplina nel caso di specie, verrebbe a configurare una doppia tassazione, in quanto la società dovrebbe comunque dichiarare un reddito fittizio, essendo il titolare del reddito ritraibile dall'immobile esclusivamente l'usufruttuario. Deve essere preliminarmente sottolineato che la norma citata dispone in merito ad una serie di ipotesi nelle quali, la disciplina relativa alle c.d. società di comodo non è applicabile. In base alle indicazioni contenute nella circolare del Ministero delle Finanze n. 140/E del 15.5.1995 nonché nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione dei redditi, la situazione descritta non trova riscontro, ad esempio, nell'ipotesi di soggetti che non si trovano in un periodo normale di svolgimento dell'attività, in quanto, è considerato periodo normale di svolgimento dell'attività anche quello in cui la società ha affittato o concesso in usufrutto l'unica azienda. In mancanza di documentazione ulteriore si deve dunque presumere che l'oggetto della società de quo contempli il godimento di un immobile di cui altri hanno l'usufrutto e che, pertanto, si trovi nella condizione di normale attività essendo la mancanza di un reddito una conseguenza diretta della situazione rappresentata. Peraltro, la predetta circolare sottolinea altresì come la presunzione di inoperatività del soggetto può essere vinta qualora il contribuente fornisca una prova sostenuta da riferimenti a oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il raggiungimento dei parametri di operatività. Tali situazioni, devono intendersi come esterne all'impresa e straordinarie, in assenza delle quali si sarebbero conseguiti i predetti parametri di operatività. Pertanto, la prova contraria deve basarsi su eventi esogeni e non prevedibili senza i quali la società sarebbe stata operativa. Nella fattispecie descritta, la scrivente ritiene che tali circostanze non ricorrano e che, pertanto, la normativa di cui all'articolo 30 della legge 724/94, sia applicabile anche nella fattispecie esaminata.
dre/irpeg/g5-394a9.doc
DRE LOMBARDIA -SERVIZIO I°, DIVISIONE I^ Prot. n. 2373/97
Oggetto: Imposta sul patrimonio netto. Assoggettabilità al tributo degli enti non commerciali. Quesito.
Con la nota sopra evidenziata, la S.V., per conto della fondazione ....., ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla applicabilità dell'esclusione dall'imposta sul patrimonio netto di cui all'articolo 4 bis del dl 394/92 nei confronti della predetta fondazione il cui scopo esclusivo è la costituzione, gestione, direzione, formazione e promozione di scuole e istituti di istruzione e ricerca scientifica in materia medica e affini. Nel quesito viene evidenziato che, a partire dal 1996, la fondazione ha iniziato lo svolgimento di attività di istruzione, attraverso corsi di insegnamento destinati al personale medico nel campo informatico. Ciò premesso, la scrivente precisa che gli enti non commerciali di cui all'articolo 87, comma 1, lettera c) del dpr 917/86, se titolari di redditi di impresa, rientrano nel campo di applicazione del tributo in oggetto a norma dell'articolo 1 del dl 394/92. Sono invece esclusi dal tributo gli enti non commerciali per le attività istituzionalmente svolte, così come sottolineato dalla circolare del Ministero delle Finanze n. 7 del 21.4.1993. L'articolo 4 bis del decreto legge citato, dispone che l'imposta sul patrimonio netto non si applica agli enti non commerciali di cui all'articolo 87, comma 1, lettera c) del dpr 917/86, titolari di redditi di impresa derivanti dall'esercizio di attività assistenziali, sanitarie, didattiche, culturali, ricreative e sportive. Ciò evidenzia, a parere della scrivente, che del patrimonio destinato all'esercizio di attività commerciali viene esonerata dal pagamento del tributo la quota destinata all'esercizio delle attività sopra indicate, a condizione che, per tali attività, sia tenuta una distinta evidenziazione delle attività e delle passività patrimoniali. Poiché l'ente svolge per attività esclusiva, come peraltro risulta dallo statuto allegato al quesito, l'esercizio dell'attività di istruzione che costituisce, ai sensi dell'articolo 51 del dpr 917/86, un'attività commerciale, a parere della scrivente non ricorrono le condizioni per l'esclusione dal tributo in oggetto, indipendentemente dall'assenza delle finalità di lucro.
dre/irpeg/g3-111a9.doc
DRE LOMBARDIA - SERVIZIO I°, DIVISIONE I^ Prot. n. 47792/98
Oggetto: II.DD. Servizi resi ai soci da parte di enti non commerciali/associazioni sportive a norma del D.Lgs. 460/97. Quesito.
