L a biologia e l'unificazione della scienza

di Barbara Continenza

"Biologia" è neologismo introdotto all'inizio dell'Ottocento per designare un nuovo approccio allo "studio della vita". Dietro la trasparenza etimologica, si manifesta però immediatamente l'effettiva complessità di ciò che si cerca di definire. La vita, o forse meglio i viventi, come con maggior circospezione preferiscono esprimersi i biologi attuali, mal si sottopongono al giogo delle definizioni, delle categorizzazioni, degli schematismi. Eppure, il biologico, il regno della diversità, solo da poco ha forzato le catene delle tassonomie nei cui schemi essenzialistici era rimasto imbrigliato per secoli. La storia naturale, così si chiamò lo studio del vivente prima di trasformarsi in biologia, fu in realtà semplice elenco, lista, schema logico costruito e imposto sulla natura vivente a partire dai criteri più estrinseci e, a volte, anche fantasiosi: uso farmacologico delle piante, presenza degli animali negli stemmi araldici, ordinamento alfabetico, commestibilità, e altro ancora. E allorquando i classificatori si impegnarono in uno sforzo di oggettivizzazione che riflettesse non il consuetidinario e antropocentrico uso della natura da parte dell'uomo, ma piuttosto il suo reale ordinamento, si trovarono schierati su fronti più o meno insanabilmente contrapposti. Il vivente è restato a lungo opaco. Tanto più inesauribilmente ricco, vario, differenziato sul piano del visibile, quanto più resistente ad assoggettarsi a criteri univoci e espliciti di categorizzazione. Metodisti e Sistematici, essenzialisti e nominalisti, entrambi rivendicando a sé naturalezza e non arbitrarietà degli edifici classificatori che andavano costruendo, non riuscirono a gestire la diversità del vivente e, soprattutto, non provarono neanche a spiegarla.

Perché questo accadesse la scienza naturale avrebbe dovuto uscire dalla sua fase esclusivamente descrittiva e diventare, appunto, biologia, cioè scienza esplicativa ma autonoma nell'oggetto, nei principi e nei metodi da quella scienza che, con lo studio sperimentale e la matematizzazione era andata sempre più imponendosi come "la" scienza fino ad appropriarsi, restringendone il significato, del termine generale di fisica, etimologicamente "scienza della natura". Ancora per tutto il Settecento, come ha notato Jacob, per caratterizzare le forze che animano gli esseri organizzati si ricorreva al movimento che si produce continuamente nei solidi e nei liquidi. L'inesistenza dell'idea stessa di vita è ben testimoniata dall' Encyclopédie che, lapallissianamente, definisce la vita come "l'opposto della morte". Con l'Ottocento, invece, comincia ad affermarsi il bisogno di individuare con precisione le proprietà del vivente. Solo con l'affermarsi dell'evoluzionismo - non a caso "rivoluzione" darwiniana - pur nella piena consapevolezza che il vivente sia anche esso soggetto alle leggi universali della fisica, sembrerebbe cominciare a imporsi un nuovo modo di guardare al vivente capace di affrancarsi dalla tradizionale disputa tra meccanicismo e vitalismo e dai relativi dogmatismi. Né campo d'azione di forze inesplicabili, né terreno di selvaggia riduzione alle sue componenti fisico-chimiche, il vivente emerge come mondo distinto e in una qualche misura contrapposto al mondo delle cose inanimate e distinti e in una qualche misura contrapposti si configurano anche gli ambiti disciplinari pertinenti. Da una parte la fisica, la scienza "esatta", con la teorizzazione della regolarità, della ripetitività, dell'invarianza, con la matematizzazione dei fenomeni, con le sue leggi universali e la simmetria tra spiegazione e previsione. "Un fiocco di neve oggi è identico al primo fiocco di neve caduto" (D'Arcy Thompson). Dall'altra, la biologia protesa a spiegare un mondo molteplice e straordinariamente vario, fatto "di entità separate e fortemente individualizzate, dotate di attività spontanea, nelle forme più diverse, imprevedibili" (Ageno 1994). Da allora in poi- e ancor oggi - due descrizioni si fronteggiano e, in una qualche misura, si oppongono: la legalità della fisica e la storicità della biologia. Una "frattura logica" scrive Ageno, sembra separare le due scienze; una sorta di "terra di nessuno" che disinvoltamente ci siamo abituati ad ignorare.

Ma l'autonomia della biologia, il suo statuto di scientificità, la sua separatezza sono effettivamente un dato acquisito e indiscusso? La specificità epistemologica della biologia è davvero considerata oggi, da tutti i biologi, un tratto distintivo accertato e accettato e non piuttosto il sintomo di una sua debolezza, della sua estraneità o comunque distanza dalle scienze hard? L'emancipazione della biologia sembra, in realtà, un processo tutt'altro che concluso e il cui lento avanzare incontra ostacoli che non provengono dall'esterno bensì dalla biologia stessa e da quella "arrogante sicurezza del meccanicismo riduzionista" (Ageno 1986) che ben si impersonifica, per esempio, nel biologo molecolare Francis Crick (1966) e nella sua categorica certezza che "scopo ultimo" della moderna biologia sia proprio quello di spiegare tutta la biologia con la fisica e la chimica. Non è affatto sguarnito il fronte di coloro secondo i quali, per dirla con le parole del filosofo della scienza Alexander Rosemberg (1985), considerare la teoria evoluzionistica come qualcosa di radicalmente diverso dalle teorie fisiche sarebbe solo il sintomo di un "prematuro pessimismo" sui limiti della nostra capacità di comprendere e spiegare i fenomeni evolutivi.

