Schifano un umano non umano

Il Manifesto
di Giovanni Agosti

Mi ero ripromesso tante volte di scrivere un libro su Mario Schifano. Volevo raccontarne la vicenda sullo sfondo della storia italiana e mostrare, attraverso una scelta di opere giuste, che si tratta di uno dei più grandi artisti italiani del secolo. Sapevo che solo la morte avrebbe permesso di vederne la statura storica, liberata dagli impicci della cronaca (che riguardo a lui è stata un po' quella rosa e un po' quella nera): ma mi faceva piacere che la vicenda da ricostruire fosse aperta, ch ci potessero essere ancora dei nuovi, grandi, dipinti di Schifano. E invece non è più così.


I colori industriali
È un libro in cui i fatti della vita devono scorrere sullo sfondo, visto che la storia di Schifano regge in modo impressionante attraversando le opere giuste e gli snodi che contano. Ripercorsi a memoria, con davanti l'immagine della fine, sono su per giù questi.
Lasciando perdere i quadri informali che fanno parte della preistoria generazionale, ovvia per chi è nato nel 1934, la storia vera comincia a Roma con le carte intelate monocrome a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, tra la Dolce vita e i primi Fratelli d'Italia.Lì è fatta piazza pulita dei grumi dell'informale, con tutti i connessi tormenti esistenziali. Quei quadri rappresentano una novità che ha confronti solo con la prosa di Arbasino. La pittura è ridotta a uno schermo: attraverso varianti grandiose, a quell'idea lì rimarrà fedele fino in fondo, con i film, le tele emulsionate dalle immagini televisive o dal computer. Schifano, che ènato in Africa del Nord come Luca Ronconi, è figlio di un impiegato dello Stato, un restauratoredi antichità etrusche al lavoro a Villa Giulia; sta per diventare un piccolo puma in giro per legallerie di Roma e New York.
Come sono belli gli artisti giovani nella Roma di quegli armi; come è bello Schifano, come è bello Pascali. Fin da allora ha una predilezione per i colori industriali, vernici, smalti e nitro, come non si erano mai visti sulle tavolozze dei pittori italiani: ma non ci sono più tavolozze, ed un'ebbrezza festosa si avverte osservando immagini che scoprono colori nuovi, dal verde mela al rosa schocking, in grado di incantare anche i più vecchi, come succede in alcune Morti di Dio di Lucio Fontana. Non si sfugge nemmeno nei manuali al confronto con la Pop Art americana, che è di assoluta contemporaneità: ma nella scritta della Esso, blu e rossa, o della Coca Cola, rossa e bianca, le leggere colature di vernice introducono una vibrazione poetica assente tra Brillo, Marylin e Cmpbell's Soup. In quella fasa sorprende ritrovae da parte di un pittore che non ha ancora trent'anni degli omaggi a Giorgio De Chirico; non sono più che dei titoli, un rimando quasi concettuale, ma rivelano un'ammirazione, sentita e personale, per un artista sommoal momento del tutto fuori dai giochi e dal tempo. Schifano comincia a lavorare per cicli e per fasi su immagini che lo colpiscono; le rifà in mille salse, come è il caso del Futurismo rivisitato, a partire da una fotografia famosa di Marinetti e compagni a Parigi, e così l'unica avanguardia storica italiana si metteva a riparlare col presente: del resto Palazzeschiera ancora vivo e aveva parecchio da dire ai più giovani. In mezzo alle immagini ripetute ci sono i pezzi unici, tra cui brilla, nel 1965, Io sono infantile, uno dei grandi quadri del secolo: è l'immagine di un bambino che scende le scale con un orso di pezza in mano sotto un velo incantato di perspex giallo. Quanti animali nell'arte di quegli anni; che dialoghi tral'orso di Schifano e i delfini o i dinosauri di Pascali. Non manca tanto alla serie dei Compagni Compagni, testimonianza di una forte passione politica, subito prima del 1968. Sono sagome di operai che tengono in mano delle chiavi inglesi o dei cartelli; si dice che un complesso di tele così, tutto rosso, foderasse, come una boiserie di Fragonard, le pareti della sala da pranzo di una casa romana del presidente della Fiat. Saranno stati come i teleri di Ceruti con i mendicanti e le lavandaie nei palazzi dei nobili bresciani del Settecento?


Dritto a Van Gogh
A quell'altezza cronologica scatta in Schifano una crisi espressiva, con un abbandono della pittura, che deve essere messo in parallelo con il suppergiù contemporaneo ritiro di Carmelo Bene dal teatro: entrambi per qualche anno si dedicano al cinema con grandi risultati. Tra i film di Schifano, che ad un certo punto rischiò persino una superproduzione Ponti-Loren, c'è Umano non umano, con la sequenza indimenticabile di Sandro Penna che si lamenta, parla di Elsa Morante e legge le sue poesie tra il disordine della propria casa. Fa impressione sfogliare il catalogo dell'unica grande mostra pubblica di Schifano, quella del 1974 a Parma, dove il percorso di un pittore che compie allora quarant'anni ha già un arco di sviluppo e uno spessore consegnati alla storia; e fa piacere pensare che sia stata organizzata da un'università.
Per ragioni di anagrafe, il contatto diretto con Schifano della mia generazione, di quelli cioéche hanno passato la metà dei trent'anni, risale ad una fase successiva, quando al principio degli anni ottanta lui si rimette a dipingere. Per un certo periodo ho inseguito le mostre di Schifano in posti improbabili, perché il suo mercato era, ed è, diffuso e mediocre. Corse ad Alessandria o Valenza Po per vedere quadri bellissimi, che mostravano con chiarezza tutti i limiti e gli equivoci della contemporanea Transavanguardia. Ritornavano fuori, completamente inaspettate, dopo anni di televisioni e di perspex e di anemie e di quarantene, le Ninfee di Monet: come a dare ragione, fuori tempo,alle profezie di Francesco Arcangeli.
Impressinavano le immagini e i colori: la materia era diventata ricchissima e insolente: puntava dritto a Van Gogh. C'erano le palme sotto i cieli di stelle, gli orti botanici, i campi di grano, le sagome dei biplani ma anche quelle dei lucernari genovesi di Franco Albini (perché tutto il giusto deve tenersi). Di quella splendida fase, (durata per qualche anno, mi restano in mente i quadri che gli ho visto dipingere aRoma o a Modena: opere destinate a un mercato, magari sommerso e lontano, forse finite in Indonesia o in Giappone. Di certo non ho mai visto riprodotti in libri e cataloghi i deserti con le statue di Leptis Magna che emergono dalla sabbia vera, viste dal basso, o i golfi di mare visti dall'alto di una rupe con le barche a vela rosse che sfrecciano in un angolo della tela blu. Una volta l'immagine è osservata con gli occhi di un bambmo, l'altra è avvistata da una sonda spaziale. Quadri così sono talmente pieni di colori che persino le cornici sono completamente dipinte. Non molti anni dopo, nel 1988, se non ricordo male, venivano le scene perla Norma di Federico Tiezzi al Petruzzelli, con la luna bianca che si accosta alla crosta verde della terra in un immenso cielo notturno.
Schifano è capace fino in fondo di creare o scegliere immagini folgoranti; non ne mancano anchetra le Pagine del 1996, le tele preparate al computer. Nonostante l'età anagrafica, di fronte a un furore creativo così non si può non ricordare quello di Fassbinder, nella certezza che la prospettiva storica che confina l'importanza di Schifano solo ai quadri degli anni sessanta è per noi radicalmente sbagliata.