INDICE IMPOSTE (DRE/SUCC.DONAZ) al 31/5/1999
dre/succ.donaz/S3-022a8.DOC
Imposta di Successione - art. 22 D.Lgs. 346/90 saldo passivo c/c bancario
Quesito Alla luce della normativa introdotta dal D.L.vo 31/10/1990 n. 346 nel capo III "Passività deducibili", questo ufficio, anche al fine di evitare l’instaurarsi di nuove controversie, chiede un chiarimento sull’interpretazione da darsi al comma 1 dell’art. 22 con riferimento al saldo passivo di conti correnti. In particolare si chiede se per poter riconoscere in deduzione il debito verso l’azienda di credito, l’erede debba dimostrare l’impiego delle somme emergenti quale prelievo dal conto corrente affinché sia verificata la condizione che i debiti siano stati contratti per l’acquisto di beni rientranti nell’asse ereditario. L’ufficio ha seguito doverosamente l’interpretazione più restrittiva che è anche, a parere dello stesso, la più attendibile secondo una interpretazione logico-sistematica non solo della norma ma anche del capo III alla luce inoltre del chiarimento fornito dalla Corte Costituzionale Ord. n. 179 del 15/4/1992 "l’impostazione tributaria inerente alla successione è in diretto collegamento con il patrimonio ereditario unitariamente considerato, colpendo cioè l’entità come tale indipendentemente dal trasferimento di ricchezza". Pertanto non sono stati ammessi in deduzione i saldi passivi di conto corrente, ove la parte non abbia prodotto la dimostrazione di cui sopra. Stante la rilevanza del quesito per l’operatività dell’ufficio, che come è noto, non può subire interruzioni pena l’attuarsi della decadenza, si prega di voler cortesemente chiarire con urgenza.
Risposta Con l’istanza allegata viene chiesto di sapere "se per essere ammesso in deduzione, il debito verso le aziende di credito, l’erede debba dimostrare l’impiego delle somme emergenti quali prelievo del conto corrente affinché sia verificata la condizione che i debiti siano stati contratti per l’acquisto di beni". Al riguardo si osserva. L’art. 22, sez. III, D. Lgs. 346/90, intitolato "limiti alla deducibilità dei debiti", disciplina in modo puntuale la deducibilità dei debiti contratti dal defunto negli ultimi sei mesi di vita, anche quelli derivanti dal saldo passivo di conto corrente bancario dipendente da assegni emessi e da operazioni fatte nell’arco temporale sopra richiamato. Il II comma del citato articolo subordina l’ammissione delle passività derivanti dal c/c bancario alla condizione che gli assegni emessi e le operazioni passive (a carico del c/c) siano stati utilizzati e per l’acquisto di beni indicati nell’attivo ereditario (fatti salvi i casi di rivendita totale o parziale), e per il pagamento dei debiti di cui all’art. 20 e seguenti della sezione citata. Quindi nessuna limitazione di carattere oggettivo è ammessa alla loro deducibilità se non quella di dimostrare, nel caso che ci occupa, da parte dell’erede, che l’utilizzo endosemestrale degli "assegni" di c/c sia stato effettuato per uno dei motivi sopra esposti. D’altronde già il Superiore Ministero, con propria circolare (n. 17/1991), ebbe a precisare che "attraverso tali modifiche - art. 22 c. 2) D.lgs. n. 346/90 n.d.r. - si è inteso eliminare il contrasto tra il (...) secondo comma dell’art. 15 e il terzo comma dell’art. 13 del DPR 637/72 e si è inteso, altresì, conformare la norma alla ratio del principio direttivo della legge 825/1971, estendendo la deducibilità delle passività ad ogni tipo di indebitamento, purché realizzato volontariamente e quindi presuntivamente preordinato al ridimensionamento dell’asse ereditario". Da quanto sopra discende che la passività di cui all’oggetto non dovrebbe essere considerata nella quantificazione della base imponibile se non è dimostrata nei modi e nei limiti previsti dalla citata sez. III.
dre/succ.donaz/S9-000A6.DOC
RINUNCIA ALL’EREDITA’ DA PARTE DI EREDE DI DEBITO ERARIALE. DIRITTO DI RAPPRESENTAZIO- NE EX. ARTT. 467-468-469 C.C. DI FIGLI MINORENNI.
