INDICE IMPOSTE (DRE/IRPEF) al 26/7/1999
dre/irpef/f8-123b9.doc SERVIZIO I DIVISIONE I Prot. n. 78348/98
Oggetto: II.DD. Operazione di scissione di società a responsabilità limitata di gestione immobiliare
Con la nota sopra evidenziata è stato chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla corretta interpretazione delle disposizioni tributarie nell'ambito di una procedura di scissione. Deve essere preliminarmente sottolineato che l'istanza in oggetto non rientra tra le fattispecie di cui all'articolo 37 bis del dpr 600/73, in quanto, come disposto dal dm 259/98, l'istanza stessa deve essere indirizzata all'Ufficio finanziario competente ai fini dell'accertamento. Ciò posto, nel quesito viene prospettata l'ipotesi di una scissione totale di una società a responsabilità limitata che svolge l'attività di gestione immobiliare con costituzione di tre società con identici diritti patrimoniali dei soci. Viene ulteriormente precisato che: - l'attività viene svolta con immobili ereditati dai soci (tre fratelli); - a ciascuna delle tre società verrà assegnato, sulla base di una specifica valutazione, un terzo degli immobili sociali; - la società scissa si estinguerà al termine dell'operazione; - le quote delle tre nuove società saranno attribuite ai tre fratelli in modo che a ciascuno sia intestato l'intero capitale di una società; - l'operazione viene assunta come non proporzionale e nella quale è previsto l'intervento di un perito nominato dal Tribunale per il giudizio di congruità sulla correttezza della divisione; - l'operazione non dovrebbe dar luogo a concambio tra i soci; - l'iscrizione degli immobili nel bilancio delle società beneficiarie avverrà al valore fiscale attualmente riscontrabile nel bilancio della società scissa. Viene chiesto dunque di conoscere se la prospettata operazione possa comportare conseguenze in merito alla possibile applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 37 bis del dpr 600/73. Deve essere osservato che le disposizioni sopra richiamate prevedono l'inopponibilità all'amministrazione finanziaria degli atti privi di ragioni economiche valide, finalizzati esclusivamente ad aggirare obblighi o divieti posti dall'ordinamento tributario, ottenendo riduzioni o rimborsi di imposte. Posto che l'operazione di scissione descritta appare, limitatamente agli elementi indicati nell'istanza, effettuata in osservanza dei dettami civilistici, dovrà essere valutata la sussistenza delle valide ragioni economiche e se da queste conseguano possibili riduzioni delle imposte dovute ovvero realizzino condizioni ai fini di eventuali rimborsi. In linea di principio, deve essere ritenuto, a parere della scrivente, che le valide ragioni economiche possano sussistere nell'ipotesi in cui la finalità del contribuente sia quella di costituire tre distinte società attraverso le quali i soci della società originaria possano perseguire differenziati interessi economici. Eventuali risparmi di imposta conseguenti all'operazione di per sé non costituirebbero comportamento elusivo, in quanto naturale conseguenza di una operazione che l'ordinamento tributario ammette come legittima. Rimane altresì da sottolineare, ovviamente, che qualora l'operazione di scissione si inserisca in un contesto di atti o fatti, anche collegati tra loro, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario, troveranno applicazione le disposizioni di cui al richiamato articolo 37 bis del dpr 600/73.
dre/irpef/f8-088a9.doc SERVIZIO I DIVISIONE I Prot. n. 47679/98 e 29214/99
Oggetto: Irpeg. Soggettività passiva del Consorzio ____________ e obbligo di presentazione della dichiarazione.
Con le note sopra evidenziate codesto Consorzio, quale ente gestore di demanio collettivo, ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito all'obbligo di presentazione della dichiarazione ai fini Irpeg con riferimento alla proprietà di immobili civili o strumentali. Nel quesito viene fatto presente che, a scopo cautelativo, la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 1997 è stata comunque presentata. Con riferimento al quesito, deve essere sottolineato che gli enti pubblici e privati , diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, di cui all'articolo 87, comma 1, lettera c) del dpr 917/86, sono soggetti all'Irpeg sul reddito complessivamente prodotto, determinato a norma dell'articolo 108 del dpr 917/86, ovvero come sommatoria delle diverse categorie di reddito, tra le quali rientra anche quella dei redditi fondiari. Pertanto, sino all'entrata in vigore dell'articolo 22 della legge 449/97, il Consorzio avrebbe dovuto assoggettare ad Irpeg il reddito di fabbricati derivanti dalla proprietà dell'immobile, presentando dichiarazione dei redditi con il modello 760 bis. La norma citata, ha modificato le disposizioni di cui all'articolo 88, comma 1, del dpr 917/86, assimilando allo Stato ed agli enti pubblici che non sono soggetti ad Irpeg, anche i Consorzi tra enti locali e gli enti gestori di demani collettivi. Pertanto, a parere della scrivente, anche se dall'istanza non è dato ricavare se il Consorzio in oggetto rientra tra quelli costituiti tra enti locali, appare sufficiente la qualità di ente gestore di beni del demanio collettivo per identificare la non soggettività passiva ai fini Irpeg. e ciò a decorrere dall’entrata in vigore dell’art. 22 Legge 449/97.
dre/irpef/f7-085a9.doc SERVIZIO I DIVISIONE I Prot. n. 31745/98
Oggetto: II.DD. Deducibilità canoni di leasing
Con la nota sopra evidenziata la S.V. ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla corrette modalità di deduzione di canoni di leasing. In particolare, due soggetti privati hanno stipulato un contratto di leasing, avente ad oggetto una imbarcazione a vela, con una società francese. L'imbarcazione viene data in locazione dai soggetti privati ad una società in accomandita semplice da loro costituita che ha per oggetto sociale il noleggio della stessa imbarcazione. I due soggetti privati percepiscono dalla sas dei corrispettivi per l'affitto dell'imbarcazione. Viene dunque chiesto di conoscere se, dai corrispettivi percepiti, siano deducibili i canoni pagati alla società francese. A parere della scrivente, dagli elementi descritti nel quesito, si ritiene possibile considerare i corrispettivi percepiti dai soggetti privati quali redditi diversi ai sensi del disposto dell'articolo 81, comma 1, lettera h), del dpr 917/86. Per conseguenza, i canoni corrisposti alla società di leasing francese possono considerarsi quali spese specificamente inerenti alla produzione del reddito e, dunque, deducibili ai sensi del disposto dell'articolo 85, comma 2, del dpr 917/86.
dre/irpef/f7-081c9.doc SERVIZIO I DIVISIONE I Prot. n. 31207/99
Oggetto: II.DD. Capital gain. Applicazione delle disposizioni dell'articolo 14 del dlgs. 461/97
Con la nota sopra evidenziata la S.V. ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla corretta applicazione delle disposizioni in oggetto. Nell'istanza, viene prospettato il caso di una persona fisica non imprenditore che, avendo acquistato una partecipazionie del 20,03% nel 1993 al valore nominale ha proceduto alla cessione della stessa nel mese di dicembre 1998 allo stesso valore nominale, peraltro inferiore alla corrispondente frazione del patrimonio netto contabile della società. Viene chiesto dunque di conoscere gli adempimenti da porre in essere in relazione al nuovo regime tributario dei redditi diversi di natura finanziaria in base alle disposizioni sopra evidenziate. In proposito, deve essere preliminarmente sottolineato che la cessione effettuata nel mese di dicembre del 1998 costituisce cessione di partecipazione qualificata ai sensi dell'articolo 81, lettera c), del dpr 917/86. L'articolo 5, comma 1, del dlgs. 461/97 dispone che le plusvalenze di cui all'articolo 81, comma 1, lettera c) del dpr 917/86, al netto delle minusvalenze determinate secondo i criteri stabiliti dall'articolo 82 dello stesso dpr, sono soggette ad imposta sostitutiva del 27%. Ai fini del calcolo della plusvalenza o della minusvalenza si applica l'articolo 82, comma 5, del dpr 917/86, il quale stabilisce che rileva la differenza fra il corrispettivo percepito e il costo o valore di acquisto della partecipazione, aumentato di ogni onere inerente alla produzione, compresa l'imposta di successione o donazione, con esclusione degli interessi passivi. Nel caso di specie, in cui la cessione riguarda una partecipazione già detenuta alla data del 1 luglio 1998, data di entrata in vigore del dlgs. 461/97, si deve tenere presente anche la disposizione transitoria di cui all'articolo 14, comma 5, del decreto stesso che, ai fini della determinazione delle plusvalenze o minusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate, consente di rivalutare il costo di acquisto mediante applicazione del cosiddetto correttivo per l'inflazione, determinato con il Dm del 10.2.1999 (pari a 1,1782 per le partecipazioni acquistate nel 1993). Pertanto, in linea generale, si può affermare che la cessione descritta nel quesito determinerà una minusvalenza pari alla differenza tra il prezzo di cessione e il costo di acquisto rivalutato. La minusvalenza dovrà essere evidenziata nella sezione III del quadro RT del modello Unico '99 e potrà essere utilizzata in compensazione di eventuali plusvalenze, anche nei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quarto. Per completezza, deve essere osservato che, nel caso di specie, in base alle circostanze evidenziate, non sussisterebbe motivo di effettuare l'affrancamento della plusvalenza alla data del 1 luglio 1998 in base all'articolo 14, comma 6, del dlgs. 461/97, in quanto l'esercizio di una tale opzione comporterebbe l'obbligo di corrispondere l'imposta sostitutiva del 25% sulla differenza tra la frazione patrimonio netto contabile risultante dall'ultimo bilancio approvato entro il 1 luglio 1998 e il costo di acquisto rivalutato con il correttivo sopra indicato.
dre/irpef/F7-081b9.DOC
Quesito II.DD. - Cessione di terreno edificabile - Determinazione della plusvalenza
Risposta Con la nota suindicata l’Ufficio distrettuale delle Imposte di _______ ha trasmesso a questa Direzione il quesito del contribuente ______________ con il quale si intendono avere chiarimenti in merito alla nozione di area fabbricabile nonché alle fattispecie produttive di plusvalenze nell’ipotesi di cessione della suddetta area. In particolare, viene rappresentata la situazione di un terreno, acquisito per successione, sito nel comune di ________ e classificato dal vigente piano regolatore generale come zona D2 artigianale di espansione con interventi soggetti a Pip e con obbligo di inserimento nel piano di lottizzazione. Su una parte di tale terreno esiste un contenzioso tra il comune di ______ e la Comunità montana di ________ che considera una parte del terreno di sua competenza, sul quale dovrà pronunciarsi la Regione Lombardia. Inoltre, nell’istanza si fa riferimento al fatto che sul terreno non è stato effettuato alcun intervento soggetto a Pip secondo il vigente piano regolatore generale né in relazione alla variante al suddetto piano regolatore. In considerazione della complessa destinazione urbanistica del terreno viene dunque chiesto di conoscere se la cessione dello stesso dia luogo, dal punto di vista fiscale, a plusvalenza per cessione di area edificabile. L’articolo 81, comma 1, lettera b) del dpr 917/86, prevede che costituiscono redditi diversi le "plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione o donazione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono stati adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione". A parere di questa Direzione, in relazione al dettato della norma sopra citata, poiché al momento della cessione il terreno era classificato come area edificabile, la cessione stessa genera plusvalenza in relazione al disposto dell’articolo 81, comma 1, lettera b) del dpr 917/86.
dre/irpef/F7-081B6.DOC
Quesito II.DD. - Capital gain - Cessione di una partecipazione azionaria qualificata - Determinazione del costo di acquisto.
Risposta Con la nota suindicata è stato chiesto di conoscere, ai fini della determinazione del capital gain, come debba essere individuato il costo fiscalmente riconosciuto di una partecipazione azionaria qualificata, ceduta a titolo oneroso nel gennaio del 1995. Nel caso prospettato i soggetti cedenti hanno acquistato nel 1983 la sola nuda proprietà delle azioni, delle quali sono divenuti pieni proprietari solo nel 1993, a seguito della morte del titolare del diritto di usufrutto. Nel caso di specie si ritiene che il costo d’acquisto del diritto di nuda proprietà possa essere rideterminato sulla base della valutazione peritale, effettuata con riferimento alla data del 28 gennaio 1991, ricorrendo tutte le condizioni previste dall’art. 6 della L. 28.3.1991, n. 102. La valutazione peritale, che può assumere rilevanza ai fini della determinazione del capital gain, è, comunque, quella riferita al solo valore della nuda proprietà, che rappresenta il costo sostenuto dai cedenti ante 28.1.1991. La morte dell’usufruttuario non ha determinato il trasferimento, ma la mera estinzione del suo diritto di godimento, con la conseguente riespansione del diritto di proprietà all’originaria pienezza. L’acquisto della piena proprietà da parte dei cedenti non ha, quindi, comportato alcun ulteriore onere a loro carico.
dre/irpef/F7-081a9.DOC
Quesito Aumento di capitale a pagamento in una società a responsabilità limitata. Implicazioni tributarie della rinuncia al diritto di opzione.
