Un orologio che fa le bizze

Il manifesto
di Anna Meldolesi

IL DNA MITOCONDRIALE è davvero un buon cronometro per registrare il trascorrere del tempo? Secondo gli evoluzionisti le sue lancette girano al ritmo di una mutazione ogni 6000-12.000 anni, ma per i biologi molecolari che si occupano di "impronte del Dna" nell’attività forense la velocità sembra essere fino a 20 volte maggiore.
A mettere d’accordo i dati relativi alle diverse scale temporali — o forse ad allontanarli sempre di più — ci provano ora tre lavori in via di pubblicazione, di cui l’ultimo numero di Science offre qualche anticipazione.
La posta in palio è alta e il dibattito scientifico si. preannuncia infuocato: alcuni tra i maggiori passi avanti nella ricostruzione delle nostre origini sono stati resi possibili proprio dall’utilizzo del Una mitocondriale per misurare i tempi degli eventi evolutivi. Basti pensare all’ipotesi di Eva nera, la donna africana vissuta tra 100.000 e 200.000 anni fa da cui tutti noi saremmo discendenti. Ma cosa rimane di queste date, se l’orologio con cui sono state misurate si mette a fare le bizze?
Il concetto di orologio molecolare risale alla fine degli anni ‘60, quando Vincent M. Sarich ha stabilito la data della divergenza evolutiva tra uomo e scimpanzé intorno a 5 milioni di anni fa,’ misurando le differenze nelle proteine del sangue delle due specie e confrontandole con una terza specie che funzionava da riferimento. Ma dagli anni ‘80 in poi lo sviluppo di nuovi potenti metodi di indagine molecolare ha consentito agli studiosi di analizzare direttamente il’ Una invece che i suoi prodotti di natura proteica, e in particolar modo il Dna mitocondriale.

Gli scettici replicano
I mitocondri sono gli organelli che riforniscono la cellula di energia e il loro Dna presenta vantaggi notevoli: non solo è più abbondante di quello nucleare, essendo presente in centinaia di copie per cellula, ma si eredita esclusivamente per via materna e consente perciò di non prendere in considerazione i fenomeni legati al mescolamento del patrimonio genetico dei due genitori. La premessa logica, ora oggetto di contesi azioni, è comunque La stessa: si assume che il nostro patrimonio genetico cambi con una velocità costante, in modo tale che la quantità di mutazioni accumulare da due organismi possa essere utilizzata come una misura del tempo trascorso a partire dall'ultimo antenato comune
Gli scettici dell’orologio molecolare ci sono sempre stati, ma negli ultimi due anni la loro offensiva si è fatta più pesante. Il primo round se lo sono aggiudicati dopo che nel 1996 è stato chiarito il giallo dei Romànov, fucilati da un plotone di esecuzione nel 1918. Per risolvere il mistero di due corpi che mancavano all’appello nella fossa comune è partito l’esame del Dna e le sorprese non sono mancate. Dapprima lo zar Nicola II si è rivelato portatore di due diverse versioni di Una mitocondriale, poi la stessa condizione — chiamata eteroplasmia — è stata scoperta anche nel Dna di suo fratello, il granduca di Russia Georgij Romanov.
Alla base di questa stranezza evidentemente c’era una mutazione nel Dna mitocondriale della madre, che aveva trasmesso ai figli sia la versione originaria che quella mutata. Chiuso il caso storico dei Romanov, in ambiente scientifico è immediatamente partita la caccia alle eteroplasmie. Thomas J Parsons, un genetista molecolare che lavora per le forze armate americane e ha contribuito all’identificazione dei resti dello zar, si è messo a studiare le famiglie dei soldati dispersi. Neil Howell dell'Università del Texas, invece, ha ricostruito l’albero genealogico di una famiglia australiana colpita da una neuropatia ottica ereditaria. Le conclusioni, pubblicate tra il ‘96 e il ‘97 rispettivamente su Nature Genetics e sull’American Journal of Human Genetics, sono state le medesime: la presenza di diverse versioni del Dna mitocondriale caratterizza il 10-20% degli individui, una incidenza inaspettatamente elevata che implica una frequenza di mutazione del nostro patrimonio genetico ben maggiore del previsto.

La giovanissima Eva
I
calcoli di Parsons indicano che il nostro Dna cambia alla velocità di i mutazione ogni 800 anni, ma secondo quanto ha annunciato al primo workshop internazionale sul Dna mitocondriale, tenutosi a Washington il 28 ottobre scorso, con ampliamento delle indagini il ritmo si sta rivelando ancora più serrato. Una bella sorpresa, visto che le lancette dell’orologio molecolare calibrato sulla divergenza evolutiva di uomo e scimpanzé, segna soltanto una mutazione ogni 6.000-12.000 anni.
Ricalibrare l’orologio molecolare sui nuovi dati significherebbe quindi far girare le sue lancette fino a20 volte più velocemente così da rivoluzionare l’intero calendario della nostra storia evolutiva: Eva nera verrebbe ad avere soltanto 6.000 anni, invece dei 200.000-100.000 che le vengono attribuiti. E l’espansione dell’uomo anatomicamente moderno in Europa sia sposterebbe ai tempi della diffusione dell’agricoltura, tra 10.000-20.000 anni fa, anziché 40.000 anni fa.
Gli evoluzionisti molecolari insomma, non potevano restare a guardare e si sono messi a sequenziare il Dna mitocondriale di famiglie di ascendenza nota a caccia di mutazioni. Mark Stoneking dell'Università della Pennsylvania ha lavorato su alcune famiglie dell’isola atlantica di Tristan da Cuhna, tutte discese da 5 donne fondatrici all’inizio del secolo. Mentre Ulf Gyllensten dell'Università di Uppsala in Svezia si è concentrato su 33 famiglie del suo paese. Preoccupati per la discrepanza dei risultati Parsons, Stoneking e Gyllensten hanno messo a confronto tutti i dati disponibili sull’eteroplasmia, arrivando a definire una velocità combinatoria di una mutazione ogni 1.200 anni, maggiore quindi di quella ufficialmente adottata, ma minore rispetto a quella trovata da Parsons e Howell. I loro lavori sono in via di pubblicazione, ma c’è da giurare che butteranno benzina sul fuoco della disputa scientifica: l’orologio molecolare è del tutto inaffidabile o va semplicemente ricalibrato? Le discrepanze dei risultati sono dovute a qualche variabile ancora sconosciuta o ad artefatti statistici, che scompariranno quando avremo maggiori dati a disposizione? O ancora, come sostiene Svante Pääbo dell'Università di Monaco — coautore insieme a Stoneking del lavoro che ha spodestato 1’uomo di Neandertal dalla nostra ascendenza confinandolo un ramo estinto — è tutta colpa della particolare regione di Dna studiata da Parsons e Howell?
I due scienziati si sarebbero concentrati su quelli che in gergo si chiamano «hot spot», vale a dire punti caldi dove gli eventi mutazionali sono più frequenti. Ma in queste regioni nel giro di qualche decina di migliaia di anni le mutazioni possono essere azzerate da retromutazioni che riportano la sequenza nucleotidica alla versione originaria. È per questo, secondo Pääbo, che nei brevi periodi le lancette dell’orologio molecolare sembrano girare più in fretta che nei lunghi periodi. Come dire che gli studiosi di eventi recenti devono adottare un passo più veloce (e infatti l’Fbi ha immediatamente messo a punto nuove linee guida per le indagini sui crimini e l’identificazione dei soldati dispersi), ma le lancette dell’orologio filogenetico possono continuare a girare senza fretta. Almeno sino al prossimo colpo di scena.