INDICE IMPOSTE (DRE/IVA) al 31/5/1999
dre/iva/i8-041a8.DOC
Quesito Risposta Con la Nota cui si riscontra, si chiede se sia soggetta ad aliquota agevolata del 4% ai sensi del numero 41 ter Tab. A, parte II DPR 633/72, aggiunto dall’art. 36 comma 2 bis D.L. 331/93, la costruzione all’interno di una struttura ospedaliera di un edificio destinato ad ospitare persone reduci da trauma midollare della colonna vertebrale e colpite da paralisi motorie agli arti inferiori e superiori. Lo spirito che anima l’iniziativa è quello di creare una costruzione che, nel quadro dei necessari trattamenti terapeutici e riabilitativi, possa garantire ai degenti un ambiente il più possibile vicino a quello domestico, lavorativo e ricreativo allo scopo di prevenire o alleviare anche le conseguenze psicologiche negative del trauma subito e della mancanza di autosufficienza. In questa prospettiva l’edificio dovrà essere caratterizzato da soluzioni progettuali, strutturali ed impiantistiche atte al totale superamento di ogni barriera architettonica secondo quanto previsto dalla L. 13/1989. Esaminata la questione, si osserva che il numero 41-ter Tab. A, parte II, del DPR 633/72, aggiunto con effetto dal 13.11.93 dall’art. 36 comma 2-bis del D.L. 331/93, prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 4% alle "prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto la realizzazione delle opere direttamente finalizzate al superamento o alla eliminazione delle barriere architettoniche". Innanzitutto, con riferimento al tenore letterale della norma, si deve osservare che per potersi parlare di superamento (o di eliminazione) delle barriere architettoniche è necessario evidentemente che tali barriere preesistano agli interventi di adeguamento. La fattispecie in esame consiste, invece, nella costruzione ex novo di una struttura di cura e di accoglienza che nasce già con gli accorgimenti necessari alla sua libera utilizzazione da parte delle persone invalide. Non esiste, pertanto, un’attività di superamento o di eliminazione di ostacoli in essere, come potrebbe verificarsi nel caso di creazione di scivoli in sostituzione o in aggiunta alle scale o sistemati a bordo dei marciapiedi per facilitare il transito delle carrozzelle o alla installazione di impianti di sollevamento per carrozzelle o all’allargamento dei vani porta e via dicendo. In secondo luogo si deve osservare che gli edifici destinati alla riabilitazione e alla istruzione di persone invalide sono sempre stati ricompresi dall’Amministrazione Finanziaria nella categoria degli edifici assimilati alle case di abitazione non di lusso, interessate nella cessione e nella costruzione con contratto di appalto da un’aliquota IVA del 10%, secondo il combinato disposto dell’art. 1 L. 659/61, dell’art. 13 L. 408/49 e dei numeri 127 quinquies e septies Tab. A, parte III, DPR 633/72. Si vedano anche le Risoluzioni n. 501167 del 27.6.74, n. 363486 del 19.12.77 e n. 361092 del 9.8.78. Per i motivi suesposti, pertanto, a parere della scrivente sui compensi dovuti per la costruzione dell’immobile in questione l’imposta deve essere assolta con l’aliquota del 10%.
dre/iva/i8-039a9.DOC
Agevolazioni per costruzioni dedicate ad attività agricola e di agriturismo: non spetta per l’agriturismo
Una impresa nostra associata ha sottoscritto un contratto di appalto per la costruzione di un immobile rurale il cui progetto approvato, prevede due piani fuori terra ed uno seminterrato aventi le seguenti destinazioni:
L’immobile è intestato all’agricoltore regolarmente iscritto come impresa agricola nonché in regola con il pagamento dei contributi previdenziali. La concessione edilizia è stata rilasciata dal Comune nel rispetto del vincolo di asservimento del suolo previsto dalla legge della Regione Lombardia sull’agriturismo n. 3 del 31.10.1992, infatti sono stati vincolati ad attività agricola mq. 27.000 di superficie, in ogni caso l’immobile possiede i requisiti previsti dall’art. 9 c. 3 lett. "c" ed "e" del D.L. 557 del 30.12.93. Per l’agricoltore l’abitazione costituisce prima casa in quanto esistono le condizioni di cui alla nota 1 bis dell’art. 1 della tariffa allegata al DPR 131/1986. In considerazione che l’attività di agriturismo è complementare a quella agricola, l’immobile destinato a tale attività, a parere della scrivente, può essere considerato un bene strumentale e quindi tutto l’immobile ha i requisiti previsti dal p. 21 bis della Tab. A parte II^ allegata al DPR 633. Con riferimento a quanto sopra SI CHIEDE se l’aliquota agevolata 4% può essere applicata sull’intero fabbricato ai sensi del nominato p. 21 bis Tab. A parte II^ DPR 633 o, diversamente, quali aliquote tornano applicabili per ciascuna unità immobiliare di cui trattasi.
Risposta In base al combinato disposto dei punti 39 e 21-bis della tabella, parte II, allegata al DPR 633/72, sono soggetti all’aliquota IVA del 4% gli appalti aventi ad oggetto la realizzazione di "costruzioni rurali destinate ad uso abitativo del proprietario del terreno o di altri addetti alla coltivazione dello stesso o all’allevamento del bestiame o alle attività connesse". Nel caso prospettato il trattamento agevolato si applica senz’altro alla parte del fabbricato (e relative pertinenze) destinata ad abitazione del coltivatore del fondo e della sua famiglia. Non si applica, invece, alla porzione di fabbricato (e relative pertinenze) destinata ad ospitare i clienti dediti all’agriturismo (non trattandosi, ovviamente, di "addetti", cioè di persone impiegate per l’esercizio di tale attività); i corrispettivi riferibili a questa parte della costruzione andranno assoggettati ad aliquota IVA ordinaria.
dre/iva/i8-037b9.DOC
Quesito Risposta Con il quesito in oggetto la società istante chiede di conoscere il corretto inquadramento ai fini IVA delle operazioni scaturenti da un contratto di appalto acquisito da un’associazione temporanea d’imprese per il servizio di fornitura di buoni pasto a favore del personale dipendente delle amministrazioni statali. In particolare un gruppo di imprese riunite in associazione temporanea, aggiudicatrici della gara di appalto, hanno stipulato con il Ministero del Tesoro - Provveditorato generale dello Stato una "Convenzione generale per la fornitura del servizio sostitutivo di mensa a mezzo buoni pasto da erogarsi al personale civile dipendente dalle amministrazioni del comparto Ministeri". Con apposito regolamento le imprese associate hanno definito le modalità tecniche ed organizzative di esecuzione dell’appalto. In particolare è stato stabilito che la fatturazione del corrispettivo alle amministrazioni appaltanti viene effettuata dalla società individuata come mandataria e, successivamente, i corrispettivi incassati vengono ripartiti fra le imprese associate mandanti in proporzione ai buoni pasto ritirati da ciascuna di esse presso i pubblici esercizi situati della zona geografica di rispettiva competenza. E’ inoltre previsto che la mandataria fatturi alle società mandanti quota parte dei costi da essa sostenuti per prestazioni che devono essere eseguite dalla sola mandataria (c.d. "costi della mandataria"), ripartiti secondo la stessa proporzione con la quale sono suddivisi i corrispettivi. Premesso ciò, la società istante chiede quale sia la corretta aliquota IVA applicabile alle fatture emesse dalle mandanti nei confronti della mandataria per la ripartizione dei corrispettivi loro spettanti e quale sia l’aliquota IVA applicabile alle fatture emesse dalla mandataria nei confronti delle mandanti a titolo di ripartizione dei "costi della mandataria". Esaminata la questione prospettata, la scrivente rileva quanto segue. Con l’art. 75, comma 3, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, il legislatore ha esteso l’applicazione dell’aliquota IVA 4% di cui al n. 37 della parte II della Tabella A, allegata al DPR 633/72, prevista per le somministrazioni di alimenti e bevande rese nelle mense aziendali, anche alle somministrazioni rese in dipendenza di contratti, anche di appalto, aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mensa aziendale, sempreché siano commesse direttamente dai datori di lavoro. Con la circolare ministeriale n. 30/431279 del 16 aprile 1992 è stato chiarito che le prestazioni di servizi sostitutivi di mensa aziendale oggetto dei contratti, anche di appalto, effettuate dalle aziende di ristorazione nei confronti dei datori di lavoro con l’utilizzazione di appositi buoni pasto sono soggette ad IVA con la medesima aliquota del 4% prevista dal n. 37 della Tabella A, parte seconda, allegata al DPR 633/72. Alla luce delle considerazioni suesposte appare sicuramente corretta l’applicazione dell’aliquota 4% alle prestazioni sostitutive di mensa aziendale fornite a mezzo di buoni pasto dalle aziende associate in partecipazione a favore dei dipendenti dell’amministrazione statale. Con riferimento alle modalità di fatturazione di tali corrispettivi è opportuno rilevare che il rapporto instaurato tra la società mandataria e le società mandanti, così come risulta nell’atto di costituzione dell’associazione in partecipazione stipulato il giorno 15 gennaio 1997, prevede che alla società mandataria sia conferito un mandato speciale, con rappresentanza esclusiva, affinché la stessa compia nella sua qualità di capogruppo e nei confronti dell’ente appaltante in nome proprio ma anche per conto, nell’interesse ed in nome delle mandanti, ogni atto ed operazione di qualsiasi natura che abbia riferimento all’esecuzione della fornitura. Il suddetto mandato, come precisato nell’atto stesso, non determina organizzazione o associazione fra le società riunite, ognuna delle quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali. In tali casi è ravvisabile, come già precisato in passato dall’Amministrazione finanziaria con Risoluzione 11 novembre 1991, n. 445923, un mandato collettivo speciale con rappresentanza. Con la circolare citata il Ministero delle Finanze ha precisato infatti che l’associazione temporanea di imprese viene considerata soggetto autonomo ai fini IVA quando l’appalto, per la particolare natura delle opere da eseguire, non è separabile tra le varie imprese.
dre/iva/i8-037a9.DOC
Quesito Con il quesito in oggetto si rappresenta che una casa di riposto per anziani (Gerontocomio con forma giuridica IPAB), per la somministrazione dei pasti ai propri ospiti intende affidare la preparazione e quindi la fornitura del vitto ad una ditta esterna che già opera nel campo della produzione di pasti anche per le mense scolastiche. Al riguardo si intende sapere se nella fattispecie, considerate le finalità istituzionali dell’Ente e la particolarità della fornitura (preparata con specifiche e particolari direttive del responsabile sanitario del Gerontocomio) sia applicabile nella fatturazione del corrispettivo di tale fornitura pasti (consumati comunque nei locali della casa di riposo e serviti dal personale dipendente della casa stessa) l’aliquota agevolata del 4% di cui al punto 37 della tabella A p. II del D.P.R. 633/1972.
Risposta Nel caso prospettato con l’istanza in oggetto l’aliquota agevolata di cui alla voce n. 37 della tabella, parte II, allegata al DPR 633/72 non è applicabile. Infatti il servizio di preparazione dei pasti viene nella fattispecie fornito alla Casa di Riposo e, quindi, non può dirsi reso nei confronti di alcuno dei soggetti contemplati dalla citata disposizione. In tal senso è anche la R.M. n. 278 del 4/12/95, dalla quale si desume che i compensi corrisposti dal soggetto appaltante ad una società che ha ricevuto in appalto la gestione di una casa di riposo, ivi compresi quelli relativi alla somministrazione del vitto, sono da assoggettare all’aliquota IVA ordinaria. Va tuttavia rilevato che le prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande sono ora soggette ad IVA con aliquota 10% (voce 121 della tabella, parte III, come sostituita dall’art. 1, VI c., del D.L. 29/9/97 n. 328, conv. con modd. nella l. 410/97).
dre/iva/i8-031a9.DOC
Quesito Premesso che la _________________ con sede a _____________ produce sponde caricatrici idrauliche per autocarri, nonché un apparecchio di sollevamento da applicarsi stabilmente su veicoli a motori atti a consentire l’accesso della carrozzella nel veicolo da parte di soggetti portatori di handicaps (per una migliore identificazione si allega scheda descrittiva fornita dalla Ditta produttrice), la Società ha inoltrato istanza affinché Codesto Ufficio esprima il proprio parere in merito all’aliquota applicabile ai predetti apparecchi di sollevamento. Ciò posto, e ricordato l’art. 31 - parte II Tabella A - "Beni e servizi soggetti all’aliquota 4%": poltrone e veicoli simili per invalidi,......, compresi i servoscale per handicappati,....", si richiede di conoscere se al bene in parola è applicabile l’aliquota ridotta del 4%.
Risposta La prima parte dell’art. 31 della tabella, parte II, allegata al DPR 633/72 prevede oggettivamente e generalmente l’applicazione dell’aliquota IVA 4% alle "poltrone e veicoli simili per invalidi anche con motore o altro meccanismo di propulsione, intendendosi compresi i servoscala e altri mezzi simili atti al superamento di barriere architettoniche per soggetti con ridotte o impedite capacità motorie...". Questa disposizione intende quindi agevolare i casi in cui il bene interviene direttamente a far da ausilio nel trasporto o nel sollevamento del soggetto invalido. Gli apparecchi descritti nell’istanza, invece, intervengono solo come ausilio per spostare su un veicolo a motore e per estrarre dallo stesso la carrozzina. Andrà quindi applicata, in via generale, l’aliquota IVA ordinaria. L’aliquota agevolata 4% potrà trovare applicazione qualora ricorra l’ipotesi prevista dalla seconda parte dell’art. 31, laddove si parla di accessori relativi a veicoli di proprietà di titolari di patenti speciali, sempre che sussistano le condizioni soggettive ivi contemplate (soggetto acquirente invalido, titolare di patente speciale).
dre/iva/i8-027a8.DOC
Quesito Risposta Si ritiene che la cessione degli immobili in questione, in base alla normativa vigente all’epoca della compravendita (31/1/95), sia stata correttamente assoggettata ad IVA con l’aliquota ordinaria. Va rilevata, infatti, la mancanza dei presupposti per l’applicazione del trattamento agevolato di cui al n. 127-undecies della tabella, parte III, allegata al DPR 633/72, considerato, da un lato, che il trasferimento ha avuto ad oggetto fabbricati comprensivi anche di unità destinate ad uso diverso da quello abitativo e, dall’altro, che tali fabbricati (dai quali peraltro non risultano dal rogito i requisiti previsti dalla legge 408/49) non sono stati ceduti da impresa costruttrice.
dre/iva/i8-021a9.DOC
Quesito Il sottoscritto è socio della ____________________ di ________ che è stata costituita al solo scopo di realizzare dei box sotterranei in ____________ su area comunale con convenzione per l’uso gratuito della durata di 60 anni, rinnovabili. Attualmente sugli acconti è stata applicata l’IVA nella misura del 10% riservandosi la Cooperativa di ridurre l’aliquota al 4% quale agevolazione riservata alle pertinenze relative alla prima casa, anche se acquistate con atto separato. Recentemente con lettera in data 20/01/97, che allego in copia, mi è stato comunicato che io non potrò beneficiare delle agevolazioni in quanto l’appartamento di mia proprietà, che costituisce la prima abitazione non è stato oggetto di acquisto agevolato, bensì mi pervenne per donazione. L’interpretazione della norma NON mi trova per nulla d’accordo per i seguenti motivi.
La nota II-bis, III c. all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al DPR 131/86 (alla quale fa rinvio il punto 21 della seconda parte della tabella allegata al DPR 633/72) estende i benefici fiscali "prima casa" all’acquisto, anche se con atto separato, delle pertinenze immobiliari "destinate a servizio della casa di abitazione oggetto dell’acquisto agevolato". Dal tenore della predetta disposizione si evince chiaramente che l’acquisto separato della pertinenza usufruisce del trattamento di favore soltanto se è stato preceduto dall’acquisto agevolato dell’abitazione al cui servizio la pertinenza (nel caso di specie, il box) è destinata. Nella fattispecie prospettata tale presupposto manca, visto che l’appartamento del quale il box costituirà accessorio è pervenuto alla S.V. per atto di donazione. Conseguentemente (e a prescindere da ipotetiche questioni di costituzionalità della norma in esame, in questa sede non rilevanti) il beneficio fiscale non può trovare applicazione.
dre/iva/I8-000B6.DOC
IVA - APPLICABILITA’ ALIQUOTA RIDOTTA PER SERVIZI DI MENSA AZIENDALE
Quesito Premesso:
Visto
Chiede se sia esatto, anche alla luce di quanto disposto dagli Ispettori Compartimentali nella riunione del 7 - 10 marzo 1989, applicare al suddetto servizio l’aliquota ordinaria del 19% o se invece possa ritenersi applicabile l’aliquota ridotta del 4% stabilita per i servizi di mensa aziendale anche gestita mediante appalto.
Risposta Con la nota suindicata codesta società, che svolge attività di casa di riposo per anziani, chiede di conoscere quale sia l’aliquota IVA applicabile ai servizi di mensa resi da un soggetto esterno, al quale verrebbe appaltato tale tipo di servizio. In particolare viene chiesto se si renda applicabile l’aliquota ordinaria del 19% o quella agevolata del 4%. Al riguardo si richiama la Ris. Min. n. 278 del 4/12/1995, con la quale è stato chiarito che i compensi corrisposti dall’Ente appaltante ad una ditta appaltatrice a fronte dei servizi di gestione di una casa di riposo per anziani, comprensivi dei servizi di mensa, vanno assoggettati ad IVA con aliquota del 19% e che l’esenzione di cui all’art. 10 n. 21 D.P.R. 633/72 si riferisce, invece, alle prestazioni rese dalla casa di riposo agli ospiti anziani della stessa. L’aliquota del 4% è prevista al n. 37 parte II della tabella a allegata al D.P.R. 633/72, e non riguarda il caso in esame, ma si riferisce alle somministrazioni di alimenti e bevande effettuate nelle mense aziendali, interaziendali, nelle mense delle scuole e in quelle per indigenti, anche se eseguite sulla base di contratti d’appalto. dre/iva/I8-000A6.DOC
IVA - ALIQUOTA APPLICABILE ALL’ACQUISTO DI TERRENO EDIFICABILE CON ONERI EDILIZI GIA’ ASSOLTI.