Con la nota sopra evidenziata, codesto comitato ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla corretta interpretazione di alcune delle disposizioni contenute nel dlgs. 460/97. In particolare, viene chiesto se rientrino tra le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali dell'ente, e dunque fruiscano del trattamento fiscale agevolato previsto dall'articolo 111, comma 3, del dpr 917/86, alcune delle operazioni accessorie rese dai circoli di golf come sotto elencate: - "green fees" (diritto di frequenza al percorso di gioco e/o campo pratica); - iscrizioni alle gare; - utilizzo di diversa attrezzatura (carrelli per il trasporto sacche, bastoni da golf e sacche porta bastoni, armadietti spogliatoi, palline campo pratica); - noleggio golf car; - servizio rimessaggio golf car; - cessioni palline di recupero; - cessioni di attrezzature sportive dismesse. Deve essere preliminarmente sottolineato che gli enti di tipo associativo sportivo, sono enti assoggettati alla disciplina propria degli enti non commerciali, ma relativamente alle attività rese all'interno della vita associativa, fruiscono di un trattamento agevolato in presenza delle condizioni espressamente indicate a tale fine dalla legge. L'articolo 111, comma 1, del dpr 917/86, prevede l'esclusione dall'ambito della commercialità dell'attività svolta dalle associazioni sportive nei confronti degli associati o dei partecipanti, a condizione che la stessa sia esercitata in conformità delle attività istituzionali e in assenza di una specifica corrispettività. Il comma 2 della norma citata, considera invece commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese, ancorché in conformità alle finalità istituzionali, agli associati o ai partecipanti, a fronte del pagamento di specifici corrispettivi. Il comma 3, infine, opera una parziale deroga alla regola generale prevista dal comma 2 sopra citato, escludendo il carattere di commercialità delle attività rese dalle associazioni sportive in diretta attuazione degli scopi istituzionali nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici. Il regime agevolativo, pertanto, si rende applicabile qualora sussistano i seguenti presupposti: a) le attività agevolate devono essere effettuate da particolari tipologie di associazioni, tra le quali rientrano le associazioni sportive; b) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi devono essere rese agli associati; c) le stesse attività devono essere effettuate in diretta attuazione degli scopi istituzionali. A tale proposito deve essere precisato che: - l'associazione deve essere preventivamente qualificata come ente non commerciale sulla base dell'oggetto principale dell'attività; - ai fini della successiva qualificazione dell'ente come associazione sportiva non è sufficiente l'autoqualificazione statutaria dell'ente stesso, ma è necessario valutare la reale natura dello stesso e dell'attività in concreto esercitata, alla stregua di obiettivi criteri desumibili dall'insieme delle norme previste dall'ordinamento; - circa i destinatari delle attività agevolate, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi devono essere rese nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali; - le attività ammesse al regime di favore devono essere svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali. A tale proposito, la circolare del Ministero delle Finanze n. 124/E del 12.5.1998, chiarisce che l'attività svolta "in diretta attuazione degli scopi istituzionali", non è quella genericamente rientrante fra le finalità istituzionali dell'ente, in quanto il legislatore subordina l'applicazione del regime di favore alla circostanza che l'anzidetta attività costituisca il naturale completamento degli scopi specifici e particolari che caratterizzano ciascun ente associativo; - l'articolo 111, comma 4, del dpr 917/86, stabilisce che per tutti gli enti associativi sono in ogni caso commerciali alcune prestazioni, ancorché rese agli associati (cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, somministrazione di pasti, prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito, pubblicità commerciale, ecc.); - l'atto costitutivo o lo statuto, redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, devono conformarsi alle clausole che tendono ad assicurare: a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione; b) l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità; c) la disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l'effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori di età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione; d) l'obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie; e) l'eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all'articolo 2352, comma 2, del Codice civile, sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; f) l'intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa. Ciò premesso, in base all'analisi dello statuto tipo di associazione sportiva (circolo di golf), prodotto dal richiedente, lo scopo specifico dell'associazione appare costituito dalla pratica e dalla promozione dello sport in generale e, in particolare, del golf. In relazione allo scopo dell'associazione, ed alla luce del dettato normativo come interpretato dalla circolare del Ministero delle Finanze sopra citata, la scrivente Direzione ritiene che possano costituire naturale completamento degli scopi specifici e particolari che caratterizzano l'ente associativo in questione, i servizi elencati nella richiesta di parere. A parere della scrivente, inoltre, costituiscono attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, anche le cessioni di palline e attrezzature per lo sport del golf purché non nuovi. Ferme rimanendo tutte le altre condizioni sopra menzionate ai fini dell'applicazione del regime di favore, le attività in esame devono essere svolte dal circolo nei confronti dei propri soci o di associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto, fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale. Si ricorda, infine, che le associazioni ammesse a fruire del regime agevolativo in argomento, hanno l'obbligo di redigere e approvare, annualmente, un rendiconto economico e finanziario riferito all'attività istituzionale che deve evidenziare anche l'attività "decommercializzata". Tutta la documentazione di supporto a tale documento, anche se non avente rilevanza fiscale, deve essere conservata con le modalità prescritte dal dpr n. 600 del 1973.
