INDICE IMPOSTE (DRE/LEGGIFIN)

al 26/7/1999

Nome del file

Descrizione

T4-030A8.DOC

25923/97 - Disciplina delle società non operative

T6-113A6.DOC

65047/94 - Contratti di capitalizzazioni stipulati da società

T6-000A9.DOC

26529/99 - Possibilità di non indicare il reddito minimo e prova contraria

T7-022A9.DOC

29214/99 - Soggettività passiva Consorzio e obbligo di presentazione della dichiarazione

T7-029A9.DOC

44440/98 - Assegnazione agevolata di beni per società in liquidazione

dre/leggifin/T4-030a8.doc

 

25923/97

 

 

Quesito

 

II.DD. - Disciplina delle società non operative.

 

 

 

Risposta

Con la nota suindicata la S.V. ha posto un quesito riguardante l’applicabilità della normativa prevista dall’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nel testo precedente a quello riformulato dall’art. 3, comma 37, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, ad una società che ha, quale attività principale, la segreteria organizzativa di una fiera che si tiene con periodicità biennale e che, negli anni di espletamento dell’organizzazione fieristica, realizza un fatturato superiore a due miliardi, mentre in quelli non interessati dall’evento fieristico raggiunge i 200 milioni, in quanto l’attività della società si ridimensiona notevolmente, poiché la stessa si occupa della pubblicazione di cataloghi specialistici su commissione di altre imprese e dalla raccolta di pubblicità sui cataloghi stessi.

In considerazione di siffatto andamento ciclico dell’attività, la società mantiene una struttura molto agile, costituita da un solo dipendente, di volta in volta integrata grazie alla collaborazione esterna di terzi soggetti e dei suoi stessi amministratori.

Alla luce dei fatti descritti la S.V. ha chiesto i seguenti chiarimenti:

1) se la società debba essere assoggettata al regime di imposizione previsto dall’art. 30 della Legge 23 dicembre 1994 n. 724, per le c.d. "società di comodo" negli anni in cui i ricavi dalla stessa prodotti risultino inferiori al limite minimo indicato nel provvedimento;

2) se, invece, il caso di specie possa essere ricondotto ad alcuna delle ipotesi tipiche di esclusione previste dalla norma citata;

3) se infine, la società possa almeno avvalersi dell’opportunità di fornire la prova dell’effettivo conseguimento di ricavi inferiori a quelli minimi presunti..

Occorre preliminarmente rilevare che ai fini della verifica dei parametri, richiesta dalla norma in esame, occorre considerare non il fatturato, bensì i ricavi e gli incrementi delle rimanenze.

Relativamente al quesito di cui al punto n. 1), si ritiene che la società istante rientri tra quelle destinatarie delle disposizioni di cui al citato art. 30 della L. n. 724/94.

Essa, infatti, almeno ad anni alterni, presenta le caratteristiche richieste dalla legge (meno di cinque dipendenti e proventi inferiori a 800 milioni di lire).

Il descritto andamento ciclico che connota la sua attività, se a prima vista sembra generare un’anomalia nell’applicazione concreta della disposizione, non rappresenta, in verità, un ostacolo alla sua operatività nel caso di specie.

Al riguardo occorre sottolineare che, come emerge chiaramente dalla formula normativa, ai fini della qualificazione di una società come "non operativa", è necessario che entrambi i parametri di legge siano inferiori ai limiti indicati.

La verifica di una tale circostanza va compiuta, in modo autonomo, con riguardo a ciascun periodo d’imposta.

Pertanto, può accadere - come nel caso prospettato dalla società istante - che uno stesso soggetto, venga considerato "non operativo" con riferimento ad un determinato esercizio ed, invece, "operativo" con riguardo a quello successivo (o viceversa), a nulla rilevando il fatto che, in un’ipotetica media di periodo superiore all’anno d’imposta, i ricavi da lui prodotti oltrepassino il tetto minimo richiesto dalla legge.

Per quanto riguarda il quesito di cui al punto 2), a parere della scrivente, nessuna delle ipotesi di esclusione previste dall’art. 30 può ritenersi applicabile al caso di specie.