Quesito La nostra società, a seguito colloquio con la Direzione Reparto - Ufficio IVA di Milano, desidera sottoporre la seguente situazione alla Vs. Attenzione per ottenere un Vs. Parere. L’acquisto di terreno con oneri edilizi assolti, già idoneo alla costruzione di immobili non di lusso ai sensi D.M. 2/8/1989 ed, inoltre, destinato a soggetti aventi diritto all’IVA ridotta 4% in quanto residenti nel comune ed in quanto non possiedono altri immobili, è, di fatto, assimilabile alla cessione di bene finito per il quale, per quanto disposto dalla Legge 22/12/1980 n. 891, dall’art. 16 della Legge 19/7/1993, n. 423 e dall’art. 4 del D.L. 557/93, è prevista l’applicazione dell’aliquota IVA 4%. Il bene "terreno" essendo già assolti gli oneri edilizi è bene finito e deve, pertanto, rientrare tra i beni che, così come precisato dal Ministero delle Finanze con Circ. 25/364695 del 3/8/1979 e n. 14/330342 del 17/4/1981, godono dell’aliquota ridotta in quanto, in essi, permane il carattere della individualità anche dopo il loro impiego nelle costruzioni, cioè beni che si incorporano nel fabbricato ma che tuttavia non perdono la loro individualità nè si trasformano in beni diversi. Siamo certi che vorrete considerare con attenzione il quesito, stante la non comprensibile contraddizione di un aliquota all’acquisto del terreno maggiore dell’aliquota al momento della cessione.
Risposta Con la nota suindicata è stato chiesto il parere di questa Direzione in merito alla possibile applicazione dell’aliquota agevolata del 4% ai fini IVA per l’acquisto di un terreno edificabile idoneo alla costruzione di immobili non di lusso per il quale sono già stati assolti gli oneri edilizi. Sul punto, la circolare n. 25 (prot. 344695/79) del 3 agosto 1979, afferma che le cessioni di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria vengono attratte nel campo di applicazione dell’IVA con aliquota ordinaria del 19% sempre che le cessioni siano effettuate nell’esercizio di impresa. I terreni edificabili, dunque, non rientrano nella fattispecie indicata nella tabella A parte II del D.P.R. 633/72 n. 24 dove vengono elencati i beni soggetti ad aliquota agevolata al 4%. Inoltre, la circolare n. 14 (prot. N. 330342) del 17 aprile 1981 precisa che continuano ad essere soggette al tributo con aliquota ordinaria, anche dopo l’entrata in vigore del decreto legge n. 693/80, le cessioni di terreni che siano suscettibili di utilizzazione edificatoria. Per conseguenza, la fattispecie relativa al terreno edificabile per il quale sono stati già assolti gli oneri edilizi rimane soggetta all’applicazione del tributo nella misura ordinaria. dre/iva/I6-074b8.DOC
Quesito
Risposta In riferimento all’istanza della S.V. in data 23/3/95, diretta al Ministero delle Finanze e da questo trasmessa alla scrivente Direzione Regionale, si osserva quanto segue. Il particolare regime di cui all’art. 74-ter del DPR 633/72 riguarda le prestazioni che l’agenzia di viaggio e turismo effettua in nome proprio e a diretto vantaggio dei clienti, cioè in sostanza la vendita di "pacchetti" turistici da essa stessa organizzati; non riguarda invece le operazioni nelle quali l’agenzia agisce come semplice intermediario, cioè in nome e per conto dei clienti (vendita di biglietti di trasporto, prenotazioni alberghiere, ecc.), restando soggette queste ultime all’ordinaria disciplina IVA. Per le operazioni regolate dall’art. 74-ter l’IVA dovuta dall’agenzia è calcolata sull’imponibile costituito dalla differenza tra il corrispettivo pattuito, al lordo dell’IVA, e i costi, anch’essi al lordo dell’IVA, sostenuti per l’acquisto da terzi dei beni e servizi inerenti al viaggio/soggiorno venduto al cliente (detrazione "base da base"). Tale speciale meccanismo di calcolo del tributo comporto l’indetraibilità dell’IVA addebitata all’agenzia per l’acquisto dei beni e servizi suddetti (art. 74-ter, II c.). Il terzo comma dell’articolo citato stabilisce che se le prestazioni rese al cliente sono eseguite in tutto o in parte fuori CEE la parte della prestazione dell’agenzia di viaggio ad essa corrispondente non è soggetta ad imposta ai sensi dell’art. 9 del decreto IVA. Facendo riferimento a quest’ultimo disposto normativo, la R.M. 1110 del 15/11/94 ha precisato che anche delle suddette prestazioni eseguite fuori della Comunità Europea occorre tenere conto ai fini della verifica del limite percentuale richiesto dall’art. 30, III c. lett. b, del DPR 633, che subordina il rimborso dell’eventuale eccedenza IVA alla condizione che siano state effettuate operazioni non imponibili, ai sensi degli artt. 8, 8 bis e 9, per un importo superiore al 25% dell’ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate. E’ evidente però che, stante l’accennato divieto di detrazione, nessun rimborso può conseguire allo svolgimento dell’attività in regime di art. 74-ter, né per essa può trovare applicazione il beneficio dell’acquisto di beni e servizi in sospensione d’imposta (l’art. 3, II c. del D.M. 16/1/80 esclude espressamente l’applicazione dell’art. 9, II c., del DPR 633). Il rimborso (anche infrannuale) potrà invece competere, ove ne sussistano i presupposti, limitatamente all’eventuale eccedenza di imposta assolta (oltre che per le spese generali) sugli acquisti di beni e servizi inerenti ad operazioni attive diverse da quelle oggetto del regime di cui all’art. 74-ter; per queste infatti, come già osservato, si applica la disciplina ordinaria ed è quindi ammessa (salve le eccezioni previste dal decreto IVA) la detrazione dell’imposta assolta "a monte".
dre/iva/I6-074A8.DOC
Quesito
Risposta Come chiarito dal superiore Ministero delle Finanze, rientrano nella disciplina agevolata di cui all’art. 74, IV c., del DPR 633/72 (come modificato dall’art. 3, III c., del D.L. 28/6/95 n. 250, conv. nella L. 349/95) e al D.M. 27/3/95 i servizi di autotrasporto in senso stretto, nonché le eventuali prestazioni ad essi naturalmente connesse o accessorie; è prestazione accessoria quella secondaria rispetto all’operazione principale e a questa collegata da un nesso di causalità necessaria (v. circolari n. 328 del 20/12/95 e n. 198 del 13/8/96). Le operazioni relative all’attività di spedizioniere (così come le altre non strettamente connesse al trasporto) non possono essere considerate accessorie rispetto all’attività di autotrasporto e pertanto non possono usufruire del regime agevolativo previsto dal menzionato art. 74, IV c.
dre/iiva/I6-074A6.DOC
IVA - REGIME SPECIALE EDITORIA
Quesito Con il quesito in oggetto il Sindacato dei giornalai dopo avere premesso che in conseguenza di un accordo stipulato con la Federazione degli Editori si è stabilita una nuova percentuale di sconto sul prezzo di vendita dei prodotti editoriali defiscalizzato, pari al 19%, chiede se tale accordo sia conforme alle norme che regolano l’applicazione dell’I.V.A. nel settore. Il Sindacato lamenta il fatto che applicando l’I.V.A. sull’intero prezzo comprensivo dello sconto, l’imposta finirebbe per essere addebitata e verrebbe ad incidere sui rivenditori, in contrasto con la previsione di cui all’art. 74/633 lett. c). Dal tenore del quesito si deduce che tale sconto costituisce un compenso stabilito in favore dei rivenditori (giornalai). La normativa in materia I.V.A concernente tale settore commerciale è contenuta nell’art. 74/633 lett. c) e nel DD.MM. del 28/12/1972, 29/12/1989 e 9/4/1993. Con riferimento alla fattispecie in esame si è già pronunziato il Ministero con Ris. n. 362932 del 6/1/1978. Contribuisce ulteriormente a chiarire il caso la Ris. N. 490234 del 23/7/1990. Con le pronunce citate il Ministero ha affermato che l’art. 74 lett. c) del D.P.R. 633/72, in deroga alle disposizioni generali, prevede un regime del tutto particolare, secondo cui l’I.V.A. assume l’aspetto di un imposta monofase ed è dovuta esclusivamente dall’editore sulla base del prezzo di vendita al pubblico. Ai sensi dell’art. 74/633 per le altre operazioni relative al commercio di giornali e periodici, ecc., assimilate a quelle non imponibili di cui all’art. 2/633, 3° comma, l’I.V.A. non è dovuta, in quanto l’obbligazione tributaria inerente alla cessione dei periodici si condensa "ope legis" sull’unico soggetto passivo che è l’editore. In virtù del carattere neutrale dell’I.V.A. il carico d’imposta che colpisce il valore finale (prezzo al consumo) non differisce da quello che colpisce via via il valore aggiunto delle singole fasi. Le varie prestazioni di servizi rese direttamente dai distributori o rivenditori non sono imponibili agli effetti I.V.A. in quanto anche sulla parte di valore aggiunto riferibile all’attività svolta dal rivenditore il tributo è assolto dall’editore. L’I.V.A. corrisposta dall’editore sulla base del prezzo di vendita al pubblico di prodotti editoriali esclude l’imponibilità delle altre operazioni rese dai venditori. L’istituto della rivalsa previsto dall’art. 18/633 è inapplicabile. La detrazione dell’I.V.A. è preclusa ai cessionari dei prodotti editoriali di cui all’art. 74/633 lett. c). L’eventuale fattura emessa dall’editore non assume rilevanza nè ai fini della detrazione nè ai fini della rivalsa. In conclusione, lo sconto che costituisce il compenso pattuito in favore dei rivenditori per le prestazioni di servizi rese relative al commercio dei prodotti editoriali di cui all’art. 74/633, non è in alcun modo influenzato dall’I.V.A.. Il fatto che l’I.V.A. pagata dall’editore sia commisurata al prezzo finale comprensivo dello sconto in favore dei rivenditori non implica che gli stessi vengano incisi dal tributo o ad essi sia addebitata l’I.V.A. relativa. Ai rivenditori, infatti, tale compenso (sconto) va corrisposto senza addebito di I.V.A. nella misura percentuale stabilita, senza che in essa sia compresa l’imposta e senza alcun obbligo di versarla relativamente a detto sconto. Nulla impedisce, ai fini del calcolo degli sconti e di altri conteggi contrattuali che le fatture espongano descrittivamente il prezzo defiscalizzato, purchè non si configuri come documento che consente a chi lo riceve di detrarre l’I.V.A.. Ogni valutazione circa la base di commisurazione dello sconto pattuito con il cessionario esula dalla competenza dell’Amministrazione Finanziaria.
Risposta Con il quesito in oggetto il Sindacato dei giornalai dopo avere premesso che in conseguenza di un accordo stipulato con la Federazione degli Editori si è stabilita una nuova percentuale di sconto sul prezzo di vendita dei prodotti editoriali defiscalizzato, pari al 19%, chiede se tale accordo sia conforme alle norme che regolano l’applicazione dell’I.V.A. nel settore. Il sindacato lamenta il fatto che applicando l’I.V.A. sul prezzo di vendita al pubblico, l’imposta finirebbe per essere addebitata e verrebbe ad incidere sui rivenditori, in contrasto con la previsione di cui all’art. 74/633 lett. c). La normativa in materia I.V.A. concernente tale settore commerciale è contenuta nell’art. 74/633 lett. c) e nei DD.MM. del 28/12/1972, 29/12/1989 e 9/4/1993. Con riferimento alla fattispecie in esame si è già pronunziato il Ministero con Ris. n. 362932 del 6/1/1978. Contribuisce ulteriormente a chiarire il caso la Ris. n. 490234 del 23/7/1990. Con le pronunce citate il Ministero ha affermato che l’art. 74 lett. c) del D.P.R. 633/72, in deroga alle disposizioni generali, prevede un regime del tutto particolare, secondo cui l’I.V.A. assume l’aspetto di un imposta monofase ed è dovuta esclusivamente dall’editore sulla base del prezzo di vendita al pubblico. Ai sensi dell’art. 74/633 per le altre operazioni relative al commercio di giornali e periodici ecc, assimilate a quelle non imponibili di cui all’art. 2/633, 3° comma, l’I.V.A. non è dovuta, in quanto l’obbligazione tributaria inerente alla cessione dei periodici si condensa "ope legis" sull’unico soggetto passivo che è l’editore. In virtù del carattere neutrale dell’I.V.A. il carico d’imposta che colpisce il valore finale (prezzo al consumo) non differisce da quello che colpisce via via il valore aggiunto delle singole fasi. Le varie prestazioni di servizi rese direttamente dai rivenditori non sono imponibili agli effetti I.V.A. in quanto anche sulla parte di valore aggiunto riferibile all’attività svolta dal rivenditore il tributo è assolto dall’editore. L’I.V.A. corrisposta dall’editore sulla base del prezzo di vendita al pubblico dei prodotti editoriali esclude l’imponibilità delle altre operazioni rese dai rivenditori. L’istituto della rivalsa previsto dall’art. 18/633 è inapplicabile. La detrazione dell’I.V.A. è preclusa ai cessionari dei prodotti editoriali di cui all’art. 74/633 lett. c). L’eventuale fattura emessa dall’editore non assume rilevanza nè ai fini della detrazione nè ai fini della rivalsa. Tale fattura deve contenere l’indicazione che l’operazione è assolta dall’editore ai sensi del citato articolo 74/633 lett. c). Nulla impedisce, ai fini del calcolo degli sconti e di altri conteggi contrattuali che le fatture espongano descrittivamente il prezzo defiscalizzato, purchè non si configuri come documento che consente a chi lo riceve di detrarre l’I.V.A.. Ogni valutazione circa la base di commisurazione dello sconto pattuito con il cessionario esula dalla competenza dell’Amministrazione Finanziaria. Il fatto che l’I.V.A. pagata dall’editore sia commisurata al prezzo di vendita al pubblico comprensivo dello sconto in favore dei rivenditori, non implica che gli stessi vengano incisi dal tributo o ad essi sia addebitata l’I.V.A. relativa. dre/iva/i4-057a7.DOC
QUESITO ART. 57 L. 30.12.1991 N. 413 - 2° COMMA: PROROGA TERMINI
Quesito L’art. 57 della legge 30.12.1991, n. 413 (condono), al suo secondo comma, recita: "I termini per l’accertamento relativamente ai periodi di imposta per i quali può essere presentata dichiarazione integrativa che non siano scaduti alla data del 31.12.1991, sono prorogati di due anni nei confronti dei soggetti che non hanno presentato la predetta dichiarazione". Nella fattispecie che intendiamo sottoporre alla vostra attenzione, il contribuente, oltre ad avere presentato domanda per "condono tombale" ai fini delle Imposte Dirette, ha presentato "dichiarazione integrativa semplice" ai fini dell’Iva. Risulta a mio avviso assolutamente pacifico che i termini per l’accertamento Iva non subiscono la proroga di due anni. Ciò anche in presenza di un processo verbale di constatazione steso dalla Guardia di Finanza nel 1996, che imputa l’emissione o utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Del tutto ininfluente mi sembra infatti l’art. 52 che tratta appunto - a fini del tutto diversi - l’ipotesi di emissione o di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Risposta La proroga prevista dal 2° comma dell’art. 57/413, ai fini dell’accertamento dei periodi d’imposta non opera nei confronti dei soggetti che hanno presentato le dichiarazioni integrative ex legge 413/91. Ciò sia nel caso in cui la dichiarazione integrativa venga prodotta ai sensi dell’art. 49 L. 413/91 con conseguente definizione del rapporto tributario, sia nei casi in cui si tratti di dichiarazione integrativa semplice prevista dall’art. 50 stessa legge (cfr. Ris. 531567 del 20.11.1992). Si ritiene che la proroga di cui all’art. 57/413, 2° comma non operi, indipendentemente dal fatto che l’imposta accertabile concerna fatture per operazioni inesistenti o meno. Infatti mentre nella Circ. n. 12 del 08.05.1992, si afferma che nel caso in cui l’integrazione ex art. 50 riguardi imposte che traggono origine da operazioni inesistenti, gli eventuali accertamenti successivi degli Uffici, possono essere effettuati senza il rispetto delle condizioni di cui al terzo comma dell’art. 50/413, non essendo configurabile alcuna franchigia a favore del contribuente, nulla invece si afferma circa l’inefficacia della dichiarazione integrativa ex art. 50/413 ai fini della proroga dei termini per gli accertamenti nel caso di violazioni concernenti operazioni inesistenti. Ad ulteriore conferma di quanto sopra affermato sta il fatto che con Ris. n. 530714 del 13.01.1993 il Ministero ha dichiarato che anche dopo la definizione richiesta dal contribuente, l’Ufficio è legittimato a svolgere attività istruttoria tesa a cercare fatture riguardanti operazioni inesistenti non denunciate dal contribuente e che in tal caso l’Ufficio procederà nei modi di rito per il recupero del credito erariale provvedendo alla costituzione in mora del debitore, non operando - come già detto - la proroga dell’art. 57 L. 413/91 - 2° comma.
dre/iva/I3-042A9DOC
Quesito
Risposta Con riferimento alla nota cui si riscontra, questa Direzione concorda con quanto esposto da codesto Ufficio nel ritenere non applicabili alla prospettata fattispecie le sanzioni previste dall’ex art. 44, c. 2, del DPR 633/72. Per la sussistenza delle violazioni di cui al citato articolo, è necessario che preesista l’obbligo di effettuare un versamento d’imposta, risultante dalla dichiarazione annuale regolarmente presentata, pertanto, nel caso in cui, dalla ricostruzione effettuata in sede di verifica, emerga una maggiore IVA dovuta per violazioni degli obblighi di fatturazione e/o registrazione, non è applicabile la soprattassa.
dre/iva/i2-038a8.DOC
Quesito
Risposta L’art. 38-quater del DPR 633/72 richiede che la fattura venga vistata dall’ufficio doganale. Si ritiene che, a tal fine, il viaggiatore non debba fare altro che presentare in dogana la merce e la relativa fattura. E’ poi compito dell’ufficio doganale adottare le più opportune cautele e i più efficaci controlli perché al rilascio del "visto uscire" corrisponda l’effettiva uscita della merce dal territorio comunitario, così come peraltro precisato dalla circ. min. n. 4/18 del 12/1/93, la quale specifica anche le modalità di apposizione del visto. In ogni caso, in presenza di fatture regolarmente vistate, è onere degli organi accertatori dimostrare che la merce è stata fraudolentemente immessa al consumo in un Paese della Comunità Europea. La disposizione in esame prevede che al cedente vada restituito (vistato ) l’esemplare della fattura a suo tempo consegnato al cessionario. Non può quindi ritenersi sufficiente fornire al cedente una semplice fotocopia della fattura; in tal caso non potrebbe parlarsi di "restituzione", termine che implica necessariamente la consegna dello stesso documento ricevuto. Non pare infine legittima l’utilizzazione da parte del cedente, ai fini della detrazione di cui all’art. 38-quater, II c., di fatture o di documenti doganali dai quali si rilevi che l’esportazione è avvenuta non ai sensi della norma citata ma ai sensi dell’art. 8 del decreto IVA, benché, da un punto di vista sostanziale, risulti in questo modo recuperata un’imposta comunque non dovuta.
dre/iva/i2-035a7.DOC
RICHIESTA DI PARERE IN MERITO ALLA CESSAZIONE DELLA ATTIVITA’ AI FINI IVA ED ESTINZIONE DELLA SOCIETA’ IN SEGUITO A LIQUIDAZIONE VOLONTARIA
Quesito L’art. 35 del DPR 633/72 sancisce che in caso di cessazione dell’attività, il termine per la presentazione della dichiarazione (di cessazione dell’attività) decorre dalla data di ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione dell’azienda. L’azienda secondo l’art. 2555 del codice civile è un complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Con la liquidazione dell’azienda si cessa l’attività imprenditoriale, monetizzando le attrezzature e gli altri beni afferenti all’azienda per poi procedere al saldo dei debiti. La liquidazione termina con il deposito in Tribunale del bilancio finale e con il decreto di cancellazione. Ma la liquidazione dell’azienda come previsto dall’art. 35 del DPR 633/72 è cosa ben diversa dalla liquidazione dell’azienda di cui all’art. 2555 del codice civile. La prima è concetto che ha rilevanza tributaria ai fini dell’IVA. La seconda è concetto che ha rilevanza civilistica. Ai fini dell’IVA ciò che conta è che una volta monetizzate le attrezzature ed i beni, non si pongano più in essere operazioni significative per l’imposta, ben potendo rimanere aperte posizioni di debito o credito per la cui chiusura non si instaurano operazioni IVA. Analoga tesi è stata già espressa dal Ministero delle Finanze, il quale con circolare n. 3/446157 del 28 gennaio 1992 ha stabilito come nei casi di fallimento e di liquidazione coatta, la dichiarazione di cessazione dell’attività possa essere effettuata prima del termine della procedura di liquidazione. In sostanza il Ministero acconsente a che la dichiarazione di cessazione di attività ai fini dell’IVA sia presentata allorquando sono ultimate le operazioni rilevanti agli effetti dell’IVA, anche se rimangono in essere eventuali rapporti creditori o debitori. Sulla base delle considerazioni sopraesposte si chiede se anche nel caso della liquidazione volontaria, procedura che per certi versi presenta finalità analoghe a quella di liquidazione coatta e di fallimento, sia possibile dichiarare la cessazione dell’attività ai fini dell’IVA quando sono ultimate tutte le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta, anche se prima della chiusura della procedura di liquidazione e della cancellazione della società dal Tribunale.