dre/irpeg/g3-108a9.doc
DRE LOMBARDIA - SERVIZIO I°, DIVISIONE I^ Prot. n. 28153/98
Oggetto: II.DD e Iva. Borsa di studio corrisposta dall'Isu. Trattamento contabile e fiscale.
Con la nota sopra indicata la S.V. ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito al trattamento fiscale delle somme erogate a studenti fruitori di una borsa di studio in sede di pasto gratuito da parte dell'Istituto al diritto per lo studio universitario. Nell'istanza viene precisato che all'ammontare della borsa di studio di 2,7 millioni di lire annui è stato aggiunto un pasto giornaliero gratuito pari all'importo di lire 800 mila che viene fornito presso mense convenzionate. L'ammontare della borsa di studio è così determinato in misura pari a lilre 3,5 milioni di lire. A parere della S.V. il pasto di cui si tratta non può considerarsi come fornito effettivamente a titolo gratuito, in quanto lo studente non percepisce l'importo totale della borsa di studio, ma questa viene decurtata di lire 800 mila. Da ciò conseguirebbe che la somma decurtata si identificherebbe in un corrispettivo per i pasti di cui lo studente usufruisce nell'anno accademico, determinato per fascia di reddito e comunque inferiore al costo effettivamente sostenuto dall'Istituto, in modo tale che lo stesso possa coprire almeno una percentuale dei costi per il servizio sostenuto. Viene dunque chiesto di conoscere se: - la natura della somma appositamente decurtata per l'erogazione dei pasti, acquisita dall'istituto anteriormente al verificarsi della prestazione, possa costituire un ricavo per l'istituto stesso quale pagamento anticipato del servizio avente durata di un anno, nonostante non avvenga un materiale pagamento ma una compensazione; - nell'affermativa, se l'istituto sia tenuto ad emettere fattura od altro documento valido ai fini fiscali nei confronti dello studente per l'importo decurtato; - la qualificazione ai fini IVa della somma di denaro in quanto collegata ad una prestazione di servizi. In via preliminare deve essere osservato che non è possibile, per la scrivente, verificare l'impostazione della problematica in mancanza del bando di concorso. In ogni caso, a parere di questa Direzione, pare ragionevole assumere che vi sia una sostanziale compensazione tra l'importo che il percettore dovrebbe pagare all'Isu per la somministrazione dei pasti e l'analoga cifra che l'Isu dovrebbe corrispondere al percettore a titolo di importo integrativo della borsa di studio. Al verificarsi di questa ipotesi, conseguentemente, l'erogazione dei pasti da parte dell'Isu non può definirsi come gratuita. In base a quanto premesso, l'Isu deve essere considerato come ente non commerciale, il quale, in ordine alla somministrazione di pasti o gestione di mense, pone in essere operazioni di carattere commerciale ai sensi dell'articolo 108 del dpr 917/86 nelle ipotesi in cui : 1. detta somministrazione rientri nell'ambito dei servizi di cui all'articolo 2195, comma 1, del codice civile o comunque non rientri nell'attività istituzionale svolta dall'istituto; 2. l'istituto si avvalga di una specifica organizzazione per l'erogazione dei pasti; 3. il corrispettivo pagato per i pasti ecceda i costi di diretta imputazione sostenuti dall'istituto. Da quanto esposto nel quesito, è lecito ritenere che l'istituto debba avvalersi di un'organizzazione per l'erogazione dei pasti e debba dunque considerare commerciale tale attività. Del carattere commerciale di un'attività svolta da un ente non commerciale deriva l'obbligo di contabilità separata ai sensi dell'articolo 109, comma 2, del dpr 917/86, nelle forme previste dall'articolo 20 del dpr 600/73. Il reddito derivante da tale attività dovrà essere inquadrato nelle consuete categorie di reddito previste dal dpr 917/86. Conclusivamente, ai fini delle imposte sui redditi, a parere di questa Direzione, l'importo di lire 800 mila deve essere considerato ricavo conseguito nell'esercizio di attività commerciale, ancorché non prevalente, svolta da un ente non commerciale. Per conseguenza, l'importo dovrà essere incluso nella contabilità commerciale dell'ente stesso. Per quanto riguarda il trattamento ai fini Iva delle somme per la somministrazione di pasti o di gestione di mense, l'articolo 4 del dpr 633/72 ne prevede chiaramente la natura di attività commerciale, da ciò derivando l'esenzione dal tributo o l'assoggettamento allo stesso in relazione alla ricorrenza o meno delle condizioni di cui all'articolo 10 dello stesso dpr 633/72. Con riferimento al concetto di pagamento anticipato, a parere della scrivente, la compensazione descritta rappresenta una forma di pagamento del corrispettivo che, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto dovrà essere documentato nei modi consueti.
