La sfida delle differenze

di Emilio Baccarini

Dalla tolleranza alla convivialità

Tutto il nostro discorso, fatto pensando al singolo, vale anche per le singolarità politiche e socio-culturali che sono le città, gli stati, i continenti. Le considerazioni valgono anche per il valore delle culture e delle identità nazionali: da rispettare e salvaguardare come valori. Ciò non significa difesa dei particolarismi a discapito della generalità, ma dinamica relazionale delle particolarità, che debbono porsi in dialogo e in ascolto reciproco senza sopraffazioni. Potrebbe sembrare un'utopia, e invece sono queste le condizioni di una nuova socialità meno conflittuale e più solidale. Una socialità conviviale appunto. La struttura antropologica che si è venuta delineando deve tradursi in strutture socio-politiche di accoglienza, indirizzate alla costituzione di una civiltà agapica.

È proprio a partire dall'assunzione dei problemi di questo presente che bisogna mettere in moto un nuovo pensiero politico. Pensare politicamente la differenza significa pensare diversamente il mondo: come sistema di interdipendenze positive; e significa pensare diversamente la struttura della città: l'orizzonte più immediato del nostro vivere in comunità. Siamo eredi di una tradizione (quella greco-romana) che ha pensato la città come la struttura che produce «identità e senso» per il cittadino che la abita. Oggi siamo nella condizione di pensare il contrario. Dobbiamo considerare la città non più il presupposto di un'identità, ma il «risultato di una permeabilità» e di una mobilità sistemica. Le nostre città dovrebbero allora diventare strutture osmotiche aggreganti, dove in microcosmo si realizza l'interdipendenza-valore della quotidianità dei rapporti interpersonali. A questi livelli minimali si realizza l'utopia della convivialità, come passaggio e forse anche spostamento/spaesamento da una cultura della tolleranza (di tradizione liberale-illuministica e fondamentalmente individualistica). Tollerare (tollere) significa, come abbiamo accennato, sopportare. Convivialità invece «vivere insieme nella differenza». La questione non è più di ordinamenti politici. La riflessione e l'organizzazione politica diventano impegno etico. La politica ha bisogno di un'anima etica. Questo diviene particolarmente vero per il nostro discorso che esige una trasformazione delle coscienze, prima che delle strutture.

L'impegno etico deve dare una risposta a quella che oggi è la «questione morale» per eccellenza, e che riguarda proprio il volto del mondo e dell'uomo che lo abita. È proprio qui che si vede con più chiarezza che lo sconquasso nasce dallo smarrimento della logica della creazione, secondo la quale l'uomo non è un demiurgo ordinatore, ma il guardiano della creazione. Nella visione ebraico-cristiana, Dio affida il mondo all'uomo come amministratore. Ancor più profondamente però la logica della creazione è logica di gratuità. Solo a partire dal riconoscimento di un Creatore è possibile parlare dell'assolutezza dell'uomo come valore e insieme della sua gratuità e libertà.

È questo, a mio avviso, il senso dell'affermazione biblica dell'uomo come «immagine e somiglianza» di Dio. L'uomo è gratuito, perché polo terminale di un atto d'amore che lo stabilisce nell'unicità-uguaglianza della filiazione e nella differenza della fraternità. È proprio questo il fondamento della responsabilità morale a cui tutti, senza esclusione, siamo chiamati.

Ancora una volta siamo stati spinti verso l'etica che manifesta così il suo carattere di fondamento ultimo e immediato tanto della relazione interpersonale quanto di quella interculturale.



Emilio Baccarini è ricercatore presso il  Dipartimento di Ricerche Filosofiche.