Risposta Con il quesito in oggetto si chiede di conoscere quale sia il momento di ultimazione delle operazioni nel caso in cui si versi in liquidazione volontaria. Il Ministero si è già espresso sull’argomento con la Circolare 64/351942 del 3 agosto 1982 e la C.I.C.T. Lazio n. 186 del 12 ottobre 1990 oltre che con quella richiamata dal proponente il quesito. Se la prima circolare richiama esclusivamente il dettato legislativo affermando che "per cessazione di attività deve intendersi non tanto la cessazione dell’attività produttiva o commerciale quanto piuttosto la cessazione di ogni attività per effetto dell’esaurimento della fase di liquidazione", la seconda entra maggiormente nel merito dichiarando che "non si ha cessazione dell’attività con la sola cessazione del compimento di atti gestionali concretizzati da operazioni produttive o commerciali inerenti all’attività propria dell’impresa, bensì con la completa dismissione anche del complesso dei beni utilizzati a scopo imprenditoriale". Ma la Circolare si spinge ben oltre precisando che "locuzione [...] contenuta nell’art. 35 trova la sua ratio nell’impedire che si consideri cessata l’attività d’impresa quando ancora sussistono attività aziendali da liquidare, tenuto presente che l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore nell’esercizio dell’impresa. Laddove, nel caso concreto, sia possibile ravvisare una continuazione dell’esercizio d’impresa, anche in presenza dell’avvenuta liquidazione dell’azienda, la dichiarazione di cessazione, agli effetti dell’IVA, deve essere ugualmente presentata entro trenta giorni dall’avvenuta liquidazione". In conclusione si ritiene di poter affermare che l’espressione "dalla data di ultima azione delle operazioni relative alla liquidazione dell’azienda" valga per l’ultimo atto di cessione di tutti i beni, strumentali e non, mentre l’attività di incasso crediti o pagamento di debiti debba essere estranea a tale statuizione. La Circolare 186 sancisce inoltre che tale regola trova applicazione anche per le procedure concorsuali, e per tale motivo la Circolare 3/446157 del 28 gennaio 1992 presenta la medesima terminologia. Si ritiene pertanto che si possa affermare, senza ombra di dubbio, che il termine per la comunicazione di cessazione di attività coincida nei casi di liquidazione e di procedura concorsuale e che anzi la valutazione della seconda discenda da quella della prima e che, di conseguenza, si possa dare parere favorevole al quesito proposto.
dre/iva/i2-021a8.DOC
Quesito Desideriamo vendere una combinazione particolare, poniamo identificata da un codice specifico per es. Art. 123 AB consistente in: 1 paio di jeans IVA 16%, 1 orologio IVA 19%; desideriamo sapere se è possibile effettuare una sola operazione di vendita (bolla di accompagnamento e fattura) utilizzando un unico codice che identifica la combinazione suddetta applicando sull’intero valore l’aliquota più alta del 19%.
Risposta Con la nota che si riscontra è stato chiesto di conoscere se all’atto di vendere una combinazione di prodotti, identificata da un unico codice specifico, ma soggetti ad aliquota diversa, si possa emettere fattura utilizzando il codice che identifica la combinazione applicando sull’intero valore l’aliquota IVA più alta. Esaminata la questione, la scrivente ritiene tale procedura non conforme alla normativa. L’art. 21 comma 3° del DPR 633/72 dispone che se le operazioni cui si riferisce la fattura comprendono beni o servizi soggetti all’imposta con aliquote diverse, gli elementi e i dati previsti dallo stesso articolo 21, devono essere indicati distintamente secondo l’aliquota applicabile. Le procedure relative alla fatturazione sono state enunciate con la Circolare n. 19 del 24/3/92, con la quale è stato consentito ed autorizzato in linea generale alle singole ditte che ne fanno istanza ad emettere fatture secondo modalità che, pur nel rispetto dei requisiti sostanziali richiesti dal citato articolo 21, consentono di non dover elencare, su ciascuna di esse, tutti i singoli beni costituenti la confezione. Tale semplificazione richiede che in fattura vengano indicati:
E’ fatto, inoltre, obbligo alle imprese istanti di depositare previamente presso il competente Ufficio IVA il quadro contenente la descrizione analitica dei vari tipi di confezione e i computi relativi alle diverse aliquote IVA applicate a ciascuna di esse, con l’impegno di aggiornarlo ad ogni successiva variazione. Ciò al fine di consentire agli Uffici finanziari l’immediato riscontro tra quanto fatturato e i beni contenuti in ciascuna confezione. I medesimi prospetti vanno inviati per conoscenza anche al competente Comando Nucleo di Polizia Tributaria e ai clienti dell’impresa interessata, mentre, in fattura, vanno indicati gli estremi dell’avvenuto deposito presso l’Ufficio IVA.
dre/iva/I1-019a9.DOC
IVA - II.DD. Cessione gratuita beni connessi con il prodotto principale venduto
Quesito La sottoscritta ________________________, con sede a _____________ commercia all’ingrosso "BIRRA" in bottiglie e fusti. Per pubblicizzare il prodotto intende, per il futuro, accompagnare le forniture di merce con materiale pubblicitario offerto gratuitamente ai singoli clienti, materiale costituito da bicchieri, sottocoppe, vassoi, ecc. Ognuno di questi oggetti reca il marchio della ditta e quindi non è vendibile, ed ha un costo di acquisto inferiore a Lire 50.000. Si precisa che in molti casi il valore complessivo del materiale pubblicitario inviato al singolo cliente supera l’importo di Lire 50.000. Si ritiene che l’I.V.A. relativa all’acquisto di tale materiale pubblicitario potrà essere detratta regolarmente, così come il costo, mentre lo stesso materiale, che verrà allegato gratuitamente alle singole forniture di merce, non verrà assoggettato all’I.V.A. pur essendo specificato in fattura. Si chiede: è corretto il comportamento che si vorrà tenere il relazione a quanto prescrive il D.L. n. 415 del 02.10.95?
Risposta Attualmente, in base all’art. 19 - bis 1 lett. h del DPR 633/72 (introdotto dal D.Lgs. 313/97) l’IVA relativa alle spese di rappresentanza (tali vanno qualificate quelle oggetto del quesito) non è ammessa in detrazione. Peraltro, un ulteriore motivo di indetraibilità è dato dal fatto che, nel caso prospettato, il tributo assolto "a monte" si riferisce ad acquisti afferenti operazioni non soggette all’imposta ex art. 2, 2° c. n. 4 del citato DPR 633; si tratta, infatti, di cessioni gratuite di beni di costo unitario non superiore a L. 50.000, la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria di codesta società. Quanto alle imposte sul reddito, il costo dei beni distribuiti gratuitamente sarà deducibile (a titolo di spese di rappresentanza) nel limite del terzo e con le modalità previste dall’art. 74, 2° c. del DPR 917/86 nei casi in cui i beni suddetti siano di valore unitario eccedente L. 50.000, e per intero nei casi in cui siano di valore unitario non eccedente tale importo.
dre/iva/I1-017A6.DOC
IVA - APERTURA DI PARTITA IVA IN GERMANIA DA PARTE DI SOCIETA’ RESIDENTE IN ITALIA
Quesito La società XX, con sede legale in Milano, intende chiedere l’attribuzione della partita IVA all’Ufficio IVA di Dusserdolf affinchè gli acquisti di materiale presso fornitori tedeschi siano effettuati quali acquisti interni soggetti alla normativa IVA tedesca. Il materiale acquistato dalla società, con partita IVA tedesca, verrebbe poi rivenduto a clienti italiani con invio della merce da parte del primo fornitore tedesco. Di fatto, la transazione intracomunitaria vedrebbe come soggetti la società italiana con partita IVA tedesca, che dovrà assolvere a tutte le formalità previste per l’uscita del materiale dalla Germania, ed il cliente italiano che dovrà assolvere a tutte le formalità relative all’introduzione di merce proveniente da uno stato comunitario (integrazione della fattura d’acquisto, compilazione dei modelli Intrastat, etc.). La società chiede il parere di codesta Direzione sulla correttezza formale e sulla legittimità della procedura sopra esposta.
Risposta Il quesito formulato ipotizza una società residente in Italia che intende chiedere l’attribuzione del numero di identificazione IVA in Germania, affinchè gli acquisti di materiale presso fornitori tedeschi siano effettuati quali acquisti interni soggetti alla normativa (I.V.A.) dell’imposta sul valore aggiunto tedesca. Il materiale acquistato dalla società, identificata in Germania, verrebbe poi rivenduto a clienti italiani con invio della merce da parte del primo fornitore tedesco. Di fatto, la transazione intracomunitaria vedrebbe come soggetti la società identificata in Germania, che dovrà assolvere a tutte le formalità previste per l’uscita del materiale da quello Stato, ed il cliente italiano che dovrà assolvere a tutte le formalità relative all’introduzione di merce proveniente da uno Stato comunitario (integrazione della fattura d’acquisto, compilazione dei modelli Intrastat, etc.). Con la nota suindicata viene chiesto il parere di questa Direzione sulla correttezza formale e sulla legittimità della procedura sopra esposta. L’attribuzione del numero di identificazione da parte dell’Ufficio fiscale tedesco fa assumere alla società la qualifica di soggetto passivo d’imposta nel territorio di quello Stato, con obblighi e diritti, derivanti dall’applicazione dell’imposta, nel territorio di quello Stato. Il D.P.R. 26/10/1972, n. 633, non regola il caso dei soggetti d’imposta residenti nel territorio dello Stato che effettuano operazioni in altro Stato comunitario senza ivi avere una stabile organizzazione. Al contrario con l’art. 17, secondo comma, del D.P.R. 633/72 è prevista la regolamentazione degli obblighi e dei diritti, per le operazioni effettuate nel territorio dello Stato da parte di soggetto non residente, attraverso il ricorso alla nomina del rappresentante. L’affermata soggettività d’imposta nel territorio dello Stato tedesco consente di qualificare l’introduzione dei beni, già acquistati in Germania, nel territorio dello Stato italiano come operazione di acquisto intracomunitario. Ricorrono infatti le caratteristiche previste dagli articoli 38, secondo comma, e 40, primo e secondo comma, del D.L. 30/8/1993 n. 331, convertito nella L. 29/10/1993, n. 427, per definire l’acquisto intracomunitario. Il primo articolo prevede l’onerosità dell’acquisizione, l’introduzione nel territorio dello Stato di beni provenienti da altro Stato comunitario e la qualifica del soggetto passivo d’imposta del cedente. L’articolo 40, primo comma, specifica che i beni introdotti nel territorio dello Stato devono essere originari di altro Stato membro o ivi immessi in libera pratica, ed al secondo comma, che l’acquirente deve essere soggetto d’imposta nel territorio dello Stato. Nel caso in considerazione si ha che i beni di origine tedesca sono introdotti nel territorio dello Stato italiano da parte della società istante, nella sua qualità di soggetto passivo registrato in Germania, e ceduti, a titolo oneroso, a soggetti d’imposta italiani. La circostanza per cui cedente risulta essere sempre la società come identificata in Germania non fa venire meno la natura dell’operazione, ricorrendo tutti i requisiti previsti dalla legge per la qualificazione dell’acquisto intracomunitario. Del resto, analogamente, la normativa interna italiana, nel prevedere la figura del rappresentante del soggetto non residente e senza stabile organizzazione in Italia, non pone limiti alle eventuali operazioni dallo stesso effettuate, qualificabili come cessioni intracomunitarie. L’acquirente in altro Stato comunitario può infatti ben essere il rappresentato nel territorio dello Stato italiano. Per queste considerazioni si conferma la correttezza e la legittimità della procedura esposta dalla società istante. dre/iva/I1-016A6.DOC
IVA - Prestazioni rese da un fotografo-videooperatore per la realizzazione di videocassette - Aliquote applicabili - Documenti fiscali da emettere IVA - Corsi didattici multimediali - Aliquote applicabili - Documenti fiscali da emettere
Quesito Il rag. ______________ ha richiesto al Collegio Ragionieri di ________ , nell’interesse di un imprenditore artigiano cliente e di una società cliente chiede a codesta amministrazione un parere in merito alle fattispecie seguenti. All’artigiano che esercita l’attività di fotografo-videooperatore ambulante, vengono commissionate, in occasione di matrimoni e ricorrenze, le realizzazioni di videocassette riproducenti le cerimonie. Dopo il montaggio in laboratorio, la consegna al domicilio dei committenti delle cassette registrate avviene senza l’emissione del documento accompagnatorio, in quanto il supporto in questione è considerato esclusivamente funzionale alla prestazione di servizi effettuata (Ris. n. 625005 del 26/10/1990 Min. Fin., Dir. Gen. Tasse). Inoltre ai clienti privati viene emessa ricevuta fiscale per la prestazione effettuata; l’aliquota IVA applicata a tale prestazione è del 16% in conformità a quanto disposto dal comma 3 dell’art. 16 del D.P.R. 633/72. La società che esercita l’attività di produzione di corsi didattici multimediali (videocassette e software) per società ed enti, fattura tali prestazioni con aliquota ordinaria, per quanto riguarda i prodotti software, mentre con aliquota ridotta al 16% per le videocassette registrate in quanto autonomamente vendibili. La fatturazione avviene in maniera differita in quanto tale operazione è considerata cessione di beni (tali prodotti sono standard). Nel caso in cui i committenti richiedano un prodotto specializzato (corso didattico ad hoc), la società non emette documenti accompagnatori per il trasporto dei supporti (Ris. n. 625005 del 26/10/1990 Min. Fin., Dir. Gen. Tasse) e considera tale operazione una prestazione di servizi, applicando l’aliquota ordinaria se la prestazione principale è incorporata nel software e l’aliquota ridotta al 16% se la prestazione principale è incorporata nelle videocassette. Si chiede a codesta Amministrazione se tali adempimenti possono essere ritenuti conformi a quanto previsto dalla normativa fiscale.