dre/irpeg/g2-103a9.DOC
II.DD. - Valutazione di crediti e debiti in valuta e relativi contratti di copertura. Apposizione in bilancio di un fondo adeguamento cambi
Con la nota suindicata il professionista _________________ ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito al corretto comportamento da seguire per la valutazione delle operazioni commerciali con l’estero dalle quali scaturiscono crediti e debiti in valuta ed alla contestuale copertura a termine delle stesse. In particolare viene chiesto se sia possibile costituire nel bilancio di esercizio redatto al 31 dicembre di ogni anno, un fondo differenza cambi da portare in diminuzione dei ricavi in modo da non assoggettare a tassazione un importo corrispondente alla minusvalenza che sarà realizzata negli esercizi successivi in relazione alle perdite su cambi. Nel quesito viene esposta la seguente situazione:
Per conseguenza, la società, al momento di preparazione dei listini di vendita ha concluso dei contratti di copertura a termine in dollari statunitensi in base al tasso medio rilevato nei primi mesi del 1997. Tale tasso si è poi rivelato inferiore sia a quello utilizzato per la contabilizzazione delle fatture emesse nel secondo semestre del 1997 che a quello in vigore alla chiusura dell’esercizio nonché rispetto a quelli in vigore al momento di pagamento da parte dei clienti. Per conseguenza, il risultato dell’esercizio 1997 risentirà della scelta del tasso utilizzato per valorizzare i crediti in valuta estera e l’applicazione del tasso di cambio riferito al momento di chiusura dell’esercizio o al momento della fatturazione comporterebbe una sopravvalutazione dei crediti esposti in bilancio ed espressi in valuta. Inoltre, tale importo sarebbe riconosciuto come perdita su cambi nel successivo esercizio al momento della vendita della valuta sottostante al contratto a termine stipulato dalla società. Viene chiesto dunque se sia possibile imputare al bilancio 1997 dette perdite su cambi in virtù della certezza del loro ammontare, anche se le stesse saranno definitivamente riconosciute nell’esercizio successivo. Esiste dunque un rapporto tra la società e l’istituto di credito con il quale vengono stipulati i contratti di copertura attraverso l’utilizzo di un conto valutario. L’istituto di credito mette sostanzialmente a disposizione della società valuta estera a fronte del credito commerciale attraverso i predetti contratti di copertura. In sostanza, la situazione della società è quella di avere stipulato dei contratti di copertura a termine con un tasso di cambio inferiore a quello applicabile al momento della vendita della valuta nei confronti dell’istituto di credito. Tale circostanza genera dunque una perdita su cambi in relazione all’esposizione finanziaria. Peraltro, anche con riguardo alla gestione commerciale, il tasso di cambio relativo ai crediti valutati alla fine dell’esercizio si manifesta inferiore al tasso utilizzato per l’iscrizione dei predetti crediti, generando perdite su cambi riguardanti la gestione commerciale relativa alla diminuzione del credito. La problematica viene affrontata dal professionista istante in base alla disciplina civilistica e contabile, in relazione a quanto affermato dal principio contabile n. 9 del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri collegiati che affronta le problematiche legate alla conversione in moneta nazionale delle operazioni e delle poste espresse in valuta estera. Il paragrafo F) del citato principio contabile esamina l’ipotesi di contratti a termine in valuta estera a fronte di una esposizione netta in moneta estera ma non correlati a specifiche operazioni, cioè non collegati a specifici crediti e debiti od impegni contrattuali di acquisto o vendita. Nel caso di specie, seppure la società stipula i contratti di copertura in relazione alle operazioni commerciali, gli stessi non presentano la stessa scadenza dei contratti di natura commerciale, non esistendo una identificazione tra l’operazione commerciale e il contratto di copertura. Il cennato principio contabile dispone in merito all’effetto complessivo delle differenze di cambio relative sia all’esposizione commerciale sia con riguardo alla copertura dei contratti a termine. Per quanto concerne l’esposizione commerciale, il principio contabile prevede che i crediti e i debiti in moneta estera siano convertiti al cambio di fine anno al fine di determinare l’utile o la perdita. Con riferimento invece ai contratti di copertura a termine, viene previsto che l’utile o la perdita relativa ai predetti contratti sia calcolata moltiplicando l’ammontare in valuta di ogni contratto per la differenza tra il cambio corrente