Torna la Sagra del Corpus Domini
I campobassani degli anni trenta hanno definitivamente invaso la piana, ed i rioni popolari che negli anni venti continuavano ad essere parte essenziale della vita cittadina divengono sempre più tributari del nuovo assetto urbanistico, e non soltanto perché gli uffici si trovano pressocchè tutti nella piana, ma anche per avere i nuovi tempi estromesso oltre le 6 porte dell'antico abitato la maggior parte della vita attiva.
Tuttavia la città vecchia riesce ancora a trattenere alcune connotazioni tipiche. Segui via Ziccardi, quella delle " camberelle ", ovvero via Sant'Antonio, la salita del ponte di Brusco e rivedi qualcosa della città di dieci anni prima: serque di vasi di geranio sulle finestre e sui balconi, lenzuola e panni vari sciorinati per tempo a cogliere quella falce di sole che riesce a intrufolarsi nelle straducole, il dialetto che continua ad essere parlato da uomini e donne, vecchi e bambini. Oltre le 6 porte la lingua nazionale è divenuta ormai egemone, almeno negli uffici.
Ed in quelle strade strette rivedi il falegname, il liutaio, lo stagnino, il fabbro, l'arrotino, il ramaio..., seghe che stridono nel legno, martelli che battono sul metallo e sul legno. Il bottaio espone sulla strada l'ultima tinozza fatta, il ramaio la conca ricamata dal martelletto. Negozietti, più buchi che negozi, dove trovi il pane sfornato di fresco, la frutta di Mascione, i cavoli dell'orto di periferia, profumatissimi salami che fanno da insegna, prosciutti penduli dagli architravi e sul banco il grosso barattolo di latta in cui giacciono, ben stipate e allettanti, le salatissime alici, ottime per propiziare un mezzo litro nella bettola più vicina; ed ancora serti di " taralli ".
La gente del rione traffica da un negozietto all'altro, da un artigiano all'altro, da una casa all'altra; le " comari " formano quasi una consorteria dalla quale gli uomini sono esclusi: alla fontana, dove riempiono le "tine", oppure il pomeriggio e la sera d'estate, sedute sulle seggiole poste fuori dagli usci, quando confabulano e chiacchierano, chiacchierano e... tagliano i panni; altrui s'intende, perchè la citta é pur sempre quella delle famose forbici d'acciaio e non. Nei buchi dei negozietti si accendono ancora crediti e si accendono, ovviamente, debiti; si vende un pezzo di formaggio e per venderlo se ne passa in chiacchiere un quarto d'ora ogni volta: perchè un etto di cacio può essere l'occasione per intessere un lungo discorso su quanto é accaduto a Concettina... ma le sta bene... perchè quella benedetta figliola é stata sempre una " capa all'erta ", cioé é stata fin troppo intraprendente... e dunque non poteva finire diversamente.
I falegnami sono i " signori falegnami ": dalle loro mani escono mobili di non comune bellezza. Ci sanno fare, come ci sapevano fare i padri. Il mestiere é disceso "per li rami ".
Ed altrettanto può dirsi dei fabbri, alcuni dei quali forgiano cancelli e lampadari che ai nostri verrebbero gudicati vere opere d'arte.
Nelle botteghe ci sono lui, il " mastro ", e gli ssistenti che lavorano, contemplati dal consueto gruppetto di amici, con i quali intessono discorsi che, tra una piallata e l'altra, durano ore. Si parla di tutto quindi anche di politica. In queste botteghe giunge smorzata l'eco della città fuori le vecchie mura, gli inni marziali non arrivano e le " grandi decisioni " di Piazza della Prefettura e di Piazza della Libera planano senza far troppo rumore. Solo si drizzano le orecchie quando arriva l'ordine di appendere le bandiere, guai a non imbandierare, mentre le comari continuano a mormorare o blaterare e l'artigiano a darci dentro di scalpello e di martello. I più vecchi tirando dalla pipa confabulano tra di loro: i nuovi tempi non li capiscono troppo. Era un'altra cosa quando scendevano in campo per le elezioni i Cannavina e i Baranello; allora anche la città vecchia si accendeva ed era tutta un falò di abbasso e di evviva; qualche volta ci scappavano pure i pugni. "Oggi, invece, tutti gridano evviva ! Embè, gridiamo evviva anche noi e ... fumiamoci su ...".
