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Michael
Kelly (ed.)
Encyclopedia of Aesthetics
New York, Oxford, Oxford University Press, 1998
4 voll., pp. XVII-521, pp. 555, pp. 536, pp. 572, U.K. £ 300.00.
Opera senza esagerazione monumentale, rappresenta la prima, non solo
in lingua inglese ma in assoluto, enciclopedia dedicata esclusivamente
ed esaustivamente all'estetica. E già questo primato sarebbe sufficiente
a farne un'opera meritoria, ma accanto a questo pregio essa ne presenta
altri forse ben più importanti. È ricca di voci semplici
ed articolate (più di seicento, pur tra loro diseguali per grandezza
e qualità), di pluralistica impostazione critica e metodologica,
riguardanti termini, teorie, concetti, filosofi, artisti, periodi, movimenti,
problematiche, correnti relativi alla storia dell'estetica, vi sono bibliografie
aggiornate ed essenziali. Essa dà inoltre ampio spazio soprattutto
a tematiche estetiche contemporanee, ai movimenti artistici e culturali
più recenti, fornendo un contributo essenziale all'attuale riflessione
estetica e più ampiamente culturale. In questo senso l'opera offre
un bell'insieme di materiali di riferimento storico e di discussioni critiche
di estetica contemporanea che per sua esplicita finalità si rivolge
tanto a lettori comuni quanto agli esperti.
La concezione di estetica che è alla base dell'opera si può
in sintesi dire di tipo filosofico e culturale, è infatti quella
di una "riflessione critica sull'arte, la cultura e la natura",
come si legge nella prefazione (p. ix). Una definizione, come si vede,
molto estesa, forse anche vaga e problematica, ma in grado di cogliere
le molteplici sfumature e dimensioni oggi implicite nell'estetica, di
dare conto delle sue attuali trasformazioni ed estensioni geografico-concettuali,
che sembra inoltre inaugurare una nuova prospettiva d'indagine ispirata
agli studi culturali, una "svolta culturale" dell'estetica,
come giustamente la chiama Perniola nell'editoriale di questo numero della
rivista. L'ampio spettro dei temi, dei problemi, dei metodi, degli approcci,
nonché il numero dei collaboratori (più di cinquecento tra
filosofi - in minoranza - artisti, sociologi, storici dell'arte, critici
letterari, ma anche giuristi, teorici del diritto, antropologi, teoriche
del femminismo, ecc.) rendono perfettamente conto della natura essenzialmente
aperta, sempre problematica e interdisciplinare dell'estetica.
Benché naturalmente la maggior parte delle voci sia dedicata soprattutto
alla genealogia dell'estetica occidentale, dalla sua nascita disciplinare
settecentesca (senza dimenticare però le sue origini greche e le
fasi medievale e moderna) fino alle odierne manifestazioni al volgere
del secondo millennio, in una prospettiva di tipo comparatistico - secondo
la quale da una parte si estendono i tradizionali confini occidentali
della disciplina e, dall'altra, contemporaneamente all'incontro di altre
tradizioni culturali, vengono ripensati i suoi presupposti critici - molto
spazio viene assegnato a culture e tradizioni extraeuropee e non-occidentali,
nonché a problematiche strettamente legate all'attuale dibattito
sul postcolonialismo. In questo senso, alla voce "Black Aesthetic",
ad esempio, vengono dedicate ben nove pagine, in cui si delinea chiaramente
la parabola dell'estetica afro-americana, tra la nascita intorno al 1964,
parallelamente al Civil Rights Act, e il declino intorno al 1975 con la
fine della guerra del Vietnam, con il suo apogeo intorno agli anni tra
il 1968 e il 1971, con teorici come LeRoi Jones, Larry Neal e Addison
Gayle Jr. (la cui antologia The Black Aesthetic del 1971 rappresenta l'esempio
più significativo), fino all'odierna consapevolezza di integrare
lo studio della black culture in una più ampia prospettiva pluralista
e multiculturale, di cui Henry Louis Gates Jr. (Black Literature and Literary
Theory, 1984) si è fatto di recente portavoce.
Su questa stessa linea, sei pagine sono riservate alla voce "African
Aesthetics", che indica come lo studio sistematico dell'estetica
africana sia nato negli ambienti accademici occidentali (soprattutto americani)
solo negli ultimi decenni e come alla sua origine vi sia stato il forte
interesse occidentale nei confronti dell'arte africana manifestatosi già
nei primi decenni del Novecento, anche grazie all'incontro con essa di
artisti come Picasso, Braque o Matisse, che ha - come noto - aperto la
strada a molte importanti correnti artistiche novecentesche. Ma la voce
rileva opportunamente soprattutto le insoddisfazioni degli studiosi africani
nei confronti della maniera in cui la loro cultura è stata interpretata
dagli occidentali e, di conseguenza, il loro impegno ad esprimere una
prospettiva teoretica alternativa, che ora può contare su studiosi
e ricercatori autoctoni che, formatisi in ambienti accademici e lavorando
continuamente sul campo, sono in grado di cogliere e di esprimere al meglio
le sfumature della loro propria cultura estetica.