Ciascuna di esse presenta, infatti, delle connotazioni ben precise che non offrono punti di contatto con la fattispecie in esame.

In particolare, anche nei periodi di imposta in cui non si svolge la manifestazione fieristica, la società non si trova in un periodo di svolgimento dell’attività che possa definirsi "anormale".

In ordine a tale ipotesi il Ministero delle Finanze, nella circolare n. 140/E del 15/5/1995, ha avuto modo di precisare che non devono considerarsi normali i periodi "successivi al primo, qualora la società, in tali periodi, non abbia ancora avviato l’attività produttiva prevista dall’oggetto sociale".

Orbene, anche negli ultimi anni in cui non si tiene la fiera, la società istante esplica un’attività prevista dal proprio statuto e rientrante nell’oggetto sociale. Poco importa se detta attività non si configura come quella principale; non per questo, infatti, perde la sua connotazione di "normalità".

Questa Direzione ritiene che anche al quesito di cui al punto 3) debba essere data risposta negativa. Infatti, nel caso di specie è da ritenersi inammissibile il ricorso allo strumento della "prova contraria", attesa l’insussistenza dei presupposti atti a giustificarne l’adozione.

Dalla lettura del testo di legge si evince, infatti, che la prova contraria, per essere invocata a giustificazione della non assoggettabilità al regime impositivo di cui all’art. 30, deve essere sostenuta da riferimenti ad oggettive situazioni di carattere straordinario che rendano impossibile, nell’ipotesi particolare, il conseguimento di ricavi, di proventi e di rimanenze nella misura richiesta dalla disposizione in parola.

Nel caso prospettato la produzione di ricavi al di sotto del tetto minimo previsto dall’art. 30 non è riconducibile ad eventi di natura straordinaria sorti indipendentemente dalla volontà dell’imprenditore.

Infatti, le ragioni del mancato raggiungimento del limite minimo presunto di redditività sono insite nelle stesse modalità di esercizio dell’attività svolta dalla società istante, così come previsto dal suo statuto.

L’andamento ciclico del fatturato (e quindi dell’ammontare dei ricavi conseguiti) è, dunque, affatto noto all’istante e, quindi, accettato nella consapevolezza di una situazione di assoluta ordinarietà.

Con nota n. 6/1037/96 del 24.4.97 la Direzione Centrale per gli Affari Giuridici e per il Contenzioso Tributario ha reso noto di condividere il parere espresso da questa Direzione sul quesito posto dalla S.V.

 

studio/dre/leggifin/t6-000a9.doc

 

SERVIZIO I

DIVISIONE I

Prot. n. 26529/99

 

Oggetto: II.DD. Società non operative. Possibilità di non indicare il reddito minimo e prova contraria

 

Con la nota sopra evidenziata la S.V. ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla corretta interpretazione delle disposizioni in materia di società non operative. In particolare, viene rappresentata l'ipotesi di una società finanziaria che non ha proceduto alla dichiarazione del reddito minimo previsto dalla legge 662/96, in relazione al fatto che le società partecipate non hanno distribuito dividendi. Nella fattispecie in esame, viene chiarito che :

- la società finanziaria partecipava, in posizione di controllo in due società B e C e aveva svolto, nell'esercizio 1996, un'attività di servizi nei confronti della società C;

- la società B, ha cessato la propria attività in ragione delle difficoltà riscontrate nel settore di appartenenza al fine di raggiungere quote di mercato sufficienti al raggiungimento degli obiettivi.

A parere della scrivente, deve essere preliminarmente sottolineato che una società finanziaria deriva il proprio reddito dai proventi ricavati dalle partecipazioni. Sul punto, le circolari del Ministero delle Finanze n. 140/E del 15 maggio 1995, punto 4.2 e n. 48/E del 1997, punto 5.2, in materia di prova contraria a fronte della mancata dichiarazione del reddito minimo richiesto dalla norma, richiamano espressamente l'ipotesi di una società finanziaria che abbia conseguito proventi minori rispetto a quelli ordinariamente conseguibili a causa della mancata distribuzione di dividendi da parte delle società partecipate, a loro volta interessate da fenomeni straordinari che ne abbiano limitato la redditività.