.......
..... E siamo entrati nell'argomento forbici, che richiederebbe
un capitolo lunghissimo, ma che tratteremo " per summa capita
", come si diceva nella sezione " classe colta "
del buon popolo di Dio. Non per niente in città funzionava
il super - liceo del Molise, dove si forgiavano le basi delle
future sfere dirigenti.
Ma torniamo alle forbici, e vi aggiungiamo rasoi e coltelli, per dire che in quei tempi la città a pieno titolo poteva essere definita " dell'acciaio ", e dunque erano nel vero i libri di geografia che lo attestavano. Di una tale finezza i rasoi, da avere un proprio mercato non soltanto in città; lo stesso può dirsi per i coltelli e le forbici.
Le botteghe erano dislocate soprattutto nella città nuova, ed in particolare nella zona che va da via Ferrari alla stazione ferroviaria, al corso. Da un vile pezzo di metallo gli artigiani traevano capolavori; ma chiaramente l'iniziativa privata doveva essere ben più debole di quella che fece salir di quota gli acciai di Maniago, se nessuno riuscì a capire che si poteva fare in questo settore della produzione un discorso nazionale.
Anche perchè le comunicazioni viarie e ferroviarie esistenti erano ben poca cosa per autorizzare.... mire espansionistiche del genere. Occorreva una volontà..... d'acciaio. Si stava manifestando, per la verità, nel corso di quegli anni... ma altrove e in ben altri campi...
Un " flash " non può non essere riservato ad un altro stupendo acciaio campobassano, quello traforato.
Erano in diversi a traforarlo ed assai bravi. Si erano messi su in una vera e propria corporazione con tanto di regole di comportamento e, sul petto, un medaglione che veniva esibito nelle grandi occasioni; come, ad esempio, durante la processione del Corpus Domini, quando con tale medaglione sul petto ed in paludamenti adeguati sfilavano in gruppo compatto. Residuo di una città delle corporazioni formato strapaesano, che se non avevano ovviamente conquistato il lustro di quelle fiorentine, tuttavia si facevano valere in determinate circostanze nel settore produttivo, anche se talvolta le riunioni servivano non tanto a trattare gli argomenti comuni alla categoria quanto per una buona mangiata ed una altrettanto buona bevuta.
Perchè quella del mangiare e del bere era una vera fissazione che riguardava un po' tutti i ceti sociali. Furono gli anni degli osti famosi che nelle loro taverne riuscivano a convogliare senza sforzo "il colto e l'inclita" altra frasetta corrente allora.
Ed ancora forbici, ma di altro tipo. In un piccolo ambiente come il campobassano tagliare panni addosso agli altri diveniva una occupazione inevitabile. Ci si conosceva tutti e di tutti si sapeva tutto. Come si può immaginare, gli effetti delle sforbiciate a volte si esaurivano in una risata, a volte combinavano guai. Poi ci si mise di mezzo la nuova politica e allora gli sfregi in faccia abbondarono. La stampa locale ha un momento assai vivace e i duelli giornalistici, a colpi di fioretto e a sciabolate, tengono desto l'interesse della gente.
Il " Molise Herald " , il " Guardio " , il " Foglietto ", " Il Gufo " , " Sci-ta-bum "... nomi di fogli che volano nel cielo di una Campobasso mitica, se la si rievoca oggi ,dove, nel bene e nel male, si cercava di salvare un minimo di umanità. Anche se qualche volta... non ci si riusciva.
.........
....... Quella degli anni venti, che città ! Le popolane dei rioni periferici indossavano ancora il vecchio costume: zinalone, corpetto, scialle sulle spalle. Con la " spara " sulla testa per sorreggere la " tina " attingevano acqua alle fontane rionali, ma molte andavano, specie le più giovani, in piazza Municipio dove due belle fontanone di ferro gettavano acqua tutto il giorno. Le più giovani naturalmente, si recavano al centro con qualche grillo per la testa, così come avveniva del resto ovunque in quel tempo: le fontane galeotte. Nella zona dei Cappuccini altra fontana: la " Cacciapesce " ; idem nella piazzetta di Sant'Antonio, nei pressi di Porta Mancina e san Paolo. Ammiccamenti ed occhiate, poi , la sera, un diluvio di serenate sotto le finestre delle belle: tra i gerani sui davanzali apparivano per qualche attimo teste bionde, nere, rosse. Si cominciava così allora e spesso finiva a confetti confezionati in città , che , asseriva un talloncino publicitario, sono di tale dolcezza da far sfigurare lo zibibbo.