Risposta Con la nota suindicata sono stati posti due distinti quesiti. Con il primo quesito viene chiesto di conoscere il parere di questa Direzione circa le aliquote IVA applicabili e i documenti fiscali da emettere (bolle di accompagnamento - ricevute fiscali) relativamente all’attività di un fotografo-videooperatore ambulante, che realizza videocassette che consegna, dopo il relativo montaggio, ai clienti, senza emissione di bolla di accompagnamento e con rilascio di ricevuta fiscale, applicando l’aliquota del 16%. Sulla base di quanto esposto risultano correttamente emesse le ricevute fiscali. Infatti, come già affermato con R.M. 26/10/1990 n. 625005, l’invio ai committenti di nastri, dischi, tabulati, videocassette contenenti dati, tabelle, grafici e quant’altro utile quale risultato delle prestazioni effettuate, costituendo il necessario supporto fisico nel quale si concretizza il risultato delle prestazioni rese, rientra nelle ipotesi di esonero dall’emissione del documento accompagnatorio, così come previsto nel punto 8 dell’art. 4 del D.P.R. 6/10/1978, n. 627. Relativamente all’obbligo di emissione della ricevuta fiscale, esso è previsto dall’art. 1, punto 3, del D.M. 28/1/1983, che ha esteso tale obbligo agli esercenti laboratori per lo sviluppo e la riproduzione di fotografie. Relativamente all’aliquota applicabile, invece, si ritiene corretta quella del 19%, trattandosi di un servizio personalizzato. L’aliquota del 16% può essere, infatti, applicata ai soli servizi standardizzati. Il secondo quesito riguarda la produzione e vendita da parte di una società di corsi multimediali (videocassette e software), la cui fatturazione avviene con l’aliquota del 19%, per quanto riguarda i prodotti software, e del 16%, per quanto riguarda le videocassette registrate, autonomamente vendibili. Viene anche fatto presente che nel caso in cui i committenti richiedono un servizio personalizzato, la società non emette documenti di accompagnamento per il trasporto dei supporti e considera tale operazione una prestazione di servizi, applicando l’aliquota ordinaria se la prestazione è incorporata nel software e l’aliquota ridotta del 16% se la prestazione principale è incorporata nelle videocassette. Al riguardo si richiama la circolare ministeriale n. 13 del 23/2/1994, che ha di fatto introdotto una distinzione tra acquisto di software personalizzato e acquisto di software standardizzato, stabilendo che sono da considerare cessioni di beni solo quelle relative a software standardizzati o pacchettizzati, mentre sono da considerare prestazioni di servizi le operazioni relative ai software personalizzati. Tale distinzione ha effetto ai soli fini della determinazione del momento dell’effettuazione delle operazioni, previsto all’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972. Relativamente all’aliquota, si rende applicabile quella del 16%, sia per le cessioni che per le prestazioni di servizi, in base alla disposizione contenuta nel 3° comma dell’art. 16 del citato D.P.R. n. 633/1972. dre/iva/i1-013A8.DOC
Quesito
Con la nota sopra indicata si chiede di conoscere se l’indennità di requisizione immobili disposta con apposito decreto Prefettizio sia da assoggettare ad IVA: considerato, altresì, che, nel caso di specie, era già stato stipulato un accordo preliminare per la formalizzazione dei contratti di locazione relativi agli immobili requisiti. In particolare è stato chiesto se l’indennità di requisizione, costituendo ristoro per la privazione del bene a seguito dell’adozione del provvedimento ablatorio, debba ritenersi esente (rectius esclusa) dal tributo. In via preliminare si deve osservare che l’articolo 13, comma 2, lettera a, del DPR 633/72 sancisce che, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi dipendenti da atto della pubblica autorità, l’indennizzo comunque denominato costituisce corrispettivo ai fini della determinazione della base imponibile. E’ evidente, quindi, che se le somme erogate dovessero essere considerate quale indennità risarcitoria, a fronte della quale non si possa configurare la controprestazione di una operazione rilevante ai fini IVA, le stesse sarebbero da considerare escluse dal campo di applicazione dell’imposta per mancanza del presupposto oggettivo; viceversa, se si dovesse ravvisare che l’indennità è resa a fronte di una qualsiasi obbligazione di fare, non fare e di permettere, le somme erogate costituirebbero corrispettivo imponibile ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettera a, del DPR 633/72. In tal senso la R.M. n. 430797 del 10/10/1990 Dir. TT.AA. Alla luce della documentazione esaminata, considerato che prima dei decreti di requisizione era già stato stipulato un accordo preliminare per la formalizzazione dei contratti di locazione relativi ai due immobili requisiti, che l’indennità fissata per la requisizione coincide con il canone annuo ritenuto congruo dall’U.T.E. e presumibilmente coincidente con il canone di locazione, si ritiene che le dette indennità non costituiscano ristoro per la privazione del bene, ma corrispettivo a fronte di prestazione di servizi ex articolo 13, comma 1, DPR 633/72; devono quindi essere assoggettate ad IVA ordinaria.
dre/iva/i1-012A8.DOC
Quesito
premesso
chiede di conoscere
Risposta Per prestazione accessoria deve intendersi quella che, pur secondaria rispetto all’operazione principale, è comunque collegata a quest’ultima da un nesso di causalità necessaria. Nel caso prospettato da codesta società tale nesso non è ravvisabile. Le prestazioni di servizio menzionate nell’istanza (trattamenti estetici, uso di palestra, ecc...) soddisfano infatti esigenze diverse e non strettamente connesse, nel senso suddetto, a quella dell’alloggio. Si ritiene pertanto che la disposizione di cui all’art. 12 del DPR 633/72 non sia applicabile e che i servizi in questione debbano essere autonomamente assoggettati ad IVA con l’aliquota ordinaria.
dre/iva/i1-010D9.DOC
IVA/REGISTRO su cessione beni immobili - abitazioni - classificati immobilizzazioni
Quesito Il sottoscritto Dr. ________________ amministratore della società ________________, con sede ___________________________ e Partita Iva __________________ svolge attività di consulenza fiscale ed amministrativa ha urgenza di conoscere il parere di codesta Direzione in merito alla seguente operazione. Premesso che
Risposta Nel caso prospettato con l’istanza in oggetto la società cedente non è l’impresa che ha costruito gli immobili da alienare, né svolge, in via esclusiva o principale, attività di rivendita di fabbricati destinati ad uso abitativo (tant’è che i beni in questione sono contabilizzati quali immobilizzazioni e non come "beni-merce"); non si assume, inoltre, che essa abbia eseguito gli interventi di cui all’art. 31, I c. lett. c), d) ed e) della l. 457/78. Si ritiene pertanto che le ipotizzate cessioni siano esenti da IVA ex art. 10 n. 8-bis del DPR 633/72 e debbano quindi scontare l’imposta proporzionale di registro (eventualmente in misura agevolata in base alla normativa sull’acquisto della "prima casa", qualora sussistano i relativi requisiti).
dre/iva/i1-010c9.DOC
Quesito Le a nostra Società (codice attività 70.20.0) prende in affitto appartamenti da terzi con contratti stagionali, annuali o pluriennali, e quindi li riaffitta, come casa per vacanza, per periodi generalmente molto brevi (una, due settimane, un mese o, al massimo, una stagione). Gli appartamenti che prende e dà in affitto, sono di diversa natura e provenienza. Per chiarezza li classifichiamo in quattro tipi: TIPO A - Appartamenti presi in locazione da persone fisiche non imprenditori TIPO B - Appartamenti presi in locazione da imprese TIPO C - Appartamenti compresi in complessi residenziali classificati come Residences e quindi accatastati in categoria "D" acquisiti con un contratto di affitto di ramo d’azienda. TIPO D - Appartamenti compresi in complessi residenziali classificati come residences e quindi accatastati in categoria D acquisiti con un contratto di locazione di immobili. Per gli appartamenti di tipo C e D, nonostante la loro natura, la nostra Società non fornisce alcuno dei servizi caratteristici dei residence. Per tutti (A-B-C-D) fattura a parte (come extra) l’eventuale noleggio di biancheria e la pulizia di fine locazione. Tanto premesso e definiti per brevità, "acquisti" le locazioni "passive" (nelle quali la scrivente è locataria) e "cessioni" le locazioni (rectius sublocazioni) quelle nelle quali la scrivente è locatrice e dato per fermo che gli "acquisti" degli appartamenti di tipo A sono soggetti a imposta di registro, si chiede: 1) E’ giusto ritenere che gli "acquisti" degli appartamenti di tipo B sono in linea generale soggetti a imposta di registro? 2) E’ giusto ritenere che alla regola di cui sopra fanno eccezione le locazioni di appartamenti di tipo B acquisiti da impresa che li ha costruiti per la vendita (Art. 10 n. 8 DPR 633)? 3) Come si accerta questa qualità: in base al codice di attività, (45.21.0) o alla contabilizzazione degli appartamenti fra le rimanenze piuttosto che nelle immobilizzazioni? 4) Gli "acquisti" degli appartamenti di tipo C sono soggetti ad IVA? Se si con quale aliquota? 5) Gli "acquisti" degli appartamenti di tipo D sono soggetti a Registro o a IVA? E in questa seconda ipotesi, con quale aliquota? 6) E’ corretto considerare tutte le "cessioni", vale a dire le sublocazioni di tutti e quattro i tipi di appartamento, in esenzione IVA dato che la nostra ditta non è impresa costruttrice? 7) Quale documento emettere per le cessioni ad altre agenzie e quale per le locazioni al privato utilizzatore?
Risposta In base all’art. 10 n. 8 del DPR 633/72 sono esenti da Iva (per quel che qui interessa) le locazioni non finanziarie e gli affitti dei fabbricati, esclusi quelli strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni e quelli destinati ad uso civile abitazione locati dalle imprese che li hanno costruiti per la vendita. Dalla norma citata si evince quindi che restano imponibili ad Iva le locazioni degli immobili strumentali per natura e degli immobili ad uso abitativo locati dall’impresa che li ha costruiti per la vendita. Quest’ultimo requisito ricorre quando l’impresa realizza, anche occasionalmente, la costruzione di immobili per la successiva vendita, a nulla rilevando che la materiale esecuzione dei lavori sia eventualmente da essa affidata ad altre imprese; occorre tuttavia che l’attività di costruzione per la vendita risulti essere in concreto quella effettivamente svolta, in via esclusiva o principale, non bastando a tal fine la mera previsione statutaria (v. circ. min. n. 182 del 18/7/96). Gli immobili in categoria catastale D (di cui ai punti C e D dell’istanza) sono strumentali per natura e quindi la loro locazione è soggetta ad Iva con aliquota ordinaria; gli immobili catastalmente classificati o classificabili nella categoria A (esclusi quelli classificati o classificabili in A/10) si devono considerare a destinazione abitativa e perciò esenti da Iva se non locati dalle imprese costruttrici. Nel caso in cui la disponibilità degli immobili sia ottenuta mediante contratto di affitto di ramo di azienda, i canoni di locazione del ramo di azienda vanno assoggettati ad Iva con aliquota ordinaria. Infine, ai sensi dell’art. 22, I c. n. 6, del DPR 633, l’emissione della fattura, se non richiesta dal cliente, può essere omessa per le locazioni esenti da Iva. Naturalmente, quando la locazione è esente da Iva (o fuori campo Iva: punto A dell’istanza) si rende applicabile l’imposta proporzionale di registro.
dre/iva/i1-010c7.DOC
ALIQUOTA IVA APPLICABILE AI FILI DI SUTURA RIASSORBIBILI STERILI (CATGUT) E DEI FILI NON RIASSORBIBILI STERILI
Quesito Il quesito fu già sottoposto al Ministero delle Finanze Direzione Generale Tasse che con risoluzione 361286 del 6 aprile 1977, dichiarò che i prodotti in oggetto erano da considerare "prodotti farmaceutici" e come tali da assoggettare all’IVA in base all’aliquota del 6%, giusto quanto previsto dalla voce n. 78 della citata tabella A allegata al DPR n. 633/72. Alla data della risoluzione ministeriale la voce n. 78 recitava testualmente "prodotti farmaceutici per la medicina umana o veterinaria, inclusi i vaccini, nonché prodotti la cui vendita deve essere obbligatoriamente effettuata dalle farmacie". L’aliquota IVA venne poi aumentata all’8% e successivamente al 9%; la voce n. 78 venne trasfusa nella voce n. 114 della tabella A parte III e più volte riformulata (per ragioni di sintesi si tralascia la cronistoria). A decorrere dall’1.1.1994, l’art. 4, comma 1, lettera b) del D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, modificò il testo della voce 114 (Iva 9%) come segue: "medicinali pronti per l’uso, umano o veterinario, ad eccezione dei prodotti omeopatici e dei medicinali da banco o di automedicazione di cui all’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 539; sostanze farmaceutiche e articoli di medicazione di cui le farmacie debbono obbligatoriamente essere dotate, secondo la Farmacopea ufficiale". L’art. 10 secondo comma, lettera a), del decreto legge 41/1995 convertito dalla legge 22 marzo 1995 n. 85, ha ridotto l’aliquota IVA al 4% per "le cessioni, gli acquisti intracomunitari e le importazioni di medicinali pronti per l’uso umano e veterinario ad eccezione dei prodotti omeopatici, di sostanze farmaceutiche e di articoli di medicazione di cui le farmacie devono obbligatoriamente essere dotate secondo la Farmacopea Ufficiale". Dottrina L’autorevole manuale "IVA 1993" - edizione 1993 - autore Fernando Reggi - riporta in ordine alfabetico la rielaborazione della tabella A, parte terza - beni e servizi soggetti all’aliquota del 9%. A pagina 241 comprende tra i beni al 9% "farmaceutici: prodotti ... per la medicina umana o veterinaria, inclusi i vaccini". Esame letterale delle parole "prodotti farmaceutici" e "medicinali" La voce della tabella IVA è stata modificata, nel tempo, da prodotti farmaceutici per la medicina umana o veterinaria in medicinali per l’uso umano o veterinario. Il significato letterale delle due dizioni è identico. Infatti, se si consulta il dizionario Garzanti della lingua italiana, la voce "medicinale" viene definita "prodotto farmaceutico per la cura delle malattie". Pertanto prodotto farmaceutico è sinonimo di medicinale. Esame della tariffa doganale in vigore dall’1.1.1995 I beni in oggetto sono compresi nella voce doganale 3006 preparazioni e prodotti farmaceutici elencati nella nota 3 del capitolo: statistica 3006.10 - catgut sterili, legature sterili simili per suture chirurgiche e adesivi sterili per tessuti organici utilizzati in chirurgia per richiudere le ferite; laminerie sterili; emostatici riassorbibili sterili per la chirurgia e la odontoiatria: a) 3006.1010.0 catgut sterili b) 3006.1090.0 altri La nota al capitolo 30 - nota C) - fissa per i suddetti beni l’IVA del 9% - medicinali pronti per l’uso, umano e veterinario. La tariffa doganale recepirà il disposto della legge 22 marzo 1995 n. 85 sopra citata, che ha ridotto l’aliquota IVA al 4%. Nostro convincimento Alla luce delle motivazione sopra esposte, si ritiene che i prodotti in oggetto siano da considerare medicinali per l’uso umano e come tali da assoggettare all’IVA del 4%, giusto quanto disposto dall’art. 10, secondo comma, lettera a) della legge 22 marzo 1995 n. 85. Stante le difficoltà interpretative della norma, nonché del diffuso assoggettamento della medesima operazione ad IVA 4% ed IVA 9%, si richiede parere.
Risposta Con il quesito in oggetto, con riferimento ai prodotti consistenti in fili di sutura riassorbibili sterili (catgut) e fili non riassorbibili sterili, dopo aver espresso il parere che essi sono da considerare medicinali pronti per l’uso comune e come tali da assoggettare ad IVA al 4% in forza dell’art. 10 comma 2 lett. a) L. 22.03.1995 n. 85, si chiede, comunque, il parere di questa Direzione Regionale, circa l’aliquota applicabile. Ad avviso di questa Direzione, diversamente dal parere espresso nel quesito in oggetto, i prodotti in questione non possono essere compresi tra i medicinali pronti per l’uso umano o veterinario indicati nella citata disposizione di legge. Ciò, secondo la definizione contenuta nel 1° comma dell’art. 1 della L. 29.05.1991 n. 178, in base alla quale è medicinale ogni sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o animali nonché ogni sostanza o composizione da somministrare all’uomo o animale allo scopo di stabilire una diagnosi medica o di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche dell’uomo o animale (cfr. anche Ris. 2506 del 12.02.1996). Intendendosi per sostanza ogni materia, composto, elemento chimico, parte nutritiva di un alimento e per composizione la natura e quantità dei singoli componenti di un miscuglio o di un composto chimico. I fili di sutura, invece, costituiscono già un prodotto o un manufatto risultante da un processo di lavorazione. Tali prodotti non possono nemmeno rientrare tra le sostanze farmaceutiche e gli articoli di medicazione di cui le farmacie debbono obbligatoriamente essere dotate secondo la farmacopea ufficiale, per le quali sarebbe applicabile l’aliquota del 10% di cui al n. 114 della Tab. A parte III^ allegata al DPR 633/72, in quanto, per l’appunto non sono inclusi nella tabella 2 della predetta farmacopea ufficiale (cfr. Ris. n. 64758 del 18.05.1992). Per le suesposte considerazioni si ritiene che le cessioni dei prodotti in esame non possono fruire del trattamento agevolato previsto dall’art. 10 comma 2° lett. a) L. 22.03.1995 n. 85 né di quello previsto al n. 114 tab. A parte III^ allegata al DPR 633/72, con la conseguenza che sono da assoggettare ad IVA in base all’aliquota ordinaria, così come le bende, i cerotti, le garze, per i quali con nota n. 2277/9516/X del 16.08.1989 della Dir. Gentile. Dogane e Ris. n. 551318 del 09.12.1988 è stata confermata l’esclusione dell’aliquota ridotta.
dre/iva/i1-010b9.DOC
Quesito Le a nostra Società (codice attività 70.20.0) prende in affitto appartamenti da terzi con contratti stagionali, annuali o pluriennali, e quindi li riaffitta, come casa per vacanza, per periodi generalmente molto brevi (una, due settimane, un mese o, al massimo, una stagione). Gli appartamenti che prende e dà in affitto, sono di diversa natura e provenienza. Per chiarezza li classifichiamo in quattro tipi: TIPO A - Appartamenti presi in locazione da persone fisiche non imprenditori TIPO B - Appartamenti presi in locazione da imprese TIPO C - Appartamenti compresi in complessi residenziali classificati come Residences e quindi accatastati in categoria "D" acquisiti con un contratto di affitto di ramo d’azienda. TIPO D - Appartamenti compresi in complessi residenziali classificati come residences e quindi accatastati in categoria D acquisiti con un contratto di locazione di immobili. Per gli appartamenti di tipo C e D, nonostante la loro natura, la nostra Società non fornisce alcuno dei servizi caratteristici dei residence. Per tutti (A-B-C-D) fattura a parte (come extra) l’eventuale noleggio di biancheria e la pulizia di fine locazione. Tanto premesso e definiti per brevità, "acquisti" le locazioni "passive" (nelle quali la scrivente è locataria) e "cessioni" le locazioni (rectius sublocazioni) quelle nelle quali la scrivente è locatrice e dato per fermo che gli "acquisti" degli appartamenti di tipo A sono soggetti a imposta di registro, si chiede: 1) E’ giusto ritenere che gli "acquisti" degli appartamenti di tipo B sono in linea generale soggetti a imposta di registro? 2) E’ giusto ritenere che alla regola di cui sopra fanno eccezione le locazioni di appartamenti di tipo B acquisiti da impresa che li ha costruiti per la vendita (Art. 10 n. 8 DPR 633)? 3) Come si accerta questa qualità: in base al codice di attività, (45.21.0) o alla contabilizzazione degli appartamenti fra le rimanenze piuttosto che nelle immobilizzazioni? 4) Gli "acquisti" degli appartamenti di tipo C sono soggetti ad IVA? Se si con quale aliquota? 5) Gli "acquisti" degli appartamenti di tipo D sono soggetti a Registro o a IVA? E in questa seconda ipotesi, con quale aliquota? 6) E’ corretto considerare tutte le "cessioni", vale a dire le sublocazioni di tutti e quattro i tipi di appartamento, in esenzione IVA dato che la nostra ditta non è impresa costruttrice? 7) Quale documento emettere per le cessioni ad altre agenzie e quale per le locazioni al privato utilizzatore?
