

Circolare 98 del 17.05.00
MATERIA FISCALE: Accertamento
OGGETTO Irpef Iva Risposte a quesiti in materia di imposte dirette, Irap, Iva, sanzioni
tributarie e varie.
TESTO
Alle Direzioni regionali delle entrate
Agli Uffici delle entrate
Agli Uffici Distrettuali delle Imposte Dirette
Agli Uffici Provinciali IVA
Agli Uffici del Registro
Ai Centri di servizio delle Imposte Dirette e Indirette
e, per conoscenza:
Alle Direzioni Centrali del Dipartimento delle entrate
Al Segretariato Generale
Al Servizio Centrale degli Ispettori Tributari
Al Comando generale della Guardia di Finanza
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INDICE
1 REDDITO D'IMPRESA
1.1 Beni ammortizzabili
1.1.1 Rilevanza ai fini IRAP dei beni destinati a finalita' estranee
all'impresa
1.1.2 Cespiti venduti in corso d'esercizio: calcolo degli ammortamenti
1.1.3 Classificazione fiscale dei vigneti di proprieta' di una casa vinicola
1.1.4 Spese che incrementano il valore di un bene ammortizzabile
1.2 Contributi
1.2.1 Disciplina fiscale dei contributi in conto impianti deliberati prima
del 31 dicembre 1998, nell'ambito degli interventi per il mezzogiorno
1.2.2 Rimborso parziale di contributi in conto capitale incassati in anni
precedenti: disciplina fiscale
1.3 Agevolazione Visco
1.3.1 Ammortamenti
1.3.2 Riporto delle eccedenze al secondo periodo d'imposta agevolato
1.3.3 Imprese di nuova costituzione
1.3.4 Societa' con esercizio a cavallo
1.3.5 Investimenti: calcolo in presenza di contributi in conto impianti
1.3.6 Investimenti: ammortamenti da dedurre
1.3.7 Investimenti: cessioni e dismissioni
1.3.8 Investimenti: entrata in funzione del bene
1.4 DIT
1.4.1 Patrimonio dei soggetti IRPEF
1.4.2 Riclassificazione degli ammortamenti anticipati
1.4.3 Limite patrimoniale per l'accesso al beneficio DIT
1.5 Altri quesiti relativi alle imprese
1.5.1 Cessione dell'unica azienda gia' di societa' incorporata: avviamento
1.5.2 Appalto per la fornitura di macchinari "chiavi in mano": esercizio di
competenza
1.5.3 Impresa familiare 271.5.4 Rottamazione del magazzino: imposta
sostitutiva e crediti d'imposta
1.5.5 Spese di ristrutturazione dei negozi
1.5.6 Recesso del socio
1.5.7 Prelievo di acconti di utili da parte del socio di uno studio
professionale in seguito receduto
1.5.8 Cessione del credito delle societa' di credito al consumo
1.5.9 Trattamento delle riserve di rivalutazione monetaria nelle operazioni
di scissione
2 IRAP
2.1 Quesiti vari sull'IRAP
2.1.1 IRAP: acconto 1999
2.1.2 IRAP/acquisto da terzi di beni servizi
2.1.3 IRAP/ transfer pricing
2.1.4 IRAP Enti pubblici
3 IVA
3.1 Adempimenti
3.1.1 Apertura di cantieri: obbligo di denuncia ex art. 35 del DPR n. 633
del 1972
3.1.2 Trasmissione delle fatture con sistemi informatici
3.1.3 Aziende cedenti oro e valute estere
3.1.4 IVA/Plafond
3.1.5 Regime dei produttori agricoli con volume d'affari non superiore a 40
milioni
3.1.6 Attivita' agricola in regime di esonero
3.2 Detraibilita'
3.2.1 Divieto di detrazione IVA per i materiali di recupero
3.2.2 Detrazione IVA per operazioni di cui all'art. 74, comma 1, del DPR n.
633 del 1972
3.2.3 IVA/Servizi fognatura e depurazione
3.3 Altri quesiti in materia di IVA
3.3.1 Aliquota IVA per le prestazioni di assistenza domiciliare
3.3.2 IVA/Cessione del credito
4 ONERI
4.1 Interventi di recupero del patrimonio edilizio
4.1.1 Comunicazione di inizio lavori
4.1.2 Determinazione del valore dei beni di cui al d.m. 29 dicembre 1999
4.1.3 Interventi di manutenzione
4.1.4 IVA/Manutenzioni
4.2 Fondi pensione
4.2.1 Onere deducibile - Contribuzione a favore di familiare a carico
4.2.2 Vecchi iscritti - Irrilevanza dei loro requisiti al momento della
prestazione
4.3 Altri quesiti in materia di oneri
4.3.1 Detrazione IRPEF di cui all'art. 13, comma 2-ter, del TUIR
5 REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE
5.1 Stock option
5.1.1 Assegnazioni di partecipazioni nella controllata a dipendenti di
quest'ultima
5.1.2 Rilevanza dei dividendi nella disciplina delle stock option
5.1.3 Determinazione del valore delle azioni assegnate ai dipendenti
5.1.4 Tassazione del diritto di opzione 655.1.5 Imponibilita' delle stock
option
5.1.6 Stock options: data dell'offerta
5.1.7 Stock option: perdita dell'agevolazione
5.1.8 Stock option: diritti cedibili e non cedibili
5.2 Altri quesiti in materia di redditi di lavoro dipendente
5.2.1 Prestiti ai dipendenti
5.2.2 Lavoratori all'estero
6 Addizionali all'irpef
6.1 Quesiti vari sulle addizionali all'IRPEF
6.1.1 Prelievo delle rate residuali sulle addizionali 1999
6.1.2 Incapienza della busta paga
6.1.3 Aspettativa non retribuita
6.1.4 Innalzamento della quota di compartecipazione
7 Fiscalita' finanziaria
7.1 Obbligazioni
7.1.1 Obbligazioni emesse e sottoscritte a partire dal 1 Gennaio 1995, ma non
emesse dopo il 12 gennaio 1996
7.2 Altri quesiti in materia di fiscalita' finanziaria
7.2.1 Capital gain:cessioni a titolo gratuito 797.2.2 Dividendi percepiti
dalle ONLUS
7.2.3 Ripartizione del valore fiscalmente riconosciuto delle azioni ai soci
8 Dichiarazioni
8.1 Dichiarazioni rettificative
8.1.1 Termini di accertamento per la dichiarazione rettificativa
8.1.2 Dichiarazione rettificativa e compensazione
8.2 Dichiarazioni IVA
8.2.1 Dichiarazione IVA in caso di cessazione dell'attivita'
8.2.2 Computo del pro-rata nelle liquidazioni e dichiarazioni periodiche
8.2.3 Splafonamento dell'esportatore abituale
8.2.4 Errori nelle dichiarazioni periodiche
8.3 Visto pesante
8.3.1 Visto pesante:ammortamenti accelerati
8.3.2 Visto pesante: poteri di controllo e verifica
8.3.3 Visto pesante: scritture predisposte e tenute dal professionista
8.3.4 Controllo e responsabilita' del certificatore
8.3.5 Limite al rilascio delle certificazioni
8.3.6 Rilascio della certificazione in caso di risultato negativo
8.3.7 Tenuta del registro delle certificazioni
8.3.8 Certificazione della gestione delle scritture contabili
8.3.9 Certificazione a seguito di maggiori esborsi
8.4 Presentazione delle dichiarazioni
8.4.1 Presentazione della dichiarazione dei redditi: soggetto IRPEG in
liquidazione ordinaria
8.4.2 Obbligo di presentazione della dichiarazione IVA periodica: soggetti
con volume d'affari inferiore a lire cinquanta milioni
9 SANZIONI TRIBUTARIE
9.1 Ravvedimento operoso
9.1.1 Ravvedimento operoso IVA
9.1.2 Ravvedimento operoso: infedele dichiarazione IVA periodica
9.1.3 Ravvedimento operoso: affrancamento di cui al d.lgs. n. 461 del 1997
9.1.4 Ravvedimento operoso: irregolarita' nei modelli di versamento
9.1.5 Ravvedimento operoso: violazioni IVA prodromiche e indotte
9.1.6 Ravvedimento operoso: debito previdenziale compensato con credito
tributario non capiente
9.1.7 Ravvedimento (Art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997)
9.1.8 Ravvedimento con procedura "speciale"
9.2 Altri quesiti in materia di sanzioni
9.2.1 Mancato pagamento entro sessanta giorni delle somme accertate ai fini
IVA
9.2.2 Irrogazione sanzioni: termini di decadenza
9.2.3 Tardiva o omessa trasmissione telematica delle dichiarazioni
9.2.4 Violazioni relative agli obblighi di documentazione, registrazione ed
individuazione delle operazioni IVA: sanzione minima
9.2.5 Quadro W -Sanzioni
9.2.6 Deducibilita' delle sanzioni UE
10 RISCOSSIONE
10.1 Quesiti vari in materia di riscossione
10.1.1 Compensazione di credito IVA superiore a 500 milioni di lire
10.1.2 Rateazione di somme iscritte a ruolo: discrezionalita' dell'ufficio
11 altri quesiti
11.1 Quesiti vari
11.1.1 Classificazione ai fini ICIAP degli agenti di assicurazione
11.1.2 Documentazione del vincolo pertinenziale relativo all'abitazione
principale
11.1.3 Disapplicazione di norme antielusive ai sensi dell'art. 37-bis del DPR
n. 600 del 1973
11.1.4 Studi di settore: adeguamento in corso d'anno
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In relazione ai quesiti delle materie indicate in oggetto, formulate da
organi di stampa specializzati, questo Ministero ha fornito le risposte che,
per opportuna conoscenza, sono di seguito riportate.
1 REDDITO D'IMPRESA
Beni ammortizzabili
1.1.1 Cespiti venduti in corso d'esercizio: calcolo degli ammortamenti
D. Nel caso di cespiti venduti nel corso dell'esercizio qual e' la procedura
ritenuta corretta ai fini fiscali per il calcolo degli ammortamenti:
l'ammortamento deve essere calcolato per il periodo decorrente dall'inizio del
periodo d'imposta fino al momento in cui il bene risulta ceduto;
l'ammortamento deve essere calcolato per il periodo decorrente dall'inizio del
periodo d'imposta fino al momento in cui il bene risulta parte attiva del
processo produttivo; l'ammortamento per il periodo d'imposta in cui avviene la
cessione puo' non essere calcolato.
R. Per i beni ceduti antecedentemente alla chiusura dell'esercizio non devono
essere operati i relativi ammortamenti atteso che il residuo costo fiscale
concorrera' al calcolo delle relative plusvalenze ovvero minusvalenze, in
conformita' con la tecnica contabile suggerita - sul piano civilistico - dal
principio contabile del CNDC e del CNR n. 16 punto D. XII.
1.1.2 Classificazione fiscale dei vigneti di proprieta' di una casa vinicola
D. Una casa vinicola e' proprietaria di diversi vigneti.
Qual e' la giusta classificazione fiscale dei vigneti ed in particolare con
riguardo al D.M. 31 dicembre 1988 qual e' l'aliquota d'ammortamento
applicabile agli stessi?
R. L'ammortamento e' una procedura tecnico-contabile attraverso la quale si
ripartisce nei vari esercizi l'onere del deperimento e del consumo relativo
alla utilizzazione di beni strumentali di durata pluriennale.
Cio' premesso, si rammenta che i terreni, ancorche' assolvano ad una funzione
di strumentalita' nell'esercizio delle attivita', non sono ammortizzabili,
atteso che, per la loro natura, non sono suscettibili di deperimento e
consumo.
Relativamente ai costi di acquisizione e di messa in opera dei vigneti, si
precisa che gli stessi non sono ammortizzabili secondo i criteri ordinari ma,
rientrando tra le spese relative a piu' esercizi, sono deducibili secondo la
regola stabilita dall'art. 74, comma 3, del TUIR.
1.1.3 Spese che incrementano il valore di un bene ammortizzabile
D. Nel caso di spese incrementative del valore di un bene ammortizzabile si
deve procedere ad incrementare il valore contabile dello stesso.
Successivamente come ci si deve comportare ai fini del calcolo
dell'ammortamento? E' corretto ritenere che le aliquote di ammortamento
fissate dal D.M.. 31 dicembre 1988 debbano essere applicate al valore
complessivo del cespite (costo originario piu' spesa incrementativa)?
R. Qualora le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e
trasformazione siano imputate ad incremento del costo del bene cui si
riferiscono, gli ammortamenti vanno computati, anche ai fini fiscali,
sull'intero valore incrementato
1.2 Contributi
1.2.1 Disciplina fiscale dei contributi in conto impianti deliberati prima
del 31 dicembre 1998, nell'ambito degli interventi per il Mezzogiorno
D. Una societa' ha incassato nel 1999 contributi in conto impianti deliberati
in epoca precedente al 31 dicembre 1998. I contributi sono stati concessi ai
sensi del testo unico delle leggi sugli interventi per il Mezzogiorno.
E' corretto ritenere:
– - che la societa' abbia la possibilita' di applicare ai contributi
incassati la disciplina contenuta nel testo previgente dell'art. 55 del TUIR
(imputazione del 50% a riserva in sospensione d'imposta e tassazione in 5 o 10
periodi d'imposta per la parte rimanente);
– - che tale imputazione a riserva sia rilevante ai fini del calcolo
della base della Dit (al contrario di quanto sostenuto dalle istruzioni
ministeriali al modello unico dello scorso anno).
R. La risposta al quesito e' stata fornita con le istruzioni della
dichiarazione Unico 99 Societa' di capitali (p.99) di cui si riporta per
esteso il testo.
Per espressa previsione della nuova lett. b) del comma 3 del citato art. 55
del TUIR, resta ferma l'applicazione delle agevolazioni connesse alla
realizzazione di investimenti produttivi concesse nei territori montani di cui
alla legge 31 gennaio 1994, n. 97, nonche' quelle concesse ai sensi del testo
unico delle leggi sugli interventi nel mezzogiorno di cui al D.P.R. 6 marzo
1978, n. 218, per la decorrenza prevista al momento della concessione.
Pertanto, ai contributi concessi in base a tali provvedimenti continuera' ad
applicarsi la disciplina vigente al momento della concessione anche se il loro
incasso si verifica a partire dall'esercizio in corso al 1 gennaio 1998.
Si ritiene, altresi', che la quota di contributo accantonato a riserva rilevi
anche ai fini del calcolo della DIT.
1.2.2 Rimborso parziale di contributi in conto capitale incassati in anni
precedenti: disciplina fiscale
D. Nel caso di rimborso parziale di contributi in conto capitale incassati in
anni precedenti, causati dal verificarsi di alcune ipotesi previste dalla
normativa di concessione (ad esempio dismissione dell'investimento),
considerato che, i contributi erano stati trattati come prevedeva l'art. 55
del TUIR fino al 31 dicembre 1998 (imputazione a riserva in sospensione del
50% del contributo incassato e tassazione in 5 esercizi della parte rimanente)
e che il rimborso richiesto e' forfettariamente pari al 25% del contributo
erogato a suo tempo, si chiede qual e' il corretto comportamento fiscale con
riguardo all'esborso finanziario richiesto, all'annullamento della riserva in
sospensione e al conseguente annullamento di quanto imputato in diminuzione
del prezzo di acquisto dell'impianto agevolato riscontrato e non ancora
imputato a conto economico.
R. Il quesito si riferisce a contributi in conto capitale incassati entro il
31.12.97 ed in parte da restituire per effetto di provvedimento
successivamente intervenuto.
Il 50% di tali contributi risultava iscritto nella riserva in sospensione
d'imposta e il restante 50% era stato suddiviso in cinque quote da far
concorrere al reddito in cinque esercizi a decorrere da quello in cui i
contributi erano stati incassati.
La successiva restituzione del contributo sara' pertanto rilevata, per la
meta', in contropartita della riserva in sospensione che, per pari ammontare,
sara' annullata senza rilevanza fiscale.
La restante meta' di contributo restituito, invece, andra' suddivisa in cinque
quote, in relazione ai cinque esercizi per i quali il contributo avrebbe
concorso o ha effettivamente concorso al reddito. Di queste cinque quote,
quelle riferibili agli esercizi non ancora chiusi verranno computate
annualmente in diminuzione dell'importo di contributo ancora da assoggettare a
tassazione; le altre, non potendo ovviamente essere scomputate dalla parte di
contributo che, negli esercizi precedenti, e' stata gia' assoggettata a
tassazione, determineranno necessariamente una sopravvenienza passiva, per il
loro complessivo ammontare, nell'esercizio in cui il contributo e' stato
restituito.