Naturalmente non mancavano altri modi per incontrarsi. Le ragazze della classe media puntavano sui veglioni e le varie feste dei circoli, perchè durante l'anno si ballava in cento occasioni e i "cotillon " erano obbligatori, insopprimibili.
La stampa locale si occupava talvolta di qualche problema femminile , ma in questi termini - e leggiamo un trafiletto apparso su " Il Vespro " nel 1922: " Una volta ci si preoccupava della grassezza, contro cui si sono tentati tutti i mezzi, dallo sport all'aceto. Oggi questa febbre é cessata del tutto. Avviene l'opposto. Non vado a ricercare le cause di questo fenomeno per non dilungarmi, ma so che molte oggi sono allarmate dalla magrezza: molte temono di essere chiamate " steccadenti " ecc . Epiteti che la cavalleria appiedata non risparmia alle fanciulle che hanno la colpa di essere magre. La cura: bisogna innanzi tutto consumar poco, quindi ridurre l'esercizio fisico del cammino a quanto basta per prender aria; dormire più che possibile, vivere tranquille, non far uso di eccitanti, nutrirsi di sostanze grasse, amidacee e zuccherine, e far largo uso di acqua".
L'eterno pendolarismo muliebre : grasse magre , magre grasse...
......
Una strusciata, due chiacchiere... una parolaccia, una strusciata...
una strizzata al panno intriso d'acqua, una parolaccia, una strusciata,
due chiacchiere, un accenno di canzone...E le ore danzavano sull'acqua
che ruscellava verso gli sbocchi del vecchio lavatoio portandosi
via il ranno e la saponata, biodegradabilissima questa , una dimenticata
antenata di certi detersivi degeneri di oggi.
La vita delle lavandaie per conto terzi, una vita dura. Fra esse una delle più possenti era Michelina, una sorta di Ercole in gonnella che sbiancava e strizzava panni più di una lavatrice dei nostri giorni. Un asinello sardagnolo che recalcitrava mentre tentavano di liberarlo dai due cestoni colmi di biancheria da lavare se la vide brutta: Michelina lo abbrancò sollevandolo e gettandolo nell'acqua con tutto il carico.
..... Il 10 giugno trovò la città presa dalle occupazioni
abituali. Si sapeva, tra il popolo minuto, che prima del '43,
almeno a quanto si era assicurato dall'alto un paio di anni prima,
di guerra non si sarebbe parlato e dunque certi segni premonitori
se pure lasciavano perplessi venivano però esorcizzati
nell'intimo, o magari ricorrendo ai ferri di cavallo - ce n'erano
ancora in una certa abbondanza data la funzione non del tutto
marginale dei cavalli nel settore del trasporto cose, vedi traìni
e carretti vari.
Dopo l'annuncio non ci furono molte dimostrazioni d'entusiasmo popolare: certo se ne discusse, e come, in privato, nei bar e negli altri ritrovi pubblici. D'altra parte una buona aliquota di giovani già si era staccata dalla comunità civica per indossare il grigio-verde o il caki; e dunque quella dichiarazione di guerra veniva a incidere profondamente nella pelle della gente. Una ennesima volta i sostenitori della tesi del " blitzkrieg ", della guerra lampo, emersero alla ribalta delle discussioni: avete visto che i tedeschi in Norvegia e sul fronte occidentale si sono mossi come razzi; che vuol dire tutto questo: che con un pò di giorni di sparatorie il gioco é fatto e la pace sarà riconquistata; non solo ; ma l'Italia siederà da vincitrice al tavolo delle trattative, con poca spesa. I più anziani mugugnavano: la guerra é guerra. Si sa come si comincia; non si sa come va a finire. Ma queste cose, ripetiamo, le mugugnavano. Estrometterle dalle labbra beh... meglio lasciar perdere, per via di certe orecchie sempre pronte a captare.
Questa volta, ambienti ufficiali a parte, non era il caso delle bandierine infilate nelle carte geografiche per seguire passo passo la conquista di città nemiche, come era avvenuto per l'Abissinia. Ben diverse le proporzioni del conflitto e nel tragico gioco oltre l'Africa recitava la sua parte l'Europa. Gli apparecchi radio casalinghi erano roventi, sempre in funzione ormai per i bollettini.