Risposta In base all’art. 10 n. 8 del DPR 633/72 sono esenti da Iva (per quel che qui interessa) le locazioni non finanziarie e gli affitti dei fabbricati, esclusi quelli strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni e quelli destinati ad uso civile abitazione locati dalle imprese che li hanno costruiti per la vendita. Dalla norma citata si evince quindi che restano imponibili ad Iva le locazioni degli immobili strumentali per natura e degli immobili ad uso abitativo locati dall’impresa che li ha costruiti per la vendita. Quest’ultimo requisito ricorre quando l’impresa realizza, anche occasionalmente, la costruzione di immobili per la successiva vendita, a nulla rilevando che la materiale esecuzione dei lavori sia eventualmente da essa affidata ad altre imprese; occorre tuttavia che l’attività di costruzione per la vendita risulti essere in concreto quella effettivamente svolta, in via esclusiva o principale, non bastando a tal fine la mera previsione statutaria (v. circ. min. n. 182 del 18/7/96). Gli immobili in categoria catastale D (di cui ai punti C e D dell’istanza) sono strumentali per natura e quindi la loro locazione è soggetta ad Iva con aliquota ordinaria; gli immobili catastalmente classificati o classificabili nella categoria A (esclusi quelli classificati o classificabili in A/10) si devono considerare a destinazione abitativa e perciò esenti da Iva se non locati dalle imprese costruttrici. Nel caso in cui la disponibilità degli immobili sia ottenuta mediante contratto di affitto di ramo di azienda, i canoni di locazione del ramo di azienda vanno assoggettati ad Iva con aliquota ordinaria. Infine, ai sensi dell’art. 22, I c. n. 6, del DPR 633, l’emissione della fattura, se non richiesta dal cliente, può essere omessa per le locazioni esenti da Iva. Naturalmente, quando la locazione è esente da Iva (o fuori campo Iva: punto A dell’istanza) si rende applicabile l’imposta proporzionale di registro.
dre/iva/i1-010b8.DOC
Quesito
Il sottoscritto ___________________ nella sua qualità di Presidente pro-tempore dell’Associazione ________________________ premesso
a Codesta Onorevole Direzione Regionale delle Entrate per la Lombardia di voler chiarire se effettivamente, come riteniamo, tutti gli acquisti di materiali utilizzati nella attività istituzionale della scrivente __________________ e di tutte le altre ___________________, operanti nella Regione Lombardia, regolarmente iscritte al Registro Regionale del Volontariato di cui alla L.R. n. 22/1991 citata, idoneamente documentati, sono da ritenersi esclusi dal campo di applicazione dell’IVA. Se così non fosse, l’Associazione sarebbe pesantemente percossa dal tributo, tenuto conto che le operazioni attive (fatture di rimborso derivanti da convenzione) sono esenti IVA ai sensi dell’art. 10, comma 24 del D.P.R. 633/72.
Risposta Con il quesito in oggetto si chiede se gli acquisti effettuati da un organizzazione di volontariato sono da ritenersi esclusi dal campo di applicazione dell’I.V.A. In proposito si cita la Ris. n. 296 del 18.06.1994 della Direzione Centrale Affari Giuridici e Contenzioso Tributario dalla quale emerge che gli acquisti operati dalle organizzazioni di volontariato sono assimilabili a quelli compiuti dai privati sui quali grava l’I.V.A.
Con Circ. n. 3 del 25.02.1992 la Direzione Imposte Dirette ha affermato che nella previsione esentativa possono ritenersi comprese anche le cessioni effettuate nei confronti delle dette organizzazioni di beni mobili registrati, quali autoambulanze, elicotteri o natanti di soccorso, attesa la loro sicura utilizzazione nell’attività sociale da queste svolte. Con nota n. VI-3-0464 del 23.10.1995, infine, la Direzione Centrale Affari Giuridici e Contenzioso Tributario ad una Direzione Regionale che aveva ritenuto potessero comprendersi nel beneficio di esclusione dall’I.V.A. anche operazioni passive, quali acquisti di beni e servizi di sicura utilizzazione nell’attività solidaristica gratuita svolta dalla stessa, ampliando l’interpretazione di cui alla citata circolare ed in tal modo comprendendovi acquisti di pezzi di ricambio, spese di riparazione, manutenzione o acquisti di materiale sanitario vario e per la rianimazione, nonché i costi per gli impianti e le utenze SIP, ENEL, gas, riscaldamento, ecc. ha risposto di attenersi correttamente sull’argomento al contenuto della Circolare stessa, e di rettificare eventuali difformi pronunciamenti.
dre/iva/i1-010b7.DOC
PRESTAZIONI PROPRIE DI SERVIZI DI POMPE FUNEBRI
Quesito Con la presente, siamo a chiedere un parere in merito allo studio inerente ai problemi fiscali del settore delle Onoranze Funebri che il ns. consulente, Rag. __________, ha realizzato. Gradiremmo avere una nota dettagliata al fine di indicare ai nostri associati un inquadramento fiscale corretto, che non dia adito ad interpretazioni soggettive della materia.
Risposta Con il quesito in oggetto si chiede quale sia il corretto inquadramento ai fini I.V.A. da attribuire alle prestazioni rese da un’impresa di onoranze funebri. In particolare viene chiesto se sia corretto considerare tutte le prestazioni eseguite da tale impresa come operazioni esenti ai sensi dell’art. 10 n. 27 del D.P.R. 633/72, in quanto trattasi di "prestazioni proprie di servizi di pompe funebri". Nel caso in oggetto il servizio si compone di una serie di prestazioni inerenti al trattamento della salma (es. trasferimento del feretro), l’onoranza funebre (es. allestimento camera ardente), gli adempimenti burocratici, svolti per conto dei familiari, presso i vari uffici pubblici competenti e altri adempimenti (es. pubblicazione di necrologie su giornali, prenotazione servizio pullman al seguito del funerale, commissione delle opere cimiteriali, ecc.). In secondo luogo viene chiesto il trattamento I.V.A. da riservare all’attività di vendita al pubblico, che l’impresa di onoranze funebri può esercitare a seguito di apposita autorizzazione comunale al commercio al minuto, di quei beni che normalmente vengono impiegati come materia necessaria a compiere le prestazioni di onoranze funebri. Con riferimento all’attività esercitata viene chiesto se e quando sussista l’obbligo di fatturazione o registrazione delle prestazioni e delle cessioni, avendo riguardo di considerare anche la possibilità che l’impresa abbia fatto valere l’opzione per la dispensa da adempimenti per le operazioni esenti di cui all’art. 36 bis del D.P.R. 633/72. Infine vengono chiesti chiarimenti in merito all’obbligo o meno dell’emissione del documento di accompagnamento dei beni viaggianti per l’attività svolta dall’impresa. La materia in esame è stata oggetto di alcune pronunce ministeriali che hanno in gran parte chiarito le problematiche legate alle attività delle imprese di onoranze funebri. In particolare occorre rammentare le risoluzioni 6 Dicembre 1973 n. 501398,31 Gennaio 1976 n. 503252,3 Novembre 1980 n. 382148,5 Luglio 1989 n. 551603 e la circolare 14 Giugno 1993 n. 8/478013. Dalle risoluzioni richiamate si evince che tutti i servizi effettuati da un impresa di onoranze funebri attinenti all’inumazione del defunto quali, ad esempio, il compimento delle pratiche e denuncie municipali, l’allestimento della camera ardente, il trasporto del feretro, la cerimonia funebre in chiesa, le varie operazioni compiute al cimitero, la cessione del feretro e delle corone mortuarie, vanno considerate "prestazioni proprie dei servizi di onoranze funebri" e come tali, operazioni esenti da I.V.A. ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 27. Pertanto, rientrano sicuramente nell’esenzione le prestazioni inerenti al trattamento della salma, quelle inerenti l’onoranza funebre e gli adempimenti burocratici, svolti per conto dei familiari, presso i vari uffici competenti. Per quanto attiene gli altri adempimenti posti in essere dall’impresa di onoranze funebri, quali la pubblicazione di necrologie su giornali e/o affissioni murali, la prenotazione od esecuzione di servizio "pullman" al seguito del funerale, la commissione delle opere cimiteriali, tombe, targhe, lapidi, monumenti, si ritiene che debbano considerarsi quali prestazioni accessorie all’operazione principale ai sensi dell’art. 12 D.P.R. 633/72 e quindi anch’essi assoggettati al regime di esenzione proprio delle prestazioni di servizi di onoranze funebri, perché effettuate in esecuzione del contratto. Infatti, l’articolo 12 citato stabilisce che le "cessioni o prestazioni accessorie ad una cessione di beni od ad una prestazione di servizi, effettuati direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto ed a sue spese, non sono soggetti autonomamente all’imposta nei rapporti fra le parti dell’operazione principale". Lo stesso articolo stabilisce poi che i corrispettivi delle cessioni o delle prestazioni accessorie concorrono a formare la base imponibile dell’operazione principale. Per quanto riguarda la vendita diretta al pubblico di beni, che l’impresa di onoranze funebri effettua a seguito di apposita autorizzazione comunale, si ritiene che tali operazioni siano da assoggettare ad I.V.A. in quanto l’esenzione di cui al n. 27 dell’art. 10 si riferisce esclusivamente alle prestazioni di servizi di onoranze funebri. Lo stesso Ministero delle Finanze con la circolare 14 Giugno 1993 n. 8/478013, ha affermato che sono da assoggettare ad I.V.A. in base all’aliquota loro propria le cessioni di singoli beni da chiunque effettuate, atteso che queste operazioni negoziali non rientrano nella previsione oggettiva della norma di esenzione. Per quanto attiene agli obblighi di fatturazione e registrazione, viene precisato che le prestazioni proprie dei servizi di pompe funebri, esenti ai sensi dell’art. 10 n. 27 D.P.R. 633/72, sono soggette all’obbligo di fatturazione di cui all’art. 21 e di registrazione di cui all’art. 23 D.P.R. 633/72, salva la facoltà di richiedere l’esonero di fatturazione e registrazione per le operazioni esenti previsto dall’art. 36 bis D.P.R. 633/72. Occorre rilevare che la dispensa non riguarda le altre operazioni diverse da quelle esenti, fermo restando anche l’obbligo di registrare gli acquisti nel registro di cui all’art. 25 del D.P.R. 633/72. Si ricorda inoltre che chi si avvale della facoltà prevista dall’art. 36 bis non è ammesso a detrarre dall’imposta eventualmente dovuta quella relativa agli acquisti e alle importazioni e deve presentare la dichiarazione annuale anche se non ha effettuato operazioni imponibili. Contrariamente a quanto visto per le prestazioni di servizi, le cessioni di beni effettuate dalle imprese di onoranze funebri non sono soggette all’obbligo di emissione della fattura se questa non è richiesta dal cliente al momento di effettuazione dell’operazione, in quanto tale attività si colloca tra quelle regolate dall’art. 22 comma 1 D.P.R. 633/72, che riguarda le cessioni di beni effettuate da commercianti al minuto autorizzati a vendere in locali aperti al pubblico. Si ribadisce che la dispensa di cui all’art. 36 bis riguarda le operazioni esenti e non anche le cessioni di beni imponibili. Pertanto, qualora il cliente richieda la fattura al momento di effettuazione dell’operazione di acquisto del bene il cedente sarà obbligato ad emetterla anche se operi in regime di 36 bis. Con il D.P.R. 472/96 è stato soppresso l’obbligo di emissione del documento di accompagnamento dei beni viaggianti. Per effetto di tale decreto il contribuente è tenuto all’emissione di un documento di trasporto (è sufficiente anche la semplice spedizione dello stesso via fax) al solo fine di potere fruire della possibilità di differire la fattura entro il mese successivo a quello di consegna o spedizione della merce o al fine di vincere la presunzione di cessione o di acquisto per i beni trasferiti o acquisiti a titolo non traslativo della proprietà in mancanza di altra prova, quale l’annotazione in apposito registro o nel libro giornale o in altro libro tenuto a norma del codice civile. Per i commercianti al minuto, al pari degli altri contribuenti, non sussiste l’obbligo di emissione del documento di trasporto di cui al D.P.R. 472/96, salvo che nell’ipotesi di fatturazione differita. Pertanto, per le cessioni senza fattura è sufficiente lo scontrino fiscale, mentre per quelle con fattura bisogna distinguere quelle effettuate con fattura "immediata" da quelle effettuate con fattura "differita". Per le prime il contribuente dovrà emettere lo scontrino e la fattura "immediata", mentre per le seconde dovrà emettere lo scontrino, il documento di trasporto e successivamente la fattura "differita" richiamando nella stessa fattura gli estremi dello scontrino e del documento di trasporto.
dre/iiva/I1-010B6.DOC
REGIME IVA DI OPERAZIONI ATTIVE IVA - SERVIZI DI INFORMAZIONI COMMERCIALI SULL’AFFIDABILITA’ NEI PAGAMENTI - ALIQUOTA APPLICABILE
Quesito La ...................... con sede in ....................................... capitale sociale L. 2.000.000.000= (duemiliardi) C.F. e P. IVA .............................. esercita la propria attività stipulando con esercizi commerciali operanti nella piccola e grande distribuzione convenzioni quali quella di cui all’allegato 1) attraverso le quali s’impegna ad eseguire un servizio di "approvazione" degli assegni ricevuti dalla clientela. L’approvazione è fornita telefonicamente e consente all’esercizio convenzionato di ricevere quali mezzi di pagamento assegni bancari traslando parzialmente il rischio di incasso alla _______ stessa. In sostanza _______ è in grado, attingendo dal proprio know-how di informare l’esercizio convenzionato circa la bontà o meno del titolo di pagamento prescindendo da ogni valutazione del merito creditizio del traente; l’"approvazione" è il risultato di uno "scoring", attraverso proprie elaborazioni statistiche, che consente a ............................... di esprimere un giudizio positivo o meno solo ed esclusivamente circa l’assegno segnalato. L’approvazione viene fornita o negata per telefono; nel caso in cui il titolo, pur "approvato", si riveli poi insoluto, la ........................... acquisisce l’assegno mediante girata indennizzando l’esercizio convenzionato di un importo pari a quello "facciale" dell’assegno. Gli assegni che possono essere approvati sono solo quelli di importo non superiore a L. 6.000.000 (seimilioni). Nel caso di un assegno "non approvato" alcuna responsabilità può essere fatta ricadere sulla ............................... circa il successivo esito del titolo di credito. I corrispettivi stabiliti per il servizio prestato si dividono in:
Nulla è dovuto invece dall’esercizio convenzionato nel caso di mancata approvazione dell’assegno. Prima di esprimere il quesito di cui all’oggetto si permettano allo scrivente alcune considerazioni: A parere di chi scrive tale tipo di attività non è configurabile quale attività finanziaria in quanto:
Ciò premesso con la presente si chiede: - se ai fini della normativa sull’imposta del valore aggiunto le prestazioni fornite dalla ...................... debbano essere inquadrate o meno tra quelle previste dall’art. 10 n. 1 D.P.R. 633/72 e cioè tra le prestazioni esenti da imposta; - nel caso affermativo, se tutte le categorie di corrispettivi incassati dalla ...................., e cioè sia i canoni annuali di abbonamento che il costo di ogni telefonata di richiesta di approvazione, siano da considerarsi esenti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto; - se infine è necessario, sempre ai fini della normativa IVA distinguere tra le commissioni incassate per assegni andati a buon fine, da quelle relative a titoli di credito risarciti. Nella speranza di un celere riscontro porgiamo i nostri più cari saluti. Risposta Con la nota suindicata è stato chiesto il parere di questa Direzione Regionale in merito al trattamento ai fini IVA dei compensi relativi alle prestazioni di servizi rese ai propri clienti, esercizi commerciali, consistenti nella valutazione, non basata su indagini bancarie, della bontà o meno dell’assegno bancario a soddisfare l’interesse del creditore, qualora venga accettato dallo stesso quale mezzo di pagamento, con obbligo di pagare l’assegno "approvato" ed insoluto. Il contratto stipulato tra la società istante e gli esercizi convenzionati ha per oggetto informazioni commerciali, dietro corrispettivo, con obbligazione accessoria di garanzia in caso di informazione errata. La disciplina IVA per tale tipo di contratto va individuata sulla base delle caratteristiche prevalenti del contratto stesso. Per individuare dette caratteristiche si deve considerare quanto segue:
In conclusione il contratto presenta le caratteristiche di cui al punto a), mentre gli ulteriori aspetti assurgono ad elementi accidentali del contratto stesso. Pertanto sia il corrispettivo annuale, che il corrispettivo calcolato in percentuale sull’importo degli assegni approvati è da assoggettare ad IVA con aliquota normale del 19%. dre/iva/i1-010a9.DOC
Quesito
La nostra Società (codice attività 70.20.0) prende in affitto appartamenti da terzi con contratti stagionali, annuali o pluriennali, e quindi li riaffitta, come casa per vacanza, per periodi generalmente molto brevi (una, due settimane, un mese o, al massimo, una stagione). Gli appartamenti che prende e dà in affitto, sono di diversa natura e provenienza. Per chiarezza li classifichiamo in quattro tipi: TIPO A - Appartamenti presi in locazione da persone fisiche non imprenditori TIPO B - Appartamenti presi in locazione da imprese TIPO C - Appartamenti compresi in complessi residenziali classificati come Residences e quindi accatastati in categoria "D" acquisiti con un contratto di affitto di ramo d’azienda. TIPO D - Appartamenti compresi in complessi residenziali classificati come residences e quindi accatastati in categoria D acquisiti con un contratto di locazione di immobili. Per gli appartamenti di tipo C e D, nonostante la loro natura, la nostra Società non fornisce alcuno dei servizi caratteristici dei residence. Per tutti (A-B-C-D) fattura a parte (come extra) l’eventuale noleggio di biancheria e la pulizia di fine locazione. Tanto premesso e definiti per brevità, "acquisti" le locazioni "passive" (nelle quali la scrivente è locataria) e "cessioni" le locazioni (rectius sublocazioni) quelle nelle quali la scrivente è locatrice e dato per fermo che gli "acquisti" degli appartamenti di tipo A sono soggetti a imposta di registro, si chiede: 1) E’ giusto ritenere che gli "acquisti" degli appartamenti di tipo B sono in linea generale soggetti a imposta di registro? 2) E’ giusto ritenere che alla regola di cui sopra fanno eccezione le locazioni di appartamenti di tipo B acquisiti da impresa che li ha costruiti per la vendita (Art. 10 n. 8 DPR 633)? 3) Come si accerta questa qualità: in base al codice di attività, (45.21.0) o alla contabilizzazione degli appartamenti fra le rimanenze piuttosto che nelle immobilizzazioni? 4) Gli "acquisti" degli appartamenti di tipo C sono soggetti ad IVA? Se si con quale aliquota? 5) Gli "acquisti" degli appartamenti di tipo D sono soggetti a Registro o a IVA? E in questa seconda ipotesi, con quale aliquota? 6) E’ corretto considerare tutte le "cessioni", vale a dire le sublocazioni di tutti e quattro i tipi di appartamento, in esenzione IVA dato che la nostra ditta non è impresa costruttrice? 7) Quale documento emettere per le cessioni ad altre agenzie e quale per le locazioni al privato utilizzatore?