In sostanza, dal punto di vista fiscale, la restituzione del contributo
incidera' pro quota sulla riserva e sui cinque esercizi, con gli stessi
criteri mediante cui il contributo era stato originariamente ripartito ai fini
della tassazione; resta ovviamente fermo il limite degli esercizi gia' chiusi,
con riferimento ai quali non puo' essere operata la correlativa riduzione
della quota di contributo ormai tassata, potendosi solo avere una
sopravvenienza passiva, per l'importo corrispondente, nell'esercizio in cui
avviene la restituzione.
Esempio:
- Contributo incassato nell'anno 1997 pari a: 100
- Contributo da restituire nel 1999 pari a: 25
Il contributo di 100, incassato nel 1997, era stato cosi' ripartito: 50 quale
riserva in sospensione di imposta; 50 da assoggettare pro quota a tassazione
in cinque esercizi, a partire dal 1997. Di conseguenza, nel 1997 e nel 1998 e'
stata assoggettata a tassazione una quota annua di contributo pari a 10.
La restituzione di contributo, avvenuta nel 1999 in misura di 25, comportera'
la riduzione della riserva in sospensione d'imposta per meta' dell'importo
restituito, cioe' per 12,5.
La restante meta', pari a 12,5, andra' invece suddivisa in cinque quote, pari
a 2,5. Nel 1999, conseguentemente, verra' rilevata una sopravvenienza passiva
di 5 (in ragione della quota annua di 2,5 riferibile ai due esercizi 1997 e
1998, gia' chiusi); l'importo annuo da assoggettare a tassazione in ciascuno
dei tre esercizi 1999, 2000 e 2001 sara' invece ridotto dalla misura
originaria di 10 a quella di 7,5, cioe' 10 - 2,5.
1.3 Agevolazione Visco
1.3.1 Ammortamenti
D. Con riferimento alla legge 13 maggio 1999, n. 133 che si intende applicare
a soggetto IRPEG con bilancio che chiude il 31 luglio 1999, poiche' la norma
richiede che gli investimenti devono essere ridotti dagli ammortamenti
relativi a beni della stessa tipologia, la riduzione si deve intendere
riferita ai soli beni sostituiti, o invece a tutti gli ammortamenti
effettuati?
L'articolo 2, comma 9 della citata legge 133 del 1999 dispone che il valore
degli investimenti deve essere assunto al netto degli ammortamenti dedotti. A
quali ammortamenti fa riferimento la norma? A tutti quelli aventi rilevanza
fiscale ad eccezione di quelli concernenti i beni oggettivamente esclusi
dall'agevolazione? Come occorre comportarsi con gli ammortamenti anticipati?
R. Ai sensi del comma 9 dell'art. 2 della legge n. 133 del 1999, e delle
modifiche inserite nel collegato fiscale in corso di approvazione, gli
investimenti previsti dal precedente comma 8 rilevano per ciascun periodo
agevolato per la parte eccedente le cessioni, le dismissioni e gli
ammortamenti dedotti. Con riguardo agli ammortamenti si fa presente che
rilevano quelli riferiti a tutti i beni di cui all'art. 67 e 68 del TUIR
esistenti nel patrimonio dell'impresa con esclusione dei:
- beni indicati all'art. 121-bis, comma 1, lett. a), n. 1), del TUIR, tranne
quelli destinati ad essere utilizzati esclusivamente come beni strumentali
nell'attivita' propria dell'impresa o adibiti ad uso pubblico;
- tutti i beni immobili, tranne gli impianti e gli opifici appartenenti alla
categoria catastale D/1, utilizzati esclusivamente dal possessore per
l'esercizio dell'impresa o, se in corso di costruzione, destinati a tale
utilizzo;
- tutti i beni nuovi di cui all'art. 67 e 68 del TUIR acquisiti nel biennio
agevolato per i quali si richiede l'agevolazione in argomento.
Gli ammortamenti anticipati, sia in caso di imputazione del relativo ammontare
a conto economico ovvero in un'apposita riserva di utili, vanno portati a
riduzione dell'ammontare degli investimenti, ad eccezione di quelli relativi
ai beni sopra individuati.
1.3.2 Riporto delle eccedenze al secondo periodo d'imposta agevolato
D. Tra le disposizioni correttive della legge n. 133 del 1999 particolare
importanza riveste la possibilita' di utilizzare nel corso del 2000
l'eventuale parametro risultato in eccesso nel periodo di imposta precedente.
Analogamente e' consentito fruire nel 2000 l'agevolazione maturata nel 1999 ma
non utilizzabile in tale periodo di imposta per incapienza del reddito
complessivo. Si chiede se, nel caso di incapienza del reddito realizzato
realizzato nel corso del 2000, l'agevolazione non fruita debba considerarsi
irrimediabilmente persa o possano invece configurarsi meccanismi atti a
recuperare nei periodi successivi tale beneficio.
R. L'articolo 3 del collegato fiscale in corso di approvazione stabilisce che
gli ammontari determinati ai sensi del comma 9 dell'art. 2 della legge n. 133
del 1999 degli investimenti, dei conferimenti e degli accantonamenti di utili
a riserve riferiti al primo periodo agevolato che non hanno rilevato ai fini
dell'applicazione dell'agevolazione di detto periodo sono computati nel
periodo successivo. Cio' posto si precisa che gli ammontari degli
investimenti, dei conferimenti e degli accantonamenti di utili a riserva di
cui sopra riferiti al secondo periodo agevolato che non hanno rilevato per
l'agevolazione di detto periodo non potranno essere computati nell'esercizio
successivo, atteso che l'agevolazione spetta, per i soggetti aventi periodo
d'imposta coincidente con l'anno solare, per il solo biennio 1999-2000.
1.3.3 Imprese di nuova costituzione
D. I soggetti nati dopo l'entrata in vigore della legge n. 133 del 1999
possono beneficiare della detassazione per il periodo di imposta successivo
quello ipotetico che avrebbe compreso questa data?
R. Per le imprese costituitesi successivamente alla data del 18 maggio 1999,
data di entrata in vigore della legge n. 133 del 1999, ma comunque entro la
data del 31 dicembre 2000, l'agevolazione in argomento si applica
esclusivamente per il primo periodo d'imposta.
1.3.4 Societa' con esercizio a cavallo
D. Ci sono societa' che hanno chiuso prima del 31 dicembre 1999 l'esercizio
che comprende la data di entrata in vigore della legge n. 133 del 1999. Questi
soggetti, pur essendo beneficiari dell'agevolazione, dovranno dichiarare i
redditi con il vecchio modello, che non prevede un quadro dedicato alla
detassazione. Come dovranno comportarsi a livello operativo? E' possibile
determinare la minore imposta dovuta e indicare solo tale importo nel modello,
compilando a parte un quadro RJ del nuovo modello 760 e conservandolo per
eventuali richieste dell'Ufficio?
R. Le societa' soggette ad IRPEG che hanno chiuso l'esercizio in data
antecedente al 31 dicembre 1999 e fruiscono dell'agevolazione in argomento
dovranno compilare la dichiarazione dei redditi utilizzando il modello UNICO
99. Tenuto conto che il predetto modello non contiene un quadro specifico per
la determinazione dell'agevolazione, si ritiene che i relativi calcoli possano
essere effettuati separatamente, utilizzando anche il quadro RJ del nuovo
modello UNICO 2000 che verra' conservato per eventuali richieste da parte
dell'Ufficio. Per la determinazione dell'imposta del 19 per cento sulla parte
di reddito agevolato il soggetto dovra' compilare i righi RG7 o RG8 del quadro
RG dell'UNICO 1999.
1.3.5 Investimenti: calcolo in presenza di contributi in conto impianti
D. Nel computo degli investimenti lordi possono entrare anche beni per i quali
l'impresa ha beneficiato di contributi in conto impianti. Deve essere
considerato l'importo dell'acquisto al lordo del contributo (ammontare
dell'investimento) oppure al netto del contributo ricevuto (costo fiscalmente
riconosciuto)?
R. La disposizione contenuta nell'art. 76, comma 1, lett. a), del TUIR e'
stata modificata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 (legge finanziaria
1998), a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre
1997, che ne ha espunto le parole finali "e gli eventuali contributi";
pertanto, l'investimento deve essere assunto al netto del contributo.
1.3.6 Investimenti: ammortamenti da dedurre
D. Gli investimenti netti vanno determinati sottraendo dall'ammontare
investito gli ammortamenti dedotti nel periodo. Si chiede se devono essere
sottratti anche gli ammortamenti relativi ai beni nuovi oggetto di
investimento e, quindi dell'agevolazione.
R. Gli ammortamenti relativi ai beni nuovi oggetto d'investimento, non devono
essere sottratti, nel biennio agevolato, dagli investimenti realizzati per la
determinazione dell'importo che rileva a fini agevolativi.
Nel caso contrario, infatti, si introdurrebbe una evidente distorsione nel
mercato, avvantaggiando notevolmente le imprese che utilizzano i beni in
leasing rispetto a quelle che li acquistano in proprieta', in palese contrasto
con il principio generale di neutralita' piu' volte espresso dal legislatore.
Si veda, ad esempio, la relazione accompagnatoria del disegno di legge di
conversione del decreto-legge n. 414 del 1989 (recante modifiche all'art. 67
del TUIR), in cui si sottolinea la necessita' "di assicurare nel tempo, in
relazione alle mutevoli condizioni di mercato, la necessaria neutralita'
fiscale della scelta aziendale tra acquisizione dei beni in proprieta' o in
leasing".
Deve tenersi presente, inoltre, la ratio del particolare sistema di
calcolo disciplinato dal citato comma 9, lett. a), il quale, facendo rilevare
solo la parte di investimenti che eccede cessioni, dismissioni e ammortamenti,
impone un confronto tra due entita': quella che rappresenta gli incrementi
della struttura produttiva (investimenti) e quella che, al contrario, indica
il depauperamento dell'apparato produttivo stesso (ammortamenti, cessioni,
dismissioni).
Il meccanismo, come strutturato, induce le imprese ad effettuare
investimenti "aggiuntivi", che costituiscono un reale ampliamento (piuttosto
che un mero mantenimento) del suddetto apparato. Pertanto, anche in questa
prospettiva, appare illogico computare, in diminuzione dell'investimento, la
quota di ammortamento relativa al bene investito, il cui importo deve invece
rilevare interamente ed unitariamente tra gli incrementi.
Gli ammortamenti relativi ai beni oggetto dell'investimento non
rilevano neppure nel successivo periodo d'imposta oggetto dell'agevolazione.
1.3.7 Investimenti: cessioni e dismissioni
D. I beni ceduti o dismessi influenzano negativamente il calcolo degli
investimenti netti. L'importo da considerare ai fini del calcolo deve essere
il corrispettivo della cessione oppure il valore residuo ammortizzabile?
R. Ai sensi del comma 9 dell'articolo 2 della legge n. 133 del 1999 gli
investimenti devono riguardare beni destinati a strutture situate nel
territorio dello Stato e rilevano per la parte eccedente le cessioni, le
dismissioni e gli ammortamenti dedotti.
A fronte delle cessioni dei beni, l'ammontare che riduce quello degli
investimenti, coincide con il corrispettivo pattuito tra le parti.
1.3.8 Investimenti: entrata in funzione del bene
D. La norma di agevolazione non richiede espressamente che i beni oggetto di
investimento siano entrati in funzione nel periodo agevolato. Sembrerebbe
quindi sufficiente, per determinare il periodo di competenza
dell'investimento, l'avvenuta consegna (per i beni mobili). Si chiede se
questa impostazione, in linea con le istruzioni a suo tempo contenute nella
circolare 181/E del 27 ottobre 1994, e' corretta.
R. Con riguardo al periodo d'imposta in cui gli investimenti rilevano ai
fini dell'agevolazione, si rileva che la norma di cui al comma 8 richiama "gli
investimenti in beni strumentali nuovi di cui agli articoli 67 e 68 del citato
testo unico …. effettuati negli stessi periodi …".
Cio' induce a ritenere che la fruizione del beneficio fiscale e'
subordinata non solo all'acquisizione del bene nel periodo d'imposta, da
assumere secondo i criteri stabiliti all'articolo 75 del TUIR, ma anche alla
circostanza che nello stesso periodo d'imposta il bene sia entrato in
funzione.
In altri termini, l'investimento si computa nell'esercizio a partire
dal quale il bene stesso, inserito nel processo produttivo, e' ammortizzabile
ai fini fiscali.
Tale conclusione trae argomento dalla interpretazione sistematica
oltre che dal tenore letterale della norma in esame.
Il riferimento ai "beni strumentali … di cui agli articoli 67 e 68"
attribuisce senza equivoci una precisa qualificazione giuridica ai beni
oggetto di investimento. Questi devono essere strumentali ed ammortizzabili,
possedere cioe' caratteristiche che, ai sensi del richiamato art. 67, comma 1,
del TUIR, sono ad essi riconosciute nell'"esercizio di entrata in funzione".
La tesi trova conferma, sul piano semantico, nello stesso termine
utilizzato dal legislatore per definire gli investimenti, che devono essere
"effettuati", ossia mandati ad effetto, messi in opera, realizzati.
Sotto altro profilo, si osserva che il requisito della strumentalita'
o entrata in funzione costituisce l'unico riferimento utile per riscontrare la
destinazione del bene a strutture situate nel territorio dello Stato. In piu',
consente di annoverare tra gli investimenti agevolabili, come sara' detto in
avanti, anche i beni acquistati da un soggetto che non sia ne' il produttore
ne' il rivenditore. Gli stessi, infatti, in tanto potranno considerarsi
"nuovi" in quanto non siano mai entrati in funzione, cioe' non siano stati
utilizzati dal cedente.
Puo' presentarsi il caso che un determinato bene, acquisito in prossimita'
della fine del periodo d'imposta, presenti caratteristiche tecniche e
strutturali che ne impediscano l'entrata in funzione nello stesso periodo.
Dovendosi evitare applicazioni aberranti della norma che, in contrasto con le
finalita' perseguite dal legislatore, potrebbero vanificare lo sforzo degli
operatori commerciali al rilancio degli investimenti, e' da ritenere che nelle
circoscritte ipotesi appena richiamate l'investimento possa ritenersi
effettuato nel periodo d'imposta di acquisizione del bene, a condizione che il
soggetto interessato possa dimostrare l'oggettivo impedimento ad utilizzarlo
entro lo stesso periodo.
1.3.9 Investimenti: beni in comodato
D. Il Ministero ha spesso confermato la strumentalita' dei beni che un'impresa
concede a terzi in comodato d'uso, sempre che si tratti di una operazione
inerente l'attivita'. Si dovrebbe quindi estendere l'agevolazione anche
all'acquisto di questo tipo di beni, a condizione che la destinazione finale
dei medesimi sia all'interno del territorio dello Stato. Si chiede una
conferma di questa possibilita'.
R. I beni concessi a terzi in comodato d'uso sono agevolabili purche'
strumentali ed inerenti.
In merito alla strumentalita' si fa rinvio a quanto precisato con circolari n.
37/E del 13 febbraio 1997 e n. 48/E del 10 febbraio 1998 ed in particolare a
quei beni senza i quali l'attivita' non puo' essere esercitata.
L'inerenza del bene sussiste nella circostanza in cui lo stesso cede le
proprie utilita' all'impresa proprietaria e non a quella che lo ha utilizzato
(tra le altre cfr. risoluzione ministeriale del 5 gennaio 1981 n. 9/2320).
1.4 DIT
1.4.1 Patrimonio dei soggetti IRPEF
D. Le nuove regole introdotte dal d.lgs. n. 9 del 18 gennaio 2000 (a decorrere
dal 2000) prevedono per le imprese individuali e societa' di persone, il
riferimento all'intero patrimonio, cosi' come risulta dal bilanci, ai fini
della determinazione dell'aumento del capitale investito DIT. Quale rilevanza
"temporale" si deve attribuire alle eventuali variazioni patrimoniali che si
sono verificate in corso d'anno (ad esempio versamenti o prelevamenti
effettuati negli ultimi mesi)?
R. L'articolo 5, comma 1, del d.lgs. n. 466 del 1997, come modificato dal
d.lgs. n. 9 del 18 gennaio 2000, prevede che per le imprese individuali e le
societa' di persone commerciali la variazione in aumento del capitale
investito e' costituita dal patrimonio netto risultante dal bilancio alla data
di chiusura dell'esercizio con esclusione dell'utile del medesimo periodo.