Risposta Con la nota sopra evidenziata lo studio associato indicato in oggetto ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito ad una operazione di aumento di capitale sociale a pagamento nell’ambito di una società a responsabilità limitata. L’operazione viene così descritta:
Detto socio non procede dunque alla cessione del diritto di opzione;
Si chiede dunque di conoscere quali implicazioni di carattere tributario, con particolare riflessi sull’eventuale tassazione dei capital gain, si manifestano da detta operazione. L’articolo 81, lettera c) del dpr 917/86, così come modificato, a far data dal 1 luglio 1998 per effetto dell’articolo 3, del D.Lgs. n. 461/97 prevede espressamente che costituisce cessione di partecipazioni qualificate "la cessione di azioni, diverse dalle azioni di risparmio, e di ogni altra partecipazione al capitale o al patrimonio delle società di cui all’articolo 5, escluse le associazioni di cui al comma 3, lettera c), e dei soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lettere a), b) e d), nonché la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, qualora le partecipazioni, i diritti o i titoli ceduti rappresentino, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni. Per i diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite partecipazioni, si tiene conto delle percentuali potenzialmente ricollegabili alle predette partecipazioni. La percentuale di diritti di voto e di partecipazione è determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi. Tale disposizione si applica dalla data in cui le partecipazioni, i titoli ed i diritti posseduti rappresentano una percentuale di diritti di voto o di partecipazione superiore alle percentuali suindicate". Per converso, la lettera c-bis) dell’articolo 81 prevede che costituiscono cessioni di partecipazioni non qualificate, le cessioni a titolo oneroso di azioni e di ogni altra partecipazione al capitale o al patrimonio di società di cui all’articolo 5, escluse le associazioni di cui al comma 3, lettera c), e dei soggetti di cui all’articolo 87, nonché di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni, in misura inferiore a quanto previsto dalla precedente lettera c). La circolare del Ministero delle Finanze n. 165/E del 24 giugno 1998, esaminando l’ipotesi della cessione dei diritti di opzione, afferma espressamente che "per espressa previsione della disposizione in esame, nel caso di cessione di titoli o diritti attraverso cui possono essere acquisite le partecipazioni, la percentuale dei diritti di voto e di partecipazione deve essere calcolata prendendo a riferimento la percentuale dei diritti di voto e di partecipazione potenzialmente ricollegabile alle partecipazioni che possono essere acquisite attraverso i predetti titoli o diritti". Pertanto, a parere di questa Direzione, in relazione alle disposizioni normative attualmente vigenti, la rinuncia al diritto di opzione non esplica effetti di natura tributaria nella fattispecie sopra descritta, configurandosi invece i presupposti di tassazione in base alla disciplina dei redditi diversi di cui all’articolo 81, nei confronti di soggetti che non svolgono attività di impresa, nel momento in cui avviene la cessione delle partecipazioni o dei diritti attraverso i quali possono essere acquisite le partecipazioni.
dre/irpef/F7-081A8.DOC
Quesito
Risposta E’ stato sottoposto a questa Direzione un quesito concernente la corretta applicazione dell’art. 81 lettera c) del T.U.I.R. e dell’art. 2 D.L. 28/01/91 n. 27 (convertito dalla Legge n. 102/91) in materia di determinazione della plusvalenza relativa alla cessione di una partecipazione qualificata in una S.p.A. In particolare si chiede di conoscere se e in quale modo debba tenersi conto, nella determinazione della plusvalenza, delle spese relative ad un lodo arbitrale, ovvero se tali spese debbano essere comprese tra i costi della partecipazione o invece dedotte dal prezzo della cessione. Tale lodo, previsto dallo statuto societario, si è reso necessario in assenza di accordo tra le parti sul prezzo di vendita della partecipazione. L’art. 2 del D.L. n. 27/91 prevede che i redditi di cui all’art. 81, comma 1, lettere c) e c) bis del T.U.I.R., sono costituiti dalla differenza tra il corrispettivo percepito ed il prezzo pagato all’atto del precedente acquisto. In ogni caso il prezzo è aumentato di ogni altro costo inerente alla partecipazione ceduta. Poiché la norma fa espresso riferimento al corrispettivo pattuito, è da escludere che possano effettuarsi decurtazioni dal prezzo di vendita in sede di calcolo della plusvalenza. Per corrispettivo infatti non può che intendersi il prezzo di vendita, al lordo di qualsiasi onere. Per quanto riguarda, invece, il prezzo d’acquisto, è possibile incrementarlo di ogni altro costo inerente. La soluzione del quesito verte sul significato del termine "inerente". Il Ministero delle Finanze con C.M. n. 14/08/650 del 11 Aprile 1991, con la quale ha fornito chiarimenti in merito al D.L. n. 27/91, ha dato un’interpretazione restrittiva del termine, sostenendo che "il prezzo di acquisto si dovrà incrementare di tutti i costi strettamente afferenti l’acquisto della partecipazione oggetto della cessione (bolli, commissioni ed imposte, con esclusione degli oneri finanziari di qualsiasi specie)". Da quanto detto si evince che secondo il Ministero i costi da considerare ad incremento del prezzo di acquisto devono essere strettamente inerenti l’acquisto della partecipazione, oltre ad essere necessari per lo stesso. I costi del lodo arbitrale, riguardando l’operazione di cessione della partecipazione, non hanno il carattere di inerenza, almeno secondo il significato dato dall’Amministrazione Finanziaria, e pertanto non rileveranno in alcun modo in sede di calcolo della plusvalenza.
dre/irpef/F7-081A6.DOC
Quesito Il sottoscritto ...................................., nato a Pisa il 27.2.1939 e residente in Mantova in Via Acerbi 35 - ragioniere commercialista iscritto in Albo - con C.F. .................................... e P.IVA 01309290201, chiede per un proprio cliente (persona fisica) di conoscere il parere della S.V. Illustrissima per una vendita di terreno con le sole seguenti destinazioni urbanistiche, tutte specificatamente distinte al Catasto terreni del Comune dei Mondolfo come ZONA OMOGENEA "F" del D.M. 1444/2.4.1968: - "Attrezzature Urbane" - art. 16 delle N.T.A.; - "Viabilità Pubblica di progetto" - art. 12 delle N.T.A.; - "Verde Pubblico attrezzato per lo sport" - art. 15 delle N.T.A.; La vendita predetta realizza in ogni caso plusvalenza, a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione a mente dell’art. 81 - lett. b - del TUIR DPR 22.12.1986/917, ed è classificata come reddito diverso oppure, come parrebbe allo scrivente, la vendita stessa, non realizzando plusvalenza in quanto il terreno non ha alcuna possibilità di utilizzazione edificatoria, non produce reddito diverso, specie essendo inserito in ZONA OMOGENEA "F", esclusa dal costituire plusvalenza anche ai fini di esproprio per la mancata conversione in legge dei decaduti DD.LL. 28.2.1992/174 - 27.4.1992/269 - 25.6.1992/319. Ringraziando già per la cortese risposta, porge i migliori e più distinti saluti con doverosi ossequi.
Risposta II.DD. Cessione di terreno rientrante in zona omogenea "F" - Configurabilità di plusvalenza ai sensi dell’art. 81, lettera b), del DPR n. 917/196. Con la nota suindicata è stato chiesto il parere di questa Direzione circa la configurabilità o meno di una plusvalenza tassabile ai sensi dell’art. 81, lettera b), del DPR n. 917/1986, nel caso di vendita di un terreno rientrante in zona omogenea "F", ai sensi del D.M. 1444 del 2.4.1968. Nel quesito si afferma che dal Catasto terreni del Comune risulta che il terreno è destinato ad "attrezzature urbane", a "viabilità pubblica di progetto" e a "verde pubblico attrezzato per lo sport". Tenuto conto di tali destinazioni, risulta mancante, ai fini della tassabilità della eventuale plusvalenza, il requisito della suscettibilità all’utilizzazione edificatoria, previsto dal citato art. 81, lettera b). Occorre però precisare che la norma in commento prevede che la suscettibilità all’utilizzazione edificatoria deve essere verificata sulla base degli strumenti urbanistici (piano regolatore o altri strumenti) vigenti al momento della cessione, a nulla rilevando le risultanze catastali.
dre/irpef/F6-079A6.DOC
QUESITO IN ORDINE ALL’APPLICAZIONE DELL’ART. 79 - COMMA 8 - DEL TUIR
Quesito Come è noto l’art. 79 - comma 8 - del Tuir stabilisce che ..."Per le imprese autorizzate all’autotrasporto di merci per conto di terzi il reddito determinato a norma dei precedenti commi è ridotto, a titolo forfettario di spese non documentate, di Lire ................. per i trasporti personalmente effettuati dall’imprenditore ...". Tali importi sono attualmente determinati in L. 25.000 per i trasporti nell’ambito della regione o delle regioni limitrofe e in L. 50.000 per quelli effettuati oltre tale ambito. L’art. 7 - comma 2 bis - del D.L. 2.3.1989, n. 69, convertito in legge 27.4.1969, n. 154 ha precisato che agli effetti dell’art. 79, comma 8, del Tuir, per imprese autorizzate all’autotrasporto di merci in conto terzi devono intendersi anche i soggetti di cui all’art. 6 del D.L. 6.2.1987, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. 30.3.1987, n. 132. Il citato art. 6 del D.L. 6.2.1987, n. 16 convertito dalla L. 30.3.1987, n. 132 individua tali soggetti in coloro che effettuano trasporti di cose su strada con motoveicoli e autoveicoli aventi una massa complessiva a pieno carico non superiore a 3.500 kilogrammi e, pertanto, per effetto delle disposizioni contenute nella L. 298/74, non rientranti tra gli obbligati all’iscrizione all’Albo degli autotrasportatori. Ciò premesso, si chiede conferma circa la possibilità di fruire dell’agevolazione prevista dall’art. 79 - comma 8 - del TUIR anche da parte degli autotrasportatori non iscritti al competente Albo provinciale in quanto esercenti l’attività con veicoli aventi una massa complessiva a pieno carico non superiore a 3.500 kilogrammi (limite portato dal nuovo codice della strada a 6.000 kilogrammi), considerato che ad alcuni quesiti in ordine alla fattispecie rappresentata l’esperto de "Il Sole 24 Ore" ha espresso l’avviso che possono fruire delle deduzioni in argomento solo gli autotrasportatori iscritti all’Albo. Si rimane in attesa di un autorevole chiarimento e, ringraziando per l’attenzione, si porgono i migliori saluti.
Risposta II.DD. Deduzioni forfettarie di spese non documentate per le imprese autorizzate all’autotrasporto di merci per conto terzi - Art. 79 comma 8 del TUIR Con la nota suindicata è stato chiesto di conoscere se la deduzione forfettaria di spese non documentate di L. 25.000 e di L. 50.000 (importi elevati a L. 32.000 e a 65.000 dal DL 12.4.1996 n. 203) per i trasporti personalmente effettuati dall’imprenditore, di cui all’art. 79, comma 8, del TUIR, è fruibile anche dalle imprese autorizzate all’autotrasporto di merci per conto terzi non iscritte al competente Albo provinciale istituito con L. 6/6/1974 n. 298. La deduzione in argomento, in forza del disposto di cui all’art. 7, comma 2 bis del D.L. 2.3.1989 n. 69, convertito con L. 27.4.1989 n. 154, è stata estesa anche ai soggetti di cui all’art. 6 del D.L. 6.2.1987 n. 16 convertito con modificazioni dalla L. 30.3.1987n. 132. I soggetti di cui all’art. 6 per ultimo citato, sono gli autotrasportatori non iscritti all’Albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto terzi, in quanto esercenti l’attività con motoveicoli e autoveicoli aventi una massa complessiva a pieno carico non superiore a 3500 chilogrammi. L’iscrizione all’albo degli autotrasportatori di cui alla L. 6.6.1974 n. 298, pertanto, non costituisce requisito per il godimento della deduzione di cui all’art. 79, comma 8, del TUIR.