I sessantamila abbonati di dieci anni prima avavano ormai superato in notevole misura il milione - in tutto il paese s'intende - ; ed anche a Campobasso l'ormai vecchio invito propagandistico " una radio in ogni casa" aveva dato i suoi frutti . I quali , ovviamente , rientravano poi nelle chiacchierate degli " habitués " - ed erano tutti i cittadini - delle " code " dinanzi ai negozi. Il londinese colonnello Stevens, invece, veniva commentato a parte specie nei " tete à tete " che i pochi oppositori dichiarati del regime imbastivano qua e là nel chiuso di ambienti dove anche lo spiffero d'aria faticava ad entrare.
........
..... Nel '38 é la volta del rame. Nelle cucine di casa sopravvive ancora un retaggio della civiltà contadina: le pentole di rame. Appese al muro su appositi telai quelle pentole danno un singolare tono di colore ed in non pochi casi sono belle di per se stesse perchè confezionate da artigiani valenti che le hanno adornate con figurazioni eleganti. A quelle pentole le massaie tengono molto : provengono dalle cucine delle mamme e delle nonne. Quando giunge Pasqua, usando il limone le fanno lucidissime e del resto al limone si ricorre ogni volta che fa la sua apparizione il verderame.
Arriva il giorno della consegna e dopo il ferro e l'oro anche il rame si avvia verso le fonderie. Circola l'invettiva: ma quando andranno a farsi fondere anche loro?
La cessione del rame ha forse pesato più di quella dell'oro; le cucine ora sembrano vedovelle svestite e lo tagno e l'alluminio non possono essere considerati buoni surrogati, almeno dal punto di vista affettivo e visivo. Ma tant' é, a ben altro dovranno fare l'occhio le massaie.
E' il 21 dicembre 1941. Si raccoglie la lana dopo il ferro e l'oro. Nella foto, autorità in testa, ci si dirige verso il luogo stabilito per la raccolta.
......
Parte la palla delle elezioni per il Referendum e la Costituente:
elezioni dal corteo facile . Il dilemma repubblica - Monarchia
rimbalza ovunque , la gente si accalora nelle discussioni e si
spella le mani negli applausi. Chi l'avrebbe detto, con una città
moderata come Campobasso ! Si canta a mozzafiato, il volantinaggio
oscura il sole, la battaglia dei manifesti non ristà. E
si pone talmente mano ai pennelli per corroborare le rispettive
posizioni che la stessa stampa e gli amministratori insorgono.
" Il lavoratore " commenta, pepato, in rima: " Scrivendo evviva questo, abbasso quello, - ti hanno conciato bene col pennello. - Sono incivili certi partigiani ! - Non son realisti, nè repubblicani - quelli che van sporcando i monumenti, - ma sono del partito dei fetenti ".
Sempre in proposito ecco un curioso intervento de " Il Cittadino Repubblicano ",uscito proprio nel '46: "Il sindaco della città ha rivolto un appello al nostro partito e, riteniamo, anche agli altri partiti. Richiamandosi all'alto senso di civismo che é vanto della nostra città, raccomanda di evitare di imbrattare i muri e i monumenti. Noi diciamo di più: non evitare, impedire. Assunte le debite informazioni per la parte che riguarda il PRI assicuriamo che furono impartiti ordini precisi e tassativi: affiggere manifesti accanto a quelli dei nostri avversari, tracciare scritte inneggianti alla repubblica sul selciato delle strade escludendo le mura e, va da sè, i monumenti. Gli ordini furono rispettati. Aggiungiamo che i nostri amici "lavorano " con la calce le cui tracce, dopo le pioggerelle di questi giorni, sono del tutto sparite. Non così può dirsi dei nostri avversari che, sempre più ricchi di noi, dipinsero col bitume ".
Quella del bitume... scrittorio é storia vecchia anche dalle nostre parti, dove ancora oggi é possibile notare scritte inneggianti a remoti regimi. La battaglia elettorale impegna gli uomini ed in misura forse mai riscontrata prima le donne. La " Mosca " se ne meraviglia: " Noi che credevamo le donne della nostra terra pittosto aliene dalla politica, abbiamo dovuto ricrederci mercoledì sera al " Mario Pagano ". Se ci sanno fare ! ".
