Dalla tolleranza alla convivialità
Tutto il nostro discorso, fatto
pensando al singolo, vale anche per le
singolarità politiche e socio-culturali che sono le città, gli stati, i
continenti. Le considerazioni valgono anche per il valore delle culture e delle
identità nazionali: da rispettare e salvaguardare come valori. Ciò non
significa difesa dei particolarismi a discapito della generalità, ma dinamica
relazionale delle particolarità, che debbono porsi in dialogo e in ascolto
reciproco senza sopraffazioni. Potrebbe sembrare un'utopia, e invece sono queste le
condizioni di una nuova socialità meno conflittuale e più solidale. Una
socialità conviviale appunto. La struttura antropologica che si è venuta
delineando deve tradursi in strutture socio-politiche di accoglienza, indirizzate alla
costituzione di una civiltà agapica.
È proprio a partire
dall'assunzione dei problemi di questo presente che
bisogna mettere in moto un nuovo pensiero politico. Pensare politicamente la
differenza significa pensare diversamente il mondo: come sistema di interdipendenze
positive; e significa pensare diversamente la struttura della città:
l'orizzonte più immediato del nostro vivere in comunità. Siamo eredi di
una tradizione (quella greco-romana) che ha pensato la città come la struttura
che produce «identità e senso» per il cittadino che la abita. Oggi
siamo nella condizione di pensare il contrario. Dobbiamo considerare la città
non più il presupposto di un'identità, ma il «risultato di una
permeabilità» e di una mobilità sistemica. Le nostre città
dovrebbero allora diventare strutture osmotiche aggreganti, dove in microcosmo si
realizza l'interdipendenza-valore della quotidianità dei rapporti
interpersonali. A questi livelli minimali si realizza l'utopia della
convivialità, come passaggio e forse anche spostamento/spaesamento da una
cultura della tolleranza (di tradizione liberale-illuministica e fondamentalmente
individualistica). Tollerare (tollere) significa, come abbiamo accennato, sopportare.
Convivialità invece «vivere insieme nella differenza». La questione
non è più di ordinamenti politici. La riflessione e l'organizzazione
politica diventano impegno etico. La politica ha bisogno di un'anima etica. Questo
diviene particolarmente vero per il nostro discorso che esige una trasformazione delle
coscienze, prima che delle strutture.
L'impegno etico deve dare una
risposta a quella che oggi è la
«questione morale» per eccellenza, e che riguarda proprio il volto del
mondo e dell'uomo che lo abita. È proprio qui che si vede con più
chiarezza che lo sconquasso nasce dallo smarrimento della logica della creazione,
secondo la quale l'uomo non è un demiurgo ordinatore, ma il guardiano della
creazione. Nella visione ebraico-cristiana, Dio affida il mondo all'uomo come
amministratore. Ancor più profondamente però la logica della creazione
è logica di gratuità. Solo a partire dal riconoscimento di un Creatore
è possibile parlare dell'assolutezza dell'uomo come valore e insieme della sua
gratuità e libertà.
È questo, a mio avviso, il
senso dell'affermazione biblica dell'uomo come
«immagine e somiglianza» di Dio. L'uomo è gratuito, perché
polo terminale di un atto d'amore che lo stabilisce nell'unicità-uguaglianza
della filiazione e nella differenza della fraternità. È proprio questo
il fondamento della responsabilità morale a cui tutti, senza esclusione, siamo
chiamati.
Ancora una volta siamo stati spinti
verso l'etica che manifesta così il suo
carattere di fondamento ultimo e immediato tanto della relazione interpersonale quanto
di quella interculturale.
Emilio Baccarini è ricercatore
presso il Dipartimento di Ricerche Filosofiche.
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