dre/irpef/f6-076a9.DOC
II.DD. - Valutazione di crediti e debiti in valuta e relativi contratti di copertura. Apposizione in bilancio di un fondo adeguamento cambi
Con la nota suindicata il professionista _________________ ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito al corretto comportamento da seguire per la valutazione delle operazioni commerciali con l’estero dalle quali scaturiscono crediti e debiti in valuta ed alla contestuale copertura a termine delle stesse. In particolare viene chiesto se sia possibile costituire nel bilancio di esercizio redatto al 31 dicembre di ogni anno, un fondo differenza cambi da portare in diminuzione dei ricavi in modo da non assoggettare a tassazione un importo corrispondente alla minusvalenza che sarà realizzata negli esercizi successivi in relazione alle perdite su cambi. Nel quesito viene esposta la seguente situazione:
Per conseguenza, la società, al momento di preparazione dei listini di vendita ha concluso dei contratti di copertura a termine in dollari statunitensi in base al tasso medio rilevato nei primi mesi del 1997. Tale tasso si è poi rivelato inferiore sia a quello utilizzato per la contabilizzazione delle fatture emesse nel secondo semestre del 1997 che a quello in vigore alla chiusura dell’esercizio nonché rispetto a quelli in vigore al momento di pagamento da parte dei clienti. Per conseguenza, il risultato dell’esercizio 1997 risentirà della scelta del tasso utilizzato per valorizzare i crediti in valuta estera e l’applicazione del tasso di cambio riferito al momento di chiusura dell’esercizio o al momento della fatturazione comporterebbe una sopravvalutazione dei crediti esposti in bilancio ed espressi in valuta. Inoltre, tale importo sarebbe riconosciuto come perdita su cambi nel successivo esercizio al momento della vendita della valuta sottostante al contratto a termine stipulato dalla società. Viene chiesto dunque se sia possibile imputare al bilancio 1997 dette perdite su cambi in virtù della certezza del loro ammontare, anche se le stesse saranno definitivamente riconosciute nell’esercizio successivo. Esiste dunque un rapporto tra la società e l’istituto di credito con il quale vengono stipulati i contratti di copertura attraverso l’utilizzo di un conto valutario. L’istituto di credito mette sostanzialmente a disposizione della società valuta estera a fronte del credito commerciale attraverso i predetti contratti di copertura. In sostanza, la situazione della società è quella di avere stipulato dei contratti di copertura a termine con un tasso di cambio inferiore a quello applicabile al momento della vendita della valuta nei confronti dell’istituto di credito. Tale circostanza genera dunque una perdita su cambi in relazione all’esposizione finanziaria. Peraltro, anche con riguardo alla gestione commerciale, il tasso di cambio relativo ai crediti valutati alla fine dell’esercizio si manifesta inferiore al tasso utilizzato per l’iscrizione dei predetti crediti, generando perdite su cambi riguardanti la gestione commerciale relativa alla diminuzione del credito. La problematica viene affrontata dal professionista istante in base alla disciplina civilistica e contabile, in relazione a quanto affermato dal principio contabile n. 9 del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri collegiati che affronta le problematiche legate alla conversione in moneta nazionale delle operazioni e delle poste espresse in valuta estera. Il paragrafo F) del citato principio contabile esamina l’ipotesi di contratti a termine in valuta estera a fronte di una esposizione netta in moneta estera ma non correlati a specifiche operazioni, cioè non collegati a specifici crediti e debiti od impegni contrattuali di acquisto o vendita. Nel caso di specie, seppure la società stipula i contratti di copertura in relazione alle operazioni commerciali, gli stessi non presentano la stessa scadenza dei contratti di natura commerciale, non esistendo una identificazione tra l’operazione commerciale e il contratto di copertura. Il cennato principio contabile dispone in merito all’effetto complessivo delle differenze di cambio relative sia all’esposizione commerciale sia con riguardo alla copertura dei contratti a termine. Per quanto concerne l’esposizione commerciale, il principio contabile prevede che i crediti e i debiti in moneta estera siano convertiti al cambio di fine anno al fine di determinare l’utile o la perdita. Con riferimento invece ai contratti di copertura a termine, viene previsto che l’utile o la perdita relativa ai predetti contratti sia calcolata moltiplicando l’ammontare in valuta di ogni contratto per la differenza tra il cambio corrente alla data di bilancio e il cambio corrente alla data di stipula del contratto. Gli utili e le perdite così determinati vanno contabilizzati conformemente ai criteri adottati per la conversione dei debiti e dei crediti in moneta estera a breve e a lungo termine. Inoltre, per quanto riguarda i contratti a termine, deve essere calcolato lo sconto o premio in caso di maturazione, sul contratto stesso, contabilizzando in bilancio la quota parte di utile o di perdita maturata. Delle fattispecie relative ai contratti di copertura a termine, assimilate alle cosiddette operazioni fuori bilancio, si è occupata la Banca d’Italia con provvedimento del 16 gennaio 1995, nel quale, ai fini della contabilizzazione di detta operazione viene prevista la necessità della contemporanea presenza dei seguenti requisiti:
In presenza delle condizioni sopra evidenziate è previsto che i proventi e gli oneri delle operazioni fuori bilancio destinate alla copertura di attività e passività sono assimilati agli interessi, in quanto detti proventi e oneri devono essere iscritti nel conto economico in proporzione al tempo maturato in analogia alle operazioni produttive di interessi. Per quanto concerne l’aspetto tributario, l’articolo 103 bis, comma 3, del dpr 917/86, disciplina, con riguardo alla determinazione del reddito degli enti creditizi e finanziari, le cosiddette operazioni di copertura. Il suddetto comma prevede infatti particolari criteri temporali di concorso alla determinazione del reddito dei componenti positivi e negativi relativi alle operazioni destinate a coprire i rischi connessi ad attività o passività produttive di interessi. I predetti componenti positivi e negativi concorrono alla determinazione del reddito secondo la durata del contratto se le operazioni hanno finalità di copertura di rischi connessi ad insiemi di attività o passività. Per quello che concerne le imprese non bancarie, l’articolo 72, comma 1, del dpr 917/86, prevede che, per i crediti e i debiti risultanti in bilancio ed espressi in valuta estera, ai fini della determinazione dell’accantonamento deducibile non si tiene conto dei predetti crediti e debiti coperti da contratti a termine o da contratti di assicurazione. Inoltre, l’articolo 76, comma 2, del dpr 917/86, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera r) del dl 416/94, prevede espressamente che "la valutazione, secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio, dei crediti e dei debiti in valuta estera risultanti in bilancio, anche sotto forma di obbligazioni e titoli similari, è consentita se effettuata per la totalità di essi. Si applica la disposizione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 72 qualora i contratti di copertura non siano valutati in modo coerente". Nella relazione di accompagnamento al citato decreto legge viene espressamente affermato che "viene quindi consentita, in alternativa all’accantonamento per rischi di cambio, la valutazione della totalità dei debiti e dei crediti risultanti in bilancio, anche se rappresentati da obbligazioni o titoli similari, secondo il cambio rilevato alla data di chiusura dell’esercizio in luogo di quello storico. La simmetrica valutazione dei rapporti creditori e debitori espressi in valuta assicura che concorrono alla formazione del reddito imponibile tanto i maggiori quanto i minori valori rilevati. Viene altresì stabilito il principio della coerente valutazione delle operazioni di copertura". Per conseguenza, l’applicabilità del criterio previsto dall’articolo 76 si pone come alternativo a quanto dettato dall’articolo 72 in materia di accantonamento al fondo copertura rischi su cambi. Tale ultimo criterio, infatti, fa riferimento, ai fini della determinazione della differenza negativa deducibile, al saldo dei criteri e dei debiti valutati secondo il cambio del giorno in cui sono sorti, da confrontare con il saldo dei crediti e dei debiti valutati secondo il cambio dell’ultimo giorno dell’esercizio. In base a tale criterio, peraltro, la rilevanza ai fini fiscali riguarda esclusivamente la componente negativa, fatta salva l’acquisizione a tassazione dell’eventuale eccedenza del fondo, mentre, con il criterio dettato dall’articolo 76 assumono rilevanza sia i componenti positivi che quelli negativi derivanti dalla valutazione al cambio vigente alla chiusura dell’esercizio. Per quello che concerne i crediti e i debiti in valuta che trovano copertura in operazioni fuori bilancio, qualora l’impresa non adotti il cambio corrente a fine esercizio, è espressamente prevista l’applicazione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 72 qualora i contratti di copertura non siano valutati in modo coerente. Sostanzialmente, qualora l’impresa adotti il criterio valutativo del cambio a fine esercizio e intende valutare i crediti e i debiti interessati da contratti di copertura dovrà dare rilevanza nella redazione del conto economico, nonché ai fini fiscali, delle operazioni poste in essere in base a tali contratti di copertura. Tale previsione implica dunque che i contratti di copertura devono essere valutati con gli stessi criteri adottati per la valutazione dei crediti e dei debiti ai quali essi afferiscono, con l’ulteriore conseguenza che i componenti positivi e negativi concorrono alla determinazione del reddito imponibile. Pertanto, a parere di questa Direzione, la previsione di cui all’articolo 76, comma 2, del dpr 917/86 renderebbe applicabili, per la generalità delle imprese, i criteri previsti dall’articolo 103 bis, comma 3, del dpr 917/86. Nella fattispecie esaminata, la valutazione dei contratti di copertura effettuata in base al tasso di cambio in essere al 31/12/97 comporta, sia per quanto riguarda l’esposizione commerciale relativa ai crediti espressi in valuta che per la valutazione dei contratti di copertura in relazione al tasso di cambio adottato alla stipula del contratto, una perdita su cambi che la società vorrebbe neutralizzare con riferimento al bilancio dello stesso esercizio attraverso l’apposizione, nel bilancio stesso, di un fondo differenza cambi. Tale procedura, a parere di questa Direzione, apparirebbe conforme a quanto precisato nel paragrafo C.III.B del principio contabile n. 9 sopra citato, relativamente all’ipotesi della conversione di crediti e debiti a lungo termine espressi in valuta estera. Il predetto principio contabile prevede che, nell’ipotesi di mancato adeguamento al cambio della data di bilancio dei predetti crediti e debiti in valuta, occorrerà rilevare le perdite su cambi in un’apposita posta dello stato patrimoniale con addebito al conto economico a condizione che vengano fornite, nel bilancio stesso, informazioni in merito al valore dei crediti e dei debiti in valuta. Per quanto concerne l’aspetto fiscale, a parere della scrivente, il comportamento rappresentato dal professionista menzionato in oggetto appare legittimo qualora, ai fini dell’apposizione in bilancio dei componenti negativi derivanti dalle differenze di cambio, siano riscontrabili i requisiti di certezza e determinabilità. Trattandosi di questione di rilevanza generale si chiede di conoscere l’orientamento di codesta superiore Direzione Centrale.
dre/irpef/f6-075b9.DOC
Quesito
Risposta Con la nota suindicata codesto studio professionale ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito alle corrette modalità con le quali imputare fiscalmente ai fini della determinazione del reddito di impresa, delle provvigioni di agenzia. Nella fattispecie prospettata, due agenti ritengono di avere entrambi diritto alla percezione di dette provvigioni scaturenti dalla conclusione di un affare segnalato alla mandante. In relazione al sorgere di una controversia giudiziale, la sentenza del Tribunale di primo grado dispone a favore di una delle parti. A fronte di tale sentenza, la parte soccombente propone appello e, per conseguenza, secondo lo studio istante, la controversia non può considerarsi definitiva. Viene chiesto quando l’agente che ha ottenuto il giudizio favorevole, debba fatturare e contabilizzare le provvigioni. Al riguardo, vengono formulate tre ipotesi:
A parere della scrivente, occorre in primo luogo analizzare la problematica proposta in relazione al trattamento previsto dalla norma ai fini Iva e ai fini della determinazione del reddito di impresa. Per quanto riguarda la disciplina prevista ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, l’evento che fa sorgere l’obbligo della fatturazione è costituito dal pagamento. Infatti, l’articolo 6, commi 3 e 4 del dpr 633/72 dispone che per le prestazioni di servizi il momento imponibile è da ritrovarsi nel momento del pagamento. Per conseguenza, al momento del percepimento delle provvigioni in forza della sentenza provvisoriamente esecutiva, l’agente dovrà provvedere alla fatturazione delle stesse. Per quello che riguarda le imposte dirette, occorre avere riguardo a quanto disposto dall’articolo 75 del dpr 917/86, in base al quale viene disposto che i ricavi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, con la precisazione che laddove non ricorrano i requisiti della certezza e della determinabilità, i ricavi stessi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni. Nella fattispecie prospettata, a parere della scrivente, i ricavi hanno le caratteristiche della certezza e della determinabilità, posto che la sentenza pronunciata ha anche efficacia esecutiva. Infatti, sebbene tale sentenza sia stata impugnata dalla parte soccombente, la stessa, sino a deliberazione dei giudici di appello, ha carattere di definitività con riguardo all’an e al quantum. Per le suesposte ragioni, secondo questa Direzione, il ricavo dovrà essere rilevato, e concorrerà alla determinazione della base imponibile, nell’esercizio in cui la sentenza viene depositata, ai sensi dell’articolo 75, comma 1, del dpr 917/86 indipendentemente dalla circostanza che si sia dato o meno corso al pagamento dell’importo. Appare peraltro opportuno sottolineare che, qualora il giudizio di appello pervenisse a conclusioni opposte rispetto alla prima decisione, si configurerà l’ipotesi di una sopravvenienza passiva per la parte condannata alla restituzione di quanto provvisoriamente incassato, come precisato dal Ministero delle Finanze con risoluzione n. 9/174 del 27 aprile 1991.
dre/irpef/f6-075a9.doc
DRE LOMBARDIA - SERVIZIO I°, DIVISIONE I^ Prot. n. 28161/98
Oggetto: II.DD. Trattamento contabile e fiscale della contabilizzazione di somme rimborsate a seguito di sentenza provvisoriamente esecutiva. Pendenza di giudizio innanzi alla Corte di Cassazione.
Con la nota sopra indicata codesta società ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito alla problematica evidenziata in oggetto. In particolare la società istante, per effetto della sentenza del Tribunale di _________ del _________ provvisoriamente esecutiva, ha ottenuto il riconoscimento del diritto al rimborso di somme pagate a titolo di addizionale sul consumo di energia elettrica in base al disposto di cui all'articolo 6 del dl 511/88 e articolo 4 del dl 322/89. Tale sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello e la definitività del giudizio è stata devoluta alla Corte di Cassazione in base a quanto disposto dalla legge n. 349/95, la quale, a parere del Ministero delle Finanze ha natura innovativa ed interpretativa. Esiste dunque, per la società, il fondato pericolo che, per effetto della pronuncia della Corte di Cassazione e dei provvedimenti conseguenti, l'importo rimborsato debba essere restituito. A parere della società, sotto l'aspetto contabile, l'importo rimborsato potrebbe essere iscritto nella voce "altri fondi per rischi ed oneri", giustificandosi tale scelta con un comportamento cautelativo. Infatti, secondo la società, la concorrenza al reddito dell'esercizio dell'importo rimborsato, equivarrebbe ad un incremento di utile fittizio, con la possibile distribuzione di ricchezza non definitivamente acquisita. Pertanto, anche se in relazione alla sentenza provvisoriamente esecutiva la società ha incassato una somma pari alle imposte addizionali chieste a rimborso, oltre agli interessi, alle spese di giudizio ed alla maggiorazione, viene chiesto se, alla luce del dettato di cui all'articolo 75 del dpr 917/86, sia ravvisabile nell'esercizio 1997 la competenza della sopravvenienza attiva derivante da detto rimborso ovvero debba essere fiscalmente rinviata la tassazione nel periodo di imposta in cui si realizzano i requisiti della certezza e della obiettiva determinabilità con riferimento alle predette somme. A parere della scrivente, nella fattispecie prospettata, non sembrerebbero ricorrere i requisiti per derogare ai criteri di cui all'articolo 75 del dpr 917/86. Si ritiene pertanto che dette somme debbano concorrere come sopravvenienza attiva al reddito dell'esercizio ai sensi dell'articolo 55 del dpr 917/86, per poi essere eventualmente stornate successivamente ad una sentenza sfavorevole resa nei confronti della società stessa. A tale conclusione, a parere della scrivente potrebbe anche giungersi in relazione a quanto affermato dal Ministero delle Finanze con la risoluzione n. 9/1974 del 27 aprile 1991, in base alla quale, una sentenza della Corte di Appello provvisoriamente esecutiva, sebbene impugnabile per motivi di legittimità mediante ricorso per Cassazione, si è pronunciata sull'an e sul quantum e produce immediati effetti sul patrimonio dei soggetti interessati. Pertanto, dette somme dovranno concorrere nell'esercizio in cui è venuto ad esistenza il fatto giuridico che costituisce il presupposto per il rimborso, con l'ulteriore considerazione che, nella fattispecie in esame, le somme risultano materialmente incassate.
dre/irpef/f6-074b9DOC
IVA - II.DD. Cessione gratuita beni connessi con il prodotto principale venduto
Quesito La sottoscritta ________________________, con sede a _____________ commercia all’ingrosso "BIRRA" in bottiglie e fusti. Per pubblicizzare il prodotto intende, per il futuro, accompagnare le forniture di merce con materiale pubblicitario offerto gratuitamente ai singoli clienti, materiale costituito da bicchieri, sottocoppe, vassoi, ecc. Ognuno di questi oggetti reca il marchio della ditta e quindi non è vendibile, ed ha un costo di acquisto inferiore a Lire 50.000. Si precisa che in molti casi il valore complessivo del materiale pubblicitario inviato al singolo cliente supera l’importo di Lire 50.000. Si ritiene che l’I.V.A. relativa all’acquisto di tale materiale pubblicitario potrà essere detratta regolarmente, così come il costo, mentre lo stesso materiale, che verrà allegato gratuitamente alle singole forniture di merce, non verrà assoggettato all’I.V.A. pur essendo specificato in fattura. Si chiede: è corretto il comportamento che si vorrà tenere il relazione a quanto prescrive il D.L. n. 415 del 02.10.95?
Risposta Attualmente, in base all’art. 19 - bis 1 lett. h del DPR 633/72 (introdotto dal D.Lgs. 313/97) l’IVA relativa alle spese di rappresentanza (tali vanno qualificate quelle oggetto del quesito) non è ammessa in detrazione. Peraltro, un ulteriore motivo di indetraibilità è dato dal fatto che, nel caso prospettato, il tributo assolto "a monte" si riferisce ad acquisti afferenti operazioni non soggette all’imposta ex art. 2, 2° c. n. 4 del citato DPR 633; si tratta, infatti, di cessioni gratuite di beni di costo unitario non superiore a L. 50.000, la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria di codesta società. Quanto alle imposte sul reddito, il costo dei beni distribuiti gratuitamente sarà deducibile (a titolo di spese di rappresentanza) nel limite del terzo e con le modalità previste dall’art. 74, 2° c. del DPR 917/86 nei casi in cui i beni suddetti siano di valore unitario eccedente L. 50.000, e per intero nei casi in cui siano di valore unitario non eccedente tale importo.
dre/irpef/f6-074a9.doc
DRE LOMBARDIA - Servizio I° - Divisione I^ Prot. n. 55447/95
Oggetto: II.DD. Attività di ricerche di mercato mediante interviste. Dazione di buoni benzina agli intervistati. Deducibilità dei costi sostenuti.
