La
pubblicazione in Francia del Libro nero del comunismo e le polemiche che ha
suscitato, in particolare tra alcuni dei suoi autori e il direttore della pubblicazione,
Stéphane Courtouis, attirano di nuovo l'attenzione non solo sull'entità delle
persecuzioni e dei massacri di cui si sono resi responsabili i regimi comunisti, ma anche
e soprattutto sull'atteggiamento degli intellettuali nei confronti di questi regimi, in
particolare nei Paesi in cui era rispettata la libertà di espressione e soprattutto in
Francia, Italia e Gran Bretagna. Perché gli intellettuali sono stati così spesso
affascinati dal comunismo e manipolati dai regimi autoritari o totalitari ? Perché hanno
così costantemente insistito sulla necessità di stabilire un'opposizione assoluta tra
nazismo e comunismo, al punto di rifiutare l'uso del concetto di totalitarismo, quale era
stato elaborato da Hannah Arendt ? François Furet, nel suo libro sul comunismo si recente
pubblicazione, ha chiaramente dimostrato come gli intellettuali francesi si erano votati
all'idea dell'antifascismo per impedire qualsiasi associazione tra la lotta al nazismo o
al fascismo e la critica dei regimi comunisti. Ritroviamo qui - e François Furet vi fa
esplicito riferimento - il dibattito di alcuni storici tedeschi, in particolare Nolte, con
avversari come Habermas. Anche in questo caso si trattava soprattutto disottolineare la
specificità dei regimi comunisti, il che rendeva difficile, se non impossibile, l'uso
dell'idea di totalitarismo.
Tuttavia, a posteriori, sembra relativamente facile separare ciò che accomuna i diversi
regimi totalitari da ciò che li differenzia. In comune hanno il fatto di definire il loro
avversario come un nemico, contro il quale impegnano una battaglia senza esclusione di
colpi e senza quartiere, che si tratti di distruggere il nemico di classe, una razza
inferiore o i nemici etnici o nazionali; tutti i regimi totalitari hanno voluto estirpare
questo nemico radicale e quindi creare un insieme politico socialmente ideologicamente o
etnicamente omogeneo. In compenso, ciò che varia da una situazione all'altra è la
capacità dei movimenti sociali o politici di definire e combattere gli avversari sociali,
nazionali o culturali. Nessuno può affermare che il "movimento comunista" e il
"movimento nazionalsocialista" abbiano avuto la stessa natura, si siano basati
sulla stessa rappresentazione dell'uomo e della società. Ma è altrettanto impossibile
non riconoscere la presenza, in situazioni e movimenti molto diversi tra loro, degli
stessi meccanismi totalitari che si possono osservare tutt'oggi in altre regioni del
mondo, come per esempio nei regimi propriamente islamici o nei nazionalismi estremi.
Differenze sociali e ideologiche sono state regolarmente superate e ricomposte nella
prospettiva di un comune sviluppo totalitario.
Se gli intellettuali comunisti si sono
rifiutati così a lungo di guardare in faccia la realtà, è perché la loro ideologia
impediva loro appunto di separare i fatti sociali da quelli politici, come se la politica
esprimesse unicamente gli interessi sociali, come se la difesa della libertà e la difesa
dell'uguaglianza sociale fossero la stesa cosa. Questo accecamento è particolarmente
diffuso in Francia, paese abituato a identificare il sociale con il politico, e persino a
subordinare il primo al secondo. Secondo il giacobinismo francese, o lo spirito
repubblicano tale quale è concepito in questo paese, il dominio dello Stato sugli
interessi privati è una condizione necessaria per la realizzazione dell'uguaglianza
sociale, mentre le relazioni propriamente sociali si basano sulla disuguaglianza.
La Francia, come altri paesi, è stata costantemente divisa tra due interpretazioni
opposte dell'idea aristotelica della superiorità del politico sul sociale. Per gli uni,
l'ordine politico, giuridico ed educativo deve imporre limiti assoluti, filosofici, etici
o religiosi a tutte le forme di dominazione sociale; per gli altri, invece, questo dominio
distrugge la capacità dei dominati e degli sfruttati di conquistare la libertà, ed è
allo Stato che spetta il compito di liberare il popolo, vale a dire che lo Stato è
l'unico soggetto che può trasformare i proletari in lavoratori liberi e in cittadini. Il
che conduce direttamente all'idea di dittatura del proletariato e, più in generale, a
quella di un partito-Stato che, al contempo, rappresenta i lavoratori e conferisce poteri
assoluti allo Stato, il quale deve spezzare le catene del popolo, combattere gli avversari
interni ed esterni e creare una società egualitaria oltre che omogenea e pura. Questo è
il cammino più breve che ha portato dal movimento operaio al potere comunista, che
seminò le sue prime vittime in Russia tra i dirigenti dell'opposizione operaia e che ben
presto subordinò i sindacati all'apparato del proprio partito e dello Stato eliminando
contemporaneamente tutte le libertà. Eppure, questa deviazione avrebbe potuto essere
facilmente evitata in Francia, paese dove la conquista delle libertà politiche avvenne in
tempi lontani (1789) e che poetva quindi facilmente separare l'azione sindacale dai
partiti politici, come propose Griffulhes, il principale promotore della Carta di Amiens,
adottata dalla Cgt nel 1906, quando era diretta da quelli che sono stati poi chiamati
sindacalisti rivoluzionari.