alla data di bilancio e il cambio corrente alla data di stipula del contratto. Gli utili e le perdite così determinati vanno contabilizzati conformemente ai criteri adottati per la conversione dei debiti e dei crediti in moneta estera a breve e a lungo termine. Inoltre, per quanto riguarda i contratti a termine, deve essere calcolato lo sconto o premio in caso di maturazione, sul contratto stesso, contabilizzando in bilancio la quota parte di utile o di perdita maturata. Delle fattispecie relative ai contratti di copertura a termine, assimilate alle cosiddette operazioni fuori bilancio, si è occupata la Banca d’Italia con provvedimento del 16 gennaio 1995, nel quale, ai fini della contabilizzazione di detta operazione viene prevista la necessità della contemporanea presenza dei seguenti requisiti:
In presenza delle condizioni sopra evidenziate è previsto che i proventi e gli oneri delle operazioni fuori bilancio destinate alla copertura di attività e passività sono assimilati agli interessi, in quanto detti proventi e oneri devono essere iscritti nel conto economico in proporzione al tempo maturato in analogia alle operazioni produttive di interessi. Per quanto concerne l’aspetto tributario, l’articolo 103 bis, comma 3, del dpr 917/86, disciplina, con riguardo alla determinazione del reddito degli enti creditizi e finanziari, le cosiddette operazioni di copertura. Il suddetto comma prevede infatti particolari criteri temporali di concorso alla determinazione del reddito dei componenti positivi e negativi relativi alle operazioni destinate a coprire i rischi connessi ad attività o passività produttive di interessi. I predetti componenti positivi e negativi concorrono alla determinazione del reddito secondo la durata del contratto se le operazioni hanno finalità di copertura di rischi connessi ad insiemi di attività o passività. Per quello che concerne le imprese non bancarie, l’articolo 72, comma 1, del dpr 917/86, prevede che, per i crediti e i debiti risultanti in bilancio ed espressi in valuta estera, ai fini della determinazione dell’accantonamento deducibile non si tiene conto dei predetti crediti e debiti coperti da contratti a termine o da contratti di assicurazione. Inoltre, l’articolo 76, comma 2, del dpr 917/86, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera r) del dl 416/94, prevede espressamente che "la valutazione, secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio, dei crediti e dei debiti in valuta estera risultanti in bilancio, anche sotto forma di obbligazioni e titoli similari, è consentita se effettuata per la totalità di essi. Si applica la disposizione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 72 qualora i contratti di copertura non siano valutati in modo coerente". Nella relazione di accompagnamento al citato decreto legge viene espressamente affermato che "viene quindi consentita, in alternativa all’accantonamento per rischi di cambio, la valutazione della totalità dei debiti e dei crediti risultanti in bilancio, anche se rappresentati da obbligazioni o titoli similari, secondo il cambio rilevato alla data di chiusura dell’esercizio in luogo di quello storico. La simmetrica valutazione dei rapporti creditori e debitori espressi in valuta assicura che concorrono alla formazione del reddito imponibile tanto i maggiori quanto i minori valori rilevati. Viene altresì stabilito il principio della coerente valutazione delle operazioni di copertura". Per conseguenza, l’applicabilità del criterio previsto dall’articolo 76 si pone come alternativo a quanto dettato dall’articolo 72 in materia di accantonamento al fondo copertura rischi su cambi. Tale ultimo criterio, infatti, fa riferimento, ai fini della determinazione della differenza negativa deducibile, al saldo dei criteri e dei debiti valutati secondo il cambio del giorno in cui sono sorti, da confrontare con il saldo dei crediti e dei debiti valutati secondo il cambio dell’ultimo giorno dell’esercizio. In base a tale criterio, peraltro, la rilevanza ai fini fiscali riguarda esclusivamente la componente negativa, fatta salva l’acquisizione a tassazione dell’eventuale eccedenza del fondo, mentre, con il criterio dettato dall’articolo 76 assumono rilevanza sia i componenti positivi che quelli negativi derivanti dalla valutazione al cambio vigente alla chiusura dell’esercizio. Per quello che concerne i crediti e i debiti in valuta che trovano copertura in operazioni fuori bilancio, qualora l’impresa non adotti il cambio corrente a fine esercizio, è espressamente prevista l’applicazione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 72 qualora i contratti di copertura non siano valutati in modo