Con la nota sopra indicata la S.V. ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito alla problematica evidenziata in oggetto. Nell'istanza viene chiesto di conoscere se una società, ai fini della determinazione del reddito di impresa, possa legittimamente considerare come costi deducibili i buoni benzina di modico valore erogati a coloro i quali vengono intervistati sull'appetibilità o meno di determinati prodotti da immettere sul mercato. L'attività della società è quella di svolgimento di ricerche di mercato su incarico conferito da operatori economici interessati. A parere della scrivente, in base a quanto esposto nel quesito, non può essere disconosciuta la legittimità della deduzione del costo sostenuto, sia nell'ipotesi in cui i buoni benzina fossero da considerarsi come omaggi di modico valore, sia nell'ipotesi in cui siano invece da considerarsi come spese inerenti all'attività esercitata. Nella prima ipotesi, ai fini della deducibilità del bene omaggio, troverebbe applicazione il disposto di cui all'articolo 74, comma 2, del dpr 917/86, il quale prevede una deroga esplicita alle limitazioni previste nel primo periodo dello stesso comma in relazione alle spese di rappresentanza, laddove il legislatore ha ammesso la deducibilità integrale dei beni distribuiti gratuitamente il cui valore non ecceda lire 50 mila. Trattandosi nella fattispecie in esame di buoni benzina di modico valore, potrebbe dunque essere affermata la deducibilità completa nei limiti di lire 50 mila. Dal tipo di attività esercitata dalla società, potrebbe inoltre desumersi l'inerenza del costo sostenuto, in quanto sussisterebbe, nel caso di specie, il rapporto di diretta correlazione con l'attività produttiva di ricavi imponibili. Sarebbe altresì verificato, conformemente a quanto precisato dal Ministero delle Finanze, il requisito di inerenza del costo in relazione all'attività concretamente svolta dall'impresa.
dre/irpef/f6-072a9.DOC
II.DD. - Valutazione di crediti e debiti in valuta e relativi contratti di copertura. Apposizione in bilancio di un fondo adeguamento cambi
Con la nota suindicata il professionista _________________ ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito al corretto comportamento da seguire per la valutazione delle operazioni commerciali con l’estero dalle quali scaturiscono crediti e debiti in valuta ed alla contestuale copertura a termine delle stesse. In particolare viene chiesto se sia possibile costituire nel bilancio di esercizio redatto al 31 dicembre di ogni anno, un fondo differenza cambi da portare in diminuzione dei ricavi in modo da non assoggettare a tassazione un importo corrispondente alla minusvalenza che sarà realizzata negli esercizi successivi in relazione alle perdite su cambi. Nel quesito viene esposta la seguente situazione:
Per conseguenza, la società, al momento di preparazione dei listini di vendita ha concluso dei contratti di copertura a termine in dollari statunitensi in base al tasso medio rilevato nei primi mesi del 1997. Tale tasso si è poi rivelato inferiore sia a quello utilizzato per la contabilizzazione delle fatture emesse nel secondo semestre del 1997 che a quello in vigore alla chiusura dell’esercizio nonché rispetto a quelli in vigore al momento di pagamento da parte dei clienti. Per conseguenza, il risultato dell’esercizio 1997 risentirà della scelta del tasso utilizzato per valorizzare i crediti in valuta estera e l’applicazione del tasso di cambio riferito al momento di chiusura dell’esercizio o al momento della fatturazione comporterebbe una sopravvalutazione dei crediti esposti in bilancio ed espressi in valuta. Inoltre, tale importo sarebbe riconosciuto come perdita su cambi nel successivo esercizio al momento della vendita della valuta sottostante al contratto a termine stipulato dalla società. Viene chiesto dunque se sia possibile imputare al bilancio 1997 dette perdite su cambi in virtù della certezza del loro ammontare, anche se le stesse saranno definitivamente riconosciute nell’esercizio successivo. Esiste dunque un rapporto tra la società e l’istituto di credito con il quale vengono stipulati i contratti di copertura attraverso l’utilizzo di un conto valutario. L’istituto di credito mette sostanzialmente a disposizione della società valuta estera a fronte del credito commerciale attraverso i predetti contratti di copertura. In sostanza, la situazione della società è quella di avere stipulato dei contratti di copertura a termine con un tasso di cambio inferiore a quello applicabile al momento della vendita della valuta nei confronti dell’istituto di credito. Tale circostanza genera dunque una perdita su cambi in relazione all’esposizione finanziaria. Peraltro, anche con riguardo alla gestione commerciale, il tasso di cambio relativo ai crediti valutati alla fine dell’esercizio si manifesta inferiore al tasso utilizzato per l’iscrizione dei predetti crediti, generando perdite su cambi riguardanti la gestione commerciale relativa alla diminuzione del credito. La problematica viene affrontata dal professionista istante in base alla disciplina civilistica e contabile, in relazione a quanto affermato dal principio contabile n. 9 del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri collegiati che affronta le problematiche legate alla conversione in moneta nazionale delle operazioni e delle poste espresse in valuta estera. Il paragrafo F) del citato principio contabile esamina l’ipotesi di contratti a termine in valuta estera a fronte di una esposizione netta in moneta estera ma non correlati a specifiche operazioni, cioè non collegati a specifici crediti e debiti od impegni contrattuali di acquisto o vendita. Nel caso di specie, seppure la società stipula i contratti di copertura in relazione alle operazioni commerciali, gli stessi non presentano la stessa scadenza dei contratti di natura commerciale, non esistendo una identificazione tra l’operazione commerciale e il contratto di copertura. Il cennato principio contabile dispone in merito all’effetto complessivo delle differenze di cambio relative sia all’esposizione commerciale sia con riguardo alla copertura dei contratti a termine. Per quanto concerne l’esposizione commerciale, il principio contabile prevede che i crediti e i debiti in moneta estera siano convertiti al cambio di fine anno al fine di determinare l’utile o la perdita. Con riferimento invece ai contratti di copertura a termine, viene previsto che l’utile o la perdita relativa ai predetti contratti sia calcolata moltiplicando l’ammontare in valuta di ogni contratto per la differenza tra il cambio corrente alla data di bilancio e il cambio corrente alla data di stipula del contratto. Gli utili e le perdite così determinati vanno contabilizzati conformemente ai criteri adottati per la conversione dei debiti e dei crediti in moneta estera a breve e a lungo termine. Inoltre, per quanto riguarda i contratti a termine, deve essere calcolato lo sconto o premio in caso di maturazione, sul contratto stesso, contabilizzando in bilancio la quota parte di utile o di perdita maturata. Delle fattispecie relative ai contratti di copertura a termine, assimilate alle cosiddette operazioni fuori bilancio, si è occupata la Banca d’Italia con provvedimento del 16 gennaio 1995, nel quale, ai fini della contabilizzazione di detta operazione viene prevista la necessità della contemporanea presenza dei seguenti requisiti:
In presenza delle condizioni sopra evidenziate è previsto che i proventi e gli oneri delle operazioni fuori bilancio destinate alla copertura di attività e passività sono assimilati agli interessi, in quanto detti proventi e oneri devono essere iscritti nel conto economico in proporzione al tempo maturato in analogia alle operazioni produttive di interessi. Per quanto concerne l’aspetto tributario, l’articolo 103 bis, comma 3, del dpr 917/86, disciplina, con riguardo alla determinazione del reddito degli enti creditizi e finanziari, le cosiddette operazioni di copertura. Il suddetto comma prevede infatti particolari criteri temporali di concorso alla determinazione del reddito dei componenti positivi e negativi relativi alle operazioni destinate a coprire i rischi connessi ad attività o passività produttive di interessi. I predetti componenti positivi e negativi concorrono alla determinazione del reddito secondo la durata del contratto se le operazioni hanno finalità di copertura di rischi connessi ad insiemi di attività o passività. Per quello che concerne le imprese non bancarie, l’articolo 72, comma 1, del dpr 917/86, prevede che, per i crediti e i debiti risultanti in bilancio ed espressi in valuta estera, ai fini della determinazione dell’accantonamento deducibile non si tiene conto dei predetti crediti e debiti coperti da contratti a termine o da contratti di assicurazione. Inoltre, l’articolo 76, comma 2, del dpr 917/86, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera r) del dl 416/94, prevede espressamente che "la valutazione, secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio, dei crediti e dei debiti in valuta estera risultanti in bilancio, anche sotto forma di obbligazioni e titoli similari, è consentita se effettuata per la totalità di essi. Si applica la disposizione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 72 qualora i contratti di copertura non siano valutati in modo coerente". Nella relazione di accompagnamento al citato decreto legge viene espressamente affermato che "viene quindi consentita, in alternativa all’accantonamento per rischi di cambio, la valutazione della totalità dei debiti e dei crediti risultanti in bilancio, anche se rappresentati da obbligazioni o titoli similari, secondo il cambio rilevato alla data di chiusura dell’esercizio in luogo di quello storico. La simmetrica valutazione dei rapporti creditori e debitori espressi in valuta assicura che concorrono alla formazione del reddito imponibile tanto i maggiori quanto i minori valori rilevati. Viene altresì stabilito il principio della coerente valutazione delle operazioni di copertura". Per conseguenza, l’applicabilità del criterio previsto dall’articolo 76 si pone come alternativo a quanto dettato dall’articolo 72 in materia di accantonamento al fondo copertura rischi su cambi. Tale ultimo criterio, infatti, fa riferimento, ai fini della determinazione della differenza negativa deducibile, al saldo dei criteri e dei debiti valutati secondo il cambio del giorno in cui sono sorti, da confrontare con il saldo dei crediti e dei debiti valutati secondo il cambio dell’ultimo giorno dell’esercizio. In base a tale criterio, peraltro, la rilevanza ai fini fiscali riguarda esclusivamente la componente negativa, fatta salva l’acquisizione a tassazione dell’eventuale eccedenza del fondo, mentre, con il criterio dettato dall’articolo 76 assumono rilevanza sia i componenti positivi che quelli negativi derivanti dalla valutazione al cambio vigente alla chiusura dell’esercizio. Per quello che concerne i crediti e i debiti in valuta che trovano copertura in operazioni fuori bilancio, qualora l’impresa non adotti il cambio corrente a fine esercizio, è espressamente prevista l’applicazione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 72 qualora i contratti di copertura non siano valutati in modo coerente. Sostanzialmente, qualora l’impresa adotti il criterio valutativo del cambio a fine esercizio e intende valutare i crediti e i debiti interessati da contratti di copertura dovrà dare rilevanza nella redazione del conto economico, nonché ai fini fiscali, delle operazioni poste in essere in base a tali contratti di copertura. Tale previsione implica dunque che i contratti di copertura devono essere valutati con gli stessi criteri adottati per la valutazione dei crediti e dei debiti ai quali essi afferiscono, con l’ulteriore conseguenza che i componenti positivi e negativi concorrono alla determinazione del reddito imponibile. Pertanto, a parere di questa Direzione, la previsione di cui all’articolo 76, comma 2, del dpr 917/86 renderebbe applicabili, per la generalità delle imprese, i criteri previsti dall’articolo 103 bis, comma 3, del dpr 917/86. Nella fattispecie esaminata, la valutazione dei contratti di copertura effettuata in base al tasso di cambio in essere al 31/12/97 comporta, sia per quanto riguarda l’esposizione commerciale relativa ai crediti espressi in valuta che per la valutazione dei contratti di copertura in relazione al tasso di cambio adottato alla stipula del contratto, una perdita su cambi che la società vorrebbe neutralizzare con riferimento al bilancio dello stesso esercizio attraverso l’apposizione, nel bilancio stesso, di un fondo differenza cambi. Tale procedura, a parere di questa Direzione, apparirebbe conforme a quanto precisato nel paragrafo C.III.B del principio contabile n. 9 sopra citato, relativamente all’ipotesi della conversione di crediti e debiti a lungo termine espressi in valuta estera. Il predetto principio contabile prevede che, nell’ipotesi di mancato adeguamento al cambio della data di bilancio dei predetti crediti e debiti in valuta, occorrerà rilevare le perdite su cambi in un’apposita posta dello stato patrimoniale con addebito al conto economico a condizione che vengano fornite, nel bilancio stesso, informazioni in merito al valore dei crediti e dei debiti in valuta. Per quanto concerne l’aspetto fiscale, a parere della scrivente, il comportamento rappresentato dal professionista menzionato in oggetto appare legittimo qualora, ai fini dell’apposizione in bilancio dei componenti negativi derivanti dalle differenze di cambio, siano riscontrabili i requisiti di certezza e determinabilità. Trattandosi di questione di rilevanza generale si chiede di conoscere l’orientamento di codesta superiore Direzione Centrale.
