Dreyfus: la macchina del sospetto

Il Manifesto
di Stefano Prosperi

Il 13 gennaio di 100 anni fa, era il 1898, veniva pubblicato sull’Aurore, battagliero giornale d’ispirazione socialista, una lettera aperta al Presidente della Repubblica francese destinata alle più veementi polemiche. Si intitolava provocatoriamente J’accuse ed era la violenta denuncia di Emile Zola della ingiusta condanna per spionaggio subita quattro anni prima dal Capitano Alfred Dreyfus e indirettamente una requisitoria contro gli ambienti militari e governativi intrisi di propositi bellicisti e liberticidi. L’ufficiale, arrestato il 31 Ottobre 1894 e deportato all’Isola del diavolo, era stato processato su semplici prove indiziarie rivelatesi false e, nonostante la mobilitazione dei democratici e degli intellettuali francesi, dovette attendere dodici anni prima di essere riconosciuto innocente ed essere riabilitato.

Tra i tanti anniversari, spesso fatui che siamo continuamente chiamati a celebrare, voglio ricordare quell’invettiva oggi dimenticata e le circostanze emblematiche di quella vicenda. Quell’articolo, costato al suo autore una condanna per diffamazione a cui si sottrasse con una precipitosa fuga in Inghilterra, segnò la discesa in campo della cultura e degli ambienti demacratici per una revisione del processo e divise drammaticamente la Francia in colpevolisti e innocentisti mettendo a nudo le tensioni sociali e politiche che percorrevano quel paese in modo non dissimile dal resto d’Europa e che in pochi anni avrebbe precipitato il continente europeo nella prima tragica guerra moderna.

Nella divisione tra dreyfussardi e antidrefuyssardi si coagularono tutte le tensioni che erano esplose nel paese dopo la grave sconfitta subita nel 1870 ad opera della Prussia e dopo la tragica esperienza della Comune e il suo corollario di persecuzioni che avevano lasciato la Francia stremata e inebetita, oscillante tra propositi di rivalsa antiprussiani e la ricerca di nemici interni a cui addossare la responsabilità dell’umiliazione nazionale e della rovina economica. L’intera vicenda si intrecciò con la ripresa in Francia dell’ antisemitismo che nel ventennio precedente si era attenuato. E, almeno all’inizio, furono proprio quelli che biasimavano l’ingiusto ordine sociale, anarchici e socialisti come Fourier, Proudhon e Pierre Leroux, a riversare il risentimento popolare sugli ebrei, identificati con la trionfante borghesia. Dopo il crack dell’istituto di credito cattolico Union Générale, attribuito alle speculazioni di finanzieri ebrei come i Rothscild, si diffuse la convinzione che gli ebrei in generale fossero i responsabili della crisi economica; questo pregiudizio si rafforzò ulteriormente con il fallimento della Compagnia del Canale di Panama in cui rimasero coinvolti due uomini d’affari ebrei, il barone de Reinach e Cornelius Herz. A diffondere l’odioso pregiudizio contribuirono personaggi come Edouard Drumont, un oscuro pubblicista cattolico, che dopo aver pubblicato con successo 2 volumi dal titolo la France juive (1886), sfruttò il fallimento della Compagnia per pubblicare La libre Parole, un quotidiano antisemita che raggiunse rapidamente le 200.000 copie. Senza dubbio la nascita dei giornali contribuì alla diffusione dell’odio antiebraico in forme inedite considerando che la maggioranza dei quotidiani popolari era dichiaratamente antisemita. Nacquero così vari movimenti antiebraici che se raccoglievano 1’eredità populista e autoritaria di George Boulanger, contemporaneamente si definivano socialisti per la loro predicazione contro il capitalismo cosmopolita.

Che cosa rese tanto popolare allora la propaganda antisemita? Prima di tutto la piccola borghe sia esprimeva per suo tramite il rifiuto delle ingiustizie sociali che sembravano costituire l’essenza della modernizzazione; la rivolta antisemita auspicata da Drumont doveva coincidere con la rivolta degli emarginati contro i ricchi, un socialismo che si rivolgeva non più al proletariato ma ad ogni francese che trovava più semplice proclamarsi vittima del giudei venuti da fuori. Questo spiega perché la sinistra imboccò inizialmente questa scorciatoia; nello schierarsi contro le ingiustizie sociali anche il grande leader socialista Jean Jures, prima di diventare un acceso sostenitore di Dreyfus, accettò a volte la semplificazione che ebreo significasse borghese e profittatore.