coerente. Sostanzialmente, qualora l’impresa adotti il criterio valutativo del cambio a fine esercizio e intende valutare i crediti e i debiti interessati da contratti di copertura dovrà dare rilevanza nella redazione del conto economico, nonché ai fini fiscali, delle operazioni poste in essere in base a tali contratti di copertura. Tale previsione implica dunque che i contratti di copertura devono essere valutati con gli stessi criteri adottati per la valutazione dei crediti e dei debiti ai quali essi afferiscono, con l’ulteriore conseguenza che i componenti positivi e negativi concorrono alla determinazione del reddito imponibile. Pertanto, a parere di questa Direzione, la previsione di cui all’articolo 76, comma 2, del dpr 917/86 renderebbe applicabili, per la generalità delle imprese, i criteri previsti dall’articolo 103 bis, comma 3, del dpr 917/86. Nella fattispecie esaminata, la valutazione dei contratti di copertura effettuata in base al tasso di cambio in essere al 31/12/97 comporta, sia per quanto riguarda l’esposizione commerciale relativa ai crediti espressi in valuta che per la valutazione dei contratti di copertura in relazione al tasso di cambio adottato alla stipula del contratto, una perdita su cambi che la società vorrebbe neutralizzare con riferimento al bilancio dello stesso esercizio attraverso l’apposizione, nel bilancio stesso, di un fondo differenza cambi. Tale procedura, a parere di questa Direzione, apparirebbe conforme a quanto precisato nel paragrafo C.III.B del principio contabile n. 9 sopra citato, relativamente all’ipotesi della conversione di crediti e debiti a lungo termine espressi in valuta estera. Il predetto principio contabile prevede che, nell’ipotesi di mancato adeguamento al cambio della data di bilancio dei predetti crediti e debiti in valuta, occorrerà rilevare le perdite su cambi in un’apposita posta dello stato patrimoniale con addebito al conto economico a condizione che vengano fornite, nel bilancio stesso, informazioni in merito al valore dei crediti e dei debiti in valuta. Per quanto concerne l’aspetto fiscale, a parere della scrivente, il comportamento rappresentato dal professionista menzionato in oggetto appare legittimo qualora, ai fini dell’apposizione in bilancio dei componenti negativi derivanti dalle differenze di cambio, siano riscontrabili i requisiti di certezza e determinabilità. Trattandosi di questione di rilevanza generale si chiede di conoscere l’orientamento di codesta superiore Direzione Centrale.
dre/irpeg/g2-102a8.DOC
Quesito Risposta Con la nota suindicata è stato chiesto di conoscere se, in sede di dichiarazione dei redditi Mod. 760 per l’anno 1994, sia corretto compilare il prospetto delle perdite relative agli anni precedenti, senza tener conto di quanto erroneamente indicato negli stessi prospetti delle dichiarazioni presentate per i periodi di imposta precedenti. Nel quesito proposto si afferma che l’utilizzo delle perdite dei periodi di imposta precedenti è comunque stato effettuato nel rispetto della disposizione contenuta nell’art. 102 DPR 917/86. In virtù della modifica apportata a tale norma dall’art. 27, I comma, D.L. 69/89, convertito in L. 154/89, non è più consentito al contribuente di scegliere liberamente uno o più anni del quinquennio successivo ai fini del riporto della perdita. Il nuovo testo normativo, infatti, dispone che la perdita può essere computata in diminuzione del reddito complessivo, ma non oltre il quinto, "per l’intero importo che trova capienza nel reddito complessivo di ciascuno di essi". Qualora intenda avvalersi del riporto della perdita, quindi, il contribuente è obbligato a computarla in diminuzione interamente dal reddito dell’esercizio o degli esercizi successivi a quello in cui si è verificata; solo la parte che eccede l’ammontare compensato, in quanto non trova capienza nel reddito complessivo di ciascun esercizio, può essere riportata fino alla scadenza del quinquennio. Nel caso prospettato, trattasi di un errore compiuto non nella compensazione, correttamente operata al quadro M, ma soltanto nella compilazione del prospetto delle perdite, che può qualificarsi come mero errore formale, in quanto non incide sulla determinazione dell’imponibile e non determina un danno all’Erario; tanto più che l’Amministrazione, pur in presenza di segnalazione da parte del sistema A.T. di incongruenza dei dati dichiarati nel prospetto delle perdite, può risalire all’effettiva situazione del contribuente stesso dall’analisi dei dati dichiarati nei quadri M delle dichiarazioni presentate. Per i sopraesposti motivi il comportamento del contribuente nella fattispecie in esame può ritenersi ammissibile.