Quesito Quest’ufficio intende conoscere come debba comportarsi allorquando, a fronte di un processo verbale di accertamento (nella specie tasse automobilistiche) o avviso di liquidazione, il contribuente destinatario sia risultato deceduto e l’ufficio abbia effettuato la notifica agli eredi di questi, aventi figli minorenni, ed essi eredi esibiscano atto di rinuncia all’eredità. Poichè, per il diritto di rappresentazione di cui agli articoli in oggetto citati, subentrano i figli minori dei rinuncianti, l’ufficio deve notificare a tali minori l’atto fiscale? E, qualora tali minori non rinunziano anch’essi alla eredità per la quale è necessaria l’accettazione con beneficio d’inventario e l’autorizzazione del giudice tutelare, l’ufficio come deve operare per il recupero del credito erariale nei confronti di essi?
Risposta Rinuncia all’eredità da parte di erede di debito erariale - Diritto di rappresentazione ex artt. 467-468-469 c.c. di figli minorenni. Premesso che la successione per rappresentazione opera esclusivamente a favore dei discendenti dei figli o dei fratelli del de cuius (art. 468 cod. Civ.), si osserva che nella prospettata fattispecie, i minori chiamati a succedere in rappresentazione dei rinuncianti non decadono dal beneficio di inventario, nè dal diritto di accettare, fino al compimento di un anno dalla maggiore età (art. 489 cod. Civ.) Ciò significa che, in assenza di una espressa manifestazione di volontà di accettazione con beneficio d’inventario, che dovrebbe essere preventivamente autorizzata dal Giudice Tutelare, i figli minori dei rinuncianti all’eredità non possono essere considerati eredi bensì soltanto delati attuali (Cassazione 86/1267 e 93/9142). In base all’articolo 460 cod. civ., inoltre, al delato attuale che non sia nel possesso dei beni non spetta la legittimazione passiva in giudizio, in rappresentanza dell’eredità, prevista esclusivamente con riguardo al chiamato che si trova nel possesso materiale dei beni ereditari. Ciò comporta, nel caso di specie che, essendo i delati attuali minorenni, il creditore non potrà far valere le sue ragioni nei loro confronti. Sarà necessario, dunque, che l’Ufficio proceda a richiedere la nomina di un curatore dell’eredità giacente, che rappresenti l’eredità in giudizio e che proceda, rientrando nei suoi compiti, alla liquidazione delle passività facenti parte dell’asse ereditario. Possibilità alternativa è quella di proporre, nei confronti di minori, l’actio interrogatoria di cui all’art. 481 cod. Civ. Ottenendo dal giudice la fissazione di un termine entro il quale i minori debitamente autorizzati, dichiarino di accettare o di rinunciare all’eredità. In caso di rinuncia o di inerzia degli stessi si riproporrà la medesima situazione di cui sopra nei confronti dei chiamati in subordine. In caso di accettazione, necessariamente con beneficio d’inventario, l’Ufficio dovrà procedere alla notifica direttamente nei confronti dei minori legalmente rappresentati dai genitori esercenti la potestà.