Il secondo motivo sta nella ripresa del cattolicesimo popolare in tutto il paese. Uno dei giornali più "moderni" e diffusi, "La Croix", organo della Confraternita Assunzionista, diffondeva un antisemitismo fanatico ed elementare; in esso si leggeva che gli ebrei erano i responsabili del socialismo, del materialismo, dell’anticlericalismo e di tutte le difficoltà e contraddizioni della società moderna, unite nella distruzione della Francia e del cristianesimo in generale. Infine l’antisemitismo intrecciato col nazionalismo si identificò col sentimento patriottico che, non solo in Francia, si andava diffondendo negli anni che precedettero la Grande Guerra. Non va dimenticato che dopo la sconfitta nella guerra franco-prussiana, Alsazia e Lorena furono cedute alla Prussia mentre gran parte della loro popolazione ebraica scelse la Francia provocando un incomprensibile risentimento e sospetti di collusione con la Prussia.

L'avanguardia divisa
Se dal 1870 agli anni ‘90 l’antisemitismo si era ridimensionato, con 1’affare Dreyfus raggiunse livelli impensabili per poi tornare nei confini per così dire fisiologici dopo la definitiva riabilitazione del capitano Dreyfus. Ma se in Francia l’ideologia antiebraica ebbe quell’improvvisa impennata anche vero che tali pregiudizi erano diffusi e radicati più o meno in profondità anche in altri paesi europei costituendo il terreno di coltura di quella "questione ebraica" da cui partirono le persecuzioni successive e il nazismo. La vicenda Dreyfus ebbe però altre conseguenze: una barriera sottile ma tenacissima divise, in quegli anni i circoli intellettuali e 1’avanguardia artistica parigina.

Già nel 1898 il processo aveva favorito una intensa produzione iconografica; quei gruppi artistici che andavano da Steinlen a Willette, da Caran d’Ache a Vallotton, da Degas a Pissarro e Toulouse-Lautrec erano legati da convinzioni artistiche e da sentimenti anticonformisti e soprattutto dalla simpatia per il diseredato e l’escluso. Ma era il comune disprezzo per i valori borghesi, celebrati orgogliosamente nella Francia della Terza Repubblica, a costituire il tratto comune di quella avanguardia artistica ed intellettuale. Eppure il diverso giudizio dato durante i dodici anni del caso Dreyfus divise quegli ambienti influenzandone (vitalmente) la produzione artistica, determinando individuali percorsi verso la verità ma in alcuni casi, come fu per Degas che ruppe i rapporti con amici ebrei e con Pissarro rimanendo ferocemente antidreyfussardo anche contro l’evidenza della riabilitazione, portò al vuoto dei valori e al solipsismo.

Le accuse lanciate da Zola ebbero l’effetto immediato di imporre una presa di posizione soprattutto a quegli ambienti culturali fino a quel momento tiepidi; già il 18 Gennaio gli intellettuali firmavano un appello in difesa di Dreyfus contribuendo alla mobilitazione di tutti quegli strati che si andavano spostando su posizioni innocentiste. Ma a fianco dei molti intellettuali dreyfussardi altri come Cézanne, Rodin, Renoir e Degas furono in misura diversa antisemiti e contro Dreyfus; valgano per tutte le affermazioni di Renoir, irritato dalla vicinanza dei dipinti di Pissarro: "esporre vicino all'ebreo Pissarro significa schierarsi con la rivoluzione" o quelle di Degas per spiegare il mutato favore nei confronti delle opere di Pissarro disse: "E, vero, ho in passato lodato i quadri di Pissarro ma ciò avveniva prima dell'affare Dreyfus".