Niente affatto infondata appare allora l'immagine, suggerita da Ageno, di una biologia dalla personalità schizofrenica, una disciplina scissa al suo interno, come anche Ernst Mayr ha teorizzato, tra una biologia funzionale e una biologia evoluzionistica, l'una manifestamente affine e comunque confinante e protesa verso la fisica e la chimica, l'altra attratta dal fluire del tempo nella dimensione dell'individualità, dell'unicità, della continuità spazio-temporale, in una parola della storicità.

Sul versante della prima, basti pensare al ruolo e alle acquisizioni, nel nostro secolo, della genetica prima e della biologia molecolare successivamente. Data fatidica e emblematica il 1901: la riscoperta delle leggi di Mendel. Da allora in poi gli incalzanti e grandiosi progressi della genetica: la scoperta dei geni, la loro interpretazione come unità di informazione, la decifrazione del DNA, l'evoluzione come variazione di frequenze geniche, il calcolo dei tassi di mutazione e selezione nelle popolazioni, la vita come complesso ingranaggio di circuiti di regolazione e di interazioni biochimiche sotto il controllo del patrimonio ereditario. E poi, ancora, i seducendi progetti dell'oggi: il Programma Genoma Umano, l'ingegneria genetica, la clonazione, le biotecnologie.

Scienza "qualitativa", invece, la seconda, che privilegia l'unicità degli individui, la causalità polimodale, la struttura gerarchica, l'emergenza imprevedibile del nuovo nel corso del processo storico. La biologia evoluzionistica rivendica ancor oggi la sua autonomia dai canoni imperanti costruiti sul modello delle scienze cosiddette esatte e si candida come modello di una nuova scientificità capace, attraverso la narrazione storica, di offrire una reale alternativa esplicativa al modello normativo imposto dalla fisica.

Essa getta così un ponte verso le scienze sociali e le scienze umane da sempre terreno di dibattito e di conflitto sulla conoscenza dell'individuale che, nelle scienze della vita trova la sua sede elettiva per dilatare la tensione tra l'aspirazione a una conoscenza caratterizzata dall'universalità, la ripetibilità, e la prevedibilità e l'esigenza opposta di privilegiare la sostanziale diversità dei fenomeni vitali rispetto a quelli della materia inerte. Il problema della conoscenza dell'individuale diviene così elemento primario di un più ampio dibattito che, dall'interno della biologia e in nome della sua autonomia, conduce alla richiesta di un ampliamento dei canoni stessi di scientificità investendo la ricerca di un nuovo fondamento per l'unificazione della scienza e impegnando a ridiscutere la natura stessa della spiegazione scientifica e delle teorie scientifiche, il significato delle leggi nella scienza in generale e in particolare in biologia, il ruolo della previsione, il valore esplicativo delle narrazioni storiche, in generale la tradizionale distinzione tra scienze esatte e scienze storiche e umane. D'altra parte il dibattito sul rapporto tra descrizione, spiegazione e narrazione è tutt'altro che inedito dal momento che la filosofia delle scienze umane ha da sempre sofferto del tipo di crisi oggi presente nella riflessione epistemologica sulle scienze naturali. Fin dagli anni '50 il dibattito sulla narrazione storica ha rappresentato, infatti, una delle tematiche più stimolanti nell'ambito della filosofia analitica della storia, e proprio in reazione ai tentativi dei filosofi della scienza di portare la storia sotto l'ombrello filosofico delle scienze fisiche.

Restia, almeno in parte, a sottomettersi al giogo del modello standard, la biologia non sembra d'altra parte avere per ora fornito alternative realmente diverse da quelle dell'attribuzione della imprevedibilità storica alla complessità dei fattori in gioco realizzando, su questo terreno, una sorta di convergenza d'intenti e di prospettive con una fisica ormai anch'essa inesorabilmente coinvolta con i problemi della complessità, dell'irreversibilità, dell'imprevedibilità. E' proprio questa attenzione ai sistemi non lineari, ai fenomeni dell'instabilità dinamica, ai problemi della sensibilità alle condizioni iniziali, della sostanziale impevedibilità dello stato del sistema e, in sostanza della non coincidenza tra determinismo e previsione, ad aver suggerito al fisico Marcello Cini (1986) la provocatoria domanda "E' possibile una fisica darwiniana?". E' possibile che si stia verificando una sorta di capovolgimento epistemologico in cui sarà la biologia a diventare modello di scientificità nei confronti di una fisica a sua volta impegnata a ridiscutere dal suo interno i canoni classici? (Cini 1994).

Si è sostenuto che sia toccato alla biologia, attraverso Darwin e la teoria dell'evoluzione disilludere, ancora una volta dopo la rivoluzione copernicana, l'uomo circa le sue pretese antropocentriche. Inserendolo nell'economia della natura, essa ne ha fatto un suo oggetto di studio e si è assunta l'onere di questa scelta forzando la tradizionale concezione di scienza naturale fino a farla rifluire nella storia.

Bibliografia

Ageno M., Che cos'è la vita?, Leonardo, Roma, 1994.
Ageno M., Le radici della biologia, Feltrinelli, Milano, 1986.
Cini M., "E' possibile una fisica darwiniana?", SE, Scienza/Esperienza, 1986, pp. 25-27.
Cini M., Il paradiso perduto, Feltrinelli, Milano, 1994.
Crick F., Uomini e molecole, Zanichelli, Bologna, 1970.
Jacob F. , La logica del vivente, Torino, Eiunaudi, 1970.
Mayr E., Toward a new phisosophy of biology, Cambridge (Mass.) and London, 1988.
Rosenberg A., The structute of biological science, Cambridge, University Press, 1985.



Barbara Continenza è ricercatrice presso il  Dipartimento di Ricerche Filosofiche.