"Fotografare" il Novecento
di Carlo Giovannella
Sorvolare a cavallo
della fotografia le distese immense della comunicazione con lo scopo di definire, in due
cartelle, l'immagine di un secolo che si sta chiudendo è impresa da far paura anche ai
più smaliziati "guru" nella nostra epoca. L'accelerazione tipica di questa fine
secolo, infatti, è tale da rendere obsolete analisi elaborate appena pochi mesi prima e
non è raro il caso di eminenti personaggi, come de Kerckhove, costretti con un ritmo
sempre crescente a cambiare opinione sulle proprie previsioni. Le difficoltà di analisi,
comunque, non derivano solo dal ritmo con cui avvengono i cambiamenti ma anche dalla loro
vastità quantitativa. Il rumore di fondo è enorme e non facile è il compito di operare
una selezione qualitativa per astrarre ciò che può essere ritenuto significativo
nell'ambito della "finestra temporale" associabile alla nostra memoria. Necessariamente tale selezione non potrà che essere parziale e non potrà che essere rappresentativa di quella "geodetica" che ognuno di noi si trova a percorrere nella porzione spazio-temporale che ha avuto casualmente la fortuna di attraversare. Ed ecco che come per incanto, i punti della geodetica si giustappongono sincronicamente e da un immagine latente prende corpo e si fissa la "fotografia" personale - in parte "sfuocata", in parte "lacunosa" - di un secolo ormai agli sgoccioli. La fotografia non è certo
espressione di questo secolo ma è grazie a lei che, in questo secolo, ci siamo abituati a
"leggere sincronicamente" la realtà. Con la sua diffusione l'informazione ha
cessato di raggiungerci in forma sequenziale, come in un libro, per apparirci in una forma
nuova, una forma che ha decretato il predominio della vista. Non che non esistessero i
dipinti o le stampe, ma tali media stanno alla fotografia come una produzione artigianale
sta alla corrispettiva produzione industriale.
Paradossalmente
sono proprio i suoi limiti ad averne rilanciato ed amplificato la
diffusione nell'era del digitale.
E
la macchina fotografica, luogo per eccellenza della scrittura luminosa? Sta perdendo
evidenza, come stanno perdendo evidenza le differenze tra media. Ormai poca è la
distinzione tra una cinepresa ed una camera fotografica: video, suoni ed immagini fisse
possono essere catturate dallo stesso apparecchio, possono essere integrate con testi.
L'era digitale - per intenderci quella della "bit-generation", quella degli 0 e
degli 1 - sta sottolineando prepotentemente l'universalità e l'unitarietà del segno e
l'intrinseca multimedialità del comunicare: in genere non ci si tappa le orecchie nel
vedere un immagine, non si coprono le immagini quando si ascolta una relazione ad un
convegno. Suono, immagini fisse ed in movimento, testi, tutto viene registrato sullo
stesso supporto utilizzando un solo codice di trasmissione. Pensare ancora che una
qualsiasi di queste forme espressive possa essere "settoriale" vuol dire
appartenere alla preistoria del comunicare. Certo non è facile per un cervello
strutturato abituarsi ai nuovi modi del comunicare, alle nuove interfacce. Queste non
trasmettono più informazione nella sola forma diacronica, come in un testo o in un brano
musicale, ma neppure si limitano all'informazione sincronica di una immagine fotografica,
nè a quella sincronico-diacronica di un video: chiedono molto di più, chiedono
l'interazione e la capacità di esplorare mondi tridimensionali ed ipertesti; di costruire
"il proprio libro", un nuovo modo di "leggere" e comunicare, non più
quello dei mass-media ma quello dei personal-media. Per entrare in questi nuovi territori
abbiamo tutti bisogno di tornare bambini, di recuperare la capacità di meravigliarsi, di
spogliarsi di ogni supponenza, di recuperare la "plasticità neuronale" tipica
di ogni giovane generazione.
Ma
qual è, se esiste, il ruolo specifico della fotografia nell'era del digitale?
Nel
terzo millennio, la fotografia potrà rappresentare un'ancora di salvezza per il
nostro "brain- frame", ma dovremo imparare, come facemmo sui banchi della scuola
per la scrittura sequenziale, i segreti della sua lettura, dovremo imparare a non farci
sommergere dal rumore di fondo che ci porta a guardare distrattamente le immagini, a non
lasciarci andare all'abitudine al media che ci fa presupporre una facilità di
realizzazione che non è mai stata e mai sarà, perchè ogni immagine nasce prima nel
cervello dell'autore, rappresenta la sua interfaccia per comunicare con il mondo.
Carlo Giovannella è ricercatore presso il Dipartimento di
Fisica e curatore MIFAV. |