Da quegli anni in poi si determinò in Francia una situazione politica nuova che influenzò più di una generazione di francesi, favorendo una completa ricollocazione dei precedenti schieramenti politici. Alcuni sostengono che la Repubblica ne uscì raffozata, lo sostenne anche Benedetto Croce nella sua Storia d'Europa quando scrisse: "Liberato Dreyfus... il conato reazionario fu fiaccato, e gli ordini liberali uscirono dalla lotta non solo intatti ma rinvigoriti e battaglieri", anche se sarebbe più giusto dire che, insieme ai partiti politici, si generarono nel paese valori e principi che furono riferimenti determinanti per una idea moderna di convivenza civile. Scomponendo le precedenti convergenze gli uomiui di cultura ebbero da allora un ruolo nuovo nella formazione della coscienza politica nazionale come testimonia la creazione (febbraio 1898) della Ligue des Droits de L’Homme, attiva ancora oggi.

Dreyfus visse fino al 1935, appena in tempo per vedere al potere il nazionalsocialismo in Germania e il riesplodere in Europa degli odi che tanto avevano pesato nelle sue sfortunate circostanze, senza rendersi conto, forse, che l’affare che da lui prese il nome sarebbe rimasto nella storia. Dalla sua vicenda trassero alimento i primi giornali di massa; per la prima volta gli intellettuali scesero in campo in una battaglia civile; da allora si formò una continuità tra antisemitismo e la destra politica. Fu l’affare Dreyfus che spinse la sinistra a bandire l'antisemitismo proprio mentre andava formandosi il cancro della cosiddetta "questione ebraica" tanto esiziale di lì a pochi anni; fu 1’affare Dreyfus a precipitare in Francia la separazione istituzionale tra Chiesa e Stato (1905) e a coltivare nelle minoranze ebraiche molte di quelle speranze di riscatto che culminarono nel sionismo.

Pregiudizi popolari
L' antisemitismo non era, come credettero in molti, una infezione cronica strettamente intrecciata con la storia politico-religiosa europea e i pregiudizi popolari. Se vero che all'affare Dreyfus, nonostante il peso politico-culturale che vi ebbero i gruppi coinvolti, la gran parte del popolo francese rimase lontano, pure commisero un errore quelli che pensavano che l’antisemitismo non avrebbe mai attecchito nella Francia repubblicana e liberale. A smentirli infatti si incaricarono pochi anni dopo proprio gli avvenimenti e in particolare la storia della repubblica di Vichy, guidata da un militare ed eroe nazionale come Petain, che finì per collaborare tutt’altro che passivamente con l’occupante nazista. Da pochi mesi iniziato in Francia il processo contro un vecchio funzionario francese, Maurice Papon, colpevole di avere autorizzato quando era un giovane segretario generale della prefettura della Gironda, la deportazione di 1560 ebrei di cui 200 bambini.

I giornali hanno mostrato un vecchio stanco e incredulo: come era possibile che lui, un vecchio pensionato, fosse trascinato sul banco come un criminale, lui integerrimo impiegato dello stato, decorato con la "Legion d’onore", che con continuità aveva servito lo stato fino a diventare ministro gollista del Bilancio? Nei suoi occhi si leggeva anche un interrogativo: perché io solo sono chiamato in giudizio quando molti svolsero con diligenza le proprie mansioni pubbliche in quella buia pagina della storia della Francia? Quello che quel vecchio non può capire è che non processato un uomo solerte né il rappresentante di una burocrazia rispettosa della gerarchia e della ragion di stato.

La congiura del silenzio
Davanti ai giudici, e forse loro malgrado, viene giudicata la congiura dal silenzio, la rimozione di un delitto orrendo come le persecuzioni razziali che vide coinvolti molti funzionari statali come tanti francesi i quali videro e tacquero. Quella passività veniva da lontano e ricorda l’assenza di percezione dei contadini tedeschi che guardavano dai loro terreni ben curati le nuvole di fumo alzarsi dal campi di concentramento poco distanti, annusavano l’aria e continuavano a spingere l’aratro. E’ la stessa responsabilità senza colpa che un secolo fa scatenò un pregiudizio antisemita contro Dreyfus, un uomo innocente che si voleva colpevole (e morto) solo perché ebreo e che dopo 5 anni dalla sua morte vide il paese aderire attivamente al programma genocida dell’invasore nazista.