Conseguentemente, le variazioni patrimoniali che si sono verificate nel corso
dell'anno non assumono rilevanza ai fini di cui trattasi. Al riguardo e'
opportuno ricordare che, per effetto dell'articolo 6, comma 2, del citato
d.lgs. n. 466 del 1997, si rendono applicabili le disposizioni antielusive di
cui all'articolo 37-bis del DPR n. 600 del 1973.
1.4.2 Riclassificazione degli ammortamenti anticipati
D. Per effetto del principio contabile n. 25 la riclassificazione degli
ammortamenti anticipati del passato quale rilevanza assume ai fini DIT?
Infatti se si seguono in maniera letterale le regole DIT si arriverebbe alla
conclusione che la Riserva formata con la riclassificazione non assume
rilevanza ai fini dell'agevolazione in quanto non risulta formata da utili di
esercizio. Questa sarebbe una interpretazione basata su una visione solo
formale dell'operazione: e' ovvio infatti che la "cancellazione" dei passati
ammortamenti contabili produce maggiori ammortamenti futuri, che deprimeranno
gli utili civilistici futuri con effetti negativi ai fini DIT che, nel caso
specifico, si sono gia' realizzati in passato. In pratica nel nostro caso con
una interpretazione formale si arriverebbe a dire che quegli stessi
ammortamenti, che transiteranno nuovamente nel conto economico degli esercizi
futuri, produrranno, per la seconda volta, una riduzione dell'utile di
esercizio assoggettabile alla DIT. Visti gli evidenti effetti penalizzanti
sarebbe opportuno analizzare la questione dal punto di vista sostanziale per
cui si potrebbe arrivare al riconoscimento del beneficio DIT alla parte di
Riserva di Ammortamenti Anticipati rappresentativa delle passate riduzioni
dell'utile di esercizio che hanno impedito la fruizione del beneficio. In
sostanza l'applicazione di questo principio dovrebbe consentire di considerare
l'effetto DIT per quell'importo che sarebbe scaturito se anche negli esercizi
1997 e 1998 si fosse applicato il criterio raccomandato. Anche l'Assonime
nella Circolare n. 46 del 1999, seppur in tono dubitativo, si e' espressa nel
senso della rilevanza ai fini DIT dell'incremento del patrimonio netto
derivante dalla riclassificazione di precedenti ammortamenti anticipati.
R. L'articolo 1, comma 4, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 466 stabilisce che
rilevano ai fini della variazione in aumento del capitale investito gli utili
accantonati a riserva, fatta eccezione dell'utile accantonato a riserva di cui
all'articolo 2426, comma 1, n. 4 del codice civile (cosi' detta riserva da "
equity method ").
Puo' accadere che l'impresa, in sede di destinazione dell'utile dell'esercizio
deliberi di accantonare nell'apposita riserva la quota di ammortamento
anticipato. In tal caso l'impresa procede alla deduzione ai fini fiscali di
tale quota mediante una apposita variazione in diminuzione in dichiarazione
dei redditi.
Come chiarito nella circolare n. 76/E del 6 marzo 1998, al paragrafo 4.2.1,
l'utile in questione rileva ai fini della variazione del capitale ai fini Dit.
Diversamente, nell'ipotesi in cui l'ammortamento anticipato sia imputato a
conto economico riducendo in tal modo l'utile dell'esercizio, l'impresa non
potra' accantonare a riserva il corrispondente importo con conseguente
penalizzazione ai fini dell'agevolazione.
Cio' comporta sicuramente dei problemi nell'ipotesi in cui l'impresa, dopo
aver contabilizzato a conto economico gli ammortamenti anticipati, modifichi
successivamente il criterio d'imputazione degli stessi, trasferendo nella
riserva per ammortamenti anticipati l'importo sino a quale momento
accantonato nel fondo ammortamento.
In questo caso, infatti, i citati ammortamenti, negli anni successivi devono
essere di nuovo contabilizzati a conto economico, con la conseguenza di
ridurre per la seconda volta il risultato d'esercizio e incidere in tal modo
negativamente ai fini Dit.
A riguardo si ritiene di non poter, tuttavia, accedere alla tesi prospettata
nel quesito.
Premesso che la metodologia di rilevazione dell'utile non puo' che essere
quella civilistica, come indica l'intero iter legislativo del d.lgs. n. 466
del 1997, non e' individuabile una interpretazione sostanziale che, senza
confliggere con il dato testuale, possa essere pacificamente assunta in via
sistematica per tutte le diverse ipotesi e applicazioni possibili.
Attribuire natura di accantonamento di utili alle riserve formate con la
riclassificazione dei pregressi ammortamenti anticipati provoca distorsioni
ancora maggiori.
E' infatti necessario valutare contestualmente gli effetti di una tale
impostazione sia ai fini della Dit che ai fini delle agevolazioni introdotte
con la legge 13 maggio 1999, n. 133, commi 8-12.
Ai fini Dit, in coerenza con la struttura del beneficio, si dovrebbe
riconoscere natura di accantonamento di utili non all'intera riserva, bensi'
alla sola parte di essa riferibile agli ammortamenti anticipati contabilizzati
negli esercizi successivi a quello in corso al 30 settembre 1996 e solo nel
caso in cui, allora, non fossero state conseguite perdite, a fronte delle
quali il soggetto non avrebbe comunque avuto titolo a fruire della Dit.
Peraltro, a diversa conclusione dovrebbe pervenirsi sul piano sostanziale agli
effetti della legge 13 maggio 1999, n. 133, commi 8-12, nonostante che la
lett. b) del comma 9 faccia esplicito rinvio all'articolo 1, commi 4 e 5 del
citato d.lgs. n. 466 del 1997, per la individuazione e determinazione degli
accantonamenti di utili rilevanti in tale ambito.
In relazione alle finalita' e alla struttura di tali ulteriori agevolazioni,
che sono temporanee e rigorosamente circoscritte al periodo di imposta in
corso al 18 maggio 1999 e al successivo, non avrebbe significato dare
rilevanza alla sola parte di riserva derivante dalla riclassificazione degli
ammortamenti anticipati effettuati negli esercizi successivi a quello in corso
al settembre 1996.
E, d'altra parte, la possibilita' di tenere conto di essa attribuirebbe
ingiustificati vantaggi ai soggetti che in passato avevano imputato a conto
economico gli ammortamenti anticipati: vantaggi immediati e non piu'
compensabili, nel contesto di una agevolazione temporanea, con gli eventuali
minori utili successivi.
In definitiva, la tesi "sostanziale" prospettata non puo' essere condivisa in
quanto, non essendo univoca ne' estensibile in via sistematica alle diverse
fattispecie disciplinate dalla norma, e' inidonea ad interpretare in modo
coerente il dato testuale.
1.4.3 Limite patrimoniale per l'accesso al beneficio DIT
D. In relazione alla limitazione del beneficio della super DIT per le societa'
quotate sarebbe opportuno specificare se il limite di 500 miliardi e' una
condizione per l'applicazione del beneficio e quindi interessa solo il periodo
precedente a quello per cui si applica l'agevolazione ovvero se si tratta di
una verifica che riguarda separatamente ciascuno degli anni agevolati. Qualora
fosse la seconda ipotesi quella ritenuta corretta dal Ministero si dovrebbe
anche chiarire se tale limitazione influenza le agevolazioni gia' in corso.
R. Il decreto legislativo 23 dicembre 1999, n. 505 ha, tra l'altro, introdotto
alcune modifiche all'articolo 6 del decreto legislativo n. 466 del 1997,
stabilendo che le disposizioni che prevedono l'aliquota IRPEG agevolata al 7
per cento e l'aliquota media minima del 20 per cento, non si applicano alle
societa' i cui titoli di partecipazione sono ammessi alle quotazioni nei
mercati regolamentati aventi patrimonio netto superiore a 500 miliardi di
lire, come risultante dal bilancio dell'esercizio precedente a quello di
riferimento, escluso l'utile del medesimo esercizio.
Al riguardo, si precisa che laddove il patrimonio netto alla fine del periodo
d'imposta precedente dovesse superare l'importo di 500 miliardi di lire, per
il periodo d'imposta successivo le predette aliquote del 7 e del 20 per cento
non sono applicabili e l'intero importo del reddito agevolabile determinato
secondo le disposizioni di cui al citato decreto legislativo n. 466 del 1997,
e' assoggettato all'aliquota IRPEG ridotta al 19 per cento e con il vincolo
dell'aliquota media minima del 27 per cento.
Inoltre, in coerenza con quanto precisato nella circolare n. 76/E del 6 marzo
1998, paragrafo 10, si fa presente che nell'ipotesi in cui il citato limite di
500 miliardi di patrimonio netto dovesse essere superato, anche l'eventuale
riporto di quote di reddito agevolato costituite in anni precedenti, ove il
soggetto poteva fruire dell'aliquota agevolata del 7 per cento, devono essere
utilizzate con l'aliquota del 19 per cento.
Cio' posto si ritiene che la limitazione ivi prevista, che interviene a
decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 1999,
influenza anche le agevolazioni fruibili dalle societa' che si sono gia'
quotate.
1.5 Altri quesiti relativi alle imprese
1.5.1 Cessione dell'unica azienda gia' di societa' incorporata: avviamento
D. Alfa e' incorporata da Beta che imputa il disavanzo di fusione, pari a L.
2.000 milioni, alla voce avviamento. Il disavanzo di fusione e' riconosciuto
fiscalmente ai sensi del D.lgs. 358 del 1997. Successivamente Beta cede a
Gamma l'unica azienda acquisita per incorporazione, cui e' riconosciuto un
plusvalore di L. 4.500 milioni, senza considerare il valore di avviamento pari
a L. 2.000 milioni. Beta possedeva l'azienda da piu' di tre anni. Si chiede
quale tra i tre prospettati risulti il comportamento fiscale da osservare:
- tra i beni oggetto di cessione tra Beta e Gamma si comprende anche
l'avviamento da fusione. La cessione di azienda genera una plusvalenza in capo
a Beta di 2.500 milioni, assoggettabile all'imposta sostitutiva del 27 per
cento, ai sensi del d.lgs. n. 358 del 1997;
- l'avviamento da fusione non viene ceduto ed e' dedotto fiscalmente in 10
anni e la cessione di azienda genera una plusvalenza di L. 4.500
milioni, assoggettabile all'imposta sostitutiva del 27 per cento ai sensi del
d.lgs. n. 358 del 1997;
- l'avviamento da fusione non viene ceduto ed e' dedotto fiscalmente in
dieci anni, la cessione di azienda genera una plusvalenza di 4.500 che
fino a concorrenza dell'avviamento (2.000 milioni e' soggetta ad
imposizione ordinaria) IRPEG 37 per cento pagabile in 5 annualita' e per la
differenza L. 2.500 milioni assoggettabili all'imposta sostitutiva del
27 per cento, pagabile in 5 annualita'.
R. Nel caso prospettato, si suppone che Beta detenesse in bilancio l'intera
partecipazione in Alfa per un importo, fiscalmente riconosciuto, di L. 10.000
milioni e che il patrimonio netto di Alfa, anche fiscalmente riconosciuto,
fosse pari a L. 8.000 milioni. Al momento della incorporazione di Alfa, Beta
imputa il disavanzo di L. 2.000 milioni alla voce "avviamento", con valenza
anche fiscale nel presupposto che risultino realizzate le condizioni di cui al
2 comma dell'art. 6 del d.lgs. n. 358 del 1997. Si suppone altresi' che Beta,
dopo avere incorporato Alfa, cede a Gamma l'unica azienda (gia' di Alfa) per
un corrispettivo di L. 12.500 milioni, conseguendo una plusvalenza di L.
2.500 milioni rispetto al costo fiscale riconosciuto all'azienda, comprensivo
dell'avviamento iscritto a fronte del disavanzo.
L'avviamento, costituendo una componente del costo dell'azienda ceduta, non
puo' infatti restare iscritto nel bilancio di Beta.
Con questa precisazione, dunque, la giusta soluzione, tra le tre prospettate,
e' la prima.
1.5.2 Appalto per la fornitura di macchinari "chiavi in mano": esercizio di
competenza
D. Nel caso di contratti di appalto che prevedono la fornitura di macchinari
"chiavi in mano" e' corretto ritenere:
- che la competenza dell'appalto debba essere decisa con riguardo al momento
di ultimazione della prestazione ai sensi dell'art. 75 del TUIR?
- che l'ultimazione della commessa deve farsi coincidere con l'accettazione
esplicita della fornitura da parte del fornitore risultando ininfluente la
consegna?
- che dopo l'intervento dell' accettazione da parte del cliente eventuali
modifiche o aggiunta al progetto originario debbano dar luogo ad una nuova
pattuizione con le parti e non possano al contrario riaprire il contratto
ormai concluso?
R. L'art. 75, comma 2, lett. b), del TUIR, dispone, tra l'altro, che: "i
corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le
spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui
le prestazioni sono ultimate …".
Con particolare riferimento al contratto di appalto, si fa presente che la
Corte di Cassazione, con sentenza n. 2928 del 23 novembre 1995, ha affermato
che concorrono a formare il reddito imponibile di un periodo i ricavi per
corrispettivi di appalti ultimati nel periodo stesso e non anche quelli degli
appalti in corso ma non ultimati, precisando che l'appalto, ai fini della
configurazione del criterio di competenza, inteso in senso giuridico, puo'
considerarsi ultimato solo a partire dal giorno in cui e' intervenuta
l'accettazione dell'opera da parte del committente, nel quale si perfeziona il
diritto dell'appaltatore al corrispettivo, ai sensi dell'art. 1665 del codice
civile.
Atteso cio', deve ritenersi che anche ai fini fiscali trovi applicazione il
criterio teste' enunciato.
Nell'ipotesi in cui sia intervenuta l'accettazione dell'opera realizzata con
il contratto di appalto, e il committente intenda apportare modifiche o
aggiunte al progetto originario, le nuove pattuizioni intercorse tra
committente ed appaltatore, determinano l'insorgere di un nuovo contratto di
appalto che, in quanto tale, sara' assoggettato ad autonoma disciplina
fiscale.
1.5.3 Impresa familiare
D. E' possibile enunciare la conduzione sotto la forma di impresa
familiare, mediante una atto formalizzato alla data di inizio dell'attivita' e
con effetto dalla suddetta data, cioe' dall'anno stesso?
R. L'art. 5, comma 4, del TUIR prevede che i redditi delle imprese
familiari di cui all'art. 230-bis del codice civile, limitatamente al 49 per
cento, sono imputati a ciascun familiare subordinatamente alla verifica di
determinate condizioni. In particolare, una di queste condizioni prevede che i
familiari dell'impresa debbano risultare "nominativamente, con l'indicazione
del rapporto di parentela o di affinita' con l'imprenditore, da atto pubblico
o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo d'imposta,
recante la sottoscrizione dell'imprenditore e dei familiari partecipanti".
Al riguardo, occorre distinguere l'ipotesi in cui l'impresa sia gia' esistente
e successivamente, nel corso dell'anno, venga enunciata la conduzione sotto la
forma di impresa familiare, da quella in cui l'attivita' sia iniziata "ex
novo" nel corso dell'anno sotto forma di impresa familiare.
Nella prima ipotesi il predetto atto di enunciazione dell'impresa familiare
formalizzato in data anteriore all'inizio dell'attivita' dell'impresa
familiare avra' effetto fiscale a decorrere dal periodo d'imposta successivo
alla data dell'atto di enunciazione.
Nella seconda ipotesi, invece, deve ritenersi che, conformemente
all'orientamento espresso dall'Amministrazione finanziaria con circolare n. 40
del 19 dicembre 1976, l'atto di determinazione delle quote di partecipazione
agli utili puo' produrre effetti fiscali dal periodo stesso a condizione che
esso risulti posto in essere contestualmente all'inizio dell'attivita' e sia
debitamente registrato nel termine fisso ordinario stabilito dalle
disposizioni concernenti l'imposta di registro.