In questa medesima prospettiva culturale, un'altra voce interessante è
quella dedicata alla "Caribbean Aesthetics": quattro pagine
in cui alla storia delle idee della cultura caraibica, frutto essenzialmente
di incontri, innesti e contaminazioni di patrimoni culturali diversi,
segue la trattazione delle maggiori espressioni artistiche della sua tradizione,
che si incentra principalmente sulle arti performative della musica e
della danza. E si capisce allora come al fondo di tutte queste voci vi
sia non solo un approccio di tipo comparatistico ed una concezione "culturale"
dell'estetica, ma la precisa consapevolezza teorica e metodologica avanzata
dalle teorie del postmodernismo prima e del postcolonialismo poi, che
hanno apertamente tematizzato la necessità di incontrare culture
e tradizioni "altre" al di fuori di categorie impositive, omologanti
o eurocentriche, e secondo principi di pluralità, apertura e differenza.
In generale, per tutte le voci riguardanti espressioni culturali non occidentali
("Chinese Aesthetics", "Indian Aesthetics", "Japanese
Aesthetics", "Islamic Aesthetics", "Latin American
Aesthetics"
) viene presentato sempre un quadro d'insieme abbastanza
esaustivo di tutte quelle tradizioni che possiedono una storia della riflessione
critica sulla loro arte e cultura pur in assenza di una vera e propria
"estetica", nonché l'inserimento di prospettive e problematiche
proprie di queste tradizioni "altre" direttamente nella discussione
dei principali concetti, termini e problemi estetici (nelle voci "Nature"
e "Landscape" ci sono, ad esempio, opportuni ed imprescindibili
riferimenti all'estetica giapponese). Tutto ciò, scrive Kelly nella
prefazione, aiuta a "storicizzare la tradizione dell'estetica occidentale
dimostrando che, dopo tutto, essa è solo una delle molte tradizioni"
(p. xiii).
Oltre all'attenzione riservata alle culture non-occidentali, ciò
che colpisce è da un lato il riguardo per forme, teorie e manifestazioni
estetiche e culturali degli ultimi trenta anni - lo spazio dedicato a
voci come "Conceptual Art", "Installation Art", "Performance
Art", "Postmodern =Trasformation of Art", "Institutional
Theory of Art", o anche "Computer Art", "Artificial
Intelligence", "Digital Media", "Hypetext", "Cyberspace",
"Virtual Reality", lo testimonia ampiamente - e dunque l'interesse
per il dibattito estetico più attuale ed ancora in corso, e dall'altro
la considerazione per espressioni artistiche normalmente considerate marginali
o minoritarie, racchiuse ad esempio in voci come "Anti-Art",
(che esprime, si legge, un tipo di estetica anarchica, che legherebbe
Bakunin a Buster Keaton, le teorie sul caos e sui frattali all'anarchismo
metodologico di Feyerabend, Dada ad Alfred Jarry), o anche "Situationist
Aesthetics", che spiega la visione estetica del movimento ispirato
da Guy Debord, che proclama il superamento dell'estetica stessa, la dissoluzione
dell'opera d'arte, "per un ritorno al piacere, alla spontaneità,
all'istinto e alla creatività prelogica" (p. 291). Nell'ottica
invece del politically correct, ampie voci sono riservate tanto alla "Gay
Aesthetics" quanto alla "Lesbian Aesthetics".
Ma ciò che rappresenta forse una delle novità più
suggestive ed importanti dell'opera è l'attenzione tutta speciale
riservata a tematiche insolite ed originali, ma oggi sempre più
attuali e rilevanti, come quelle raccolte nella voce "Law and Art".
In essa, infatti, con uno spazio a disposizione di ben ventidue pagine,
si affrontano problemi centrali per la discussione intorno allo statuto
attuale dell'estetica e che riguardano i rapporti tra arte e società,
le regole e le leggi che i governi si danno per decidere in materia di
creazioni artistiche, i diritti degli artisti nei confronti del loro lavoro,
gli interessi pubblici dell'arte, il mercato e le opere d'arte. In generale
si tratta dunque di tutti quei problemi che sorgono dalla relazione tra
estetica ed economia, che nell'odierna società dei consumi globalizzati
vanno assumendo grande rilievo, dal momento che l'arte è diventata
sempre più qualcosa che viene posseduto, venduto, comprato, scambiato,
quotato e quindi soggetto alle leggi generali della proprietà e
del commercio. Problemi che sono affrontati peraltro anche in voci come
"Moral Rights of Arts" o "Cultural Property", cui
si richiamano anche i temi del falso, della copia, del plagio, e cui si
collega anche una voce come "Obscenity" (e per certi versi anche
"Sexuality"), che affronta questioni non insolite per il dibattito
attuale, riguardanti sentenze di tribunali, casi di censura o di pubblica
riprovazione relativi a creazioni artistiche che offenderebbero il "comune
senso del pudore" (a questo proposito si potrebbero ricordare anche
le recenti reazioni della giunta comunale newyorkese e le polemiche sollevate
in occasione della mostra di artisti britannici del 1999 intitolata "Sensation").