Risposta In base all’art. 10 n. 8 del DPR 633/72 sono esenti da Iva (per quel che qui interessa) le locazioni non finanziarie e gli affitti dei fabbricati, esclusi quelli strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni e quelli destinati ad uso civile abitazione locati dalle imprese che li hanno costruiti per la vendita. Dalla norma citata si evince quindi che restano imponibili ad Iva le locazioni degli immobili strumentali per natura e degli immobili ad uso abitativo locati dall’impresa che li ha costruiti per la vendita. Quest’ultimo requisito ricorre quando l’impresa realizza, anche occasionalmente, la costruzione di immobili per la successiva vendita, a nulla rilevando che la materiale esecuzione dei lavori sia eventualmente da essa affidata ad altre imprese; occorre tuttavia che l’attività di costruzione per la vendita risulti essere in concreto quella effettivamente svolta, in via esclusiva o principale, non bastando a tal fine la mera previsione statutaria (v. circ. min. n. 182 del 18/7/96). Gli immobili in categoria catastale D (di cui ai punti C e D dell’istanza) sono strumentali per natura e quindi la loro locazione è soggetta ad Iva con aliquota ordinaria; gli immobili catastalmente classificati o classificabili nella categoria A (esclusi quelli classificati o classificabili in A/10) si devono considerare a destinazione abitativa e perciò esenti da Iva se non locati dalle imprese costruttrici. Nel caso in cui la disponibilità degli immobili sia ottenuta mediante contratto di affitto di ramo di azienda, i canoni di locazione del ramo di azienda vanno assoggettati ad Iva con aliquota ordinaria. Infine, ai sensi dell’art. 22, I c. n. 6, del DPR 633, l’emissione della fattura, se non richiesta dal cliente, può essere omessa per le locazioni esenti da Iva. Naturalmente, quando la locazione è esente da Iva (o fuori campo Iva: punto A dell’istanza) si rende applicabile l’imposta proporzionale di registro.
dre/iva/i1-010a8.DOC
Quesito
Risposta Con la nota suindicata è stato chiesto di conoscere il trattamento ai fini IVA dei corrispettivi relativi alle prestazioni di servizi di gestione di Asili Nidi (in convenzione con Ente pubblico) e di Scuole Materne (non in convenzione) gestite da una Cooperativa sociale. Il corrispettivo per la prestazione di servizi resa dall’asilo nido è corrisposto per una parte dal Comune e per la differenza dai genitori dei bambini iscritti. Il corrispettivo per la prestazione di servizi resa dalla scuola materna è a totale carico dei genitori non essendovi convenzione con il Comune. Le prestazioni rese dalla Cooperativa ricadono in due attività diverse:
Le due differenti prestazioni, se rese da cooperative e loro consorzi, ricadrebbero nel trattamento IVA agevolato previsto dal punto 41 bis della Tabella A parte seconda allegata al DPR 633/72 se il legislatore nel comma 11 dell’art. 2 della legge n. 564/94 non avesse chiarito che in tale punto non sono comprese le prestazioni di cui ai n. 18, 19, 20 e 21 dell’art. 10 del predetto DPR. Dall’esame dell’art. 10 emerge che tra le prestazioni assistenziali previste dal punto 21 sono comprese le prestazioni rese dagli asili. Le prestazioni della scuola materna ricadono invece nella previsione del punto 20 solo se rese da istituti o scuole riconosciute da pubbliche amministrazioni. Pertanto, non avendo la Cooperativa ottenuto alcuna forma di riconoscimento, a parere della scrivente le prestazioni rese dalla scuola materna devono essere fatturate ai sensi della citata tabella A parte seconda ad aliquota IVA del 4%, mentre le prestazioni rese dagli asili nidi devono essere fatturate esenti da IVA ai sensi dell’art. 10 punto 21 del D.P.R. 633/72.
dre/iva/i1-010A7.DOC
Quesito
Risposta Con il quesito in oggetto si richiede di inquadrare, ai fini I.V.A., una fattispecie di "apertura al pubblico, con pagamento di biglietto di ingresso, di un parco privato attrezzato con stagno e voliere con mostre di animali". Dalla documentazione emerge che, nell’ambito del parco, avviene altresì la vendita di generi di ristoro nonché di libri, oggetti ricordo e simili. Va premesso che non pare possa dubitarsi circa la imprenditorialità dell’attività posta in essere. Appare, infatti, pacifico che i soggetti che operano siano imprenditori, stante il carattere professionale dell’attività posta in essere con specifica organizzazione (tenuta dell’area, attrezzatura, dotazioni, capitale investito) a fine di lucro. Sussistono nella stessa, lo scambio di beni e la produzione di servizi. Detto ciò. va evidenziato che sussiste una esenzione - dettata dall’art. 10 n. 22 D.P.R. 633/72 - dall’imposta per le prestazioni con finalità culturale, ed in specie rese da biblioteche, discoteche, musei, gallerie, pinacoteche, ville palazzi e ancora - con maggior riferimento all’oggetto di parere - "parchi, giardini botanici e zoologici e simili". Si tratta, in sostanza, di una disposizione agevolata per attività culturali. Infatti, tale norma va interpretata come rivolta espressamente ad agevolare finalità di cultura e conoscenza, ove non vi sia - quale finalità prevalente - il fine di lucro, bensì quello di diffusione di un patrimonio artistico, storico e pure ambientale da tutelare e sostenere, non avendo mai fini speculativi o commerciali (in tal senso R.M. n. 344655 del 02.11.1983; R.M. n. 395008 del 02.05.1985; per fattispecie diversa, in regime di esenzione, relativa a visite guidate ad un castello", ma dietro prezzo simbolico-destinato alla manutenzione - e per finalità culturali; R.M. n. 330898 che richiama la Circ. Min. n. 22 del 01.03.1973). L’agevolazione, infatti, sia per dettato della legge delega (che parla espressamente di "utilità sociale e culturale) sia per ragioni di evidenza (ad es.: ove si parla di "discoteche" è ovvio che la disposizione interessi le raccolte di dischi per l’audizione e non i locali commerciali di ritrovo e spettacolo definiti con lo stesso nome) si rivolge ad un ambito specifico, ossia il carattere eminentemente culturale ed educativo. Sulla base delle stesse considerazioni di fatto si ritiene che l’attività posta in essere possa essere ricompresa fra quelle relative agli spettacoli ed intrattenimenti in luogo aperto al pubblico. In tal senso gli esercenti di tale attività saranno soggetti alla disciplina di cui all’art. 74 del D.P.R. 633/72. Perciò, la base imponibile ai fini IVA sarà la stessa che per l’imposta sugli spettacoli (e dunque calcolata scorporando le imposte dai prezzi dei biglietti venduti). Si ritiene che gadget e simili venduti abbiano il carattere dell’accessorietà. Quanto alle somministrazioni di alimenti esse concorreranno a determinare la base imponibile (ad aliquota ordinaria del 19%) salvo nel caso siano riferibili a pubblici esercizi rivolti genericamente anche a persone diverse dagli spettatori oppure gestiti da soggetto diverso dall’imprenditore di cui sopra, per cui l’IVA va liquidata autonomamente (con aliquota 10%). La distinzione è dunque nel carattere di accessorietà o meno dell’esercizio di somministrazione (bar) (cfr. C.M. 15/2/74 n. 9/400107).
dre/iva/i1-009b7.DOC
SERVIZIO DI INVIO DI CORRISPONDENZE E PACCHI POSTALI
Quesito Una società presta un servizio di invio di corrispondenza e pacchi avente come destinazione sia i paesi europei (UE) che paesi extracomunitari. Le corrispondenze ed i pacchi non vengono inoltrati direttamente nel paese di destino, ma sono consegnate giornalmente alle poste Svizzere che a loro volta con canali postali le inoltrano alle rispettive destinazioni. Le corrispondenze ed i pacchi vengono dichiarati presso le dogane italiane con specifiche bolle doganali, ed in particolare vengono emessi i seguenti documenti:
Alle bollette doganali regolarmente vistate dalle dogane italiane, vengono allegate le singole lettere di vettura che rappresentano lo specifico mandato ricevuto dal cliente mittente, in questo modo è possibile correlare i singoli beni ricevuti dai clienti all’oggetto della bolla doganale. Si chiede:
Risposta Con il primo quesito proposto si chiede qual’è il regime IVA applicabile alle prestazioni di invio di corrispondenze e pacchi in paesi comunitari ed extracomunitari, tenendo conto che le corrispondenze ed i pacchi non vengono inoltrati direttamente nel paese di destino ma sono consegnati alle poste svizzere per essere poi da li inoltrati nei paesi di destinazione. In risposta al primo quesito va precisato che la materia è regolata dalle disposizioni contenute nell’art. 7 comma 4 lett. c) DPR 633/72 e nell’art. 9 comma 1 e n. 2 e 4 dello stesso DPR 633/72. Nel quesito non viene specificato se trattasi di un contratto di trasporto o di semplice spedizione come definita dal Codice Civile. Al riguardo è bene precisare che con il contratto di trasporto il vettore si obbliga, verso corrispettivo a trasferire persone o cose da un luogo ad un altro (art. 1678 Cod. Civ.) mentre con il contratto di spedizione lo spedizioniere "assume l’obbligo di concludere, in nome proprio e per conto del mandante un contratto di trasporto e di compiere le operazioni accessorie" (art. 1737 Cod. Civ.). Così come è proposto, il quesito sembrerebbe fare riferimento ad un normale contratto di trasporto tra la ditta committente e la ditta prestatrice del servizio e senza che nel rapporto risulti coinvolto in qualche modo l’Ente Poste Italiane. Se trattasi dunque di contratto di trasporto si ritiene che, qualora la destinazione finale delle corrispondenze e dei pacchi è intracomunitaria, debba applicarsi l’art. 40 commi 5 e 9 del DL 331/93 che prevede il regime di non imponibilità per i trasporti intracomunitari di beni qualora il committente degli stessi sia un soggetto passivo di imposta di altro Stato membro, mentre prevede l’assoggettamento ad IVA per le prestazioni rese ad un soggetto passivo IVA nel territorio dello Stato. Al contrario, se la destinazione finale delle corrispondenze e dei pacchi è extracomunitaria torna applicabile la previsione dell’art. 9 punto 2 secondo il quale i servizi di trasporto relativi a beni in esportazione sono comunque non imponibili IVA. Pertanto, se il committente del servizio è un soggetto extracomunitario (anche privato) la fattura sarà non imponibile ai sensi dell’art. 9 n. 2 DPR 633/72; se il committente è un soggetto passivo di imposta di altro Stato membro la fattura sarà non imponibile ai sensi dell’art. 40 commi 5 e 9 DL 331/93; se il committente è un soggetto passivo IVA italiano (o comunque un soggetto privato italiano o comunitario) la fattura sarà soggetta ad IVA sempre ai sensi dell’art. 40 appena citato. Se la società prestatrice del servizio fatturasse la prestazione di trasporto all’Ente poste italiane ci si troverebbe di fronte ad un caso simile a quello disciplinato dalla recente circolare ministeriale n. 190/E del 17.08.1996. Con tale pronuncia si è affermato che i servizi di trasporto intracomunitario di corriere postale, resi da compagnie di trasporto aereo nazionali ed internazionali all’Ente poste italiane, sono regolati dall’art. 40 comma 5 del DL 331/93 che considera effettuate nel territorio dello Stato le prestazioni in oggetto quando il committente delle stesse è un soggetto passivo di imposta in Italia. Pertanto, nell’ipotesi in cui il prestatore fatturi la prestazione all’Ente poste italiane l’operazione sarà rilevante agli effetti I.V.A. se la destinazione finale delle corrispondenze e dei pacchi fosse intracomunitaria, mentre resterà operazione non imponibile ai sensi dell’art. 9 DPR 633/72, qualora la destinazione finale fosse extracomunitaria.
dre/iva/i1-009a7.DOC
REGIME IVA COMUNITARIA SU BENI IN CONTO LAVORAZIONE
Quesito Una società con sede nella Comunità Europea invia a società italiana materiali in c/lavorazione. A lavorazione ultimata la committente comunitaria trasmette, alla società italiana, l’ordine di spedire, in suo nome e conto, la merce lavorata a società residente fuori dalla Comunità Europea. Prima dell’entrata in vigore dell’IVA comunitaria la prestazione della società italiana era non imponibile in base all’art. 9 punto 9 della legge IVA D.P.R. 633/72. Ora, la stessa norma dovrebbe applicarsi al caso illustrato in quanto lo stesso art. 9 punto 9 precisa che le lavorazioni eseguite su beni temporaneamente importati, nazionali, nazionalizzati o comunitari, destinati ad essere esportati per conto del committente non residente nel territorio dello Stato, costituiscono servizi internazionali. Ciò in osservanza al principio che i beni di soggetti comunitari sono considerati beni nazionali. Sembra, quindi, che le lavorazioni eseguite da residente italiano, su beni di proprietà di soggetti comunitari per essere esportati fuori della Comunità Europea, costituiscano servizi internazionali e vadano quindi fatturate quali operazioni non imponibili a sensi dell’art. 9 punto 9 DPR 633/72. Si chiede se l’interpretazione sopra illustrata è quella corretta. In difetto si prega di indicare la procedura che deve essere osservata.
Risposta La procedura illustrata nel quesito appare corretta. In primo luogo, l’introduzione nel territorio dello Stato, da parte di soggetto passivo comunitario, di beni in conto lavorazione non costituisce acquisto intracomunitario ai sensi dell’art. 38, comma 5, lett. a (ultima parte). Detti beni, infatti, se fossero importati godrebbero, ai sensi dell’art. 176 del Testo Unico D.P.R. 43/1973 della ammissione temporanea in esenzione totale dai dazi doganali. Quindi l’introduzione dei beni in questione nel territorio dello Stato non costituisce presupposto per l’applicazione dell’imposta. La successiva prestazione di lavorazione, qualora i beni siano destinati ad essere esportati, rientra fra quelle previste dall’art. 9, comma 1, n. 9)del D.P.R. n. 633/1972. Essa pertanto costituisce servizio internazionale e non è soggetta ad imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 7, comma 5) dello stesso decreto. dre/iva/i1-008a9.DOC
Quesito
Risposta Codesto Studio chiede di conoscere come debba essere assoggettata ad I.V.A., da parte dei soggetti residenti nel territorio dello Stato, la seguente operazione quadrangolare:
Lo Studio richiedente ritiene che il primo cedente nazionale (IT 1) debba emettere fattura nei confronti del cessionario residente (IT 2) trattando l’operazione come non imponibile ai sensi dell’art. 8, 1° comma, lettera a) del D.P.R. 633/72, mentre il secondo cedente nazionale (IT 2) debba emettere fatture nei confronti del soggetto comunitario (UE) considerando l’operazione fuori campo I.V.A. per carenza del requisito della territorialità. La questione posta, ed in particolare la tipologia dell’operazione quadrangolare, non trova un preciso riscontro nella normativa vigente, né nel D.P.R. 26.10.72 n. 633 né nel D.L. 30.08.93 n. 331, convertito nella L. 29.10.93 n. 427 che ha introdotto la disciplina delle operazioni intracomunitarie. L’operazione proposta non può infatti, indipendentemente dal numero di soggetti partecipanti, considerarsi intracomunitaria in quanto i beni, pur ceduti a soggetti intra UE, non rimangono nell’ambito comunitario, ma hanno come diretta ed unica destinazione un territorio EXTRA UE. Sotto quest’ultimo aspetto l’operazione acquisisce indubbiamente la caratteristica della cessione all’esportazione con rinvio quindi a quanto previsto dall’art. 8 del D.P.R. 633/72. La conferma di questo indirizzo si ritrova nella circolare n. 13 del 23.03.94, paragrafo 16.3, 1° caso, punto b, dove si afferma che anche nel caso di cessione a soggetto comunitario, l’invio, da parte del soggetto italiano, in territorio extra UE si qualifica come cessione all’esportazione. Applicando ora tale indirizzo alla operazione in trattazione risulta che, ove il trasporto o la consegna dei beni fuori dal territorio comunitario sia effettuata a cura o a nome del cedente (IT 1) per incarico del proprio cessionario (IT 2), la cessione deve inquadrarsi nella triangolare all’esportazione di cui all’art. 8, 1° comma, lettera a) del D.P.R. 633/72. In quest’ultimo caso sia la cessione da IT 1 a IT 2, che da quest’ultimo al soggetto UE sono oggettivamente non imponibili a condizioni naturalmente che il primo cedente (IT 1) dimostri di aver dato esecuzione alla consegna o spedizione mediante la consegna al di fuori del territorio doganale ed il cessionario (IT 2) sia intestatario della bolletta di esportazione. Qualora infatti la bolletta di esportazione sia intestata a IT 1 si ricade nel caso dell’esportazione diretta semplice e quindi solamente questa operazione sarà riconducibile all’art. 8 del D.P.R. 633/72. Per quanto riguarda il rapporto IT 2/soggetto UE, la cessione è fuori campo I.V.A. per carenza del requisito della territorialità se ed in quanto l’oggetto della cessione è costituito da beni già fuori dal territorio comunitario.
dre/iva/i1-008a8.DOC
Quesito
Risposta La concessione in uso del marchio industriale si configura come servizio che, seppure non direttamente e materialmente collegato al processo produttivo, rientra, ad avviso della scrivente, nell’ampia categoria delle "prestazioni di servizio inerenti alla trasformazione, lavorazione e montaggio" dei beni destinati all’esportazione, contemplata dall’art. 8, I c. lett. c), del DPR 633/72. Si ritiene pertanto che nella fattispecie prospettata da codesta Società tali servizi, nei limiti del previsto plafond, possano essere "acquistati" senza pagamento dell’IVA ai sensi del II comma della disposizione citata.
dre/iva/i1-007e8.DOC
Trattamento IVA diritto di esclusiva addebitato a soggetti non residenti
Quesito Una società, esercente l’attività di produzione di accessori di abbigliamento, oltre a fatturare ai propri clienti i prodotti ceduti, addebita agli stessi un importo a titolo di diritto d’uso in esclusiva per i disegni e per il know-how relativi alle collezioni. Il diritto d’uso in esclusiva viene addebitato ad aziende con sede in paesi Ue ed extra Ue; i prodotti possono essere ceduti direttamente a dette aziende o consegnati per loro conto a terzi in Italia od all’estero. A parere del richiedente l’importo del diritto di esclusiva è riconducibile alle prestazioni di servizi di cui all’art. 7, comma 4 lettera d) del DPR 26/10/72 n. 633; non rientrando nella fattispecie prevista dall’art. 12 del DPR sopra citato. Si chiede cortesemente il parere di Questa spettabile Direzione.