La città, alla fine, contribuisce al 64 virgola zero che l'Italia meridionale dà alla monarchia, ed in misura minore al 64 virgola 8, che soprattutto l'Italia settentrionale dà alla repubblica.
........
Ma la normalizzazione non é frutto facile a cogliersi; a Campobasso costa altro sangue. Il passaggio della guerra ha significato per la regione anche la semina delle mine: per anni la cronaca continuerà a dare notizia delle disgrazie causate dai residuati bellici e per anni gli sminatori saranno impegnati nell'opera di bonifica. A Campobasso é stato istituito per essi un corso. Il 21 giugno la tragedia. Ma lasciamo ancora la parola al cronista: " Nel pomeriggio assolato, ai pochi che si trovavano per le strade apparve la prima macchina con il suo carico di dolore, poi un'altra.... un'altra ancora e per lungo tempo continuarono a passare le macchine con i loro fardelli umani insanguinati. Dapprima non riuscimmo a renderci conto di quello che poteva essere accaduto; poi una voce cominciò a circolare e si diffuse con la rapidità di un baleno: era scoppiata la polveriera ove si trovavano gli allievi sminatori in attesa dell'esame finale dopo il loro corso di cercatori di mine. La città si ridestò di colpo dal pesante torpore pomeridiano e le strade si popolarono d'incanto di gente affannata che si muoveva in doppia direzione: verso il campo di tiro a segno ove era avvenuta l'esplosione e verso l'ospedale.....
All'ospedale cominciavano a giungere i primi parenti delle vittime, poveri popolani che avevano da poco salutato i loro cari dopo aver diviso lo scarso pane del desco; giovani spose con i bimbi al collo, mamme che sulle gote conservavano l'impronta dell'ultimo bacio di saluto del figlio sminatore, padri, fratelli. E dal volto di tutti traspariva il terrore; sulle labbra e negli occhi una sola domanda angosciosa: dov'é ? "
Il luttuoso bilancio si chiuse con 18 morti e 32 feriti.
......
..... L'anno 1947 é soprattutto importante per la ripresa
della festa delle feste campobassane : la Sagra dei Misteri , sospesa
da sette anni. "
I famosi Misteri - rileva il cronista - non passarono inosservati alla furia distruttrice teutonica . Ma le riparazioni sono state portate felicemente a termine dai bravissimi artigiani locali Terzano e Tucci. Si é provveduto inoltre ai costumi sgargianti che dovranno indossare coloro che faranno parte dei singoli misteri ".
Ed ecco, leggiamo il periodico " Molise Nuovo " che esce proprio nel '47, alcuni brani tratti dalla cronaca della festa: " Erano sette anni che più non si festeggiava il Corpus Domini ed ognuno era ansioso di rivedere la gran folla inondare il Corso e spostarsi la sera da piazza Prefettura a piazza Vittorio Emanuele e viceversa, al termine di ogni " pezzo ", per ascoltare l'altra musica. Si era ansiosi di rivedere le aiuole delle ville piene di gente stanca, venuta dalla provincia, che non trovava posto ai tavolini dei caffè; si era ansiosi di rivedere il corso illuminato a giorno ( come erano belli, prima, gli archi ! ) e le persone che non si ritiravano prima di mezzanotte.
E ques'anno, dopo tanto tempo e tante sciagure, tutto é tornato come prima . La provincia si é riversata nel capoluogo: Campobasso contava il giorno del Corpus Domini credo cinquantamila anime... La caratteristica di questa festa é stata la folla: folla al campo sportivo, folla in villa, folla ai Misteri,folla per il corso, folla intorno ai costumi, folla ai parchi di divertimento , folla alla processione, in chiesa, folla ai balconi... I deputati hanno sentito la musica, hanno passeggiato per il corso, sono andati dietro al Santissimo, hanno ascoltato la predica..... Fotografi, cinematografari, giornalisti, gelatieri, accattoni, quanti non se n'erano mai visti negli ultimi anni. La festa é durata cinque giorni, ma l'ultimo é stato quello indimenticabile. Quello della sfilata dei Misteri, naturalmente; alla quale però ... mancava Gennaro Latomorso. L'avevano ucciso i tedeschi, forse per via delle parole oscure che egli aveva pronunciato nel vederli ".
.....