dre/irpef/f6-067b8.DOC
Quesito Risposta Si trasmette l’unito quesito indirizzato a codesta Direzione Centrale, concernente la materia indicata in oggetto. Relativamente alla problematica proposta in merito alla correttezza contabile e fiscale della procedura seguita da una società per la rilevazione della risoluzione di un contratto di leasing, questa Direzione Regionale osserva quanto segue. Nella fase iniziale del contratto, la società acquisisce, su indicazione del conduttore, un bene che viene poi concesso in locazione finanziaria al conduttore stesso attraverso la stipula di un contratto contenente delle clausole che regolano l’ipotesi di risoluzione per inadempimento contrattuale derivante dal mancato pagamento dei canoni di locazione regolarmente fatturati dalla società locatrice. Conseguentemente, sempre in virtù di una espressa clausola contrattuale, la società locatrice si impegna a vendere il bene oggetto di locazione riconoscendo al conduttore un importo pari al valore imponibile di vendita. Al momento della risoluzione del contratto, la società rileverebbe tale fenomeno attraverso la seguente procedura: - rilevazione del danno causato dalla risoluzione del contratto; - richiesta al conduttore del risarcimento del danno provocato per l’inadempienza contrattuale il cui ammontare viene determinato, in base alla clausola risolutiva espressa, dall’ammontare dei canoni fatturati e non pagati e dal debito residuo al momento della risoluzione; - il bene rientra in possesso della società locatrice nei modi e nei termini stabili dal contratto; - la società locatrice, dopo aver proceduto ad una valutazione di stima del bene, procede alla vendita, riconoscendo, in base ad una precisa clausola contrattuale, un ammontare pari al valore imponibile del bene al conduttore a titolo di decurtazione del debito. La richiesta di assenso alla correttezza della procedura seguita dalla società locatrice viene supportata evidenziando i seguenti aspetti: - la risoluzione del contratto di leasing determina la fine dell’area di profitto della società locatrice; - viene meno la possibilità di rilevazione della componente reddituale derivante dai canoni di locazione e, corrispondentemente, della quota di ammortamento del bene. A parere della società locatrice, la risoluzione del contratto provoca peraltro un danno certo rappresentato da: - sotto l’aspetto economico l’impossibilità di emissione delle fatture e, conseguentemente, di conseguire ricavi; - sotto l’aspetto patrimoniale, lo svilimento di una componente del patrimonio per effetto della risoluzione del contratto. Dal punto di vista contabile, l’operazione viene così rappresentata: - la prima registrazione riguarda la fatturazione del canone che, non essendo stato pagato, provoca la risoluzione di diritto del contratto; - viene rilevata, con ragguaglio annuale relativo alla fatturazione dei canoni, la quota di ammortamento del bene oggetto di locazione; - per la società locatrice, il bene perde la natura di cespite locato divenendo un bene merce in attesa di essere venduto; - si procede allo storno del fondo ammortamento relativo al bene oggetto di locazione; - la società locatrice rileva il danno subito pari all’ammontare del debito residuo alla data di risoluzione del contratto, in conformità a quanto previsto da una clausola risolutiva espressa. Il conto "danni da contratti risolti" rappresenta la diminuzione di valore del bene originariamente locato e viene iscritto come voce di costo nel conto economico della società, sostituendo a tutti gli effetti la voce fondo di ammortamento che rappresenterebbe la voce di costo qualora il contratto non venga risolto; - a fronte dell’iscrizione del danno subito, si accredita il conto intestato al conduttore inadempiente, rilevando quindi una componente positiva di reddito espressa nel conto "penali per inadempienza", che, dal punto di vista economico, sostituisce i canoni di locazione che sarebbero stati incassati dalla società in vigenza del contratto; - vengono emesse a carico del conduttore inadempiente delle fatture contenenti interessi moratori e spese di ripristino del bene che si sono rese necessarie, in base ad una valutazione di stima, prima della vendita del bene stesso; - al momento della riconsegna del bene viene registrato il rientro del bene stesso nel patrimonio della società locatrice in attesa di essere ceduto; - l’appostazione nello stato patrimoniale della società avviene iscrivendo il bene al valore originario rettificato dell’importo che evidenzia il danno subito dalla società stessa a causa dell’inadempienza contrattuale; - viene nuovamente girato il fondo ammortamento; - il bene viene poi venduto e, per effetto della clausola contrattuale espressa (patto marciano), viene riconosciuto al conduttore un importo pari al valore imponibile del bene venduto a diminuzione del debito; - la parte residua di debito a carico del conduttore, evidenzia una componente di carattere finanziario che non avrà, dal punto di vista economico, alcuna rilevanza. Ciò in quanto la società ha già rilevato un componente positivo di reddito relativo alla penale per inadempienza. A parere di questa Direzione, la procedura seguita dalla società per la rilevazione del fenomeno, che viene definito come patologico, legato alla risoluzione del contratto di leasing, appare economicamente neutra. Dal punto di vista contabile e fiscale, infatti, alla rilevazione del componente positivo di reddito rappresentato dal conto penali per inadempienza fa riscontro il componente negativo di reddito rappresentato dal conto danni per contratti risolti. In una situazione di normale gestione del contratto di leasing, la società avrebbe rilevato, dal punto di vista economico, la componente negativa rappresentata dalle quote di ammortamento annuali del bene, mentre, come componente positivo di reddito avrebbe registrato i canoni di locazione finanziaria riscossi annualmente. Si resta in attesa delle determinazioni che vorrà assumere codesta Direzione Centrale.
dre/irpef/f6-067a8.DOC
Quesito Risposta Con la nota sopra indicata è stato chiesto di conoscere se il riscatto anticipato di autovetture in locazione finanziaria, intervenuto prima che sia trascorso uno spazio di tempo almeno pari alla metà del periodo di ammortamento, possa avere conseguenze sulla deducibilità dei canoni già pagati dall’impresa utilizzatrice e sul processo di ammortamento per l’impresa concedente. Il Ministero delle Finanze è intervenuto sul punto chiarendo che al fine della deducibilità dei canoni di locazione è sufficiente che la condizione temporale posta dall’art. 67, 8° comma, del D.P.R. n. 917/1986 sussista al momento della nascita del rapporto di locazione (vd. risposta del Ministro delle Finanze del 21 ottobre 1993 ad interrogazione parlamentare n. 5-01465 del 21 luglio 1993). Pertanto, qualora il contratto di leasing preveda una durata non inferiore a quella stabilita dalla predetta disposizione, il riscatto anticipato non ha alcun riflesso sulla deducibilità dei canoni già pagati.
dre/irpef/f6-065a8.DOC
Quesito Risposta Con l’istanza sopra emarginata, codesta Società ha chiesto alla Scrivente una serie di chiarimenti circa la corretta applicazione di alcune norme del D.P.R. n. 917 del 22/12/1986, in merito al versamento di contributi ad una cassa avente esclusivamente fine assistenziale. In particolare è stato chiesto di conoscere se:
Per quanto attiene al primo quesito, si ritiene che i contributi a carico dell’azienda versati ad una cassa avente fine esclusivamente assistenziale, in conformità ad un accordo aziendale, siano deducibili dal reddito di impresa ai sensi dell’art. 62 del D.P.R. 917/1986, come spesa per prestazioni di lavoro dipendente. Non risulta, infatti, applicabile il primo comma dell’art. 65 del citato D.P.R. 917/1986, in quanto i contributi sono versati dal datore di lavoro non volontariamente, ma sulla base di un accordo aziendale. Visto poi il preciso disposto del comma 2 lettera a) dell’art. 48 del D.P.R. 917/86 come modificato dall’art. 13 comma 1 del D.L. 21/04/1993 n. 124, ne deriva che il contributo versato alla predetta cassa sia dall’azienda che dal dipendente non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente. Con riferimento all’ultimo quesito proposto, si precisa che le spese sanitarie sostenute dal dipendente e non rimborsate dalla cassa aziendale possono essere fatte valere in sede di dichiarazione dei redditi ai fini della deduzione dal reddito, se rientranti tra quelle di cui alla lettera b) del primo comma dell’art. 10 del D.P.R. 917/86, ovvero ai fini della detrazione per oneri, se rientranti tra quelle di cui alla lettera c) del primo comma dell’art. 13 bis dello stesso D.P.R. 917/86. Si ritiene opportuno segnalare che la disposizione contenuta nell’art. 48, comma 2 lettera a), del D.P.R. 917/1986 risulta modificata dall’art. 3 del D.Lgs. 2-9-1977, n. 314, con effetto dal 1-1-1998.
dre/irpef/F6-065A6.DOC
Quesito II.DD. - Determinazione del reddito di impresa. Deducibilità delle donazioni a favore di fondazioni aventi scopi culturali e artistici.
Risposta Con la nota suindicata sono stati posti alcuni quesiti riguardanti le erogazioni liberali a favore di una costituenda fondazione, avente come finalità istituzionale il finanziamento di progetti per la protezione e il restauro di mobili e immobili di notevole valore culturale nonchè studi e ricerche ad essi propedeutici. Con il primo quesito viene chiesto di conoscere se le donazioni effettuate a favore della costituenda fondazione possano essere dedotte dal reddito di impresa del soggetto erogante, sia esso una persona fisica, un ente o una società, e quali siano i requisiti soggettivi che il beneficiario deve possedere affinchè i finanziatori possano fruire della eventuale deducibilità. Ai sensi dell’articolo 65, comma 2, lettera c)-quater del DPR 917/86, in sede di determinazione del reddito di impresa sono deducibili le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico, effettuate per l’acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro delle cose indicate nell’articolo 1 della legge n. 1089/1939 e nel DPR n. 1409/1963, ivi comprese le erogazioni effettuate per l’organizzazione di mostre e di esposizioni, che siano di rilevante interesse scientifico o culturale, delle cose anzidette, e per gli studi e le ricerche eventualmente a tal fine necessari. La predetta disposizione trova applicazione in sede di determinazione del reddito di impresa per tutti i titolari di tale categoria di reddito, siano essi persone fisiche, enti o società. La deduzione è ammessa a condizione che l’ente donatario sia una fondazione o una associazione legalmente riconosciuta ai sensi degli articoli 14 e seguenti del Codice Civile, che svolga senza fini di lucro attività di studio, ricerca e documentazione di rilevante valore culturale ed artistico. Le varie attività poste in essere dal donatario devono riguardare i soli beni tassativamente indicati nella legge n. 1089/1939. E’ necessario inoltre che la fondazione ricevente rilasci all’erogante ricevuta attestante l’ammontare della erogazione ricevuta, il fine per il quale è stata effettuata, l’autorizzazione del Ministero dei beni culturali ed ambientali, se richiesta, secondo quanto previsto dal citato articolo 65, comma 2, lettera c) - quater. Con il secondo quesito viene chiesto di conoscere se i trasferimenti in oggetto rientrano tra quelli esenti da imposta di successione e donazione, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 346/90. Tale norma prevede che non sono soggetti ad imposta i trasferimenti a favore di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute che svolgano istituzionalmente ed in modo esclusivo attività di assistenza, studio, ricerca scientifica, educazione od istruzione. La risoluzione del Ministero delle Finanze n. 271245 del 30 agosto 1976, ha espressamente affermato che tali trasferimenti sono esenti da imposta "a condizione che essi siano stati disposti con specifico scopo di assistenza, studio, ricerca scientifica, educazione, istruzione o altre finalità di pubblica utilità e semprechè, bene inteso, la realizzazione dello scopo sia dimostrata entro cinque anni dalla data di apertura della successione o dalla data di donazione".
dre/irpef/f6-056a9.doc
DRE LOMBARDIA - Servizio I°, Divisione I^ Prot. n. 51217/97
Oggetto: II.DD. Applicazione della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Germania
Con la nota sopra evidenziata, è stato chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla applicazione delle disposizioni convenzionali in vigore tra Italia e Germania. Il quesito riguarda una banca italiana, soggetto passivo Irpeg, che possiede una partecipazione in una banca tedesca costituita sotto la forma della società di persone. Viene chiesto di conoscere se: 1. il reddito di partecipazione in una società di persone tedesca sia soggetto a tassazione in Italia; 2. nell'affermativa, se detta tassazione debba avvenire: a) secondo il principio di cassa o quello di competenza; b) se risulti applicabile nel caso di specie il disposto di cui all'articolo 96 del dpr 917/86; c) se competa il credito di imposta per le imposte pagate in Germania dal socio italiano sul reddito di impresa realizzato in Germania; d) in quale esercizio possa essere fatto valere il credito di imposta e, in particolare, se sia possibile fruirne anche se il reddito prodotto dalla società tedesca sia stato percepito in Italia in un esercizio successivo a quello in cui è avvenuto il pagamento delle imposte in Germania. In base all'articolo 56 del dpr 917/86, concernente i dividendi e gli interessi conseguiti nell'esercizio di impresa, gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti all'Irpeg, concorrono a formare il reddito dell'esercizio in cui sono percepiti. Tale disposizione deve essere coordinata con la circostanza che le società di persone non residenti nel territorio dello Stato, sono soggetti passivi Irpeg ai sensi dell'articolo 87, lettera d) del dpr 917/86. Pertanto, gli utili derivanti dalla partecipazione in società di persone residenti in Germania, sono disciplinati dal citato articolo 56 e concorrono a formare il reddito nell'esercizio in cui vengono percepiti. Per quello che concerne l'applicazione delle disposizioni convenzionali, la circolare del Ministero delle Finanze n. 12 del 26 giugno 1986, precisa che devono essere applicati gli articoli 7 e 24 della predetta convenzione, con conseguente tassabilità in Italia degli utili derivanti dalla pertecipazione nella società di persone tedesca con diritto al credito di imposta per le imposte pagate in Germania, dalla società italiana, sugli utili da partecipazione. La circostanza che trovi applicazione, nella fattispecie, l'articolo 7 della convenzione, non vale a riqualificare il reddito conseguito come reddito di impresa ai fini della tassazione in Italia. Ciò in quanto la funzione degli accordi internazionali contro le doppie imposizioni, consiste nell'individuare i luoghi di imposizione del reddito e le modalità con le quali evitare le doppie imposizioni ma non di definire la natura del reddito prodotto. Peraltro, anche qualora il reddito fosse ricompreso nell'ambito dei redditi di impresa, rimarrebbe applicabile quanto sancito dall'articolo 56 del dpr 917/86 che, come precedentemente sottolineato, attrae a tassazione le somme in base al principio di cassa. Con riferimento all'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 96 del dpr 917/86, la norma prevede che gli utili distribuiti da società collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile non residenti nel territorio dello Stato, concorrono a formare il reddito per il 40% del loro ammontare. La norma civilistica stabilisce che "sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume notevole quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti, ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa": Pertanto, a parere della scrivente, qualora sia dimostrabile l'esercizio dell'influenza notevole come sopra definita, nel caso di specie troverà applicazione l'articolo 96 del dpr 917/86 che, a differenza di quanto previsto dal successivo articolo 96 bis dello stesso dpr 917, non ha ambito di applicazione limitato alle società di capitali. Per quanto concerne le modalità di utilizzo del credito di imposta, occorre in primo luogo riferirsi all'articolo 24 della più volte richiamata convenzione, il quale prevede che "se un residente della Repubblica Italiana riceve elementi di reddito imponibili nella Repubblica federale di Germania, la Repubblica Italiana, nel calcolare le proprie imposte sul reddito, può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni della presente Convenzione non stabiliscano diversamente. In tal caso la Repubblica italiana deve dedurre dalle imposte così calcolate l'imposta sui redditi pagata nella Repubblica federale di Germania, (ivi compresa, se del caso, l'imposta sulle attività commerciali, industriali e artigianali nei limiti in cui essa sia prelevata sugli utili), ma l'ammontare della deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo". Pertanto, a parere di questa Direzione: - le imposte pagate in Germania in base alla liquidazione operata da quella amministrazione finanziaria è scomputabile dall'Irpeg netta dovuta in Italia sino a concorrenza della quota di imposta italiana attribuita agli elementi di reddito assoggettati ad imposta in Germania nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo. Conseguentemente, le imposte pagate in Germania sono scomputabili dall'Irpeg (in conformità alle istruzioni al modello 760 e alla circolare del Ministero delle Finanze n. 33 del 4.10.1984), nei limiti del 40% delle imposte stesse, e, comunque, nei limiti dell'imposta netta italiana corrispondente al reddito prodotto all'estero; - il credito di imposta può essere richiesto nell'esercizio in cui la società italiana percepisce il reddito prodotto in Germania, sempreché la liquidazione delle imposte in quello Stato, sia avvenuta a titolo definitivo, e, cioè, in base a quanto previsto dalla circolare del Ministero delle Finanze n. 3/7/360 del 8.2.1980, le imposte non siano state pagate solamente titolo di acconto ma non siano più ripetibili; - il primo periodo dell'articolo 15, comma 3, del dpr 917/86, secondo il quale la detrazione deve essere, a pena di decadenza, richiesto nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, a parere di questa Direzione, non troverebbe applicazione nel caso di specie. Ciò in quanto la Convenzione non prevede questa limitazione alla spettanza del credito di imposta e, in base a quanto disposto dall'articolo 128 del dpr 917/86 e dall'articolo 67 del dpr 600/73, la Convenzione, se più favorevole al contribuente, prevale sulla norma interna.