1.5.4 Rottamazione del magazzino: imposta sostitutiva e crediti d'imposta
D. L'imposta sostitutiva prevista dai commi 9 e seguenti dell'art. 7 della
legge n. 488 del 1999 in tema di rottamazione del magazzino, e' versata in
luogo delle imposte dirette e dell'IRAP; si chiede se proprio in virtu' di
tale previsione la suddetta imposta debba ritenersi esclusa dall'ammontare
delle imposte a fronte delle quali poter attribuire il credito di imposta
pieno. Si chiede inoltre se la presenza di un meccanismo atto a distinguere la
parte dell'imposta sostitutiva riferibile all'IRAP rispetto a quella versata a
fronte delle imposte dirette non possa permettere di recuperare, in parte
l'ammontare versato al fine di alimentare le somme destinate a coprire
l'assegnazione di dividendi con crediti di imposta pieni.
R. L'articolo 105 del TUIR stabilisce che concorrono a formare l'ammontare di
cui alla lett. a) del comma 1, (c.d. Canestro "A"), tra l'altro, anche le
imposte applicate a titolo di imposta sostitutiva. Al riguardo, non puo' che
ritenersi che l'imposta sostitutiva che concorre alla determinazione del
predetto ammontare sia solo quella "sostitutiva" dell'IRPEG. Pertanto, nel
caso in cui l'imposta in esame riguardi non solo l'IRPEG ma anche altre
imposte (ad esempio, sostitutiva anche dell'IRAP, IVA, ecc.) detto importo non
potra' concorrere alla formazione dell'ammontare di cui all'art. 105, comma 1,
lett. a) del TUIR (c.d. canestro "A"). Si fa tuttavia presente che analoga
soluzione e' stata gia' adottata, nella circolare n. 112/E del 21 maggio 1999,
con riferimento all'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'IRAP
prevista per l'assegnazione e cessione agevolata di taluni beni ai soci di cui
all'art. 29 della legge 23 dicembre 1997, n. 449 e art. 13 della legge 18
febbraio 1999, n. 28.
1.5.5 Spese di ristrutturazione dei negozi
D. L'art. 14, comma 2 della legge n. 449 del 1997 dispone che "In deroga alle
disposizioni di cui agli articoli 67, comma 7, e 74 del TUIR, sono deducibili
in quote costanti nel periodo di imposta di sostenimento e nei due successivi
le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e ristrutturazione
relative agli immobili ammortizzabili posseduti o detenuti, ivi compresi gli
impianti elettrici, idraulici e quelli generici di riscaldamento e
condizionamento, con esclusione degli impianti igienici, nei quali viene
esercitata l'attivita' dai seguenti soggetti..................".
La disposizione e' prorogata al periodo di imposta in corso al 1 gennaio 2000,
dall'art. 7, comma 18 della legge 488/1999, modificando il tempo di
deducibilita' da tre a quattro periodi di imposta.
E' da ritenere quindi che si abbia una deducibilita' in tre periodi per le
spese sostenute nel 1998 e 1999 (per semplicita') ed in quattro periodi per
quelle sostenute nel 2000.
Si chiede di conoscere se tale deducibilita' "abbreviata" rappresenti una
facolta' o un comportamento vincolato.
In concreto, se le spese in discorso sono contenute nei limiti ordinari (5%)
previsti a regime dall'art. 67, comma 7, del TUIR, possono essere dedotte
tutte in un solo esercizio?
R. Con l'articolo 14, comma 2, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e' stata
prevista un'agevolazione a favore dei soggetti ivi indicati e in relazione
alle spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e ristrutturazione
sugli immobili strumentali.
Tale agevolazione consiste nell'ammettere, in deroga alle disposizioni di cui
agli articoli 67, comma 7, e 74 del TUIR, la deducibilita' di tali spese in
quote costanti nel periodo di imposta di sostenimento e nei due successivi,
ora estesa, per effetto dell'articolo 7, comma 18, della legge 23 dicembre
1999, n. 488, anche alle spese sostenute nell'anno 2000, deducibili in quote
costanti nel periodo d'imposta di sostenimento e nei tre periodi d'imposta
successivi.
Trattandosi di un'agevolazione, essa reca solo un beneficio aggiuntivo
rispetto all'ordinario regime di deducibilita' previsto dall'articolo 67 del
TUIR. Pertanto, qualora dette spese rientrino nei limiti del 5% del costo
complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all'inizio
dell'esercizio dal registro dei beni ammortizzabili, che ne consentirebbero la
deducibilita' in un solo esercizio, a norma dell'articolo 67, comma 7 citato,
deve ritenersi che sia rimesso alla scelta dell'imprenditore avvalersi o meno
di detta agevolazione e, quindi, adottare il regime di deducibilita' a lui
piu' favorevole.
Per ulteriore chiarimento si precisa che, ai sensi del comma 4 dell'articolo
14 della citata legge n. 449 del 1997, qualora l'imprenditore si avvalga
dell'agevolazione in esame, il costo dei beni materiali ammortizzabili su cui
commisurare la percentuale del 5% rilevante ai sensi dell'articolo 67, comma
7, deve essere assunto al netto del costo relativo agli immobili di cui al
comma 2 del medesimo articolo 14.
1.5.6 Recesso del socio
D. Supponendo che il patrimonio di una societa' sia composto da:
- capitale e riserve di cui all'articolo 44, comma 1 per 1.000
- altre riserve per 3.000
e che receda un socio che detiene l'1% del capitale acquistato al prezzo di
10.
Il socio riceve, in base alla quotazione di borsa della societa', 50.
In base all'articolo 44, comma 3, l'utile tassabile in capo al socio e' 40.
Il comma 3 dispone che il credito d'imposta spetta limitatamente alla parte di
utile proporzionalmente corrispondente alle riserve, diverse da quelle
indicate nell'articolo 44, comma 1, anche se imputate al capitale.
Nella pratica, non e' chiaro il significato della norma. Si ritiene che vada
intesa nel senso che l'utile di 40 beneficia del credito d'imposta nei limiti
della parte di riserve formate con utili (3.000) proporzionalmente
corrispondenti alla quota posseduta dal socio (1%), cioe' 30.
Secondo un'altra interpretazione, la parte di utile sul quale spetterebbe il
credito d'imposta dovrebbe essere calcolata come segue: 40 x 3.000/5.000= 24.
Questa interpretazione e' pero' irrazionale in quanto se il recesso
riguardasse, per assurdo, tutti i soci, il totale degli utili con diritto al
credito d'imposta (nell'ipotesi che il costo d'acquisto fosse uguale per
tutti) ammonterebbe solo a 2.400 e quindi non esisterebbe corrispondenza fra
gli utili della societa' assoggettati ad IRPEG e quelli spettanti al socio con
diritto al credito d'imposta.
R. L'articolo 44, comma 3, del TUIR assoggetta ad imposizione, quale utile di
partecipazione, la differenza tra le somme o il valore normale dei beni
ricevuti dai soci e il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione, con
il riconoscimento del credito di imposta sui dividendi per la parte di utili
corrispondente alle riserve diverse da quelle di cui al comma 1 dell'articolo
citato.
Pertanto, si ritiene che nell'esempio esposto, il socio beneficia del credito
d'imposta nei limiti della parte di riserve formate con utili (3000)
proporzionalmente corrispondenti alla quota posseduta (1%) e, quindi, la parte
di utile che beneficia del credito di imposta e' pari a 30.
1.5.7 Prelievo di acconti di utili da parte del socio di uno studio
professionale in seguito receduto
D. Un socio di uno Studio professionale e' receduto nel corso del 1999 in
conformita' allo statuto associativo. Durante i primi mesi del 1999 e sino
alla data di recesso ha prelevato acconti di utili in relazione ai patti
associativi. E' corretto ritenere tali prelievi, relativamente allo Studio,
quali costi deducibili del 1999 e relativamente all'associato receduto quali
compensi per attivita' professionale (essendo iscritto ad un ordine
professionale) da dichiarare nel quadro...... del modello Unico? Se la
risposta e' affermativa nella dichiarazione dell'ex socio tali compensi
dovranno considerarsi al lordo delle imposte che andra' a pagare?
Conseguentemente nessuna ritenuta percepita dallo Studio dovra' essere
ripartita in capo al soggetto stesso al termine del periodo d'imposta.
R. La problematica prospettata e' stata gia' affrontata nella nota n. 127/E
del 24 maggio 1995, recepita nelle successive istruzioni per la compilazione
delle dichiarazioni dei redditi.
A norma dell'articolo 5, comma 3, lettera c), del TUIR, le associazioni
costituite fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e
professioni sono equiparate alle societa' semplici, ma l'atto o la scrittura
privata di cui al comma 2 dello stesso articolo 5 puo' essere redatto fino
alla presentazione della dichiarazione dei redditi dell'associazione. Come e'
stato gia' chiarito, la ripartizione del reddito prodotto dall'associazione va
effettuata tra gli associati che risultano tali al termine del periodo
d'imposta. Tenuto conto che gli utili si determinano soltanto alla fine del
periodo d'imposta, i prelievi effettuati nel corso dell'anno non costituiscono
acconti di utili, ma anticipazioni finanziarie intervenute fra l'associazione
e i singoli partecipanti, che non hanno rilievo ai fini della determinazione
del reddito prodotto dall'associazione, nel senso che non costituiscono
componente negativo.
Di conseguenza, anche le ritenute devono essere ripartite tra i soci rimasti
tali alla fine del periodo d'imposta, ai fini del successivo scomputo.
Va sottolineato, inoltre, che le eventuali somme liquidate all'associato nei
cui confronti si scioglie il rapporto associativo, a titolo di indennita' di
recesso, costituiscono, invece, un componente negativo deducibile ai fini
della determinazione del reddito prodotto dall'associazione e, per il
percipiente, indennita' da assoggettare a tassazione separata a norma
dell'articolo 16, comma 1, lettera l), del TUIR se tra la data di costituzione
dell'associazione e quella di comunicazione del recesso e' trascorso un
periodo di tempo superiore ai cinque anni. Le somme vanno indicate nel quadro
RM del modello Unico persone fisiche. Qualora tra la costituzione
dell'associazione e la comunicazione del recesso dell'associato intervenga un
periodo di tempo inferiore, le somme percepite devono essere assoggettate a
tassazione ordinaria e vanno indicate nel quadro RE del modello Unico persone
fisiche.
1.5.8 Cessione del credito delle societa' di credito al consumo
D. Le societa' di credito al consumo contabilizzano i finanziamenti
comprensivi sia del capitale maturato sia degli interessi che matureranno fino
alla scadenza del prestito (esempio: 1000 di capitale + 150 di interessi a
scadere). Gli interessi a scadere vengono riscontati alla data di chiusura
dell'esercizio (esempio: Risconti passivi 150).
In caso di cessione dei crediti (cartolarizzazione) si ritiene che sia
corretto stornare i risconti passivi dal valore dei crediti al fine di esporre
in contabilita' solamente il valore capitale residuo del prestito. Detto
valore residuo sara' confrontato con il prezzo di cessione del medesimo per il
calcolo della plusvalenza o della minusvalenza di cessione, che concorrera'
alla formazione del reddito imponibile dell'esercizio in cui avverra' la
cartolarizzazione dei crediti medesimi.
R. La soluzione prospettata di stornare il risconto passivo per l'ammontare
degli interessi ancora da maturare dal conto acceso al credito appare corretta
se si considera che, secondo la modalita' di contabilizzazione adottata, detti
interessi accedono direttamente al credito.
Il risconto passivo, infatti, non potrebbe restare iscritto nel bilancio della
cedente dopo la cartolarizzazione.
1.5.9 Trattamento delle riserve di rivalutazione monetaria nelle operazioni
di scissione
D. In caso di scissione, l e riserve di rivalutazione monetaria devono essere
trasferite alle beneficiarie in proporzione ai loro patrimoni netti oppure
devono seguire i beni che hanno formato oggetti di rivalutazione?
R. L'art. 123 bis del TUIR introduce, al comma 9, la regola di carattere
generale per cui i fondi in sospensione d'imposta devono essere attribuiti
alle societa' beneficiarie in proporzione alle rispettive quote di patrimonio
netto contabile trasferite.
Tuttavia, "se la sospensione dipende da eventi che riguardano specifici
elementi patrimoniali della societa' scissa", il secondo periodo ne prevede
l'attribuzione, per intero, alle beneficiarie che acquisiscono tali elementi.
Si pone dunque il problema di interpretare la portata di tale eccezione. Con
la Ris. Min. n. 5/E del 6 febbraio 1998, la scrivente si pronuncio' in favore
della ripartizione proporzionale di un fondo in sospensione costituito, in
base all'art. 55 del TUIR, a fronte di contributi in conto capitale,
affermando un principio interpretativo meritevole di ulteriori estensioni e
approfondimenti.
Fu sottolineato che, per l'applicabilita' della deroga prevista dal secondo
periodo del comma 9, non doveva assumere "rilievo il momento genetico del
fondo, ma le condizioni cui e' subordinato il regime di sospensione d'imposta,
nel senso che gli eventi che riguardano specifici elementi patrimoniali della
societa' scissa devono essere tali da influenzare il mantenimento o meno dello
"status" di sospensione d'imposta del fondo medesimo".
Cio' che e' rilevante non e' l'originario legame tra il bene e il fondo,
bensi' l'eventuale regime di doppia sospensione che dia ad esso continuita'
nel tempo.
Nel particolare caso, la sospensione d'imposta sulle riserve di rivalutazione
monetaria, costituite a fronte dell'emersione di maggiori valori di
determinati elementi dell'attivo, non era legata alle successive vicende di
questi ultimi.
Essi potevano, liberamente, essere ceduti, assegnati ai soci, estromessi o
ammortizzati ai maggiori valori senza provocare la correlata imponibilita'
delle riserve stesse.
La risoluzione del regime di sospensione dipendeva unicamente dalle vicende
proprie delle riserve, ossia soltanto dal loro utilizzo per scopi diversi
dalla copertura di perdite.
Di conseguenza, si deve concludere che l'attribuzione alle beneficiarie dei
fondi di rivalutazione monetaria deve avvenire, secondo la regola generale, in
proporzione alle quote di patrimonio netto contabile.
Si rendera', viceversa, applicabile il diverso regime di cui al secondo
periodo del comma 9 solo quando la sospensione d'imposta sui fondi sia legata,
oltre che alle vicende ad essi proprie, anche a quelle degli elementi a fronte
dei quali si erano in origine costituiti.
E' il caso degli accantonamenti a riserva dei contributi in natura o delle
riserve emerse in conseguenza dei conferimenti agevolati.
Il previgente comma 3 lett. b) dell'art. 55 diversificava infatti il regime di
sospensione dei fondi d'accantonamento, in relazione alla circostanza che essi
si fossero costituiti a seguito di contributi in denaro o in natura.
Nel primo caso, il fondo veniva assoggettato a tassazione solo a seguito del
suo utilizzo per scopi non conformi; mentre, nell'ipotesi di contributi in
natura, la norma stabiliva altresi' un preciso legame con i relativi beni
allocati nell'attivo.
La tassazione del fondo veniva cioe' a dipendere anche da particolari vicende
dei beni oggetto di contributo che non dovevano essere destinati all'uso
personale o familiare dell'imprenditore o assegnati ai soci.
Pertanto, i fondi derivanti da accantonamenti di contributi in natura
dovranno, a seguito della scissione, seguire i relativi beni, se ancora
esistenti nel bilancio della scissa.
Del pari, nei conferimenti agevolati (L. n. 576 del 1975, L. n. 904 del 1977,
L. n. 742 del 1986...), la sospensione sui maggiori valori attribuiti in sede
di conferimento permane sia nell'attivo, con riguardo alle azioni della
conferitaria il cui valore fiscalmente riconosciuto resta inferiore a quello
di iscrizione in bilancio, sia nel passivo, nell'apposita riserva da
conferimento.
E, tra la sospensione nell'attivo e quella nel passivo sussiste una reciproca
interrelazione, nel senso che e' destinata a risolversi non solo per fatti
propri della riserva, ma anche per effetto di operazioni di realizzo o
assegnazione delle partecipazioni iscritte nell'attivo.
E' questo il motivo per cui tali riserve devono essere interamente trasferite
alle beneficiarie cui sono attribuiti i correlati elementi attivi.
Anche in tali ipotesi, tuttavia, deve essere verificata la effettiva
persistenza al momento della scissione dell'originario legame connesso alla
doppia sospensione nell'attivo e nel passivo.
Legame, che sarebbe, ad esempio, venuto meno a seguito della intervenuta
incorporazione della conferitaria da parte della conferente ai sensi del dl 41
del 1995.