Risposta La concessione del diritto d’uso per i disegni e per il know how relativi alle collezioni di abbigliamento, di cui all’istanza in oggetto, rientra tra le prestazioni di servizi indicate all’art. 3, II c. n. 2, del DPR 633/72. Queste prestazioni, in base all’art. 7, IV c. lett. d) del citato decreto, si considerano effettuate nel territorio dello Stato (e sono quindi soggette ad IVA), quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non abbiano stabilito il domicilio all’estero e quando sono rese a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti all’estero, a meno che non siano utilizzate fuori della Comunità europea. Pertanto, le prestazioni in argomento, se rese ad imprese con sede in altri Paesi UE o in Paesi extra UE sono escluse dal campo di applicazione IVA per difetto del requisito territoriale. Sono parimenti escluse le prestazioni rese nei confronti dei soggetti menzionati dall’art. 7, IV c., lett. d, qualora i diritti d’uso vengano utilizzati fuori dal territorio della Comunità. Vanno invece assoggettate al tributo le prestazioni concernenti diritti d’uso concessi a soggetti extra UE ove tali diritti siano utilizzati in Italia (art. 7, IV c., lett. f).
dre/iva/i1-007d8.DOC
Assoggettamento ad IVA dei corrispettivi pagati in Italia da non residenti per corsi di formazione
Quesito Siamo una ditta Svizzera di elettronica e desideriamo ricevere una conferma da parte vostra per quanto segue: Abbiamo dei collaboratori che ogni tanto frequentano dei corsi di formazione presso Ditte Italiane a Milano. Sulle fatture emesse da tali ditte, qualche volta figura l’IVA ed altre volte no. Da informazioni assunte presso la dogana italiana di Chiasso, è emerso che queste fatture dovrebbero essere esenti da IVA, secondo il decreto DPR 633/72. Chiediamo quindi la vostra conferma per questa informazione o, se tale non dovesse essere esatta, in che modo possiamo recuperare l’IVA pagata. Restiamo in attesa di una vostra comunicazione in merito e porgiamo distinti saluti.
Risposta Ai sensi dell’art. 7, IV c. lett. d, del DPR 633/72 le prestazioni di formazione ed addestramento del personale si considerano effettuate nel territorio dello Stato italiano, e sono quindi da assoggettare ad IVA, quando sono rese:
Pertanto, qualora (come nella fattispecie prospettata nell’istanza) un’impresa domiciliata in Italia presti detti servizi a soggetti stranieri, comunitari e non, la prestazione non è soggetta ad IVA, in quanto fuori del campo di applicazione dell’imposta per carenza del requisito della territorialità.
dre/iva/i1-007c8.DOC
Trattamento delle prestazioni di servizi (riparazioni) rese da una società Italiana controllata da una società Statunitense, su macchine vendute in Italia dalla società Statunitense.
E’ stato sottoposto a questa Direzione un quesito concernente il trattamento ai fini IVA degli interventi di riparazione effettuati in Italia da una società italiana ("C") nei confronti di un’altra società italiana ("B"), cliente di una società statunitense ("A"). Tali interventi avvengono su macchine per l’industria elettronica cedute a "B" da "A". Tra l’altro, la società statunitense "A" è società controllante di "C", che effettua le riparazioni. Il costo degli interventi sarebbe composto per 2/3 da manodopera dei tecnici, e per un terzo dal costo delle parti di ricambio, di proprietà di "B". La fatturazione avverrebbe, da parte di "C", nei confronti di "A" per gli interventi in garanzia, e nei confronti di "B" per gli interventi diversi dai precedenti, non in garanzia. Si chiede, nel quesito, se l’attività di assistenza tecnica svolta possa essere assimilata a quella di consulenza ed assistenza tecnica di cui alla lett. d) del 4° comma dell’art. 7 L. 633/72. In proposito, questa Direzione Regionale ritiene che in nessun modo l’attività consistente nella riparazione di macchine per l’industria elettronica possa farsi rientrare tra le prestazioni di consulenza ed assistenza tecnica di cui all’articolo succitato. Un contributo ai fini dell’individuazione di tale ultimo tipo di prestazioni è stato dato dalla R.M. n. 422280 del 14/01/81. Ivi, infatti, si differenziano le perizie, che sono dirette ad individuare concreti elementi di fatto relativi a beni mobili materiali ed immobili per ciò che attiene al loro valore o alla loro quantità, dalle consulenze tecniche o legali, che sono tutte quelle attività professionali che si estrinsecano in prestazioni per le quali è preminente la valutazione soggettiva del consulente. Le prestazioni de quo, in quanto estrinsecantesi in operazioni materiali quali le riparazioni di macchine, non possono considerarsi come prestazioni di consulenza ed assistenza tecnica, secondo la succitata definizione. Tali prestazioni, quindi, in quanto relative a beni mobili materiali, sono da considerarsi effettuate nel territorio dello Stato, poiché sono eseguite nel territorio stesso (anche se nei confronti di soggetto avente sede in territorio extracomunitario), e come tali sono imponibili ai fini I.V.A. Ciò in forza della lett. b) del 4° comma dell’art. 7 L. 633/72. Si fa presente, inoltre, che la fatturazione nei confronti della società statunitense ("A") va effettuata con addebito di I.V.A. Non può ritenersi, infatti, che il servizio prestato costituisca una riparazione effettuata in forza di un obbligo contrattuale di garanzia sussistente tra la società "A" e la società "C" conseguente alla cessione di un bene, il corrispettivo del quale sarebbe comprensivo di tali prestazioni di riparazione. Tra "A" e "C" non vi è stata alcuna vendita, né "C" opera come concessionaria di "A". Quest’ultima cede direttamente i beni oggetto della propria attività d’impresa, e non risulta neanche che sussista sulla base del contratto alcun obbligo di garanzia, tale da poter affermare che il costo delle riparazioni pagato da "A" costituisca un indennizzo o un risarcimento (cfr. nota n. 500655 del 18/04/75). Tale obbligo contrattuale, semmai, sussiste solo nei rapporti tra la società "A" cedente e la società "B" acquirente della macchina; tuttavia, gli interventi effettuati nei confronti di "B" non sono effettuati in garanzia.
dre/iva/i1-007b9.DOC
Quesito La sottoscritta Rag. _________________ sottopone alla Vostra attenzione il seguente quesito per ottenere un parere scritto premesso La Società di cui trattasi svolge in particolare la seguente attività: "fornisce rapporti di prove/analisi con le relative valutazioni, pareri e raccomandazioni per il miglioramento del prodotto, di come etichettare il prodotto di quali etichette di lavaggio applicare etc.
Tutto ciò premesso viene richiesto quanto segue:
Risposta Le prestazioni oggetto del quesito consistono in analisi tecniche e scientifiche delle caratteristiche intrinseche (materiale di costruzione, modalità di assemblaggio) di vari prodotti commerciali, tese ad evidenziarne, in funzione del tipo di prodotto di volta in volta preso in esame e delle specifiche richieste avanzate dai committenti, la resistenza a shocks termici e meccanici, la resistenza della colorazione all’uso e al lavaggio, l’infiammabilità piuttosto che la tossicità o altre qualità oggettive. La ricerca in questo modo condotta è quindi indirizzata ad individuare elementi di fatto; questi sono poi utilizzati per rivolgere alle imprese committenti avvertenze e raccomandazioni in ordine alle caratteristiche costruttive e di funzionamento necessarie al raggiungimento o al mantenimento della conformità dei prodotti analizzati alle normative comunitarie di sicurezza. Occorre esaminare se le descritte operazioni costituiscono prestazioni di consulenza tecnica di cui all’art. 7, comma 4, lettera d) D.P.R. 633/1972 oppure ordinarie prestazioni di servizi consistenti nella redazione di perizie. Con note 9.4.91 n. 30 e 11.6.90 n. 470063 il Ministero delle Finanze ha chiarito che costituisce "consulenza tecnica" l’attività professionale che si estrinseca in giudizi, precisazioni, chiarimenti o pareri in cui è preminente la valutazione soggettiva del consulente. Tale definizione riprende fedelmente l’indicazione fornita dallo stesso Ministero con la Risoluzione 14.1.1981 n. 422280 in cui le operazioni di consulenza tecnica sono messe a confronto con quelle che si concretano in perizie, "essenzialmente dirette ad individuare oggettivamente concreti elementi di fatto concernenti beni mobili materiali ed immobili, in relazione al loro valore, quantità, qualità ecc., anche se assumono particolare rilevanza cognizioni o calcoli tecnico-scientifici. L’attività oggetto del quesito è appunto volta essenzialmente a rilevare e registrare le caratteristiche fisiche e costruttive dei prodotti commerciali con riferimento ai parametri stabiliti dalla normativa vigente; quindi, sulla base dello scarto tra i risultati delle analisi e la misura dei parametri, vengono formulate le opportune raccomandazioni correttive o migliorative. Non ricorre pertanto una "valutazione soggettiva del consulente", caratteristica propria della prestazione di consulenza tecnica, e si tratta invece di un’indagine scientifica e, in ogni caso, oggettiva di elementi di fatto sulla base dei quali vengono sviluppati consigli e pareri nient’affatto discrezionali, essendo gli stessi vincolati alla necessità di avvicinare in modo certo ed oggettivamente riscontrabile le caratteristiche dei prodotti a quelle imposte dalla legge e dalle regole di prudenza. Non trattandosi, nella fattispecie, di consulenza tecnica ma di perizia, appare irrilevante il problema di un’eventuale differenziazione di trattamento fiscale tra il caso in cui il committente sia domiciliato in un paese CEE e il caso in cui esso sia invece domiciliato in un paese Extra CEE, avendo valore assorbente la circostanza che la perizia sia svolta in Italia. Sarebbe poi inconferente, assimilare le prestazioni in oggetto a quelle inerenti all’attività di esportazione o agli scambi intracomunitari per evidenti differenze di scopo e di natura. In conclusione, le operazioni in questione costituiscono normali prestazioni di servizi, come tali assoggettabili ad I.V.A.; questo indipendentemente dal domicilio del committente, poiché, ai sensi dell’art. 7, comma 4, lettera b) D.P.R. 633/72, le perizie si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono eseguite nel territorio stesso.
dre/iva/i1-007b8.DOC
Prestazioni di servizi dipendenti da contratti di consulenza tecnico-commerciali stipulati da una Società italiana con una Società residente in altro paese CEE.
Con la nota che si riscontra è stato chiesto di conoscere il trattamento ai fini IVA delle prestazioni previste in un contratto che una Società italiana (A) deve stipulare con una Società estera (B) residente in altro paese CEE, operante nel settore della produzione e del commercio di accessori di abbigliamento e delle calzature. In particolare tali prestazioni consistono in:
Al riguardo la scrivente ritiene che l’attività svolta dalla Società A, pur essendo costituita da una serie di prestazioni composite, ha come scopo quello di mettere a disposizione della Società committente B) una serie di informazioni tecniche acquisite mediante la propria opera di ricerca. Siccome tale opera non si baserebbe su dati oggettivi, ma è il risultato di una valutazione soggettiva compiuta dalla Società A nel reperire e vagliare le informazioni da trasmettere alla Committente, in accordo con quanto stabilito dal Ministero con la Risoluzione n. 103/E 21.4.95, in cui ha affermato che l’attività di consulenza tecnica si estrinseca in giudizi, precisazioni, chiarimenti e pareri in cui è preminente la valutazione soggettiva del consulente, appare fondato ritenere effettivamente tali prestazioni di "consulenza tecnica". Tale è apparso pure l’orientamento espresso dal Ministero nella Risoluzione n. 465048 in data 27 agosto 1991, in cui una serie di prestazioni composite venivano ricondotte da un’unica prestazione di consulenza tecnica. Riguardo il caso prospettato, quindi le prestazioni rese di cui ai punti 2, 4, 5 e 6 (consulenza) al punto 1 (fornitura dati) e al punto 7 (formazione e addestramento personale) devono considerarsi fuori del campo di applicazione dell’IVA ai sensi dell’art. 7 DPR 633/72, per mancanza del presupposto della territorialità. Per quanto concerne le prestazioni di cui al punto 3 del quesito, appare condivisibile la tesi proposta dall’istante di non considerare tali prestazioni di consulenza: ciò in virtù del fatto che tali prestazioni si basano su presupposti oggettivamente determinabili. Nella fattispecie, per comprendere se le prestazioni siano assoggettabili o no al tributo, occorre distinguere due ipotesi:
Nella fattispecie in esame il committente della prestazione di intermediazione è soggetto passivo di imposta in altro stato membro, per cui ricorrono i presupposti per l’applicazione del citato art. 40.
dre/iva/i1-007a9.DOC
Acquisti e cessioni intracomunitari
Con la nota cui si riscontra, sono state chieste le modalità di fatturazione da parte di un soggetto italiano per la vendita di beni, precedentemente acquistati da un fornitore belga e lasciati in deposito in Belgio, per essere successivamente ceduti, sempre dal soggetto italiano, stesso, a clienti CEE. Nella stessa nota si cita anche che il soggetto italiano ha trattato detti acquisti quali acquisti intracomunitari a sensi dell’art. 40, 2° comma, Legge 427/93, non avendo il soggetto belga applicato l’IVA in essere nella propria nazione. Al riguardo la scrivente ritiene che detta operazione di acquisto rientri nei casi previsti dall’art. 7 del DPR 633/72, in quanto mancante del requisito della territorialità. Tale articolo, infatti, prevede che sono escluse dal campo di applicazione dell’imposta le cessioni relative a beni allo stato estero (merci esistenti o viaggianti all’estero...) (Circ. n. 874/33650 del 19/12/72 Direz. Gentile. Dogane) o appalti di lavori di costruzione eseguite all’estero da ditta italiana (Risol. Min. n. 425182 del 2/5/84), in quanto trattasi di cessioni o prestazioni di servizi relativi a beni mobili eseguiti all’estero e, quindi, mancanti del presupposto territoriale. L’art. 40, comma 2, del D.L. 331/93, convertito nella Legge n. 427/93, prevede che "l’acquisto intracomunitario si considera effettuato nel territorio dello Stato quando l’acquirente è ivi soggetto d’imposta, salvo che sia comprovato che l’acquisto è stato assoggettato ad imposta in altro Stato membro di destinazione del bene". E’ altresì precisato nell’art. 38 comma 2, dello stesso decreto che "costituiscono acquisti intracomunitari le acquisizioni, derivanti da atti a titolo oneroso, della proprietà di beni o di altro diritto reale di godimento sugli stessi, spediti o trasportati nel territorio dello Stato da altro Stato membro...". Orbene, sulla scorta di quanto evidenziato, appare evidente come il requisito fondamentale degli acquisti intracomunitari sia il passaggio materiale nel territorio dello Stato del bene proveniente da altro Stato membro. Per la vendita degli stessi beni da parte del soggetto italiano a clienti CEE, bisogna distinguere se la cessione viene effettuata nello stesso stato belga o in altri paesi CEE. Se il soggetto italiano effettua la vendita ad un cliente belga, tale operazione rientra sempre nei casi previsti dall’art. 7 del citato DPR 633/72, in quanto manca il requisito della territorialità ed i beni restano in territorio belga. Se il soggetto italiano, invece, cede i propri beni ad altri clienti CEE e, quindi, avviene il passaggio materiale degli stessi beni in altro stato membro, tale operazione si identifica come cessione intracomunitaria e sarà assoggettata alla normativa tributaria comunitaria vigente nello stato belga.
dre/iva/i1-007a8.DOC
Quesito
Risposta Una società operante nel settore dell’informatica e delle telecomunicazioni, che esegue anche traduzioni tecniche per imprese con sede nella UE e negli USA, ha chiesto a questa Direzione di conoscere se le predette attività di traduzione siano imponibili ai fini Iva ed inoltre se la disciplina IVA applicabile ai rapporti con paesi della UE coincida con quella applicabile ai rapporti con gli USA. Codesto Ministero, con risoluzione 21.4.1995, n. 103, confermata dalla risoluzione 30.4.1997, n. 96, ha affermato che le prestazioni di cui trattasi sono da considerarsi territorialmente rilevanti in Italia, ai sensi dell’art. 7 comma 3, del DPR 633/72, nelle ipotesi in cui siano rese da soggetti di imposta nazionali, a nulla rilevando che il committente sia residente in Italia o all’estero (paese comunitario e non). A parere di codesto Ministero l’attività di traduzione e di interpretariato non è assimilabile né all’attività di consulenza tecnica o legale (che si estrinseca in giudizi, precisazioni, chiarimenti o pareri in cui è preminente la valutazione soggettiva del consulente), né tantomeno all’attività di fornitura ed elaborazioni dati, poiché non si verifica alcuna manipolazione di dati. Contraria alla predetta tesi risulta essere l’Assonime, che, nella circolare n. 75 del 1.7.1997, ha affermato che la questione di cui trattasi può essere diversamente risolta per effetto della modifica apportata all’art. 3, comma 2 n. 2, del DPR 633/72 dal D.L. 31/12/1996, n. 669, convertito nella legge 28.2.1997, n. 30 (art. 2, comma 1 lettera a). Per effetto di tale modifica, in conformità a quanto già previsto nelle direttive comunitarie, l’art. 3, comma 2 n. 2, DPR 633/72, ricomprende oltre alle cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti di autore, invenzioni industriali, modelli, disegni, etc., anche quelle relative a "diritti o beni similari ai precedenti". Sembra, quindi, che nella nuova formulazione della predetta norma devono ritenersi comprese anche le prestazioni relative all’attività di traduzione, che costituiscono un servizio di elaborazione linguistica soggettiva. Ciò varrebbe sia per le traduzioni già tutelate giuridicamente dalla legge sul diritto d’autore (legge 22.4.1941, n. 633), sia per quelle aventi ad oggetto contratti, documenti e informazioni di carattere tecnico e commerciale, in quanto anche queste ultime richiedono, oltre ad una approfondita conoscenza terminologica della lingua straniera, un ampio bagaglio di competenze tecniche del settore trattato. A parere di questa Direzione la predetta tesi sostenuta dall’Assonime non risulta priva di fondamento. In base a tale tesi, i servizi di traduzione, anche se non giuridicamente tutelati, poiché classificati tra le prestazioni di cui all’art. 3, comma 2 n. 2, del DPR 633/72, sarebbero operazioni non soggette all’imposta ai sensi dell’art. 7, 4 comma lettera d), se resi nei confronti di committenti comunitari soggetti passivi di imposta nel proprio stato di residenza. Nel caso in cui invece le medesime prestazioni fossero rese a soggetti extracomunitari, le stesse si considererebbero effettuate nello Stato italiano, solo qualora venissero utilizzate in Italia o in altro stato membro della UE. Tenuto conto delle precitate risoluzioni, si ritiene necessario acquisire su tale questione il parere di codesto Ministero.