dre/irpef/F4-048A9.DOC
II.DD. - Tassazione delle indennità corrisposte a dipendenti in trasferta. Qualificazione del trasfertista. Trattamento fiscale
Con la nota suindicata codesto studio ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito all’applicazione della normativa fiscale dal dlgs. 314/97, di riforma e armonizzazione del trattamento fiscale e previdenziale dei redditi di lavoro dipendente, in merito al regime introdotto per i lavoratori cosiddetti "trasfertisti". In particolare, viene chiesto di conoscere se il trattamento previsto ai sensi dell’articolo 48, comma 6, del dpr 917/86 possa essere applicato ai lavoratori dipendenti di una società che svolgono l’attività lavorativa con le seguenti caratteristiche:
In base alla situazione prospettata, si chiede se tali indennità possano essere assoggettate al regime di cui al comma 6, dell’articolo 48 del dpr 917/86 con conseguente tassazione delle maggiorazioni corrisposte al 50% anche in virtù della circostanza che il dipendente, pur non svolgendo in via continuativa la propria attività al di fuori della sede di lavoro, viene frequentemente addetto, nell’ambito di ogni periodo retribuito, a svolgere le proprie mansioni presso i clienti, o, più in generale, presso sedi diverse. Viene precisato, inoltre, che tale maggiorazione non incide con il rimborso delle spese sostenute dal dipendente che avviene a piè di lista sulla base dei documenti presentati. L’articolo 48, comma 6, del dpr 917/86, nella formulazione in vigore dal 1 gennaio 1998, prevede che "le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo, nonché le indennità di cui all’articolo 133 del dpr n. 1229/59, concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare. Con decreto del Ministro delle Finanze, di concerto con il Ministro del Lavoro e della previdenza sociale, possono essere individuate categorie di lavoratori e condizioni di applicabilità della presente disposizione". Come illustrato dal Ministero delle Finanze con la circolare n. 326/E del 23.12.1997, paragrafo 2.4.2, come trasfertisti devono essere identificati quei lavoratori "tenuti per contratto all’espletamento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, ai quali, in funzione delle modalità di svolgimento dell’attività vengono attribuite delle somme non in relazione a una specifica trasferta (quest’ultimo istituto presuppone che il lavoratore, più o meno occasionalmente, venga destinato a svolgere un’attività fuori dalla propria sede di lavoro)". Inoltre, la stessa circolare precisa che si devono comprendere nell’ambito di applicazione della disposizione di cui al comma 6 dell’articolo 48, "tutti quei soggetti ai quali viene attribuita una indennità, chiamata o meno di trasferta, ovvero una maggiorazione di retribuzione, che in realtà non è precisamente legata alla trasferta poiché è attribuita, per contratto, per tutti i giorni retribuiti, senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove si è svolta la trasferta". Per conseguenza, a parere della scrivente, in base al dettato normativo come interpretato dalla circolare sopra evidenziata, appare necessario, nel caso di specie, verificare le modalità previste dal contratto di lavoro per lo svolgimento dell’attività. Sulla base di quanto illustrato da codesto studio, non emerge né che l’attività viene svolta in modo continuativo fuori dalla sede di lavoro né una previsione contrattuale in base alla quale viene attribuita al lavoratore dipendente una particolare indennità o una maggiorazione di retribuzione. Pertanto, si ritiene che le indennità corrisposte non possano godere del trattamento agevolativo di tassazione al 50% dell’imponibile così come previsto dal comma 6 dell’articolo 48 del dpr 917/86, ma, a parere di questa Direzione, si rende applicabile il trattamento previsto dal comma 5 dello stesso articolo con riferimento alla disciplina che regola la tassazione delle indennità di trasferta.
dre/irpef/F4-048A8.DOC
Quesito
Risposta Con la nota suindicata è stato chiesto di conoscere se alle indennità di carica del Sindaco e a quelle di presenza dei Consiglieri Comunali, liquidate dopo il 1° gennaio 1995, ma maturate nel corso dell’anno 1994, sia applicabile l’art. 26 l. 23/12/94 n. 724 (G.U. 30/12/94), con il quale è stato abolito il regime fiscale agevolato, previsto dall’art. 48, 6° c., dpr. 917/86. Al riguardo si osserva che le disposizioni contenute nella legge n. 724/1994 si applicano con decorrenza dall’1.1.1995. Inoltre, l’art. 24, comma 2, del dpr 600/1973 prevede espressamente che la ritenuta sulle indennità di cui trattasi deve essere operata all’atto del pagamento. Sulla base delle sopra richiamate disposizioni si ritiene che la disposizione di cui all’art. 26 della l. 724/1994 sia applicabile a tutte le indennità corrisposte a decorrere dall’1-1-1995, indipendentemente dal periodo di maturazione, stante il criterio di cassa cui dette indennità soggiacciono. Sulle indennità di cui trattasi, liquidate a decorrere dall’1.1.1995, le ritenute di cui all’art. 24 del dpr 600/1973 devono, quindi, essere commisurate sull’intero ammontare corrisposto, stante il disposto dell’art. 1, comma 2, della legge 11.8.1991, n. 268.
dre/irpef/f4-047a9.doc
DRE LOMBARDIA - SERVIZIO I°, DIVISIONE I^ Prot. n. 28153/98
Oggetto: II.DD e Iva. Borsa di studio corrisposta dall'Isu. Trattamento contabile e fiscale.
Con la nota sopra indicata la S.V. ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito al trattamento fiscale delle somme erogate a studenti fruitori di una borsa di studio in sede di pasto gratuito da parte dell'Istituto al diritto per lo studio universitario. Nell'istanza viene precisato che all'ammontare della borsa di studio di 2,7 millioni di lire annui è stato aggiunto un pasto giornaliero gratuito pari all'importo di lire 800 mila che viene fornito presso mense convenzionate. L'ammontare della borsa di studio è così determinato in misura pari a lilre 3,5 milioni di lire. A parere della S.V. il pasto di cui si tratta non può considerarsi come fornito effettivamente a titolo gratuito, in quanto lo studente non percepisce l'importo totale della borsa di studio, ma questa viene decurtata di lire 800 mila. Da ciò conseguirebbe che la somma decurtata si identificherebbe in un corrispettivo per i pasti di cui lo studente usufruisce nell'anno accademico, determinato per fascia di reddito e comunque inferiore al costo effettivamente sostenuto dall'Istituto, in modo tale che lo stesso possa coprire almeno una percentuale dei costi per il servizio sostenuto. Viene dunque chiesto di conoscere se: - la natura della somma appositamente decurtata per l'erogazione dei pasti, acquisita dall'istituto anteriormente al verificarsi della prestazione, possa costituire un ricavo per l'istituto stesso quale pagamento anticipato del servizio avente durata di un anno, nonostante non avvenga un materiale pagamento ma una compensazione; - nell'affermativa, se l'istituto sia tenuto ad emettere fattura od altro documento valido ai fini fiscali nei confronti dello studente per l'importo decurtato; - la qualificazione ai fini IVA della somma di denaro in quanto collegata ad una prestazione di servizi. In via preliminare deve essere osservato che non è possibile, per la scrivente, verificare l'impostazione della problematica in mancanza del bando di concorso. In ogni caso, a parere di questa Direzione, pare ragionevole assumere che vi sia una sostanziale compensazione tra l'importo che il percettore dovrebbe pagare all'Isu per la somministrazione dei pasti e l'analoga cifra che l'Isu dovrebbe corrispondere al percettore a titolo di importo integrativo della borsa di studio. Al verificarsi di questa ipotesi, conseguentemente, l'erogazione dei pasti da parte dell'Isu non può definirsi come gratuita. In base a quanto premesso, l'Isu deve essere considerato come ente non commerciale, il quale, in ordine alla somministrazione di pasti o gestione di mense, pone in essere operazioni di carattere commerciale ai sensi dell'articolo 108 del dpr 917/86 nelle ipotesi in cui : 1. detta somministrazione rientri nell'ambito dei servizi di cui all'articolo 2195, comma 1, del codice civile o comunque non rientri nell'attività istituzionale svolta dall'istituto; 2. l'istituto si avvalga di una specifica organizzazione per l'erogazione dei pasti; 3. il corrispettivo pagato per i pasti ecceda i costi di diretta imputazione sostenuti dall'istituto. Da quanto esposto nel quesito, è lecito ritenere che l'istituto debba avvalersi di un'organizzazione per l'erogazione dei pasti e debba dunque considerare commerciale tale attività. Dal carattere commerciale di un'attività svolta da un ente non commerciale deriva l'obbligo di contabilità separata ai sensi dell'articolo 109, comma 2, del dpr 917/86, nelle forme previste dall'articolo 20 del dpr 600/73. Il reddito derivante da tale attività dovrà essere inquadrato nelle consuete categorie di reddito previste dal dpr 917/86. Conclusivamente, ai fini delle imposte sui redditi, a parere di questa Direzione, l'importo di lire 800 mila deve essere considerato ricavo conseguito nell'esercizio di attività commerciale, ancorché non prevalente, svolta da un ente non commerciale. Per conseguenza, l'importo dovrà essere incluso nella contabilità commerciale dell'ente stesso. Per quanto riguarda il trattamento ai fini Iva delle somme per la somministrazione di pasti o di gestione di mense, l'articolo 4 del dpr 633/72 ne prevede chiaramente la natura di attività commerciale, da ciò derivando l'esenzione dal tributo o l'assoggettamento allo stesso in relazione alla ricorrenza o meno delle condizioni di cui all'articolo 10 dello stesso dpr 633/72. Con riferimento al concetto di pagamento anticipato, a parere della scrivente, la compensazione descritta rappresenta una forma di pagamento del corrispettivo che, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto dovrà essere documentato nei modi consueti.
dre/irpef/F4-047A6.DOC
IMPONIBILITA’ DELLE MANCE PERCEPITE DAI CROUPIERS NELL’ANNO 1993
Quesito Le mance percepite dai croupiers sono assimilate ai redditi di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 47, 1° comma, lettera 1) del DPR 22/12/86 n. 917 (TUIR) e sono imponibili nella misura ridotta del 75%, ai sensi dell’art. 48, 8° comma dello stesso TUIR. Nel corso dell’anno 1993 si sono succeduti diversi Decreti Legge, mai convertiti in legge, che hanno proposto modifiche al suddetto regime e specificatamente: - DL 31.12.92 n. 513 (non convertito) L’art. 66, 5° comma propone l’abrogazione del comma 8° dell’art. 48 del citato TUIR, rendendo pertanto imponibili al 100% le mance percepite dai croupiers. - DL 2.3.93 n. 47 (non convertito) L’art. 66, 5° comma reitera l’abrogazione del comma 8° dell’art. 48 del TUIR, confermando così la modifica proposta col precedente DL 513/92. - DL 28.4.93 n. 131 (non convertito) L’art. 66, 5° comma reitera l’abrogazione del comma 8° dell’art. 48 del TUIR, confermando così la modifica proposta con i precedenti DL 513/92 e 47/93. - DL 30.6.93 n. 213 (non convertito) In questo Decreto Legge non viene più proposta la disposizione contenuta nei precedenti decreti non convertiti che prevedeva l’abrogazione del comma 8° dell’art. 48 del TUIR e conseguentemente la proposta di modifica del regime di tassazione delle mance dei croupiers è da considerarsi ad ogni effetto come mai avvenuta. - DL 30.8.93 n. 331, convertito con modificazioni nella Legge 29.10.1993 n. 427 Quest’ultimo Decreto Legge e la relativa Legge di conversione confermano, per quanto in esame, quanto già disposto dal precedente DL 213/93. La legge 29.10.93 n. 427 che ha provveduto alla conversione del DL 331/93, al secondo comma dell’art. 1 testualmente recita: "Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei Decreti Legge 31.12.92 n. 513, 2.3.93 n. 47, 28.4.93 n. 131, .... e del DL 30.6.93 n. 213". Alla luce di quanto sopra, appare logico al sottoscritto trarre le seguenti conclusioni: 1) L’art. 48, 8° comma del TUIR non ha subito alcuna modificazione dal 1 gennaio 1993, atteso che è incontestabile che un Decreto Legge non convertito in legge non esplica, nè può esplicare mai alcun effetto giuridico. Pertanto le mance percepite dai croupiers nel corso dell’anno 1993 sono integralmente da assoggettare ad imposizione IRPEF nella misura del 75%, ai sensi del citato 8° comma dell’art. 48 del TUIR. 2) E’ di tutta evidenza che la norma sopra riferita di cui al 2° comma dell’art. 1 della L. 29.10.93 n. 427 che fa salvi "gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei Decreti Legge..." non convertiti si riferisce esclusivamente ai comportamenti e agli atti attuati nei rispettivi periodi di vigenza dei Decreti Legge, così da evitare che comportamenti regolarmente tenuti in ossequio a disposizioni di legge al momento vigenti divenissero illegittime e sanzionabili al momento della decadenza per mancata conversione del Decreto Legge. E’ d’altra parte assolutamente da respingere sia sul piano giuridico che su quello logico qualsiasi interpretazione tendente ad attribuire a questa norma di pura garanzia fiscale a tutela dei comportamenti tenuti e attuati in vigenza dei decreti legge qualsivoglia ulteriore effetto di mantenimento di efficacia degli stessi decreti legge, considerato che, in assenza di conversione, è come se non fossero mai esistiti. 3) Non sussistendo obbligo per il datore di lavoro di procedere al conguaglio fiscale, ne deriva conseguentemente il diritto del singolo croupier di conteggiare nel proprio mod. 740 l’importo di tutte le mance percepite nel corso dell’anno 1993 nella misura invariata e ridotta di legge del 75%, ferme restando le ritenute d’acconto subite e regolarmente certificate. In assenza di contrario parere, il sottoscritto si atterrà nella predisposizione delle dichiarazioni dei redditi (mod. 740), che andrà a predisporre per i propri assistiti per l’anno 1993, a quanto sopraindicato. Nel ringraziare anticipatamente per l’attenzione che si vorrà prestare alla presente istanza, si porgono distinti saluti.