Questa tendenza restò tuttavia decisamente minoritaria e a, partire dal 1910, il
sindacalismo della Cgt di sottomise alla direzione del Partito socialista. Dopo il 1920,
la costituzione della Cgtu avvenne all'insegna di una sottomissione ancora più marcata
alla direzione comunista, tanto era forte nella cultura politica francese l'idea
rivoluzionaria, vale a dire l'identificazione della libertà sociale con la presa di
potere dello Stato con la forza. In questo scenario, l'ascesa del nazismo rafforzò questo
vincolo di subordinazione dell'azione sociale all'azione politica e suscitò una vivace
reazione degli inetllettuali antifascisti ai disordini sanguinosi provocati dall'estrema
destra in Francia il 6 febbraio 1934. Movimento politico e sociale al contempo, che si
identificò in seguito con il Fronte popolare e che coniugò prima e durante la guerra,
l'immagine di una Russia sovietica popolare e democratica alla sua opposizione al potere
nazista.
Quando, nel dopoguerra, in tutta Europa
e quasi nel mondo intero, sorsero dei progetti integrati di sviluppo nazionale, al
contempo economici, sociali e nazionali, lo Stato apparve l'unica possibile forza
direttiva della ricostruzione e della modernizzazione. Ma, anche in questo caso, era
possibile una biforcazione. Si poteva dare di questa formula un'integrazione
socialdemocratica, alla svedese. In Francia, invece, molti intellettuali reagirono in modo
paradossale, associando il rifiuto del tipo di società imposto dalla guerra fredda a un
protratto attaccamento al Partito comunista. Ciò che portò J. P. Sartre, nel momento
stesso in cui l'Urss veniva a conoscenza del rapporto Kruscev, a proclamare che
l'orizzonte del marxismo era invalicabile e ad avvicinarsi ai trotzkisti e ai maoisti
ultraleninisti allontanandosi da quello che considerava il tradimento della
socialdemocrazia legata agli Stati Uniti nella guerra fredda che opponeva il capitalismo
al socialismo. L'Italia, in modo piuttosto diverso, diede all'antifascismo un contenuto
più sociale che politico, in particolare a causa della diffidenza nei confronti dello
Stato che si sviluppò in Italia, come in Germania, a seguito dell'esperienza totalitaria.
Venne così a delinearsi in Italia una convergenza tra intellettuali, sindacati e politici
che diede al Pci l'aspetto di un partito nazional-popolare e democratico, mentre il Pcf
restava operaistico, propriamente staliniano e imponeva agli intellettuali membri del
partito o ai compagni di strada una completa sottomissione. Questa storia, così lunga ma
qui rispresa per sommi capi, spiega le strane reazioni che hanno accolto la pubblicazione
del libro di Stéphane Courtois. Più che di reazioni alle decine di milioni di morti e di
prigioneri caduti sotto i regimi comunisti di Urss, Cina, Cambogia o di altri paesi, si è
trattato di reazioni alla messa in discussione del movimento e dell'ideologia comunista,
come se fosse ancora possibile, a quasi cinquant'anni dalla morte di Stalin, identificare
il potere comunista con il movimento operaio, espressione che in Francia, generalmente,
non designa il sindacalismo bensì dei partiti politici. L'unica idea in grado di
combattere efficacemente questa rappresentazione di tipo giacobino e leninista è quella
del movimento sociale. È per questo motivo che è stata così a lungo e violentemente
contrastata dagli intellettuali a quello che chiamavano il movimento comunista, e quindi
il loro accanito rifiuto - che perdura tuttora - di accettare il concetto di
totalitarismo, spiegano quello che è stato talvolta chiamato il silenzio degli
intellettuali e soprattutto di quelli che avevano associato la loro influenza al trionfo
dello Stato - autoritario o meno - sulle forze economiche.

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