Menzione a parte va fatta per alcuni temi antichi quanto l'estetica stessa
ma a lungo trascurati ed ora tornati di grande attualità nella
riflessione contemporanea, che trovano buona accoglienza nella enciclopedia.
È il caso ad esempio della voce "Politics and Aesthetics".
Una voce composita, molto estesa (forse la più grande dell'opera:
ventitré pagine) e con molte articolazioni interne, che discute
di problemi che vanno dai modi in cui storicamente (da Platone ai giorni
nostri) l'estetica si è avvicinata alla politica o ne ha preso
le distanze, al dibattito sul ruolo della cultura nelle teorie politiche
contemporanee tra liberalismo e comunitarismo; dalla maniera in cui la
storia dell'arte e la critica hanno affrontato le varie forme di differenza
(di razza, di genere, sessuale
), ad esemplificazioni di forme d'arte
del Ventesimo secolo che hanno suscitato varie controversie politiche;
o ancora dalla politicizzazione dell'arte all'=estetizzazione della politica
(con l'interessante esempio del fascismo italiano) e, infine, all'analisi
del dibattito americano tra estetismo e attivismo nelle recenti discussioni
su arte e malattie come l'AIDS. O è il caso anche della voce "Morality
and Aesthetics", che affronta l'annoso problema del rapporto tra
estetica ed etica, e in una visione storico-concettuale riferisce dei
tentativi contemporanei di superare la =contrapposizione tra i due termini
e arriva infine a considerare il tema in riferimento all'Olocausto, parlando
delle difficoltà che l'arte contemporanea ha dovuto superare per
rispondere ai problemi morali ad esso legati.
Come si vede, dunque, nell'insieme si tratta di tematiche estremamente
attuali e dalla configurazione ancora aperta e problematica, che necessitano
certo di ulteriori riflessioni, discussioni e approfondimenti, ma che
trovano in questa enciclopedia di estetica una prima, ma necessaria ed
utilissima messa a punto.
Un'ultima considerazione conclusiva si potrebbe fare a proposito dell'estetica
italiana. Senza insistere troppo nel gioco delle presenze e delle assenze
o in quello di uno sterile nazionalismo culturale, si deve dire semplicemente
che purtroppo non esiste una voce "Italian Aesthetics": al suo
posto vi è solo una "blind entry", cioè una voce
senza contenuto, che rimanda ad altre voci, soprattutto a quelle relative
all'estetica romana, rinascimentale e a figure come Tommaso d'Aquino,
Alberti, Vasari e Vico. Che dire? Che forse è vero che, tranne
Vico (ma la voce su di lui è in parte insoddisfacente perché
manca di aggiornamento), dal Settecento in poi non abbiamo avuto teorici
estetici di grande rilievo e che il centro della riflessione estetico-filosofica
si sposta necessariamente verso l'asse anglo-franco-tedesco (di qui l'attenzione
dell'enciclopedia per queste aree geografiche). Questo quadro però
nel Novecento si trasforma, non solo con l'ingresso massiccio nel dibattito
della riflessione culturale americana (abbondantemente rappresentata),
ma anche tra le altre cose con il ritorno della cultura italiana, soprattutto
negli ultimi trent'anni. Ma di questo ritorno nell'enciclopedia non c'è
traccia, e gli unici autori italiani presi in considerazione (e pure malamente)
sono i soliti Croce, Gentile e Gramsci, con cenni per la parte recente
solo a Pareyson ed Eco (Vattimo viene citato a proposito del postmoderno,
ma lui faceva parte del comitato editoriale dell'impresa).
Questa mancanza non ci impedisce tuttavia di considerare i pregi dell'enciclopedia,
il più importante dei quali ci sembra la sua capacità di
presa sul presente della disciplina estetica e sul dibattito culturale
attuale, testimoniata dall'approfondimento di voci come "Postmodernism",
"Postcolonialism", "Feminism", "Cultural Studies",
"Essentialism-Anti-Essentialism" ed altre. Già queste
riescono ad inserirsi a pieno titolo nel recentissimo dibattito estetico
ancora in corso ed aiutano a fare chiarezza. Se lo scopo dichiarato dell'impresa
era quello di contribuire al dibattito pubblico, al dialogo e alla discussione
culturale, non c'è dubbio che esso sia stato raggiunto.
Giuseppe Patella
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