Anche in base a tale esemplificazione, è possibile trarre la conclusione che non è sufficiente la mancata distribuzione di dividendi per configurare una situazione di straordinarietà come richiesta dalla norma. A parere della scrivente si dovrà avere riguardo, ai fini della verifica della situazione di straordinarietà, ai fenomeni che, incidendo sulle società partecipate si sono conseguentemente riflessi sulla società partecipante.

Nell'istanza in oggetto appare possibile che la società B (in relazione alla quale viene altresì precisata l'apertura della fase di liquidazione), possa invocare fenomeni oggettivi di carattere straordinario che non hanno permesso il conseguimento di quegli obiettivi di ricavo che erano presumibilmente indicati in budget o piano sottostanti l'avvio dell'attività. Non appare invece possibile, in mancanza di ulteriori informazioni, esprimere un parere in merito alla situazione della società C anche in relazione alla valutazione della congruità dei proventi derivanti dall'attività di prestazione di servizi svolta dalla società partecipante nei confronti di quest'ultimo soggetto.

Conclusivamente, a parere della scrivente, appare possibile ritenere legittimo il comportamento tenuto dalla società A, qualora questa società possa fornire la dimostrazione che, senza le difficoltà di carattere oggettivo e straordinario subite dalla società B e/o C, avrebbe conseguito proventi superiori al minimo richiesto dalla norma.

 

 

dre/leggifin/T6-113A6.DOC

 

65047/94

 

 

Quesito

II.DD. - Contratti di capitalizzazione stipulati da una società di capitali. Trattamento fiscale.

 

Risposta

Con la nota suindicata è stato chiesto il parere di questa Direzione in merito al trattamento fiscale relativo ai redditi prodotti dai contratti di capitalizzazione stipulati da una società di capitali.

Il Ministero delle Finanze, con la circolare n. 14 del 17 giugno 1987, ha espressamente affermato che, pur se i contratti di capitalizzazione differiscono dai contratti di assicurazione sulla vita, per l’assenza dell’alea caratteristica di quest’ultima fattispecie contrattuale, le due tipologie sono sostanzialmente equivalenti.

Nella sopra citata circolare, viene espressamente affermato che "in funzione della sostanziale equivalenza dei contratti di assicurazione e dei contratti di capitalizzazione, questi ultimi debbono essere compresi nell’ambito di applicazione dell’articolo 6 della legge 482/85, ancorchè non espressamente menzionati da tale norma. Detta equiparazione trova infatti esplicita conferma nell’articolo 117 del DPR 13 febbraio 1959".

Pertanto, a parere di questa Direzione, nella fattispecie in esame e per quanto riguarda la ritenuta applicabile sugli interessi prodotti dai menzionati contratti di capitalizzazione, si rende applicabile il disposto dell’articolo 6 della legge 482/85, il quale prevede che "sui capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell’assicurato, le imprese di assicurazione devono operare una ritenuta a titolo di imposta e con obbligo di rivalsa, del 12,5%. La ritenuta va commisurata alla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo, se il capitale è corrisposto dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto di assicurazione".

In materia, è recentemente intervenuto l’articolo 3 comma 113 della legge n. 549/95, il quale prevede che "nei confronti dei soggetti che nell’esercizio di imprese commerciali percepiscono capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, la ritenuta del 12,5% prevista dall’articolo 6 della legge 482/85 è applicata a titolo di acconto".

Pertanto, per i contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 549/95, la quota di reddito maturata in ogni anno di durata del contratto va rilevata nell’esercizio di competenza, mentre la ritenuta dovrà essere scomputata in un’unica soluzione nel periodo di imposta in cui verrà operata, non rendendosi applicabile il disposto di cui all’articolo 93, comma 2, del DPR 917/86.

Per i contratti stipulati precedentemente alla data di entrata in vigore della sopra citata legge 549, invece, i proventi prodotti dal contratto di capitalizzazione non concorrono a formare il reddito della società ai sensi del combinato disposto degli articoli 45, 58 e 95 del DPR 917/86, nè di essi si deve tenere conto ai fini del rapporto di cui all’articolo 63, comma 1, del DPR 917/86, riguardante la deducibilità degli interessi passivi e delle cosiddette spese generali.

