Aristotele


    I due passi di Aristotele tratti da "La politica" (I, 9, 1257 a-b - 1258 a) e dall' "Etica a Nicomaco" ( V, 5, 1133 a-b - 1134 a) devono essere messi in rapporto tra loro: nella Politica il filosofo esamina il fenomeno dell'arricchimento, notando che  esistono due forme di scambio, quello in natura e quello in moneta.  Quest'ultima risulta essere capace di esercitare una sorta di mediazione, potendo essere accettata dovunque in virtù del suo valore reale. Nell'Etica a Nicomaco, invece, si sottolinea come la società si fondi sulla reciprocità di rapporti e sullo scambio di servizi, ravvisando nella moneta uno strumento di giustizia distributiva, quale comune denominatore di valutazione per entità tra loro non comparabili.

     Emerge, dunque, chiaramente da queste due definizioni che la moneta contiene in sè una forte valenza sociale, che spinta all'eccesso assume connotazioni fortemente negative.

     Circa cinque secoli più tardi, Plinio il Vecchio, (Nat.Hist. XXXIII, 42)  premette alla sua breve ma pregnante storia della moneta romana una valutazione di ordine morale,  sostenendo che un grande delitto fu commesso da colui che per primo inventò la moneta.