La sospensione d'imposta sui fondi iscritti o ricostituiti nel passivo ai
sensi del comma 8 dell'art. 22 del citato dl n. 41 non dipende piu' dalle
vicende dei beni della incorporata che, nel bilancio dell'incorporante,
sostituirono le partecipazioni annullate. La norma, infatti, attribui' pieno
riconoscimento, anche fiscale, all'intero plusvalore, prima sospeso, che dalle
originarie partecipazioni si trasferi' sui beni dell'incorporata, liberamente
ammortizzabili o realizzabili.
Di conseguenza, anche in tal caso, la attribuzione dei relativi fondi alle
beneficiarie seguira' la regola generale di proporzionalita' prevista dal
primo periodo del ripetuto comma 9 dell'art. 123 bis.
2 IRAP
2.1 Quesiti vari sull'IRAP
2.1.1 Rilevanza ai fini IRAP dei beni destinati a finalita' estranee
all'impresa
D. Il comma 2 del nuovo articolo 11-bis del d.lgs. n. 446 del 1997 attrae a
tassazione ai fini IRAP anche le plusvalenze derivanti dall'autoconsumo o
dalla destinazione a finalita' estranee all'impresa di beni diversi da quelli
che generano ricavi. Tuttavia il comma 3 dell'articolo 11 prevede che siano
rilevanti ai fini IRAP le plusvalenze generate da cessione di azienda o rami
aziendali. In tal modo, poiche' le norma sull'autoconsumo e la destinazione
estranea all'impresa non delimita la rilevanza ai beni strumentali fiscalmente
ammortizzati, uno stesso bene rileva o meno ai fini del tributo regionale a
seconda che venga ceduto a titolo oneroso o che sia soggetto ad autoconsumo.
R. L'art. 11-bis, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, introdotto dal d.lgs.
n. 506 del 1999, prevede che ai componenti positivi e negativi di cui al comma
1 dello stesso art. 11-bis vanno aggiunti i ricavi di cui all'art. 53, comma 2
e le plusvalenze di cui all'art. 54, comma 1, lett. d) del Testo Unico delle
Imposte sui Redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917,
riguardanti i beni relativi all'impresa, diversi da quelli indicati nel comma
1 dell'art. 53, destinati al consumo personale o familiare dell'imprenditore,
assegnati ai soci o destinati a finalita' estranee all'esercizio dell'impresa.
Relativamente alle ipotesi previste dal citato art. 54, comma 1, lett. d), del
TUIR, deve ritenersi che, sulla base di una interpretazione logico-sistematica
della norma, conforme alla ratio della disciplina IRAP, dette plusvalenze
assumano rilevanza ai fini della predetta imposta regionale solo con
riferimento ai beni strumentali fiscalmente ammortizzabili.
2.1.2 IRAP: acconto 1999
D. E' corretta l'interpretazione secondo la quale la norma contenuta nel comma
18 dell'articolo 6, della legge n. 488/99, in ordine alla irrilevanza delle
nuove aliquote IRAP ai fini dell'acconto per il periodo imposta in corso al 31
dicembre 1999, ha l'unico significato di rendere inapplicabili le sanzioni ai
soggetti che per tale periodo hanno calcolato l'acconto adottando aliquote
d'imposta inferiori a quelle attualmente in vigore?
R. Nel comma 18 dell'articolo 6 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 e' stato
precisato che le "Le disposizioni del comma 17 non hanno effetto ai fini della
determinazione dell'imposta da versare a titolo d'acconto per il periodo
d'imposta in corso al 31 dicembre 1999".
Cio' significa, quindi, che il contribuente poteva calcolare l'acconto IRAP da
versare per l'anno 1999 applicando le aliquote vigenti nel 1999, rinviando la
regolazione degli effetti finanziari derivanti dall'introduzione con effetto
retroattivo delle nuove aliquote, al versamento del saldo dovuto per lo stesso
anno.
2.1.3 IRAP/acquisto da terzi di beni e servizi
D. Le somme erogate a terzi per l'acquisto di beni e servizi destinati a
categorie di dipendenti sono deducibili ai fini dell'imposta regionale, come
ad esempio le tute che vengono di regola utilizzate dai soli operai? (articolo
11)
R. L'articolo 11 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come sostituito
dall'articolo 1, lett. h) del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 506, stabilisce, nel
comma 2, il principio per cui rientrano tra i costi ammessi in deduzione le
somme erogate a terzi per l'acquisizione di beni e servizi destinati alla
generalita' dei dipendenti e dei collaboratori, oltre quelle erogate a
dipendenti e collaboratori medesimi a titolo di rimborso analitico di spese
sostenute nel compimento delle loro mansioni lavorative.
La relazione al decreto correttivo afferma che "tra i costi di lavoro
indeducibili agli effetti dell'IRAP non vanno considerate le spese sostenute
dal datore di lavoro, quale ne sia la classificazione nel conto economico, per
l'acquisizione di beni e servizi destinati alla generalita' dei dipendenti e
collaboratori e quelle erogate ai dipendenti e collaboratori medesimi (quali,
ad esempio, l'acquisto di tute da lavoro), ne' quelle corrisposte a tali
soggetti a titolo di rimborso documentato delle spese da essi sostenute
nell'espletamento dell'attivita' lavorativa a fronte di prestazioni di servizi
o cessioni di beni ricevuti da terzi, quali ad esempio le spese di viaggio,
alloggio e vitto".
La norma, pertanto, individua due diverse fattispecie: in primo luogo prevede
le erogazioni a terzi per l'acquisto di beni e servizi destinati alla
generalita' dei dipendenti e dei collaboratori. Al riguardo, si ribadisce che
l'espressione "beni e servizi destinati alla generalita' di dipendenti e
collaboratori" deve intendersi nel senso che essi devono poter essere
astrattamente fruibili da tutti i dipendenti e collaboratori,
indipendentemente dal fatto che alcuni di essi non se ne avvalgano.
Inoltre, la norma prevede la deducibilita' ai fini IRAP delle erogazioni ai
dipendenti e collaboratori a titolo di rimborso analitico di spese sostenute
nel compimento delle loro mansioni lavorative, tra cui si devono comprendere i
costi eventualmente sostenuti dal dipendente per l'acquisto, ad esempio, di
tute da utilizzare per l'espletamento della propria attivita'.
Tali costi, infatti, se sostenuti direttamente dall'imprenditore, sono
comunque deducibili in quanto non si configurano come "erogazioni", bensi'
come costi inerenti l'attivita'.
2.1.4 IRAP/ transfer pricing
D. La disposizione (articolo 11 bis), che dispone la rilevanza del valore
normale in caso di "transfer pricing", ha valore innovativo o interpretativo?
Inoltre viene confermato il principio gia' contenuto nella circolare
ministeriale n. 141/98 secondo il quale qualora il valore normale risultasse
inferiore al corrispettivo delle operazione, esso e' comunque rilevante ai
fini IRAP?
R. L'articolo 11-bis, introdotto con il decreto legislativo 23 dicembre 1999,
n. 506, detta le regole per la corretta determinazione delle poste del conto
economico che rilevano ai fini IRAP.
In particolare, mentre al comma 1 stabilisce in modo piu' puntuale le regole
per operare le variazioni fiscali delle poste del conto economico che rilevano
ai fini del valore della produzione in conformita' ai criteri stabiliti per le
imposte sui redditi, al comma 2, prevede la rilevanza ai fini della base
imponibile dell'IRAP, anche di altre componenti del reddito quali i ricavi, le
plusvalenze e gli altri componenti positivi di cui agli articoli 53, comma 2,
54, comma 1, lettera d) e, 76, comma 5, del TUIR.
La norma in esame presenta dunque una natura sia interpretativa che
innovativa. Nello specifico e' innovativa per cio' che concerne la prima parte
del comma 2, perche' prevede l'assoggettamento a tassazione ai fini IRAP di
componenti positive che prima ne erano escluse, ricavi e plusvalenze di cui
agli articoli 53, comma 2, e, 54, comma 1, lett. d). Tale innovazione riguarda
com'e' noto i beni assegnati ai soci, destinati a finalita' estranee
all'esercizio dell'impresa o al consumo personale o familiare
dell'imprenditore, relativamente ai quali la circolare n. 141/E del 4 giugno
1998, precisava che i costi di tali beni non assumevano rilevanza ai fini IRAP
e pertanto erano costi indeducibili dalla base imponibile.
Poiche' per effetto della disposizione di cui al comma 2, la situazione si e'
modificata, in quanto e' stato previsto l'assoggettamento a tassazione di
componenti positive prima escluse, ossia i ricavi e le plusvalenze determinati
in base al valore normale dei beni assegnati o destinati a finalita' estranee,
si ritiene, conseguentemente, che ai fini della determinazione della base
imponibile IRAP saranno invece deducibili i relativi costi.
In proposito si precisa tuttavia che limitatamente all'articolo 54, comma 1,
lett. d), ai fini IRAP rilevano unicamente le plusvalenze imputabili ai beni
strumentali.
Con riferimento alle operazioni di transfer pricing, si fa presente che
l'articolo in commento ha valore interpretativo. Nel particolare caso si e' in
presenza di operazioni commerciali intercorse con consociate non residenti
che, avendo una evidenza nel conto economico, dovevano - anche ai sensi del
previgente articolo 11 - essere assunte ai fini IRAP secondo i criteri di
determinazione previsti per le imposte dirette dall'articolo 76, comma 5, del
TUIR. Ad ulteriore chiarimento di quanto previsto con la circolare n. 141/E
del 4 giugno 1998, si precisa che dovra' essere apportata una variazione in
aumento ogni volta in cui il corrispettivo dei beni ceduti e dei servizi
forniti sia inferiore al valore normale, oppure quest'ultimo sia inferiore al
costo di acquisizione di beni e servizi. L'opposta ipotesi, invece, non potra'
legittimare variazioni in diminuzione ai fini IRAP. Cio' in quanto, in base al
comma 5 del citato articolo 76, il minor valore (valore normale inferiore al
corrispettivo o superiore al costo) rileva, come diritto al rimborso, solo
dopo che siano state instaurate e quindi definite, in senso favorevole per il
contribuente, le procedure amichevoli previste dalle Convenzioni
internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi. Il predetto comma 5
stabilisce, infatti, che i componenti del reddito derivanti da operazioni con
societa' non residenti nel territorio dello Stato sono valutati in base al
valore normale "se deriva aumento del reddito".
Nell'opposta ipotesi, il criterio di determinazione dell'imponibile rimane il
corrispettivo, o il costo. Rettifiche in diminuzione sono ammesse soltanto "in
esecuzione" di una formale "procedura amichevole", come previsto dalle
Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni e, nel caso specifico,
comporteranno il riconoscimento di un diritto al rimborso posto che non
rileva, ai fini IRAP, il riconoscimento di una maggiore perdita.
E' un rimedio contro le doppie imposizioni esperibile quando l'Amministrazione
finanziaria di uno Stato abbia rettificato in aumento il reddito di un'impresa
residente per inadeguatezza dei prezzi di trasferimento delle operazioni
intercorse con altra societa' residente nell'altro Stato, al quale potra'
essere richiesto il riconoscimento di una parallela rettifica in diminuzione
del reddito dichiarato in quel periodo d'imposta dalla consociata.
2.1.5 IRAP Enti pubblici
D. Nel distacco di personale fra enti pubblici, qualora l'ente distaccante
eroghi lo stipendio al personale distaccato e riceva quindi il rimborso, in
quale momento il soggetto distaccatario (soggetto passivo) deve applicare
l'imposta regionale.
R. Per effetto dell'articolo 11, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. 15
dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, in caso di distacco di
personale, i relativi oneri concorrono a formare la base imponibile dell'IRAP
del soggetto che impiega il personale distaccato.
Tenendo presente, in via generale, che ai fini della determinazione della base
imponibile dell'IRAP da parte delle Amministrazioni pubbliche rileva il
momento dell'erogazione delle retribuzioni (principio di cassa), deve,
conseguentemente, ritenersi che, nel caso di specie, assume rilievo il momento
in cui il soggetto distaccatario eroga il rimborso degli oneri.
3 IVA
3.1 Adempimenti
3.1.1 Apertura di cantieri: obbligo di denuncia ex art. 35 del DPR n. 633
del 1972
D. Una societa' stipula contratti per la fornitura di grandi impianti
industriali. La realizzazione degli stessi costringe l'appaltatore a compiere
attivita', che possono protrarsi per alcuni mesi (da tre a nove mesi circa),
direttamente nel cantiere aperto presso il domicilio (italiano o comunitario o
extracomunitario) del cliente.
Sussistono obblighi di denuncia ai sensi dell'art. 35 del DPR n. 633del 1972?
R. Si ritiene che, nella fattispecie prospettata, il contribuente sia
obbligato a presentare la dichiarazione di variazione per comunicare
all'Ufficio il luogo in cui viene ad essere svolta l'attivita' connessa
all'appalto.
Al riguardo si ricorda che la Commissione Tributaria Centrale, con la
decisione 10 luglio - 1 ottobre 1986, 7353, si e' gia' espressa in tal senso
chiarendo che l'apertura di un cantiere edile, di rilevante durata e
consistenza, non puo' ritenersi esclusa dall'obbligo di comunicazione della
variazione previsto dall'art. 35 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto
detto adempimento, "di notevole natura sostanziale, e' finalizzato
all'esercizio del controllo sull'attivita' dell'impresa da parte dell'Ufficio
IVA".
3.1.2 Trasmissione delle fatture con sistemi informatici
D. Un operatore che commercializza beni e servizi in via elettronica puo'
trasmettere il contenuto delle fatture o delle altre certificazioni fiscali
tramite sistemi informatici che consentano la materializzazione di dati
sostanzialmente identici presso l'emittente ed il destinatario in linea con la
prassi amministrativa manifestata in precedenza?
R. Alla luce della vigente normativa appare possibile trasmettere, in via
elettronica, tramite sistemi informatici, soltanto la fattura relativa alle
operazioni effettuate, purche' questa contenga tutti gli elementi per essa
tassativamente prescritti dall'articolo 21 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633.
Non e' possibile la trasmissione in via elettronica, tramite sistemi
informatici di scontrini o di ricevute fiscali stante le particolari
caratteristiche previste dalla specifica normativa che disciplina tali
documenti fiscali.
La ricevuta fiscale deve essere, infatti, predisposta con numerazione
progressiva per documento, anche con l'adozione di prefissi alfabetici di
serie, dalle tipografie autorizzate ai sensi del decreto ministeriale 29
novembre 1978.
Lo scontrino fiscale e' rilasciato mediante l'uso di speciali registratori di
cassa soggetti a specifica autorizzazione e muniti di memorie fiscali
immodificabili.
3.1.3 Aziende cedenti oro e valute estere
D. Dopo le modifiche apportate dalla legge 7 del 2000 alle cessioni di valuta
eseguite nei confronti delle banche, cosa cambia in ordine agli obblighi
contabili posti a carico delle aziende cedenti?
R. L'articolo 3, comma 1, della legge 17 febbraio 2000, n. 7, ha modificato
l'articolo 4, comma 5, del DPR n. 633 del 1972, eliminando il riferimento alle
"banche agenti", per cui la natura non commerciale delle operazioni afferenti
l'oro e le valute estere e' individuata esclusivamente per le operazioni
effettuate dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano dei cambi.
Conseguentemente le operazioni attive svolte dalle banche agenti devono
sottostare agli obblighi formali e contabili, previsti dal titolo II del DPR
n. 633 del 1972, ivi compresa la possibilita' di ricorrere alla dispensa dagli
adempimenti contabili prevista dall'articolo 36-bis del citato decreto, dal
momento che i detti soggetti operano a tutti gli effetti come soggetti
d'imposta.
Inoltre, occorre tener presente che, anche ai fini della determinazione della
base imponibile nelle operazioni relative a valute estere, di cui al numero 3)
dell'articolo 10 del DPR n. 633 del 1972, il comma 2 del citato articolo 3
della legge n. 7 del 2000, ha precisato che le medesime sono da considerare in
ogni caso "prestazioni di servizio".
3.1.4 IVA/Plafond
(vedi par. 8.2.3)
D. Con la nota n. 391186 del 10 marzo 1999 emanata del Dipartimento delle
Entrate, Direzione Centrale Accertamento e Programmazione, e' stato ritenuto
legittimo il comportamento di un contribuente, esportatore abituale, che
regolarizza in modo seguente l'utilizzo del plafond oltre il limite
consentito:
- emissione dell'autofattura
- versamento con il modello F23 dell'imposta che avrebbe dovuto essere
addebitata, degli interessi e delle relative sanzioni ridotte;
- annotazione dell'autofattura nel registro degli acquisti;
- presentazione dell' autofattura all' Ufficio IVA o delle Entrate di
competenza secondo le disposizione dell'art. 6, comma 8 del d.lgs. n. 471 del
1997.