 

studio/dre/leggifin/t7-022a9.doc

 

SERVIZIO I

DIVISIONE I

Prot. n. 47679/98 e 29214/99

 

Oggetto: Irpeg. Soggettività passiva del Consorzio __________________ e obbligo di presentazione della dichiarazione.

 

Con le note sopra evidenziate codesto Consorzio, quale ente gestore di demanio collettivo, ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito all'obbligo di presentazione della dichiarazione ai fini Irpeg con riferimento alla proprietà di immobili civili o strumentali. Nel quesito viene fatto presente che, a scopo cautelativo, la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 1997 è stata comunque presentata.

Con riferimento al quesito, deve essere sottolineato che gli enti pubblici e privati , diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, di cui all'articolo 87, comma 1, lettera c) del dpr 917/86, sono soggetti all'Irpeg sul reddito complessivamente prodotto, determinato a norma dell'articolo 108 del dpr 917/86, ovvero come sommatoria delle diverse categorie di reddito, tra le quali rientra anche quella dei redditi fondiari.

Pertanto, sino all'entrata in vigore dell'articolo 22 della legge 449/97, il Consorzio avrebbe dovuto assoggettare ad Irpeg il reddito di fabbricati derivanti dalla proprietà dell'immobile, presentando dichiarazione dei redditi con il modello 760 bis.

La norma citata, ha modificato le disposizioni di cui all'articolo 88, comma 1, del dpr 917/86, assimilando allo Stato ed agli enti pubblici che non sono soggetti ad Irpeg, anche i Consorzi tra enti locali e gli enti gestori di demani collettivi. Pertanto, a parere della scrivente, anche se dall'istanza non è dato ricavare se il Consorzio in oggetto rientra tra quelli costituiti tra enti locali, appare sufficiente la qualità di ente gestore di beni del demanio collettivo per identificare la non soggettività passiva ai fini Irpeg e ciò a decorrere dall’entrata in vigore dell’art. 22 Legge 449/97.

 

studio/dre/leggifin/t7-029a9.doc

 

SERVIZIO I

DIVISIONE I

Prot. n. 44440/98

 

Oggetto: Assegnazione agevolata di beni per società in liquidazione.

 

Con la nota sopra evidenziata la S.V. ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla possibilità di fruire della normativa in oggetto nell'ipotesi di società immobiliare in liquidazione.

Nell'istanza viene precisato che la predetta società, posta in liquidazione il 30.5.1997 in base alle disposizioni di cui all'articolo 3, comma 38, della legge 662/96, avrebbe dovuto assegnare gli immobili ai soci entro un anno dalla messa in liquidazione e richiedere, nel medesimo termine, la cancellazione. Di fatto, la società non ha mai usufruito dell'agevolazione prevista dalla norma. Viene chiesto dunque se sia possibile usufruire del termine fissato dall'articolo 29 della legge 449/97.

La disciplina contenuta nell'articolo 29 della legge richiamata, prevede la possibilità di assegnare in regime agevolativo alcune categorie di beni ai soci. Tra le società destinatarie dell'agevolazione, non vengono esplicitamente menzionate quelle in liquidazione. Peraltro, la circolare del Ministero delle Finanze n. 188/E del 16 luglio 1998, dispone in merito alla possibilità, per le società in liquidazione, di effettuare l'assegnazione dei beni attraverso il regime agevolativo. Pertanto, è da ritenersi che le disposizioni normative trovino applicazione anche con riferimento alle società non operative sciolte ai sensi dell'articolo 3, comma 38, della legge 662/96, che non abbiano ancora proceduto agli atti di assegnazione, purché sussistano le altre condizioni richieste dalla norma.

 

 

 

 
Inviare a Claudio Carpentieri un messaggio di posta elettronica contenente domande o commenti su questo sito Web.
Copyright © 1999 Claudio Carpentieri
Aggiornato il: 11 novembre 1999