Risposta II.DD. Trattamento fiscale delle mance percepite dai croupiers anno di imposta 1993 Con la nota suindicata è stato chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in relazione al trattamento fiscale della mance percepite dai croupiers nell’anno di imposta 1993. Sul punto è intervenuta la Direzione Centrale per gli affari giuridici e il contenzioso tributario con risoluzione n. III-5-1567 del 25.5.1994. La risoluzione citata, prendeva spunto da un quesito posto da una società che rammentava l’imponibilità al 75% delle mance percepite dai croupiers e chiedeva se fosse suo obbligo restituire le maggiori ritenute operate sulle mance stesse percepite dai croupiers nel periodo 1 gennaio - 30 giugno 1993 e, per conseguenza procedere a operazioni di conguaglio. Le maggiori ritenute erano state effettuate sulla base di tre decreti legge non convertiti (DL 513/92; DL 47/93 e DL 131/93). Il ministero ribadisce che "gli atti e i rapporti basati su norme contenute in un decreto legge non convertito perdono retroattivamente il loro fondamento giuridico". Nel caso di specie, afferma il ministero, "deve ritenersi che le disposizioni che hanno abrogato la parziale esenzione da tassazione delle mance, contenute nei predetti decreti legge non convertiti, hanno perduto efficacia fin dall’inizio, cioè dal 1 gennaio 1993". Le liquidazioni periodiche effettuate in vigenza delle norme non riproposte sono state però correttamente effettuate. La disposizione di assoggettamento a ritenuta del 100% dell’importo percepito come mance dai croupiers non è stato più riproposto in occasione del decreto legge n. 331/93 convertito nella legge n. 427/93, e la situazione normativa del periodo d’imposta 1993 è nel senso che le mance sono tassabili limitatamente al 75% del loro ammontare e tali sono state per tutto l’anno, non essendo stato mai convertito in legge il decreto che avrebbe comportato la tassazione integrale. Ferma restando la correttezza delle liquidazioni periodiche effettuate dal datore di lavoro, afferma il ministero che "è senz’altro onere del datore di lavoro procedere al conguaglio di fine anno assumendo come base imponibile il 75% dell’ammontare globalmente percepito" e procedere alla restituzione delle maggiori ritenute operate.
dre/irpef/f3-047a9.doc SERVIZIO I DIVISIONE I Prot. n. 60884/98
Oggetto: II.DD. Reddito percepito per l'impiego presso un consolato. Trattamento fiscale
Con nota ricevuta in data 8.10.1998, la S.V. ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito al trattamento del reddito di lavoro dipendente, per un impiego a tempo determinato, percepito da una cittadina italiana presso il Consolato generale del Belgio e per il quale non sono state effettuate ritenute fiscali. Viene chiesto se tale reddito debba essere assoggettato a tassazione e se tali somme rientrino tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. A parere della scrivente, deve essere preliminarmente sottolineato che le somme percepite rientrano tra i redditi di lavoro dipendente a norma dell'articolo 47 del dpr 917/86. Nella fattispecie, il reddito percepito non può rientrare nell'esenzione ai fini Irpef di cui all'articolo 4 del dpr 601/73, in quanto tale norma dispone in merito al beneficio riservato agli ambasciatori, agli agenti diplomatici nonché ai consoli, agli agenti consolari e agli impiegati delle rappresentanze diplomatiche e consolari degli stati esteri che non siano cittadini italiani. Pertanto, le somme percepite dovranno essere indicate nella dichiarazione dei redditi e assoggettate a tassazione.
dre/irpef/f3-041b9.doc SERVIZIO I DIVISIONE I Prot. n. 12895/99
Oggetto: II.DD. Oicvm di diritto estero. Attribuzione di nuove quote del fondo in alternativa alla percezione dei proventi realizzati
Con la nota sopra evidenziata, codesto Studio associato ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito all'ipotesi in cui un soggetto estero, previa autorizzazione delle autorità di vigilanza competenti, intenda collocare in Italia quote di fondi comuni di diritto estero situati negli stati membri dell'Unione Europea conformi alle direttive comunitarie. Nel quesito viene fatto presente che il regolamento di alcuni fondi di diritto estero, oltre alla possibilità dell'accumulo, prevede in capo ai sottoscrittori, la facoltà di reinvestire eventuali proventi nel fondo, ottenendo l'attribuzione di nuove quote del fondo stesso in alternativa alla percezione dei proventi realizzati. Viene dunque chiesto di conoscere se, in tale ipotesi, l'attribuzione delle nuove quote debba essere trattata analogamente ad una distribuzione dei proventi derivanti dal fondo, imponibile a norma dell'articolo 10 ter, comma 1, della legge 77/83. Deve essere osservato, in proposito, che in base alla norma citata, "sui proventi di cui all'articolo 41, comma 1, lettera g) del dpr 917/86, derivanti dalla partecipazione a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero, situati negli stati membri dell'Unione Europea, conformi alle direttive comunitarie e le cui quote sono collocate nel territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 10 bis, i soggetti residenti incaricati del pagamento dei proventi medesimi, del riacquisto o della negoziazione delle quote o delle azioni operano una ritenuta del 12,50 per cento. La ritenuta si applica sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione all'organismo di investimento e su quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto o di cessione delle quote od azioni e il valore medio ponderato di sottoscrizione o di acquisto delle quote. In ogni caso come valore di sottoscrizione o acquisto si assume il valore della quota rilevato dai prospetti periodici relativi alla data di acquisto delle quote medesime". Occorrre dunque stabilire, a parere della scrivente, se nel caso prospettato l'assegnazione delle nuove quote, su opzione del contribuente, costituisca distribuzione di proventi in costanza della partecipazione all'organismo di investimento mobiliare. Al riguardo si deve ritenere necessario l'esame, caso per caso, del regolamento dell'organismo di investimento collettivo al fine di accertare se l'attribuzione delle nuove quote derivi dal reinvestimento dell'utile distribuito dal fondo. In questa ipotesi, si deve presumere che l'operazione si realizzi in due fasi: 1. percezione del provento e 2, conseguente reinvestimento dello stesso. Nel caso specifico, la circostanza che il reinvestimento del provento in quote del fondo sia la conseguenza di una facoltà di scelta concessa all'investitore, a parere della scrivente configura l'operazione come una distribuzione di utili.
dre/irpef/f3-041a9.doc
DRE Lombardia - Servizio I°, Divisione I^, prot. n. 8419/97
Oggetto: II.DD. Modalità di tassazione dei proventi derivanti dalla liquidazione di quote di Oicvm in uno stato comunitario
Con la nota sopra indicata codesto studio associato ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito alla problematica di cui all'oggetto. Il quesito formulato riguarda la fattispecie così descritta : - la casa madre francese di un gruppo multinazionale operante in Italia attraverso società di capitali regolarmente costituite, ha dato corso, previa autorizzazione, ad un'offerta di proprie azioni, destinate ai dipendenti e agli amministratori delle società controllate; - le azioni offerte sono quotate, tra le altre, presso la borsa di Parigi; destinatari dell'offerta sono stati tutti i dipendenti e gli amministratori che alla data dell'offerta stessa avevano maturato almeno 6 mesi di anzianità o collaborazione; il prezzo di sottoscrizione fissato per ciascuna azione è stato fissato in base ad una media dei corsi di quotazione del titolo presso la borsa di Parigi, diminuita di uno sconto del 20% della stessa; - le azioni suddette, in base a pattuizioni contrattuali, vengono immediatamente conferite dai sottoscrittori in un Fondo comune di investimento di diritto francese appositamente creato; - il conferimento all'Oicvm è vincolato per cinque anni e, al termine del periodo, i sottoscrittori potranno scegliere tra la liquidazione delle quote del fondo ricevendo denaro e le azioni della casa madre francese. Ciò premesso viene chiesto di: a) chiarire se con la liquidazione delle quote del Fondo i proventi eventualmente conseguiti, ricevendo azioni della casa madre francese sono assoggettabili al momento del loro ricevimento (permuta) o al momento della monetizzazione del loro valore; b) confermare se i proventi conseguiti al momento della liquidazione delle quote sono assoggettabili al regime fiscale di cui all'articolo 10 ter, comma 5, della legge n. 77/83. Deve essere premesso che lo scrivente assume l'Oicvm estero come conforme alle direttive comunitarie e che i sottoscrittori vengono assunti come persone fisiche, residenti in Italia, che percepiscono i loro proventi senza l'intervento di intermediari italiani. A parere della scrivente, in risposta al quesito a), si ritiene che la permuta avvenuta tra le quote del fondo e le azioni della casa madre costituisca presupposto impositivo con le seguenti modalità : 1. sia ipotizzando che la permuta sia stata effettuata anteriormente alla data del 1 luglio 1998, tenuto conto del combinato disposto degli articoli 9, comma 2, e 41, comma 1, lettera g), del dpr 917/86, quest'ultimo nel testo vigente sino al 30.6.1998; 2. sia ipotizzando che la permuta sia avvenuta dopo il 30 giugno 1998, tenuto conto del combinato disposto degli articoli 41, comma 1, lettera g), 42, comma 4 bis e 81, comma 1, lettera c-ter) nei testi vigenti dal 1 luglio 1998 come modificati dal dlgs. 461/97. Per quanto concerne il quesito b), a parere della scrivente la tassazione avverrà con le seguenti modalità: 1. In base all'articolo 10 ter, comma 5, della legge n. 77/83, nel caso in cui la liquidazione delle quote suddette sia avvenuta anteriormente alla data del 1 luglio 1998; 2. secondo le norme previste dal dlgs. 461/97 nel caso in cui la liquidazione delle quote sia avvenuta o avvenga successivamente alla data del 1 luglio 1998. Più precisamente: - per l'imponibile considerato reddito di capitale, in quanto derivante dalla gestione del fondo, la tassazione avverrà ai sensi dell'articolo 10 ter della legge dianzi citata, con tassazione separata con aliquota del 12,5% salvo opzione per la tassazione ordinaria; - secondo l'articolo 5, del Dlgs. 461/97, per la parte di imponibile considerato reddito diverso, in quanto scarto di negoziazione conseguente alla negoziazione; - con l'impossibilità di effettuare compensazioni tra redditi di capitale e redditi diversi eventualmente di segno opposto.
dre/irpef/F3-041A8.DOC
Quesito
Risposta E’ stato sottoposto alla scrivente Direzione Regionale delle Entrate un quesito concernente la natura del reddito percepito da una persona fisica residente in Italia in conseguenza della partecipazione ad una società di persone residente in Germania. E’ necessario innanzitutto evidenziare che le società di persone non residenti nel territorio dello Stato sono soggetti passivi IRPEG ai sensi dell’art. 87, comma 1 let. d) e comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui redditi. Il reddito derivante dalla partecipazione in una società di persone residente in Germania, percepito dal socio residente in Italia, va inquadrato tra i redditi di capitale, e precisamente tra gli utili di cui all’art. 41 lett. e) del T.U. Tali utili concorrono a formare il reddito complessivo nel periodo d’imposta in cui sono percepiti, secondo il principio di imputazione per cassa. Inoltre, a norma dell’art. 15 del T.U., le imposte pagate all’estero a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta fino alla concorrenza della quota d’imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo, al lordo delle perdite di precedenti periodi di imposta ammesse in diminuzione. Il concetto di definitività dell’imposta pagata è stato chiarito nel senso della irripetibilità della stessa dalla Circolare n. 3/7/260 del 08/02/80 emessa dalla soppressa Direzione Generale delle Imposte, e ribadito nelle istruzioni ai modelli delle dichiarazioni dei redditi. Pertanto, l’imposta versata in Germania in base alla liquidazione operata dall’amministrazione finanziaria di tale paese è da ritenersi pagata a titolo definitivo, ancorché il reddito dichiarato dalla società di persone sia suscettibile di rideterminazione in seguito ad accertamento nel paese estero. Per poter usufruire del credito inerente le imposte pagate all’estero è necessario e sufficiente indicare, in apposita distinta da allegare alla dichiarazione:
dre/irpef/F1-123a9.DOC
II.DD. Operazione di scissione ex articolo 123 bis del dpr 917/86. Possibile elusività dell’operazione
Con la nota suindicata il professionista menzionato in oggetto ha chiesto di conoscere il parere di questa Direzione in merito al trattamento fiscale previsto per un’operazione di scissione. In particolare, viene rappresentata l’ipotesi di una società in accomandita per azioni che intende procedere alla scissione mediante il trasferimento di parte del patrimonio aziendale (beni immobili e rimanenze di merci costituenti, rispettivamente, le attività immobiliari e commerciali nel settore nautico), ad una costituenda società in accomandita semplice. Al quesito rivolto alla scrivente viene allegato il bilancio della società scissa, precisando che la scissione avviene in base ai valori di bilancio senza dar luogo all’emersione di riserve nonché che i soci saranno rappresentati nella compagine sociale con le medesime proporzioni identificabili in capo alla società scissa. Viene dunque chiesto di conoscere se l’operazione possa dar luogo a vantaggi di natura fiscale, anche in considerazione del disposto di cui all’articolo 28 della legge n. 724/94, in base al quale l’operazione di scissione è considerata, ai fini tributari, come una operazione neutra. Per effetto dell’articolo 9 del D.Lgs. n. 358/97, è stato abrogato il comma 16 bis dell’articolo 123 del dpr 917/86, in base al quale "le disposizioni dell’articolo 10 della legge 408/90 sono da interpretare nel senso che si applicano anche alle operazioni di scissione, disconoscendosi in ogni caso i vantaggi tributari nell’ipotesi di scissioni non aventi per oggetto aziende o complessi aziendali, anche sotto forma di partecipazioni, ovvero in quelle di assegnazione ai partecipanti di ciascuno dei soggetti beneficiari di azioni o quote in misura non proporzionale alle rispettive partecipazioni nella società scissa". Pertanto, per le operazioni perfezionate a far data dal periodo di imposta di entrata in vigore del citato decreto legislativo, è stato abrogato il predetto comma 16. Nella fattispecie in esame, in base a quanto prospettato e alle risultanze del bilancio allegato al quesito, a parere di questa Direzione, l’operazione deve considerarsi proporzionale. In ogni caso, seppur l’articolo 28 della legge 724/94, considera tali operazioni come neutre dal punto di vista fiscale, in base all’articolo 6 del D.Lgs. 358/97, è possibile ottenere il riconoscimento dei maggiori valori iscritti in bilancio per effetto della imputazione dei disavanzi derivanti da annullamento o da concambio derivanti da operazioni di fusione o scissione di società procedendo al versamento dell’imposta sostitutiva del 27% di cui all’articolo 1 del citato decreto sui predetti maggiori valori. Per completezza, deve essere sottolineato che, per effetto dell’articolo 7 del D.Lgs. 358/97, che ha introdotto l’articolo 37 bis del dpr 600/73, le operazioni di scissione possono comunque essere considerate come operazioni elusive qualora utilizzate per l’attuazione di fatti o negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e a ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.
