Signor presidente in nome della verità, io accuso

Pubblichiamo stralci del "J’Accuse", indirizzato a Félix Faure, presidente della Repubblica, in difesa del capitano Alfred Dreyfus, e pubblicata sul quotidiano "L'Aurore" il l3 gennaio 1898.

Il Manifesto
di Emile Zola

"Poiché essi hanno osato, oserò anch’io. La verità io la dirò, perché ho promesso di dirla, se la giustizia, dopo regolare processo, non l'avesse acclarata, piena e intera. E' mio dovere parlare, non intendo rendermi complice. Le mie notti sarebbero ossessionate dallo spettro dell'innocente che espia laggiù, con la tortura più orribile, un crimine che non ha commesso. E' a Lei, Signor presidente, che la griderò questa verità e con tutta la forza della mia ribellione di galantuomo. (...) il caso Dreyfus era il caso degli uffici del ministero della guerra, di un ufficiale dello Stato maggiore denunciato dai suoi colleghi dello Stato maggiore e condannato sotto la pressione dei capi dello Stato maggiore. Lo ripeto ancora, egli non può tornare innocente senza che l'intero Stato maggiore sia colpevole. (...)la verità è in cammino e niente potrà fermarla. Il caso comincia soltanto oggi, poiché oggi soltanto le posizioni sono nette: da una parte i colpevoli i quali non vogliono che sia fatta luce; dall'altra, i giustizieri i quali daranno la vita perché luce sia fatta. Del resto, l'ho detto e lo ripeto: quando la verità viene rinchiusa sotto terra, vi si ammassa, acquista una forza di esplosione tale che, quando scoppia, tutto salta in aria. Poi vedremo se non è vero che si sono create le premesse di un'esplosione che, quando avverrà, sarà totale.

Ma questa lettera è lunga, signor presidente, ed è tempo di concludere.
Accuso il tenente colonnello du Paty de Clam d'essere stato l'artefice diabolico dell'errore giudiziario, incoscientemente, voglio sperare, e d'avere in seguito difeso la sua opera nefasta, per ben tre anni, ricorrendo alle macchinazioni più bizzarre e più colpevoli.
Accuso il generale Mercier d'essersi reso complice, non fosse che per debolezza di spirito, d'una delle peggiori iniquità del secolo.
Accuso il generale Billot d'aver avuto tra le mani le prove certe dell'innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, d'essersi reso colpevole del delitto di lesa umanità e di lesa giustizia, a fini politici e per salvare lo Stato maggiore.
Accuso il generale de Boisdeffre e il generale Gonse d'essersi resi complici dello stesso delitto, l'uno sicuramente per fanatismo clericale, l'altro forse per quello spirito di corpo che fa degli uffici del ministero della Guerra l'arca santa, inattaccabile.
Accuso il generale de Pellieux e il comandante Ravary d'aver condotto un'inchiesta scellerata, intendo, con questo, dominata dalla parzialità più mostruosa, di cui, nel rapporto del secondo, abbiamo un monumento imperituro di ingenua audacia.
Accuso i tre esperti calligrafi, i signori Belhomme, Varinard e Couard, d'avere fatto rapporti menzogneri e fraudolenti, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da malattie della vista e del giudizio.
Accuso gli uffici del ministero della Guerra d'aver condotto sulla stampa, e in particolare su "L'Eclair" e "L'Echo de Paris", una campagna abominevole, per fuorviare l'opinione pubblica e nascondere la propria colpa. Accuso infine il primo tribunale militare di aver violato il diritto, condannando un accusato in base a un documento rimasto segreto, e accuso il secondo tribunale militare d'aver coperto, in obbedienza agli ordini, questa legalità, commettendo a sua volta il delitto giuridico di assolvere scientemente un colpevole.
Nel muovere queste accuse, non ignoro affatto di incorrere negli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881; che punisce i reati di diffamazione. E v'incorro per mia precisa volontà.

Quanto alle persone che accuso, non le conosco, non le ho mai viste, non ho contro di loro né rancore, né odio. Per me sono soltanto delle identità, degli spiriti di malvagità sociale. E l'atto che qui io compio altro non è che un mezzo rivoluzionario per affrettare l'esplosione della verità e della giustizia.

Sono mosso da un'unica passione, che si faccia luce, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia infiammata protesta è soltanto un grido della mia anima. Osino pure, perciò, tradurmi in Corte d'assise, e che l'inchiesta si svolga sotto gli occhi di tutti!

Aspetto.

Voglia gradire, signor presidente, l'espressione del mio profondo rispetto.