dre/irpeg/g2-096a9.doc
DRE LOMBARDIA -SERVIZIO I°, DIVISIONE I^ Prot. n. 51217/97
Oggetto: II.DD. Applicazione della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Germania
Con la nota sopra evidenziata, è stato chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla applicazione delle disposizioni convenzionali in vigore tra Italia e Germania. Il quesito riguarda una banca italiana, soggetto passivo Irpeg, che possiede una partecipazione in una banca tedesca costituita sotto la forma della società di persone. Viene chiesto di conoscere se: 1. il reddito di partecipazione in una società di persone tedesca sia soggetto a tassazione in Italia; 2. nell'affermativa, se detta tassazione debba avvenire: a) secondo il principio di cassa o quello di competenza; b) se risulti applicabile nel caso di specie il disposto di cui all'articolo 96 del dpr 917/86; c) se competa il credito di imposta per le imposte pagate in Germania dal socio italiano sul reddito di impresa realizzato in Germania; d) in quale esercizio possa essere fatto valere il credito di imposta e, in particolare, se sia possibile fruirne anche se il reddito prodotto dalla società tedesca sia stato percepito in Italia in un esercizio successivo a quello in cui è avvenuto il pagamento delle imposte in Germania. In base all'articolo 56 del dpr 917/86, concernente i dividendi e gli interessi conseguiti nell'esercizio di impresa, gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all'Irpeg, concorrono a formare il reddito dell'esercizio in cui sono percepiti. Tale disposizione deve essere coordinata con la circostanza che le società di persone non residenti nel territorio dello Stato, sono soggetti passivi Irpeg ai sensi dell'articolo 87, lettera d) del dpr 917/86. Pertanto, gli utili derivanti dalla partecipazione in società di persone residenti in Germania, sono disciplinati dal citato articolo 56 e concorrono a formare il reddito nell'esercizio in cui vengono percepiti. Per quello che concerne l'applicazione delle disposizioni convenzionali, la circolare del Ministero delle Finanze n. 12 del 26 giugno 1986, precisa che devono essere applicati gli articoli 7 e 24 della predetta convenzione, con conseguente tassabilità in Italia degli utili derivanti dalla pertecipazione nella società di persone tedesca con diritto al credito di imposta per le imposte pagate in Germania, dalla società italiana, sugli utili da partecipazione. La circostanza che trovi applicazione, nella fattispecie, l'articolo 7 della convenzione, non vale a riqualificare il reddito conseguito come reddito di impresa ai fini della tassazione in Italia. Ciò in quanto la funzione degli accordi internazionali contro le doppie imposizioni, consiste nell'individuare i luoghi di imposizione del reddito e le modalità con le quali evitare le doppie imposizioni ma non di definire la natura del reddito prodotto. Peraltro, anche qualora il reddito fosse ricompreso nell'ambito dei redditi di impresa, rimarrebbe applicabile quanto sancito dall'articolo 56 del dpr 917/86 che, come precedentemente sottolineato, attrae a tassazione le somme in base al principio di cassa. Con riferimento all'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 96 del dpr 917/86, la norma prevede che gli utili distribuiti da società collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile non residenti nel territorio dello Stato, concorrono a formare il reddito per il 40% del loro ammontare. La norma civilistica stabilisce che "sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume notevole quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti, ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa": Pertanto, a parere della scrivente, qualora sia dimostrabile l'esercizio dell'influenza notevole come sopra definita, nel caso di specie troverà applicazione l'articolo 96 del dpr 917/86 che, a differenza di quanto previsto dal successivo articolo 96 bis dello stesso dpr 917, non ha ambito di applicazione limitato alle società di capitali. Per quanto concerne le modalità di utilizzo del credito di imposta, occorre in primo luogo riferirsi all'articolo 24 della più volte richiamata convenzione, il quale prevede che "se un residente della Repubblica Italiana riceve elementi di reddito imponibili nella Repubblica federale di Germania, la Repubblica Italiana, nel calcolare le proprie imposte sul reddito, può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni della presente Convenzione non stabiliscano diversamente. In tal caso la Repubblica italiana deve dedurre dalle imposte così calcolate l'imposta sui redditi pagata nella Repubblica federale di Germania, (ivi compresa, se del caso, l'imposta sulle attività commerciali, industriali e artigianali nei limiti in cui essa sia prelevata sugli utili), ma l'ammontare della deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo". Pertanto, a parere di questa Direzione: - le imposte pagate in Germania in base alla liquidazione operata da quella amministrazione finanziaria è scomputabile dall'Irpeg netta dovuta in Italia sino a concorrenza della quota di imposta italiana attribuita agli elementi di reddito assoggettati ad imposta in Germania nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo. Conseguentemente, le imposte pagate in Germania sono scomputabili dall'Irpeg (in conformità alle istruzioni al modello 760 e alla circolare del Ministero delle Finanze n. 33 del 4.10.1984), nei limiti del 40% delle imposte stesse, e, comunque, nei limiti dell'imposta netta italiana corrispondente al reddito prodotto all'estero; - il credito di imposta può essere richiesto nell'esercizio in cui la società italiana percepisce il reddito prodotto in Germania, sempreché la liquidazione delle imposte in quello Stato, sia avvenuta a titolo definitivo, e, cioè, in base a quanto previsto dalla circolare del Ministero delle Finanze n. 3/7/360 del 8.2.1980, le imposte non siano state pagate solamente titolo di acconto ma non siano più ripetibili; - il primo periodo dell'articolo 15, comma 3, del dpr 917/86, secondo il quale la detrazione deve essere, a pena di decadenza, richiesto nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, a parere di questa Direzione, non troverebbe applicazione nel caso di specie. Ciò in quanto la Convenzione non prevede questa limitazione alla spettanza del credito di imposta e, in base a quanto disposto dall'articolo 128 del dpr 917/86 e dall'articolo 67 del dpr 600/73, la Convenzione, se più favorevole al contribuente, prevale sulla norma interna.
dre/irpeg/G2-095A6DOC
Quesito II.DD. - Contratti di capitalizzazione stipulati da una società di capitali. Trattamento fiscale.
Risposta Con la nota suindicata è stato chiesto il parere di questa Direzione in merito al trattamento fiscale relativo ai redditi prodotti dai contratti di capitalizzazione stipulati da una società di capitali. Il Ministero delle Finanze, con la circolare n. 14 del 17 giugno 1987, ha espressamente affermato che, pur se i contratti di capitalizzazione differiscono dai contratti di assicurazione sulla vita, per l’assenza dell’alea caratteristica di quest’ultima fattispecie contrattuale, le due tipologie sono sostanzialmente equivalenti. Nella sopra citata circolare, viene espressamente affermato che "in funzione della sostanziale equivalenza dei contratti di assicurazione e dei contratti di capitalizzazione, questi ultimi debbono essere compresi nell’ambito di applicazione dell’articolo 6 della legge 482/85, ancorchè non espressamente menzionati da tale norma. Detta equiparazione trova infatti esplicita conferma nell’articolo 117 del DPR 13 febbraio 1959". Pertanto, a parere di questa Direzione, nella fattispecie in esame e per quanto riguarda la ritenuta applicabile sugli interessi prodotti dai menzionati contratti di capitalizzazione, si rende applicabile il disposto dell’articolo 6 della legge 482/85, il quale prevede che "sui capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell’assicurato, le imprese di assicurazione devono operare una ritenuta a titolo di imposta e con obbligo di rivalsa, del 12,5%. La ritenuta va commisurata alla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo, se il capitale è corrisposto dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto di assicurazione". In materia, è recentemente intervenuto l’articolo 3 comma 113 della legge n. 549/95, il quale prevede che "nei confronti dei soggetti che nell’esercizio di imprese commerciali percepiscono capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, la ritenuta del 12,5% prevista dall’articolo 6 della legge 482/85 è applicata a titolo di acconto". Pertanto, per i contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 549/95, la quota di reddito maturata in ogni anno di durata del contratto va rilevata nell’esercizio di competenza, mentre la ritenuta dovrà essere scomputata in un’unica soluzione nel periodo di imposta in cui verrà operata, non rendendosi applicabile il disposto di cui all’articolo 93, comma 2, del DPR 917/86. Per i contratti stipulati precedentemente alla data di entrata in vigore della sopra citata legge 549, invece, i proventi prodotti dal contratto di capitalizzazione non concorrono a formare il reddito della società ai sensi del combinato disposto degli articoli 45, 58 e 95 del DPR 917/86, nè di essi si deve tenere conto ai fini del rapporto di cui all’articolo 63, comma 1, del DPR 917/86, riguardante la deducibilità degli interessi passivi e delle cosiddette spese generali.
|
Inviare a Claudio Carpentieri un messaggio di posta elettronica
contenente domande o commenti su questo sito Web.
|