dre/irpef/F1-019A9.DOC
II.DD. Ritenute su redditi di lavoro autonomo. Effettuazione e mancato versamento
Con la nota sopra evidenziata la S.V. ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito all’ipotesi in cui una società, che ha assoggettato a ritenuta il compenso pagato ad un professionista, ha successivamente versato solo una parte della stessa a causa del fallimento. Viene chiesto se, in sede di dichiarazione dei redditi, il professionista debba computare la ritenuta effettuata o esclusivamente quella effettivamente versata dalla predetta società. L’articolo 19 del dpr 917/86 dispone che dall’imposta sul reddito delle persone fisiche si scomputano le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate, senza alcuna distinzione in merito alla circostanza che queste siano state correttamente versate o meno. La ritenuta, infatti, costituisce un pagamento in acconto dell’Irpef e, pertanto, l’ammontare delle somme ritenute deve essere in ogni caso dedotto. Nel caso in oggetto, quindi, si dovrà tenere conto, in sede di dichiarazione, delle ritenute effettivamente subite sul compenso percepito.
dre/irpef/F1-012B6.DOC
QUESITO - ISELLA LUCIA - ADDETTA AI SERVIZI AUSILIARI C/O DIREZIONE PROVINCIALE DEL TESORO DI SONDRIO.
Quesito Con nota n. 4905 del 25.3.1994 allegata in fotocopia la Direzione Provinciale del Tesoro di Sondrio ha chiesto allo scrivente Ufficio un parere scritto in merito alle detrazioni d’imposta ex art. 12/917 richieste formalmente dalla contribuente in oggetto per l’attribuzione, alla stessa per n. 2 figli a carico nella misura del 100%. Ciò in quanto l’interessata è separata legalmente e che per sè stessa e per i figli minori avuti in affidamento ha espressamente rinunciato ad ogni assegno di mantenimento, come risulta dal ricorso per omologazione di separazione consensuale che si allega in copia. Al riguardo lo scrivente Ufficio, salvo diverso avviso di Codesta Direzione, ritiene che possano essere concesse le detrazioni nella misura richiesta, atteso che le condizioni per godere della misura doppia delle stesse per figli a carico è prevista dalla lett. C) dell’art. 12 del DPR 22 dicembre 1986 n. 917 e confermata anche in tal senso nelle istruzioni allegate al mod. 740 per l’anno 1983. Premesso quanto sopra si resta in attesa di un Superiore riscontro.
Risposta II.DD. IRPEF Detrazioni per figli esclusivamente a carico di genitore separato legalmente - Art. 12 DPR n. 917/1996. La Direzione Provinciale del Tesoro di Sondrio ha chiesto se possono essere riconosciute in misura doppia le detrazioni per i figli a carico a una dipendente, separata legalmente, che ha documentato, producendo il ricorso per omologazione di separazione consensuale, di aver rinunciato per sè e per i propri figli ad ogni assegno di mantenimento. La risposta a tale quesito è contenuta esplicitamente nell’art. 12, comma 2 lettera c), del DPR 22.12.86 n. 917, che contiene l’elencazione dei casi in cui i figli sono a carico di un solo genitore e la detrazione spetta in misura doppia. Tra i vari casi contemplati da tale norma, la lettera c) contempla la fattispecie in esame, vale a dire la situazione di figli rimasti esclusivamente a carico del genitore nei casi di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio con l’altro genitore e di separazione legale ed effettiva da questi. Tale condizione deve risultare da un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Nel caso di specie, a parere di questa Direzione, sussistono tutti i presupposti necessari per il riconoscimento delle detrazioni in misura doppia, avendo la contribuente fornito la prova documentale, mediante esibizione del provvedimento dell’autorità giudiziaria da cui risulta l’espressa rinuncia di qualunque assegno di mantenimento per sè o per i figli.
dre/irpef/F1-012A6.DOC
DETRAZIONI D’IMPOSTA PER CARICHI DI FAMIGLIA
Quesito In considerazione che questa U.S.S.L. è tenuta ad applicare, quale sostituto d’imposta, le disposizioni di cui al Testo Unico delle Imposte sui Redditi di cui al DPR 22.12.86, n. 917 e successive modificazioni e, in particolare, ad applicare le detrazioni per carichi di famiglia previste dall’art. 12 del citato decreto, si chiedono chiarimenti in ordine alle detrazioni d’imposta spettanti ai dipendenti con coniuge che lavoro all’estero. Trattandosi di zona di frontiera il caso si presenta frequentemente ed i dipendenti adottano di volta in volta soluzioni diverse, nel senso che taluni dipendenti, il cui coniuge lavoro all’estero e non è titolare di altri redditi in Italia, richiedono le detrazioni per coniuge a carico e conseguentemente il raddoppio delle detrazioni per i figli, altri dipendenti richiedono solo le detrazioni per i figli a carico in misura semplice; altri ancora, pur non richiedendo le detrazioni per coniuge a carico, chiedono il raddoppio delle detrazioni per i figli. In considerazione che il caso di che trattasi non è espressamente previsto dal citato testo unico (anche se è da ritenersi che i redditi prodotti all’estero rientrino fra i redditi esenti di cui all’art. 12 - comma 6 - del DPR 917/86), al fine di una corretta e univoca interpretazione delle disposizioni succitate, si chiede che codesto Ufficio esprima il proprio parere in merito. Si ringrazia per la collaborazione e si porgono distinti saluti.
Risposta II.DD. IRPEF - Coniuge lavoratore frontaliero in Svizzera - Spettanza della detrazione per coniuge a carico - Art. 12 del D.P.R. N. 917/1986 In riscontro alla nota sopra indicata e con riferimento al quesito riportato in oggetto, si forniscono i seguenti chiarimenti. Nel caso prospettato torna applicabile il disposto dell’articolo 15, paragrafo 4, della convenzione tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni (Legge 23.12.1978, n. 943, in G.U. n. 42 del 12.1.1979), che richiama l’Accordo tra la Svizzera e l’Italia relativo alla imposizione dei lavoratori frontalieri, del 3.10.1974. L’"Accordo", in questione prevede che : "i salari, gli stipendi e gli altri elementi facenti parte della remunerazione che un lavoratore frontaliero riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto nello Stato in cui tale attività è svolta". In forza della disposizione sopra riportata e come, peraltro, già precisato con R.M. n. 12/367 del 28.3.1979 e con C.M. n. 31 del 14.6.1979, prot. N. 12/660, i redditi di lavoro dipendente realizzati dai lavoratori frontalieri in Svizzera non debbono essere presi in considerazione ai fini della verifica del limite di reddito, previsto dall’art. 12 del DPR n. 917/1986, per poter considerare il familiare fiscalmente a carico. Pertanto, nel caso in cui, escludendo il reddito di lavoro dipendente conseguito come frontaliero in Svizzera, il reddito del coniuge risulti non superiore al predetto limite (di cui al citato art. 12), al contribuente competerà la detrazione per il coniuge a carico e quella per i figli a carico in misura doppia. Codesto ufficio informerà l’USSL 22 sul contenuto della presente.
dre/irpef/f1-010c9.doc SERVIZIO I DIVISIONE I Prot. n. 35635/97
Oggetto: II.DD. Restituzione di somme al soggetto erogatore. Trattamento fiscale
Con la nota sopra evidenziata, codesto Ordine professionale ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito al corretto trattamento fiscale di somme che devono essere restituite al soggetto erogatore da parte di un professionista non più in attività. Nel quesito viene sottolineato come il compenso di carattere professionale in precedenza pecepito sia stato regolarmente assoggettato a tassazione e viene chiesto se, nell'ipotesi descritta della restituzione, esistono particolari procedure per la restituzione dell'imposta pagata sulle somme predette. La restituzione del compenso professionale, è da considerarsi, nel caso di specie, come onere deducibile dal reddito complessivo nel periodo di imposta in cui tale restituzione avviene, a norma dell'articolo 10, lettera d-bis) del dpr 917/86 avente decorrenza dal 1 gennaio 1998. Pertanto, nella fattispecie in esame, il contribuente, ancorché privo della partita Iva in quanto l'attività professionale è cessata, può dedurre le somme restituite al soggetto erogante sottraendole dal reddito complessivo risultante dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale avviene la restituzione delle somme predette.
dre/irpef/F1-010b9.DOC
Quesito
Risposta Con la nota suindicata, il contribuente indicato in oggetto ha chiesto di conoscere quali sono i requisiti richiesti dalla normativa tributaria al fine di ottenere la detrazione di imposta per interessi passivi pagati in seguito alla stipula di un mutuo ipotecario per l’acquisto dell’abitazione da adibire ad abitazione principale. Viene rappresentata la seguente situazione:
Viene dunque chiesto di conoscere se gli interessi passivi pagati per la parte di mutuo relativa al coniuge non intestatario dell’immobile possano essere portati in detrazione dall’imposta dovuta. L’articolo 13 bis, comma 1, lettera b) del dpr 917/86 prevede che possa essere portato in detrazione dall’imposta un ammontare pari al 22% degli interessi passivi pagati in "dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale entro sei mesi dall’acquisto stesso, per un importo non superiore a 7 milioni di lire. L’acquisto della unità immobiliare deve essere effettuato nei sei mesi antecedenti o successivi alla data di stipulazione del contratto di mutuo". A parere della scrivente nella situazione prospettata, pur essendo il mutuo ipotecario intestato ad entrambi i coniugi e stipulato per l’acquisto dell’abitazione principale, la detrazione di imposta del 22% non potrà essere fruita per la parte di interessi passivi relativi alla quota di mutuo attribuibile al coniuge non intestatario dell’immobile adibito ad abitazione principale. Ciò in quanto, dalla situazione prospettata nel quesito, l’immobile non risulta posseduto in regime di comunione ma intestato esclusivamente a uno dei due coniugi.
dre/irpef/f1-010a9.doc
DRE LOMBARDIA, Servizio I°, Divisione I^ Prot. n. 42791/98
Oggetto: II.DD. Deducibilità fiscale di somme trattenute sulla pensione per prestito stipulato con il datore di lavoro. Quesito.
Con la nota sopra evidenziata, la S.V. ha chiesto di conoscere il parere della scrivente in merito alla deducibilità di alcune somme che vengono trattenute dalla rata mensile di pensione. In particolare, le predette somme si riferiscono a un prestito stipulato negli anni di servizio con il datore di lavoro. Poiché alla cessazione del servizio il prestito non risultava estinto, si è venuto a costituire un debito residuo che da luogo, secondo l'istante, ad una rendita vitalizia passiva che si configura in modo diverso dalle rate di ammortamento del prestito e che, dunque, risulterebbe deducibile dall'imponibile fiscale. A parere della scrivente, in base alla fattispecie esposta nel quesito, non sussiste alcune presupposto normativo in merito alla possibilità di deduzione delle somme definite come rendita vitalizia passiva che vengono corrisposte all'ex datore di lavoro.
dre/irpef/F1-010a8.DOC
Quesito
Risposta Con nota suindicata è stato sottoposto a questa Direzione un quesito da parte di alcuni dipendenti dell’Ente Ferrovie S.p.A., i quali, a seguito di una sentenza dell’Autorità Giudiziaria, sono stati condannati a restituire all’Ente Ferrovie delle somme rilevanti percepite a titolo di rivalutazione su compensi per lavoro straordinario. Il quesito verte sulla possibilità o meno di includere le somme da restituire, tra l’altro di notevole entità, tra gli oneri deducibili del periodo d’imposta in cui avviene la restituzione. Occorre innanzitutto osservare che l’art. 10 del T.U. n. 917/86 prevede un elenco tassativo di oneri deducibili. In tale elencazione tassativa, nella formulazione in vigore fino al 31/12/97, non è ricompresa la restituzione al soggetto erogatore di somme indebitamente percepite, che hanno costituito reddito in anni precedenti. Pertanto, per gli anni anteriori al 1998, le somme restituite dai dipendenti al datore di lavoro, che hanno concorso a formare il reddito degli anni antecedenti, non possono essere portate in deduzione dal reddito complessivo come oneri deducibili. Per l’IRPEF versata sulle somme restituite può essere chiesto il rimborso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/73. Da ultimo si fa rilevare che l’art. 5, comma 1 let. b) del D.Lgs. . 314 del 02/09/97 introduce nell’art. 10, comma 1 del D.P.R. n. 917/86, con effetto dal 01/01/98, la lettera d) bis, in base alla quale diventano deducibili dal reddito complessivo le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti.
dre/irpef/F1-006A6.DOC
Quesito II.DD. - Indennità assicurativa privata per invalidità permanente - Assoggettabilità ad IRPEF e a ILOR.
Risposta Con la nota suindicata è stato prospettato il caso di un cittadino tedesco, residente in Germania ai fini civili e fiscali, che ha stipulato, con una società assicuratrice privata tedesca, un contratto di assicurazione che prevedeva il pagamento di una somma, composta dal capitale e dall’utile connesso, al compimento del 65° anno di età, ovvero, in alternativa, in caso di intervenuta invalidità permanente superiore al 50%, l’erogazione di un’indennità fino al compimento del 65° anno di età. Essendosi verificata la seconda condizione e dovendo il contribuente trasferire la propria residenza in Italia, è stato chiesto di conoscere se tale indennità, esente da imposizione in Germania, sia soggetta a tassazione in Italia ai fini dell’IRPEF e dell’ILOR. Al riguardo, si fa presente che, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del DPR n. 917/1986, le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, dipendenti da invalidità permanente o da morte non costituiscono redditi e, pertanto, non sono soggette ad IRPEF e a ILOR.
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