dre/iva/i1-006a9.DOC
Quesito
Risposta Con la nota suindicata codesto studio professionale ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito alle corrette modalità con le quali imputare fiscalmente ai fini della determinazione del reddito di impresa, delle provvigioni di agenzia. Nella fattispecie prospettata, due agenti ritengono di avere entrambi diritto alla percezione di dette provvigioni scaturenti dalla conclusione di un affare segnalato alla mandante. In relazione al sorgere di una controversia giudiziale, la sentenza del Tribunale di primo grado dispone a favore di una delle parti. A fronte di tale sentenza, la parte soccombente propone appello e, per conseguenza, secondo lo studio istante, la controversia non può considerarsi definitiva. Viene chiesto quando l’agente che ha ottenuto il giudizio favorevole, debba fatturare e contabilizzare le provvigioni. Al riguardo, vengono formulate tre ipotesi:
A parere della scrivente, occorre in primo luogo analizzare la problematica proposta in relazione al trattamento previsto dalla norma ai fini Iva e ai fini della determinazione del reddito di impresa. Per quanto riguarda la disciplina prevista ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, l’evento che fa sorgere l’obbligo della fatturazione è costituito dal pagamento. Infatti, l’articolo 6, commi 3 e 4 del dpr 633/72 dispone che per le prestazioni di servizi il momento imponibile è da ritrovarsi nel momento del pagamento. Per conseguenza, al momento del percepimento delle provvigioni in forza della sentenza provvisoriamente esecutiva, l’agente dovrà provvedere alla fatturazione delle stesse. Per quello che riguarda le imposte dirette, occorre avere riguardo a quanto disposto dall’articolo 75 del dpr 917/86, in base al quale viene disposto che i ricavi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, con la precisazione che laddove non ricorrano i requisiti della certezza e della determinabilità, i ricavi stessi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni. Nella fattispecie prospettata, a parere della scrivente, i ricavi hanno le caratteristiche della certezza e della determinabilità, posto che la sentenza pronunciata ha anche efficacia esecutiva. Infatti, sebbene tale sentenza sia stata impugnata dalla parte soccombente, la stessa, sino a deliberazione dei giudici di appello, ha carattere di definitività con riguardo all’an e al quantum. Per le suesposte ragioni, secondo questa Direzione, il ricavo dovrà essere rilevato, e concorrerà alla determinazione della base imponibile, nell’esercizio in cui la sentenza viene depositata, ai sensi dell’articolo 75, comma 1, del dpr 917/86 indipendentemente dalla circostanza che si sia dato o meno corso al pagamento dell’importo. Appare peraltro opportuno sottolineare che, qualora il giudizio di appello pervenisse a conclusioni opposte rispetto alla prima decisione, si configurerà l’ipotesi di una sopravvenienza passiva per la parte condannata alla restituzione di quanto provvisoriamente incassato, come precisato dal Ministero delle Finanze con risoluzione n. 9/174 del 27 aprile 1991.
dre/iva/i1-006a8.DOC
Quesito
Risposta Con la nota suindicata è stato chiesto di conoscere se è conforme alla normativa vigente la seguente procedura adottata per il rilascio degli scontrini fiscali da parte di un commerciante al minuto, che dispone di n. 2 negozi-esposizione e di n. 1 negozio-magazzino:
Gli obblighi relativi al rilascio dello scontrino fiscale per determinate categorie di contribuenti IVA sono contenuti nella L. 18 del 26 gennaio 1983 e successivamente meglio definiti dai DD.MM. di attuazione 23.3.83, 19.4.83, 29.4.83 e dalle C.M. n. 60 del 10.6.83 e n. 74 del 6.7.83. In particolare, queste ultime, hanno definito l’esatta portata normativa fornendo i seguenti chiarimenti:
Pertanto, quanto sopra premesso, questa Direzione è dell’avviso che la procedura adottata sia conforme ai dettati normativi in materia in quanto:
dre/iva/I1-006A6.DOC
Quesito IVA ridotta per lavori di ristrutturazione edilizia.
Risposta In forza dell’art. 9, comma 3 del DL 25.5.1966 n. 285, recante norme sul condono edilizio, rimane fermo al 30.4.1995 il termine entro cui devono essere effettuati gli interventi di ristrutturazione edilizia residenziale e quelli di manutenzione ordinaria e straordinaria, per poter fruire dell’agevolazione consistente nell’applicazione dell’IVA ridotta al 4% sui pagamenti effettuati per le opere interne. La disposizione agevolativa è stata introdotta dall’art. 8, comma 2, del DL 26/7/1994, n. 468, in vigore dal 29/7/1994. Per effetto della mancata conversione in legge, il beneficio è stato successivamente previsto dal DL 27/9/94, n. 551, 25/11/94 n. 649, 26/1/95 n. 24, 27/3/95 n. 88, 26/5/95 n. 193, 26/7/95 n. 310, 20/9/95 n. 400, 25/11/95 n. 498, 24/1/96 n. 30, 25/3/96 n. 154, 25/5/96 n. 285, 22/7/96 n. 388 e 24/9/96 n. 495. L’aliquota IVA agevolata si rendeva applicabile esclusivamente per gli interventi eseguiti sulle unità immobiliari destinate ad abitazione. Tali unità sono quelle classificate nelle categorie catastali da A/1 ad A/9, a prescindere dalle caratteristiche e dalla effettiva destinazione dei fabbricati nei quali le stesse unità sono inserite. Nella previsione agevolativa rientrano anche gli immobili destinati a costituire stabili residenze per collettività, come ad esempio gli orfanotrofi, gli ospizi e simili. Sono invece esclusi quelli che, ancorchè assimilati alle case di abitazione dalla L. 19/7/1961 n. 659, non hanno il carattere della stabile residenza (scuole, asili, colonie climatiche e così via). L’agevolazione compete inoltre per gli interventi di ristrutturazione edilizia e per le manutenzioni ordinarie e straordinarie eseguite anche sugli edifici aventi il requisito della prevalente destinazione abitativa, in base ai criteri previsti dall’art. 19 della L. 2/7/1949 n. 408 (c.d. Legge Tupini). Il beneficio fiscale dell’IVA ridotta al 4% si rende applicabile esclusivamente alle prestazioni di servizi, escludendo le cessioni sia di materie prime e semilavorate, sia di beni finiti forniti per l’esecuzione dei lavori. Per poter determinare l’aliquota da applicare occorre fare riferimento al momento di effettuazione dell’operazione. Le prestazioni di servizi, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del DPR 26/10/1972 n. 633 si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo. Ne deriva che il momento di esecuzione dell’opera o degli interventi non assume rilievo ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata. Per conseguenza, se l’opera è stata eseguita anteriormente al 29/7/1994 ma fatturata e pagata nel periodo soggetto all’agevolazione, beneficia dell’IVA ridotta del 4%, se l’opera è stata invece eseguita dal 29/7/1994 fino al 30/4/1995 ma fatturata e pagata in un periodo diverso da quello agevolato, non può fruire dell’agevolazione. Ciò, del resto, è in sintonia con la disposizione contenuta nel successivo comma 4 del predetto art. 6 secondo cui se prima dell’esecuzione dell’opera viene emessa fattura o viene pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera effettuata limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento (in tal senso, cfr. anche RM n. 500796 del 27/4/1973).
dre/iva/I1-004B8.DOC
Assoggettabilità ad I.V.A. delle prestazioni svolte da una Fondazione per la gestione di un Centro Universitario della Fondazione Opere Sociali
Con il quesito in oggetto, è stato chiesto a questa Direzione se l’attività svolta da una fondazione, consistente nella gestione di un centro universitario per conto della Fondazione Opere Sociali a fronte della corresponsione da parte di quest’ultima di un contributo pari alle spese sostenute, sia assoggettabile ad I.V.A. Si fa innanzitutto rilevare come, a norma dell’art. 4, 4° comma, del D.P.R. n. 633/72, per gli enti pubblici o privati che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività commerciale, si considerano effettuate nell’esercizio d’impresa soltanto le operazioni fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole. Con Ris. n. 32 del 27/06/73, inoltre, il Ministero ha precisato che per individuare i soggetti d’imposta contemplati nell’art. 4 - 2° e 3° comma - del D.P.R. n. 633/72 occorre far riferimento alle attività commerciali indicate nell’art. 2195 C.C., tra le quali l’attività di produzione di beni e servizi, e che è del tutto irrilevante la circostanza che i soggetti perseguano o meno fini di lucro. Pertanto, alla luce di quanto esposto, il fatto che la Fondazione percepisca per le prestazioni eseguite in favore della F.O.S. - consistenti nella gestione del Centro - solo un contributo corrispondente alle spese sostenute non è decisivo per escludere che tali somme possano essere considerate quali corrispettivi per prestazioni di servizi eseguite nell’esercizio dell’impresa. Inoltre, nel caso in esame è individuabile un nesso sinallagmatico tra il contributo in questione e l’attività svolta dalla Fondazione, il cui risultato viene ad essere utilizzato direttamente dalla F.O.S. erogatrice (cfr. Ris. Min. n. III-7-422/93). Poiché, peraltro, sussiste un obbligo della Fondazione di realizzare tale risultato, cui è correlata l’erogazione del contributo, lo stesso si configura come corrispettivo avente natura contrattuale. L’abitualità, sistematicità e continuità dell’attività economica, come indice della professionalità necessaria per l’acquisto della qualità di imprenditore, vanno intese in senso relativo e non assoluto, per cui tale qualità può sussistere anche per un soggetto che svolge un’attività che si protragga nel tempo per una durata apprezzabile, ancorché finalizzata al compimento di un’unica operazione, quando l’affare appare di notevole rilevanza economica e si articoli in una serie di operazioni di una certa complessità (cfr. Cass. Sez. I, n. 4407 del 10/05/96 in B.T. D’inf. n. 21/96, pag. 1623). Si fa presente che l’espletamento di un’attività di servizi rientrante fra quelle indicate nell’art. 2195 C.C., svolta con carattere di abitualità anche se nei confronti di un solo committente, realizza l’ipotesi prevista dall’art. 4 1° comma, D.P.R. 633/72, e conseguentemente l’assuntore viene ad assumere la veste di soggetto d’imposta (cfr. Ris. Min. n. 460207 del 20/06/87 e Ris. Min. n. 550326 del 24/11/88). Quanto detto conferma ulteriormente che non può escludersi, nell’ambito dei rapporti tra la Fondazione e la F.O.S., l’assoggettabilità ad I.V.A. dell’attività posta in essere dalla Fondazione per la gestione del Centro Universitario, per la quale riceve dalla F.O.S. il contributo predetto. Ad avvalorare tale assunto, basti citare la Circ. n. 102/E del 17/06/96, che fa riferimento ad una fattispecie riguardante somme corrisposte - a titolo di rimborso spese gestionali - all’INPS da parte di alcune Regioni per l’espletamento di prestazioni economiche temporanee di natura previdenziale. A tal proposito nella Circolare si afferma che le spese gestionali non rientrano nella previsione impositiva dell’I.V.A., a condizione che le spese siano sostenute in nome per conto della controparte e siano comprovate da documenti intestati al committente del servizio; in caso contrario, le somme corrisposte rientrano nel campo impositivo dell’I.V.A., assumendo in tale ipotesi la natura di vero e proprio corrispettivo di prestazioni effettuate.
dre/iva/I1-004A8.DOC
Finanziamenti statali destinati alla costruzione delle opere pubbliche . Eventuale detraibilità dell’I.V.A.
Quesito Con il quesito in oggetto si chiede se è detraibile l’I.V.A. afferente alle fatture emesse dalle imprese appaltatrici per la costruzione delle opere pubbliche (collettori fognari intercomunali e depuratore finale) effettuate con finanziamenti statali. In merito, si fa osservare che, per ultimo, con Ris. Min. n. 11/E del 03.02.1997 il Ministero delle Finanze ha ribadito che il servizio di depurazione e fognatura viene reso da un Ente Pubblico non nell’esercizio di attività commerciale ma in veste di pubblica autorità e che la tariffa prevista dalla L. n. 36 del 1994 ha natura tributaria. Conseguentemente, i canoni pagati per tale servizio esulano dall’ambito di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 4 quarto comma del D.P.R. 633/72 in quanto non sono riconducibili all’esercizio di attività commerciale. Ciò posto, poiché per gli Enti indicati al 4° c. dell’art. 4/633 l’I.V.A. è ammessa in detrazione solo se relativa ad acquisti e importazioni effettuati nell’esercizio di attività commerciali o agricole, deve ritenersi che l’I.V.A. relativa agli appalti per le predette opere pubbliche destinate al servizio di fognatura e depurazione non sia detraibile.
Risposta Con la nota che si riscontra è stato posto a questa Direzione quesito concernente la detraibilità o meno dell’IVA esposta sulle fatture emesse dalle imprese appaltatrici per la costruzione di opere pubbliche (collettori fognari intercomunali e depuratore finale), effettuate con finanziamenti statali. L’art. 19 ter del DPR 633/72 prevede che "per gli enti indicati nel quarto comma dell’art. 4 è ammessa in detrazione ..."omissis"... soltanto l’imposta relativa agli acquisti e alle importazioni fatti nell’esercizio di attività commerciali o agricole". Al riguardo il Ministero delle Finanze, con la recente Risol. Min. n. 11/E del 3/2/97, ha chiarito che il servizio di depurazione e di fognatura viene reso da un Ente Pubblico non nell’esercizio di attività commerciale ma in veste di pubblica autorità e che la tariffa prevista dalla L. n. 36/94 ha natura tributaria. Di conseguenza, la scrivente ritiene che l’IVA relativa agli appalti per le predette opere pubbliche destinate al servizio di fognatura e depurazione non sia detraibile.
dre/iva/I1-004A6.DOC
ESENZIONE I.V.A. SUGLI ACQUISTI DI BENI E DI SERVIZI EFFETTUATI DA ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO.
Quesito Esaminando l’art. 8 comma 1 della Legge 11 Agosto 1991 n. 266 nonchè l’art. 6 della stessa con richiamo alla Circolare Ministeriale n. 3/11/152 del 25/2/1992 e schede riepilogative, si richiede l’esatta interpretazione allo scopo di ottenere l’esenzione dell’Imposta del Valore Aggiunto sugli acquisti. Si precisa con l’occasione che, questa Pubblica Amministrazione, ha provveduto all’iscrizione al Registro Regionale come previsto dall’art. 6 della stessa Legge 266/91, con la presentazione di tutta la documentazione alla Regione Lombardia. Si richiede pertanto di comunicarci l’esatta valutazione da attribuire al citato art. 8, comma 1 Legge 266 e circolare aggiuntiva n. 3 pag. 10 scheda n. 6 e quali limitazioni devono essere considerate. Con l’occasione si invia copia fotostatica di un ufficio IVA della Regione Liguria ottenuta tramite una Pubblica Amministrazione consorella, dove, da quanto abbiamo appurato, l’esenzione I.V.A. dovrebbe essere estesa anche alle fatturazioni relative ai servizi di gestione quali SIP, ENEL, GAS, e tutto quanto viene utilizzato per il funzionamento sociale della Pubblica Amministrazione. Si resta in attesa di riscontro e si porgono distinti saluti.
Risposta Con istanza presentata alla Direzione Regionale delle Entrate, si chiede se le associazioni di volontariato possono acquistare beni e servizi, in esenzione da I.V.A.. Al riguardo si cita la Ris. n. 296 del 18/6/1994 della Direzione Centrale Affari Giuridici e Contenzioso Tributario dalla quale emerge che gli acquisti operati dalle organizzazioni di volontariato sono assimilabili a quelli compiuti dal privato sul quale grava l’I.V.A.. Con Circ. n. 3 del 25/2/1992 la Direzione Imposte Dirette, ha affermato che nella previsione esentativa possono ritenersi comprese anche le cessioni, effettuate nei confronti delle dette autoambulanze, elicotteri o natanti di soccorso, attesa la loro sicura utilizzazione nell’attività sociale da queste svolte. Con nota n. VI-3-0464 del 23 Ottobre 1995, infine, la Direzione Centrale Affari Giuridici e Contenzioso Tributario, ad una Direzione Regionale che aveva ritenuto potessero comprendersi nel beneficio di esclusione dall’I.V.A. anche operazioni passive, quali acquisti di beni e servizi di sicura utilizzazione nell’attività solidaristica gratuita svolta dalle stesse, ampliando l’interpretazione di cui alla citata circolare ed in tal modo comprendendovi acquisti di pezzi di ricambio, spese di riparazione, manutenzione o acquisti di materiale sanitario vario e per la rianimazione, nonchè i costi per gli impianti e le utenze SIP, ENEL, GAS, riscaldamento, ecc. ha risposto di attenersi correttamente sull’argomento al contenuto della Circolare stessa, e di rettificare eventuali difformi pronunciamenti. dre/iva/i1-002a8.DOC
Quesito
Risposta Con la nota cui si riscontra, si chiede se sia soggetto ad applicazione dell’imposta sul valore aggiunto e, quindi, all’obbligo di fatturazione da parte del percepiente, il pagamento dell’indennità suppletiva di clientela dovuta all’agente di commercio, ai sensi dell’art. 1751 c.c. e dell’art. 10 dell’Accordo Economico Collettivo di Categoria, al momento della cessazione del rapporto di agenzia. La natura (retributiva o risarcitoria) delle indennità in esame è stata in passato oggetto di accese dispute sia in dottrina e sia in giurisprudenza. Il quadro normativo vigente consente di affermare il carattere essenzialmente e prevalentemente risarcitorio di dette indennità in unione al carattere compensativo per l’avviamento procurato al preponente. L’art. 1751 del C.C. stabilisce, che l’indennità di clientela compete all’agente che abbia creato una nuova clientela o ampliato quella esistente e che di tale apporto venga ad avvantaggiarsi il preponente (resta, quindi esclusa l’ipotesi in cui l’agente riesca a tenere la clientela legata a sé al fine di trasferirla sui prodotti di un nuovo preponente), mentre, in base a quanto stabilito da secondo comma dell’art. 1751 C.C., l’indennità di clientela non compete:
Circa la natura dell’indennità di risoluzione, anche la Corte Costituzionale (Sent. n. 75 del 20/5/70), investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1751 C.C.; primo comma, ebbe ad escludere il carattere di retribuzione a corresponsione differita della stessa indennità, in quanto essa "è piuttosto il corrispettivo, a fine rapporto, dell’utilità che l’agente ha apportato all’azienda del preponente e che non può dirsi compensata dalle provvigioni: di un’utilità consistente soprattutto nel procacciamento e nella conservazione della clientela, e destinata a durare nel tempo". Per quanto riguarda, in particolare, l’indennità suppletiva di clientela, il carattere risarcitorio della stessa troverebbe conferma nel diritto dell’agente alla percezione dell’indennità nelle ipotesi di recesso da parte del preponente per causa non imputabile all’agente. Sulla base delle argomentazioni esposte, tenuto conto della natura essenzialmente risarcitoria dell’indennità suppletiva di clientela e che conseguentemente essa non può essere considerata il corrispettivo dovuto per una prestazione di servizio, ma consiste in un indennizzo non correlato ad una prestazione, questa Direzione ritiene pertanto che la stessa non è soggetta all’imposta sul valore aggiunto, mancando il presupposto oggettivo.
|
Inviare a Claudio Carpentieri un messaggio di posta elettronica
contenente domande o commenti su questo sito Web.
|