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Quesito
Risposta In merito ai quesiti posti con la nota in riferimento si osserva quanto segue. a) Il primo comma dell’art. 50 del D.Lgs. n. 346/90 prevede, in caso di omissione o tardività della dichiarazione di successione o della dichiarazione sostitutiva, la irrogazione delle pena pecuniaria da due a quattro volte l’imposta "liquidata" o riliquidata d’ufficio; mentre il terzo comma dello stesso articolo prevede, nel caso di non opposizione all’accertamento o in caso di rinunzia al ricorso, la riduzione... al sesto del massimo della pena pecuniaria dovuta. Dal che si deduce che la riduzione della pena pecuniaria prevista dall’art. 50 c. 3 D.Lgs. 346/90 è applicata all’accertamento (dell’imposta) di cui al quarto comma dell’art. 27 e al primo comma dell’art. 35. Difatti il capo IV del titolo II del D.Lgs. citato, che ha per titolo "accertamento e liquidazione dell’imposta", all’art. 27 comma 4 così recita: "Se la dichiarazione di successione è stata omessa, l’imposta è accertata e liquidata d’ufficio". Invece il comma 6 dello stesso articolo, in caso di presentazione della dichiarazione di successione "oltre il termine", dispone che in tal caso si applicano le disposizioni dei commi 2, 3, 5, ovvero "l’imposta è liquidata dall’Ufficio in base alla dichiarazione prodotta dal contribuente, (esclusa quindi la disposizione del comma 4 ossia "...l’imposta è accertata e liquidata d’ufficio"). La locuzione usata dal legislatore nel dettare le norme di questi ultimi comma non fa’ alcuna menzione all’accertamento dell’imposta, ma alla sua liquidazione. Ciò non poteva essere disciplinato diversamente. Infatti l’accertamento dell’imposta ai fini tributari consiste "nell’atto e nella serie di atti necessari per la constatazione e la valutazione dei vari elementi costitutivi del debito d’imposta" e l’atto amministrativo "stabilisce con efficacia obbligatoria, l’esistenza dell’ammontare del credito" (Giannini) mediante controlli che l’A.F. effettua per accertare definitivamente la base imponibile. Anche il superiore Ministero con circolare n. 17/350134 del 15 marzo 1991 chiarisce che "nei casi in cui gli uffici vengano a conoscenza di omissioni di dichiarazioni o di indicazione di beni, debbono accertare e liquidare l’imposta d’ufficio. Inoltre all’art. 335 la precitata circolare chiarisce con maggior precisione che oggetto dell’accertamento d’ufficio non può che essere l’attivo ereditario e che l’imposta è liquidata in base al valore complessivo dei beni e dei diritti da cui è composto. Pertanto il novellato art. 50, che non trova identico riscontro nella precedente normativa che regolava l’accertamento dell’imposta (DPR 637/72), al terzo comma riduce la pena pecuniaria (un sesto del massimo) solo in caso di mancata opposizione (o rinunzia al ricorso entro un determinato termine) all’"accertamento dell’imposta" effettuato per l’omessa dichiarazione di successione o di dichiarazione sostitutiva.
b) Il D.Lgs. citato prevede all’art. 28 c. 6), in modo specifico, quali sono le dichiarazioni che possono essere presentate successivamente alla prima. Non è prevista quindi la produzione, oltre i termini, di una "dichiarazione di identificazione catastale" se non in sostituzione della precedente da presentarsi a norma del successivo art. 29. L’art. 12 della L. 154/88, ora trasfuso nel 6° comma dell’art. 34 del decreto citato, nel prevedere esistente, all’atto della presentazione della successione, la dichiarazione d’iscrizione degli immobili nel catasto edilizio, così recita: "Per i fabbricati dichiarati per l’iscrizione nel catasto edilizio ma non ancora iscritti alla data di presentazione della dichiarazione della successione...". Invece dal quesito proposto si rileva che alla data di presentazione della prima denunzia, nessuna dichiarazione di iscrizione dei fabbricati nel catasto edilizio urbano è stata presentata all’U.T.E. competente. Quindi, alla fattispecie prospettata non si rende applicabile il 6) comma dell’art. 34, ma il primo comma dello stesso articolo. Aggiungasi inoltre che il precitato comma 6 dell’art. 34 prevede espressamente dei "termini perentori" per la presentazione della ricevuta della "specifica istanza di attribuzione della rendita" all’ufficio del registro. La volontà di avvalersi della così detta "valutazione automatica" deve essere manifestata espressamente nella dichiarazione di successione e i precitati "termini perentori" decorrono dalla data della sua presentazione. c) Il punto 10) lett. a) dell’art. 10 del D.L. 323/96 convertito in L. n. 425/96, fissa un nuovo termine dal quale far decorrere la decadenza dell’azione di accertamento di materia imponibile e, come tale, quale norma sostanziale, trova applicazione unicamente nei confronti delle successioni che si aprono a decorrere dalla data di pubblicazione sulla gazzetta ufficiale del D.L. n. 323/96. Il Superiore Ministero che legge per notizia, qualora ritenga non accoglibile la tesi della scrivente è pregato di far conoscere le eventuali diverse determinazioni. Nel frattempo l’ufficio istante si atterrà a quanto sopra riportato. |
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