Si chiede:
Il versamento dell'imposta e degli interessi deve avvenire con il modello F23,
o puo' essere eseguito con il modello F24, considerato che il d.m. 11 giugno
1998 dispone che all'art. 1, comma 3 che "in caso di ravvedimento operoso ai
sensi dell'art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 … il pagamento del
tributo, quando dovuto, e dei relativi interessi … e' eseguito utilizzando la
specifica modulistica prevista per il versamento diretto del tributo stesso"?
Esistono metodi alternativi per regolarizzare lo "splafonamento" come, ad
esempio:
A) contabilizzarlo nella liquidazione periodica e indicarlo nel rigo VP8
colonna 1 della dichiarazione mensile o trimestrale, aumentato degli interessi
dovuti;
B) interessare il fornitore o prestatore, utilizzando cosi' la procedura
di cui all'art. 26 del DPR 633/72, fermo restando l'obbligo di pagamento degli
interessi e delle sanzioni ridotte a carico dell'esportatore?
3.1.5 Regime dei produttori agricoli con volume d'affari non superiore a 40
milioni
D. I produttori agricoli con volume d'affari non superiore a lire 40 milioni,
costituito per piu' di un terzo da operazioni non agricole, rientrano nel
regime speciale, ma con obbligo di effettuare le liquidazioni trimestrali, o
invece al contrario passano al regime ordinario? (articolo 34, comma 3)
R. Il comma 3 dell'articolo 34 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che
il regime speciale si applica ai produttori agricoli che nell'anno solare
precedente hanno realizzato un volume d'affari non superiore a quaranta
milioni senza niente disporre in merito alla sua composizione. E' da ritenere,
quindi, che anche i produttori agricoli con volume d'affari inferiore a
quaranta milioni, anche se costituito per piu' di un terzo da cessioni
occasionali di prodotti non agricoli, rientrino nel regime speciale.
Tali soggetti, tuttavia, non possono usufruire del regime semplificato
previsto dal comma 6 del citato articolo 34. Essi sono tenuti, pertanto,
all'osservanza di tutti gli adempimenti richiesti dal titolo II del DPR n. 633
del 1972, compresi la liquidazione ed i versamenti trimestrali dell'imposta,
ove ne ricorrano le condizioni.
3.1.6 Attivita' agricola in regime di esonero
D. Nel caso di esercizio di piu' attivita' di cui una agricola in regime di
esonero, sussiste ancora l'obbligo di inserire nella dichiarazione annuale IVA
il modulo relativo alla attivita' agricola in bianco, indicando il solo codice
di attivita'?
R. Si ritiene che non sussista l'obbligo di inserire nella dichiarazione IVA
annuale il modulo relativo all'attivita' agricola in bianco in quanto tale
attivita' viene svolta in regime di esonero con conseguente dispensa degli
adempimenti.
L'articolo 34, comma 6, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, prevede, infatti, che
i produttori agricoli che nell'anno solare precedente hanno realizzato un
volume di affari non superiore a cinque milioni di lire ovvero quindici
milioni se esercitano la loro attivita' esclusivamente nei comuni montani con
meno di mille abitanti e nei centri abitati con meno di cinquecento abitanti
ricompresi negli altri comuni montani individuati dalle rispettive regioni
come previsto dall'articolo 16 della legge 31 gennaio 1994, n. 97, sono
esonerati dal versamento dell'imposta e da tutti gli obblighi documentali e
contabili, compresa la dichiarazione annuale.
3.2 Detraibilita'
3.2.1 Divieto di detrazione IVA per i materiali di recupero
D. E' corretto ritenere che divieto di detrazione previsto nell'art. 74,
undicesimo comma, del DPR n. 633 del 1972 per il commercio di materiali di
recupero sia limitato, tanto per i rivenditori con sede fissa che per quelli
itineranti, all'IVA relativa agli acquisti dei materiali in questione ed alle
eventuali operazioni ad essi accessorie (es: autocarro, spese generali)
osservando, naturalmente i conseguenti adempimenti?
R. Si deve ritenere che il divieto di detrazione previsto dall'undicesimo
comma dell'art. 74 sia riferibile a tutti gli acquisti effettuati dai
raccoglitori e dai rivenditori per i quali esso e' stabilito. Questi soggetti,
pertanto, siano o meno dotati di sede fissa, non possono detrarre l'IVA pagata
in relazione alle spese generali, a meno che queste non siano inerenti anche
ad altre attivita' per le quali non e' prevista tale limitazione, nel qual
caso la detrazione e' ammessa nei limiti e alle condizioni previsti dagli
articoli 19 e seguenti del DPR n. 633 del 1972.
3.2.2 Detrazione IVA per operazioni di cui all'art. 74, comma 1, del DPR n.
633 del 1972
D. Nella categoria delle operazioni che conferiscono il diritto alla
detrazione dell'IVA sugli acquisti ai sensi dell'art. 19 del DPR n. 633 del
1972, sono comprese anche le operazioni non soggette all'imposta di cui
all'art. 74, primo comma, stesso decreto. Di tali operazioni, ancorche' non
soggette a registrazione e dichiarazione ai fini IVA, deve pertanto, tenersi
conto nella determinazione della percentuale di detraibilita' di cui all'art.
19-bis. Cio' premesso, si chiede di sapere se ai predetti fini il
contribuente debba assumere l'ammontare dei corrispettivi oppure un diverso
importo, in considerazione della particolarita' dell'operazione di specie (ad
esempio, l'aggio per la rivendita dei generi di monopolio; il margine per la
rivendita di prodotti editoriali.) Nella seconda ipotesi si chiede di voler
indicare quale sia l'importo da assumere per ciascuna delle categorie delle
operazioni indicate nel primo comma dell'art. 74, inclusa la rivendita di
schede telefoniche, in relazione alla quale si desidererebbe conoscere anche
il criterio di contabilizzazione agli effetti delle imposte sui redditi (aggio
oppure costi/ricavi).
R. Le operazioni di cui all'art. 74, primo comma, del DPR n. 633 del 1972,
assoggettate al regime IVA monofase (commercio di generi di monopolio,
commercio di tabacchi, commercio di schede telefoniche, commercio di giornali,
ecc.) non limitano il diritto alla detrazione dell'imposta anche se esse non
sono soggette agli obblighi di fatturazione, registrazione e dichiarazione.
Pertanto, in presenza di effettuazione anche di operazioni esenti non
occasionali, il rivenditore dei suddetti beni dovra' operare il calcolo del
pro-rata di detraibilita' di cui all'art. 19-bis del DPR n. 633 del 1972
computando le suddette operazioni tra quelle che danno diritto alla detrazione
dell'imposta in base ai dati risultanti dalla propria contabilita' aziendale,
anche se tali dati non verranno poi evidenziati nella dichiarazione IVA.
Le suddette operazioni ai fini del calcolo del pro-rata devono essere
computate in base al corrispettivo che, sulla base degli accordi contrattuali,
e' dovuto al rivenditore. A seconda dei casi questo puo' essere costituito da
un aggio sulle vendite, ovvero dall'intero prezzo di rivendita praticato al
pubblico.
Ai fini delle imposte dirette, le operazioni di rivendita dei prodotti in
questione vanno contabilizzate a costi e ricavi. Assume quindi rilievo
l'intero corrispettivo della rivendita e non l'aggio.
3.2.3 IVA/Servizi fognatura e depurazione
D. I soggetti che erogano servizi di fognatura e di depurazione, che dal 1
gennaio 1999 hanno applicato l'aliquota IVA del 10% sui canoni riscossi
passando da un "regime" di "attivita' non rilevante" agli effetti IVA ad uno
di imponibilita', possono procedere alla rettifica di cui al comma 3
dell'articolo 19 bis2, per i beni e servizi acquistati nel 1998 e non ancora
ceduti o non ancora utilizzati al 1 gennaio 1999?
R. Il comma 3 dell'articolo 19-bis2, al quale viene fatto riferimento nel
quesito, concerne le rettifiche da apportare alle detrazioni d'imposta, in
relazione ai beni ed ai servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati,
qualora eventi di carattere generale, quali ad esempio il mutamento del regime
fiscale applicabile alle operazioni poste in essere dall'assoggettato o
l'adozione di un regime speciale, comportino mutamenti nella misura della
detrazione spettante. La norma non attiene agli aspetti sostanziali del
diritto alla detrazione, il quale resta disciplinato, sotto il profilo della
genesi e della spettanza, dall'articolo 19, bensi', come detto, alla
determinazione della misura entro cui tale diritto e' esercitabile, al fine di
adeguarlo al nuovo e mutato utilizzo dei beni e dei servizi. La rettifica
della detrazione presuppone, pertanto, la titolarita' del diritto.
Tale principio viene chiaramente affermato dalla Corte di Giustizia nella
sentenza n. C-97/90 nella quale si stabilisce che le norme sulla rettifica
dell'imposta versata a monte, definite dall'articolo 20 della VI direttiva CEE
(recepito dall'articolo 19-bis 2 del DPR n. 633) non fanno nascere un diritto
alla detrazione, ne' trasformano l'imposta pagata da un soggetto passivo, in
relazione a sue operazioni non imponibili, in un'imposta deducibile.
Ai sensi del citato articolo 19 del DPR n. 633 del 1972 il diritto alla
detrazione e' riconosciuto al soggetto passivo d'imposta in relazione ai
beni ed ai servizi acquistati o importati nell'esercizio d'impresa, arte o
professione.
L'ente locale che ha esercitato il servizi di fognatura e depurazione in veste
istituzionale, e quindi al di fuori del sistema IVA, non ha operato la
detrazione dell'imposta che gli e' stata addebitata in via di rivalsa, in
quanto non risultava titolare di tale diritto per carenza del presupposto
soggettivo d'imposta.
Conseguentemente in relazione a tale attivita', che da "esclusa dal campo di
applicazione dell'IVA" e' diventata "rilevante agli effetti dell'applicazione
del tributo" non puo' essere effettuata la rettifica, in quanto l'istituto
della rettifica presuppone che l'acquisto di beni e servizi sia stato
effettuato, fin dall'origine, nell'ambito di un'attivita' rientrante nel
sistema impositivo dell'IVA.
3.3 Altri quesiti in materia di IVA
3.3.1 Aliquota IVA per le prestazioni di assistenza domiciliare
D. Ai fini dell'applicazione dell'aliquota IVA ridotta del 10%, prevista in
via transitoria dall'articolo 7, comma 1, lettera a), della legge n. 488 del
1999, le prestazioni di assistenza privata rese ad ammalati temporaneamente
ricoverati presso ospedali o case di cura possono considerarsi prestazioni di
assistenza domiciliare?
R. Le prestazioni di assistenza privata rese ad ammalati temporaneamente
ricoverati presso ospedali o case di cura non possono considerarsi prestazioni
di assistenza domiciliare, ai fini dell'applicazione dell'aliquota ridotta del
10% prevista dalla legge n. 488/1999, non essendo effettuate presso il
domicilio dell'ammalato.
3.3.2 IVA/Cessione del credito
D. Una societa', che vantava un credito commerciale nei confronti di un
fallimento, ha ceduto pro-soluto tale credito, comprensivo di ogni e qualsiasi
diritto accessorio, ad una societa' terza.
Poiche' a seguito della chiusura del fallimento il credito incassabile da
parte della cessionaria si e' ridotto al 30% del suo valore, tale societa'
vorrebbe emettere nota credito nei confronti del fallimento per recuperare
l'IVA sulla parte di credito non incassato (art. 26 comma 2, DPR n. 633 del
1972).
Si chiede:
- se e' possibile per la societa' cessionaria emettere la nota credito,
tenuto conto che con la cessione si trasmettono anche tutti i diritti connessi
al credito ceduto (anche indicando in una lettera accessoria o semplicemente
sulla base del contratto di cessione la possibilita' per il cessionario di
effettuare le variazioni previste dall'art. 26 DPR n. 633 del 1972 in caso di
incasso inferiore);
- se invece non e' possibile per la societa' cessionaria emettere la nota
credito, in considerazione del fatto che il tenore letterale dell'art. 26
sembra legittimare il solo cedente del bene o prestatore del servizio
all'emissione della nota di variazione.
R. L'articolo 26 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, legittima solo il cedente
del bene o il prestatore del servizio ad effettuare la variazione in
diminuzione. Di conseguenza la variazione sara' operata dalla societa'
cedente, che ha posto in essere l'operazione economica rilevante ai fini
dell'IVA.
4 ONERI
4.1 Interventi di recupero del patrimonio edilizio
4.1.1 Comunicazione di inizio lavori
D. Con riferimento alle disposizioni procedurali in base alle quali e'
possibile usufruire della detrazione IRPEF di cui all'articolo 1 della legge
n. 449 del 1997 come modificato dall'articolo 6 della legge n. 488 del 1999,
e' previsto a pena di decadenza, l'invio del modulo di comunicazione di inizio
lavori prima dell'inizio dei lavori stessi. In relazione alla particolarita'
di alcuni interventi (soprattutto quelli aventi caratteristiche di urgenza)
che possono essere effettuati sulle parti comuni condominiali e' possibile che
l'invio del predetto modulo possa avvenire, in questa specifica ipotesi,
successivamente all'inizio dei lavori ma entro il termine di presentazione
della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel quale si ha
diritto alla detrazione?
R. Come gia' chiarito con la Circolare n. 57/E del 24 febbraio 1998, il modulo
di comunicazione deve essere inviato al Centro di servizio competente
precedentemente all'inizio dei lavori.
Infatti, l'articolo 1, comma 1, lettera a), del Regolamento di attuazione,
approvato con Decreto del Ministro delle Finanze 18 febbraio 1998, n. 41,
stabilisce che per poter usufruire della detrazione in questione i
contribuenti devono trasmettere al Centro di servizio competente una
comunicazione concernente la data in cui avranno inizio i lavori redatta su
apposito modulo approvato con decreto dirigenziale.
L'articolo 4 dello stesso Regolamento, inoltre, inserisce tra le cause di
decadenza dai benefici, prevedendo quindi azioni di recupero da parte degli
uffici preposti, anche l'ipotesi di omessa preventiva comunicazione della data
di inizio dei lavori.
Le ipotesi di invio della comunicazione in un periodo successivo a quello di
inizio lavori concernono esclusivamente il caso dei lavori gia' iniziati al
momento dell'emanazione del richiamato Regolamento ed il caso dell'acquisto di
box o posti auto pertinenziali gia' realizzati.
4.1.2 Determinazione del valore dei beni di cui al d.m. 29 dicembre 1999
D. Si chiede di conoscere se, ai fini della quantificazione dell'imponibile
assoggettabile all'aliquota IVA del 10% prevista per gli interventi edilizi
dall'articolo 7, comma 1, lettera b), della legge n. 488 del 1999, il valore
dei beni elencati nel decreto ministeriale 29 dicembre 1999 debba assumersi
uguale al prezzo di acquisto pagato al fornitore dal prestatore del servizio,
oppure secondo altri criteri (prezzo al pubblico, ecc.)
R. Ai fini della quantificazione dell'imponibile assoggettabile all'aliquota
IVA del 10% prevista per gli interventi edilizi dall'art. 7, comma 1, lettera
b), della legge n. 488 del 1999, non esiste alcuna previsione normativa in
merito alla valorizzazione dei beni di valore significativo. Si ritiene,
pertanto, che come valore dei beni elencati nel decreto ministeriale 29
dicembre 1999, che costituiscono una parte significativa del valore delle
cessioni effettuate nel quadro dell'intervento, debba assumersi quello,
ovviamente non inferiore al costo d'acquisto, determinato dal prestatore
nell'ambito della sua autonomia contrattuale.
4.1.3 Interventi di manutenzione
D. Ai fini dell'applicazione dell'IVA ridotta del 10% sulle prestazioni
relative al recupero del patrimonio edilizio, prevista dall'articolo 7, comma
1, della legge n. 488/99, rientrano nella nozione di manutenzione anche le
piccole riparazioni del fabbricato e dei relativi impianti (idraulico,
elettrico, sanitario, ecc.)?
R. L'aliquota IVA ridotta del 10% di cui all'art. 7, comma 1, lettera b),
della legge n. 488 del 1999 si applica anche alle piccole riparazioni del
fabbricato e dei relativi impianti, essendo le stesse riconducili al concetto
di manutenzione ordinaria di cui alla lettera a) dell'articolo 31 della legge
n. 457 del 1978.
4.1.4 IVA/Manutenzioni
D. Nell'esempio n. 3 dell'articolo apparso sul "Notiziario fiscale" n. 13 del
24 gennaio 2000, nell'illustrare il calcolo dell'IVA in caso di lavori di
manutenzione con impiego di beni "significativi" superiori alla meta' del
corrispettivo stabilito, e' detto che occorre scorporare il costo della
manodopera dall'importo complessivo e "quindi sulla differenza tra il valore
del bene "significativo" e quello della manodopera si applica l'aliquota
ordinaria del 20%; tutto il resto gode dell'agevolazione". In caso di
manutenzione con impiego di beni significativi (ad esempio una caldaia) e di
beni non significativi (ad esempio un bruciatore) si chiede di conoscere se la
parte del valore del bene significativo soggetta ad IVA del 20% va detratta
solo dell'importo della prestazione ovvero dell'importo della prestazione
maggiorato dei valore dei beni non significativi.
Ed ancora, in caso di intervento di manutenzione che comprende oltre ai lavori
sopra indicati anche altre opere di manutenzione ordinaria (ad esempio
sostituzione dei pavimenti) l'importo di quest'ultimo servizio va computato in
detrazione dal costo dei beni significativi (nel caso prospettato la caldaia)?
R. La disposizione recata dall'articolo 7, comma 1, lett. b), della legge n.
488 del 1999 stabilisce che l'aliquota del 10 per cento si applica anche ai
beni che costituiscono una parte significativa del valore delle forniture
effettuate nell'ambito delle prestazioni aventi ad oggetto interventi di
recupero, fino a concorrenza del valore complessivo della prestazione relativa
all'intervento stesso, al netto dei valori dei predetti beni.
Tale limite di valore deve essere individuato sottraendo dall'importo
complessivo della prestazione soltanto il valore dei beni significativi. Il
valore delle materie prime e semilavorate nonche' degli altri beni necessari
per l'esecuzione dei lavori, forniti nell'ambito della prestazione agevolata,
non deve essere individuato autonomamente in quanto confluisce in quello della
manodopera.
Si chiarisce, infine che anche se l'intervento di recupero si sostanzia in
diverse opere di manutenzione, ad esempio sostituzione di caldaia e
rifacimento della pavimentazione, esso deve essere considerato unitariamente
se le diverse opere sono oggetto di un'unica previsione contrattuale, anche
al fine di individuare il limite di valore entro cui applicare l'aliquota
ridotta al bene significativo.
4.2 Fondi pensione
4.2.1 Onere deducibile - Contribuzione a favore di familiare a carico
D. Dal 2001 sara' possibile usufruire di un onere deducibile sino a 10 milioni
meno il reddito del familiare fiscalmente a carico. Dal punto di vista
previdenziale vi sara' l'opportunita' di iscrivere al fondo pensione gia' un
neonato o comunque un figlio in eta' scolastica. Se il figlio e' a carico di
entrambi i genitori, quali dei due potra' dedurre l'onere? Vi sara' liberta'
di scelta - fermo il limite cumulativo - come avviene per l'attribuzione delle
detrazioni?
R. L'articolo 1 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, recante la
riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare, sostituendo
la lettera e-bis), comma 1 dell'articolo 10, del TUIR, ha stabilito che
costituiscono oneri deducibili dal reddito complessivo i contributi versati, a
decorrere dal 1 gennaio 2001, ad una delle forme pensionistiche disciplinate
dal provvedimento e, quindi, sia i contributi versati alle forme
pensionistiche complementari collettive (fondi chiusi e fondi aperti) sia i
contributi e premi versati alle nuove forme di previdenza individuale.
La deducibilita' dei contributi e' consentita fino ad un importo non superiore
al 12 per cento del reddito complessivo e, comunque, non superiore a lire 10
milioni.
Per i titolari di redditi di lavoro dipendente tale deducibilita',
relativamente ai redditi di lavoro dipendente, e' ulteriormente condizionata
alla destinazione alla forma pensionistica complementare collettiva (fondi
chiusi e fondi aperti) di un importo della quota annuale del TFR almeno pari
alla meta' dei contributi complessivamente versati. Tale condizione non
si applica alla categoria dei "vecchi iscritti ai vecchi fondi" ossia ai
soggetti che risultano gia' iscritti al 28 aprile 1993 (data di entrata in
vigore del d.lgs. n. 124/93) alle forme pensionistiche complementari esistenti
alla data del 15 novembre 1992 (data di entrata in vigore della legge 23
ottobre 1992, n. 421), nonche' nei casi in cui la fonte istitutiva sia
costituita unicamente da accordi tra lavoratori.
La nuova previsione normativa contempla anche l'ipotesi in cui i contributi
siano versati a favore di persone fiscalmente a carico, ad esempio, del
coniuge o dei figli. In tal caso, e' previsto che la deduzione spetti,
innanzitutto, al coniuge o ai figli entro l'unico limite assoluto di lire 10
milioni. Se il reddito complessivo del soggetto fiscalmente a carico non e'
del tutto capiente per consentire l'intera deduzione dei contributi,
l'eccedenza puo' essere dedotta dal reddito complessivo del soggetto cui
questi e' a carico (contribuente). Naturalmente, quest'ultimo potra' dedurre i
contributi dei familiari a carico, oltre che i propri, sempre nel rispetto del
limite percentuale e del limite di 10 milioni complessivi.
Se, come nell'esempio prospettato, il figlio nell'interesse del quale e' stato
effettuato il versamento dei contributi e' a carico di entrambi i genitori, la
deduzione della spesa deve essere ripartita tra i genitori in proporzione
all'effettivo onere sostenuto. Valgono al riguardo le istruzioni fornite per
la compilazione delle dichiarazioni dei redditi per le ipotesi relative agli
oneri sostenuti nell'interesse delle persone fiscalmente a carico e per i
quali il contribuente puo' usufruire della deduzione o detrazione.
4.2.2 Vecchi iscritti - Irrilevanza dei loro requisiti al momento della
prestazione
D. I "vecchi iscritti" al 28 aprile 1993 conservano un limitato privilegio per
il tetto delle contribuzioni deducibili, mentre non sembra abbiano alcuna
posizione particolare al momento delle prestazioni. Il diritto alla
corresponsione di tutta la posizione individuale come capitale e non rendita,
stabilito dalle disposizioni transitorie del d.lgs. n. 124 del 1993 non ha
quindi alcun effetto sul regime della tassazione, che - anche per questi
soggetti - usufruira' di una base ridotta solo se la prestazione di capitale
non supera un terzo del conto individuale?
R. L'articolo 12 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, recante la
riforma della disciplina tributaria della previdenza complementare, al comma
1 dispone che "per i soggetti che risultano iscritti a forme pensionistiche
complementari alla data da cui ha effetto il presente decreto, le disposizioni
introdotte dall'articolo 10 si applicano alle prestazioni riferibili agli
importi maturati a decorrere dalla data da cui ha effetto il decreto
stesso....".
Da tale disposizione discende che anche per i "vecchi iscritti" la base
imponibile delle prestazioni deve essere ripartita in due parti: una
determinata con riferimento al montante maturato fino al 31 dicembre 2000, che
deve essere assoggettata a tassazione secondo le vecchie regole, ed una
riferibile al montante che matura dopo detta data, cui si applica la nuova
disciplina. Pertanto per la parte della prestazione che matura a decorrere dal
1 gennaio 2001 i "vecchi iscritti" usufruiranno della esclusione dalla base
imponibile dei redditi gia' assoggettati a tassazione solo se detta parte
e' corrisposta per almeno due terzi in rendita.
4.3 Altri quesiti in materia di oneri
4.3.1 Detrazione IRPEF di cui all'art. 13, comma 2-ter, del TUIR
D. La manovra finanziaria per l'anno 2000 introduce una particolare detrazione
di imposta ai fini IRPEF per i contribuenti che sono in possesso di soli
redditi di lavoro dipendente prodotti in relazione ad un rapporto di durata
inferiore all'anno di ammontare non superiore a 9.600.000 di lire annui. La
circolare n. 247/E del 23 dicembre 1999 afferma che, in relazione a questa
ipotesi, l'espressione rapporti di lavoro dipendente di durata inferiore
all'anno va intesa in senso letterale e, quindi, senza distinguere le
motivazioni che hanno provocato un rapporto di durata inferiore all'anno. Per
conseguenza, al ricorrere delle specifiche condizioni reddituali richieste e'
corretto affermare che tale detrazione si aggiunge a quella ordinaria prevista
dall'articolo 13 del TUIR cosi' come illustrato nella circolare n. 9/E del 3
gennaio 1998?
R. Con l'introduzione del comma 2-ter all'articolo 13 del TUIR, e' previsto
che ai titolari di determinati redditi per i quali non e' prevista una
specifica detrazione d'imposta o per i quali la detrazione per i redditi di
lavoro dipendente non e' pienamente utilizzabile, in quanto il rapporto di
lavoro ha avuto una durata inferiore all'anno, spetta un'ulteriore detrazione
d'imposta graduata in funzione del reddito complessivo. Si tratta in
particolare dei soggetti con reddito complessivo di importo massimo non
superiore a lire 9.600.000.
Tale ulteriore detrazione ha la finalita' di alleggerire il peso del
precedente aumento dell'aliquota d'imposta dal 10 al 18,50 per cento relativo
al primo scaglione.
Pertanto, si conferma quanto gia' chiarito con la Circolare n. 247/E del 29
dicembre 1999, che prevede che per poter usufruire della detrazione in
questione il rapporto di lavoro dipendente, nel caso in cui tale tipologia di
reddito partecipi alla formazione del reddito complessivo, abbia una durata
inferiore all'anno. Si conferma, inoltre, che l'ulteriore detrazione di cui si
tratta e' cumulabile con la detrazione spettante per lavoro dipendente di cui
al comma 1 dell'articolo 13 del TUIR.
Ovviamente, quanto previsto e' applicabile anche nei casi in cui partecipino
alla formazione del reddito imponibile redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente per i quali spettano le detrazioni d'imposta di cui al comma 1
dell'articolo 13 del TUIR.
5 REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE
5.1 Stock option
5.1.1 Assegnazioni di partecipazioni nella controllata a dipendenti di
quest'ultima
D. Il nuovo art. 48, comma 2-bis, del TUIR, stabilisce che le disposizioni di
cui alle lettere g) e g-bis) del comma 2 si applicano esclusivamente alle
azioni emesse dalla societa' da cui il lavoratore dipende nonche' a quelle
emesse dalla controllante o da una controllata della medesima societa' ovvero
da una societa' appartenente allo stesso gruppo societario (purche'
controllata). Poiche' non e' piu' necessario che le azioni offerte siano di
nuova emissione, si chiede se sia agevolabile, nei limiti e alle condizioni
fissate dall'art. 48, comma 2, lettera g), l'assegnazione di azioni possedute
dalla societa' A (controllante) nella societa' B (controllata) ai dipendenti
di quest'ultima societa'.
Inoltre, in caso di risposta positiva, si chiede quali siano le conseguenze,
ai fini della determinazione del reddito d'impresa, per la societa' offerente
(nella fattispecie la societa' A) nel caso in cui l'assegnazione avvenga
gratuitamente ovvero ad un prezzo inferiore a quello stabilito dagli articoli
61 e 66 del TUIR.
R. L'articolo 48, comma 2 bis), del TUIR, stabilisce che: "le disposizioni di
cui alle lettere g) e g-bis) del comma 2 si applicano esclusivamente alle
azioni emesse dall'impresa con la quale il contribuente intrattiene il
rapporto di lavoro, nonche' a quelle emesse da societa' che direttamente o
indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono
controllate dalla stessa societa' che controlla l'impresa."
Dal tenore letterale della norma discende, quindi, che anche le azioni della
controllata possedute dalla controllante, qualora quest'ultima le assegni ai
dipendenti della societa' controllata, possono rientrare nella disciplina
agevolativa prevista dall'art. 48, comma 2, lettere g) e g-bis), del TUIR. Si
ricorda, infatti, che costituiscono compensi in natura, ai sensi dell'articolo
48, comma 3, del TUIR, anche i beni ricevuti da terzi in relazione al rapporto
di lavoro.
Nella fattispecie rappresentata nel quesito si tratta di azioni offerte alla
generalita' dei dipendenti e, pertanto, il reddito di lavoro dipendente e'
costituito dal valore delle azioni, ridotto dell'importo complessivamente non
superiore a lire 4 milioni, nonche' dell'eventuale importo pagato dal
dipendente. Il valore delle azioni e' stabilito in base al comma 3
dell'articolo 48 del TUIR applicando le disposizioni relative alla
determinazione del valore normale contenute nell'articolo 9 dello stesso TUIR.
Inoltre, ai fini della determinazione del reddito d'impresa, nei casi di
assegnazione gratuita di azioni emesse da altre societa' del gruppo ai propri
dipendenti, il costo sostenuto per l'acquisizione di dette azioni e'
deducibile quale spesa per prestazioni di lavoro dipendente.
Diversamente, nel caso in cui l'assegnazione gratuita viene effettuata dalla
societa' A nei confronti dei dipendenti della societa' B, pur se appartenente
allo stesso gruppo, venendosi a configurare per la societa' A una destinazione
di beni a finalita' estranee all'esercizio dell'impresa, il valore normale
delle azioni stesse concorre a formare il reddito della societa' A.
Qualora, invece, sia stato previsto un corrispettivo in favore della societa'
A da parte della societa' B, esso concorre alla formazione del reddito della
societa' A secondo le regole ordinarie, mentre costituisce costo deducibile
per la societa' B.
5.1.2 Rilevanza dei dividendi nella disciplina delle stock option
D. Nel caso di assegnazione alla generalita' dei dipendenti di azioni
sottoposte a limitazioni quantitative e temporali in ordine alla spettanza dei
dividendi (ad esempio per il 40 per cento dopo un anno e per il residuo 60 per
cento dopo 2 anni), il valore normale delle stesse deve considerarsi
proporzionalmente rideterminato?
R. Ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente derivante
dall'assegnazione di azioni a tutti i lavoratori dipendenti occorre aver
riguardo esclusivamente della differenza tra il valore delle azioni, calcolato
ai sensi dell'articolo 9 del TUIR, e l'eventuale importo corrisposto dal
dipendente stesso.
Non rilevano, quindi, eventuali limitazioni quantitative e temporali in ordine
alla spettanza dei dividendi, in quanto il compenso in natura e' commisurato
al valore del titolo azionario indipendentemente dall'eventuale diritto di
partecipazione agli utili.
5.1.3 Determinazione del valore delle azioni assegnate ai dipendenti
D. L'articolo 9, comma 4, lettera a), del TUIR stabilisce che il valore
normale delle azioni, obbligazioni e degli altri titoli negoziati in mercati
regolarmente italiani o esteri e' determinato in base alla media aritmetica
dei prezzi rilevati "nell'ultimo mese ". A tale riguardo si pongono i seguenti
quesiti:
- se detto ultimo mese debba essere individuato con riferimento al mese
solare precedente a quello nel corso del quale le azioni sono assegnate al
dipendente ovvero al periodo che va dal giorno della detta assegnazione allo
stesso giorno del mese solare precedente, in conformita' al criterio stabilito
dall'articolo 2963 del codice civile;
- quale sia il comportamento da assumere nell'ipotesi in cui nell'"ultimo
mese" non siano state effettuate rilevazioni dei prezzi delle azioni.
R. L'articolo 9, comma 4, lettera a), b) e c), del TUIR stabilisce autonome
regole di determinazione del valore normale con riferimento ai titoli e alle
quote di partecipazione societarie. In particolare, la lettera a) di tale
disposizione stabilisce che per le azioni, obbligazioni e altri titoli
negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, il valore normale e'
determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo
mese.
Al riguardo, si precisa che per "ultimo mese" non si deve intendere il mese
solare precedente, ma il periodo che va dal giorno di riferimento (quello
dell'assegnazione dei titoli al dipendente) allo stesso giorno del mese solare
precedente, poiche' una diversa interpretazione potrebbe comportare un
allontanamento troppo ampio del periodo preso a base per la rilevazione della
media aritmetica dei prezzi dei titoli rispetto al momento nel quale si
verifica la valutazione e, quindi, la fissazione di un "valore normale" che
potrebbe gia' essere non adeguato a quello in atto al momento della
valutazione.
Si ribadisce, inoltre, quanto gia' affermato a proposito della valutazione dei
titoli con riferimento alle disposizioni transitorie contenute nel d.lgs. n.
461 del 1997 e nella circolare n. 30/E del 2000 e cioe' che ai fini del
calcolo della media occorre assumere, quale divisore, soltanto i giorni di
effettiva quotazione del titolo, cioe' quelli cui si riferiscono le quotazioni
prese a base del calcolo. Pertanto, se nel periodo considerato, cioe' quello
che va dal primo giorno di riferimento allo stesso giorno del mese solare
precedente, non sono state effettuate rilevazioni dei prezzi, si deve fare
riferimento al primo mese solare antecedente (inteso nel senso sopra chiarito)
nel corso del quale risulta effettuata la suddetta rilevazione.
Per completezza, si ricorda che la lettera b) del comma 4 dell'articolo 9
prevede che per le altre azioni, le quote di societa' non azionarie e i titoli
o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle societa' il valore
normale e' fissato in proporzione al valore del patrimonio netto della
societa' o ente (e non in proporzione al patrimonio netto contabile) ovvero,
per le societa' o enti di nuova costituzione, in proporzione all'ammontare
complessivo dei conferimenti. Infine, per le obbligazioni e gli altri titoli
diversi da quelli compresi nelle precedenti lettere a) e b), il valore normale
e' determinato, ai sensi della lettera c), comparativamente al valore normale
dei titoli aventi analoghe caratteristiche negoziati in mercati regolamentati
italiani o esteri e, in mancanza, in base ad altri elementi determinabili in
modo obiettivo.
5.1.4 Tassazione del diritto di opzione
D. La relazione ministeriale al d.lgs. n. 505 del 1999 precisa che
"…l'assegnazione di un diritto di opzione cedibile deve essere assoggettata a
tassazione come reddito di lavoro dipendente fin dal momento della medesima
assegnazione". L'erogazione concorrera' pertanto alla formazione del reddito
di lavoro dipendente come compenso in natura, computato ai sensi dell'articolo
48, comma 3, del TUIR nel periodo di paga in cui si verifichera' il predetto
evento. A tale riguardo si chiede se il valore normale del diritto di opzione
sia determinabile ai sensi dell'articolo 9, comma 4, del TUIR, assumendo il
disposto di cui alle lettere a) e b) ovvero quello di cui alla lettera c)
della norma stessa.
R. La relazione di accompagnamento al d.lgs. 31 dicembre 1999 n. 505 precisa
che l'assegnazione di un diritto di opzione "cedibile" e' assoggettabile a
tassazione come reddito di lavoro dipendente fin dal momento della sua
assegnazione.
La relazione stessa ha specificato che se il diritto di opzione non e'
cedibile l'assegnazione dello stesso non e' di per se' stessa tassabile,
essendo, invece assoggettabili a tassazione i titoli e i valori acquistati con
l'esercizio dell'opzione. Tuttavia, qualora un diritto non cedibile perda
successivamente tale requisito, il relativo valore verra' assoggettato a
tassazione soltanto nel periodo d'imposta in cui e' divenuto trasferibile.
Ai fini della modalita' di determinazione del valore normale del diritto di
opzione si precisa che vanno applicate le disposizioni generali contenute nel
comma 3 dell'articolo 9 del TUIR, considerato che il successivo comma 4 detta
le regole per i veri e propri "titoli" e pertanto si rende applicabile
soltanto per le opzioni cartolarizzate.
5.1.5 Imponibilita' delle stock option
D. La lettera g) dell'articolo 48 del testo unico puo' essere interpretata
anche nel senso che se una societa' assegna ad un dipendente azioni il cui
valore normale alla data di assegnazione e' pari a lire 10.000.000, facendo
pagare al dipendente un corrispettivo di 5.000.000, l'importo che concorre a
formare il reddito di lavoro dipendente dell'assegnatario e' solo 1.000.000,
ferme restando le altre condizioni previste dalla norma?
R. La disposizione contenuta nell'articolo 48, comma 2, lettera g), del
TUIR, come sostituita dall'articolo 13, comma 1, n. 2), del d.lgs. 23 dicembre
1999, n. 505, stabilisce che non concorre a formare il reddito di lavoro
dipendente il valore delle azioni offerte alla generalita' dei dipendenti per
un importo non superiore complessivamente nel periodo d'imposta a lire 4
milioni, a condizione che le azioni non siano riacquistate dalla societa'
emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi
almeno tre anni dalla percezione. E' inoltre previsto che nel caso in cui non
venga rispettato il predetto limite triennale, il valore non assoggettato e'
assunto a tassazione, quale reddito di lavoro dipendente, nel periodo
d'imposta in cui si verifica la cessione.
Cio' premesso, nell'esempio prospettato, il valore normale delle azioni
assegnate e' pari a lire 10 milioni, l'importo corrisposto dal dipendente e'
pari a lire 5 milioni. Pertanto, tenendo conto della franchigia di lire 4
milioni, il reddito da assoggettare a tassazione in capo al lavoratore
dipendente e' pari a lire 1 milione.
5.1.6 Stock options: data dell'offerta
D. L'articolo 48, comma 2, lettera g-bis), del TUIR, pone una condizione
basata sul valore delle azioni "alla data dell'offerta". Si ritiene che questa
data debba essere individuata in modo oggettivo e univoco, in modo da evitare
gravi incertezze sull'applicabilita' della norma. In questo senso, si chiede
se e' corretto fare riferimento alla data in cui gli organi sociali competenti
(consiglio di amministrazione ovvero l'amministratore a cio' delegato)
determinano in modo definitivo il prezzo dell'offerta.
R. Ovviamente occorre fare riferimento alla data della delibera con la quale
vengono fissate tutte le condizioni del piano di azionariato.
5.1.7 Stock option: perdita dell'agevolazione
D. La normativa fiscale delle stock option in vigore dal 1 gennaio del 2000
subordina l'esenzione dal reddito di lavoro dipendente della differenza tra
valore di mercato dell'azione all'atto dell'assegnazione e prezzo corrisposto
dal dipendente alla circostanza che quest'ultimo sia pari al valore
dell'azione all'atto dell'offerta. Si chiede se in caso contrario debba
ritenersi esclusa completamente l'applicazione dell'agevolazione o se invece
sia da assoggettare a tassazione solo la differenza tra valore di mercato
delle azioni all'atto dell'offerta e prezzo corrisposto; cio' anche alla luce
di quanto espresso nella circolare 247/E del 29 dicembre 1999 che sembra
propendere per la seconda ipotesi.
R. La nuova normativa fiscale sulle stock option ha mantenuto un regime di
favore per i piani di azionariato che hanno l'obiettivo di fidelizzare ben
determinate categorie di dipendenti, prevedendo che in caso di assegnazione di
azioni ad un dipendente, l'importo che non concorre a formare il reddito e'
costituito dalla differenza tra il valore delle azioni al momento
dell'assegnazione e quanto corrisposto dal dipendente. Affinche' ricorrano i
presupposti agevolativi della disposizione, e' espressamente previsto che
l'ammontare corrisposto dal dipendente per l'acquisto delle azioni deve
necessariamente essere almeno pari al valore delle azioni stesse al momento
dell'offerta.
Ne consegue che, come gia' specificato nella circolare ministeriale n. 247/E
del 29 dicembre 1999, se tale condizione non si verifica, ad esempio nel caso
in cui il prezzo pagato dal dipendente e' inferiore al valore delle azioni al
momento dell'offerta, non si puo' usufruire in toto dell'agevolazione. Si
rendono, quindi, applicabili i principi generali di tassazione dei fringe
benefit in base ai quali occorre assoggettare a tassazione il valore normale
delle azioni al momento dell'assegnazione (ossia nel momento in cui il bene
entra nella disponibilita' del dipendente) al netto di quanto pagato dal
dipendente per usufruire dell'assegnazione stessa.
Ad esempio:
Valore delle azioni al momento dell'offerta = lire 1000
Prezzo pagato dal dipendente = lire 800
Valore delle azioni al momento dell'assegnazione = lire 1500
Reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione = lire 700 (1500 -
800)
5.1.8 Stock option: diritti cedibili e non cedibili
D. La relazione di accompagnamento al decreto legislativo che ha introdotto il
nuovo regime fiscale delle stock option fa una distinzione precisa tra diritti
non cedibili e cedibili; mentre nel 1 caso l'assegnazione non e' in alcun modo
tassabile, nella seconda ipotesi si afferma che "l'assegnazione di un diritto
di opzione cedibile deve essere assoggettata a tassazione". Si chiede se tale
previsione e' atta a configurare la tassazione del diritto stesso, a
prescindere dal successivo esercizio dello stesso e, in caso affermativo,
quale siano le modalita' di determinazione del valore di tale diritto.
R. Come indicato nella relazione di accompagnamento al d.lgs. 31 dicembre
1999, n. 505, l'assegnazione di un diritto di opzione "cedibile" deve essere
sempre assoggettato a tassazione come reddito di lavoro dipendente fin dal
momento della medesima assegnazione, trattandosi di una fattispecie diversa da
quelle considerate dalla normativa contenuta nell'art. 48, lettere g) e g-bis)
del TUIR per le quali e' stata introdotta una disciplina di favore. La stessa
relazione ha chiarito che se il diritto di opzione non e' cedibile
l'assegnazione dello stesso non e' di per se' tassabile, essendo, invece,
assoggettabili a tassazione i titoli e i valori acquistati con l'esercizio
dell'opzione (salvo la sussistenza delle condizioni che in base alla
disposizione in esame ne escludono l'imponibilita'). Tuttavia, qualora un
diritto non cedibile perda successivamente tale requisito, nel periodo
d'imposta in cui e' reso trasferibile il relativo importo e' assoggettato a
tassazione.
Per quanto riguarda le modalita' di determinazione del valore di un diritto di
opzione "cedibile", si precisa che e' necessario fare riferimento al comma 3
dall'art. 9 del TUIR.
5.2 Altri quesiti in materia di redditi di lavoro dipendente
5.2.1 Prestiti ai dipendenti
D. L'art. 13 del d.lgs. n. 505 del 1999 ha, tra l'altro, modificato l'art. 48,
comma 4, lettera b), del TUIR stabilendo che, ai fini della determinazione del
valore convenzionale dei prestiti ai dipendenti, si deve fare riferimento (a
decorrere dal 1 gennaio 2000) al tasso ufficiale di sconto (rectius "tasso
ufficiale di riferimento") vigente al termine di ciascun anno.
Premesso che le nuove regole dovrebbero applicarsi anche ai prestiti concessi
in anni precedenti all'anno 2000, si chiede come debba essere calcolato il
valore convenzionale del benefit durante i periodi di paga dell'anno 2000.
E' ipotizzabile assumere in via provvisoria il tasso vigente al 31 dicembre
1999 effettuando gli opportuni aggiustamenti in sede di conguaglio di fine
anno 2000 (e cosi' via per i periodi d'imposta successivi)?
In caso di risposta affermativa, ove avvenga la cessazione del rapporto di
lavoro in corso d'anno, per il conguaglio di fine rapporto non si deve fare
alcun aggiustamento ovvero si deve assumere il tasso ufficiale di sconto piu'
recente (e quindi ipoteticamente diverso da quello vigente alla chiusura
dell'anno precedente)?
R. L'articolo 13, comma 1, lettera b), n. 4), del d.lgs. 23 dicembre
1999, n. 505, modificando il comma 4, lettera b), dell'articolo 48 del TUIR,
prevede che, ai fini della tassazione del compenso in natura derivante dai
prestiti erogati ai lavoratori dipendenti, debba essere effettuato il
confronto tra gli interessi calcolati al TUS vigente al termine di ciascun
anno e gli interessi calcolati al tasso applicato sugli stessi. Al riguardo
si ricorda che, sulla base del testo normativo vigente prima delle modifiche
apportate dal citato provvedimento, si doveva fare riferimento al tasso
ufficiale di sconto vigente alla data di stipula del prestito quale parametro
fisso di riferimento.
Si ricorda, altresi', che il momento di imputazione del compenso in natura e
di applicazione della ritenuta alla fonte e' quello del pagamento delle
singole rate del prestito come stabilite dal relativo piano di ammortamento.
La nuova disposizione si rende applicabile con riferimento alle rate del
prestito che scadono a decorrere dal 1 gennaio 2000, anche se relative a
contratti stipulati anteriormente a tale data purche' successivi al 31
dicembre 1996.
Per quanto riguarda le modalita' di applicazione del prelievo alla fonte
dell'imposta sul compenso in natura, l'articolo 23 del DPR 29 settembre 1973,
n. 600, stabilisce che la ritenuta alla fonte deve essere operata
sull'ammontare complessivo di tutte le somme e i valori corrisposti in ciascun
periodo di paga. A tal fine il sostituto d'imposta, per l'applicazione della
ritenuta alla fonte nei singoli periodi di paga, deve tener conto
necessariamente del TUS vigente alla fine del periodo d'imposta precedente,
salvo effettuare il conguaglio di fine anno tenendo conto del TUS vigente al
termine del periodo d'imposta.
In caso di cessazione del rapporto di lavoro, il sostituto d'imposta
nell'effettuare le prescritte operazioni di conguaglio deve tener conto del
TUS vigente alla data della cessazione stessa.
Per le ipotesi in cui la cessazione del rapporto di lavoro non coincida con
l'estinzione del prestito resta fermo quanto gia' illustrato con circolare n.
326/E del 1997.
5.2.2 Lavoratori all'estero
D. L'art. 15 del d.lgs. 23 dicembre 1999, n. 505 prevede che, a partire dal
2001, i datori di lavoro avranno diritto ad un credito d'imposta per i
dipendenti che prestano il lavoro all'estero in via continuativa ed esclusiva,
di ammontare corrispondente alle ritenute gravanti sul reddito erogato ai
dipendenti stessi.
A tale riguardo si pongono i seguenti interrogativi:
a) si chiede se nel computo del beneficio fiscale spettante si debba tenere
conto della generalita' delle trattenute, vale a dire sia le ritenute operate
a titolo di IRPEF sia quelle per addizionali locali (regionale, comunale e
provinciale, ove istituita);
b) dal momento che l'entita' del beneficio e' commisurata al prelievo sul
reddito di lavoro dipendente, si chiede se il credito per le imposte pagate
all'estero debba essere portato o meno in riduzione delle ritenute di cui
sopra ai fini del computo del credito spettante;
c) la norma agevolativa prevede la esenzione del credito d'imposta da
imposte sul reddito e la sua irrilevanza sul calcolo proporzionale di
deducibilita' degli interessi passivi e delle spese generali nonche' il suo
utilizzo - senza limiti di tempo - in compensazione cosiddetta "orizzontale"
con imposte, ritenute e contributi. Per quanto concerne l'IRAP, dal momento
che il costo del personale dipendente e' indeducibile dalla base imponibile
dell'imposta anche se il lavoro e' prestato in territorio estero, si chiede se
in applicazione del principio di correlazione contenuto nell'art. 11, comma 3,
del d.lgs. n. 446 del 1997 (come sostituito dal d.lgs. n. 506 del 1999), il
contributo fiscale riconosciuto dal decreto in commento debba considerarsi
escluso anche dall'imposta regionale.
R. L'articolo 15 del decreto legislativo 23 dicembre 1999, n. 505 prevede che,
a decorrere dal 1 gennaio 2001, e' riconosciuto un credito di imposta a favore
degli imprenditori individuali, delle societa' e degli enti che utilizzano
lavoratori dipendenti che prestano la loro attivita' all'estero in via
continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto. Tale credito di imposta e'
attribuito per un importo corrispondente "all'ammontare delle ritenute
gravanti sul relativo reddito di lavoro dipendente".
Cio' posto, in merito al quesito contraddistinto dalla lettera a), si rileva
che la disposizione in esame ha disciplinato il credito di imposta spettante
in relazione alle sole ritenute IRPEF che il datore di lavoro e' tenuto a
operare sulle retribuzioni corrisposte nei vari periodi di paga. Si ritiene,
pertanto, che il credito di imposta in questione non competa per le trattenute
operate a titolo di addizionali all'IRPEF. Queste ultime, infatti, sono
trattenute dal sostituto di imposta in rate a partire dal periodo di paga
successivo a quello in cui sono effettuate le operazioni di conguaglio di fine
anno ovvero in unica soluzione nel periodo di paga in cui sono svolte le
operazioni di conguaglio in caso di cessazione del rapporto di lavoro in
corso d'anno. Tali modalita' di prelievo delle addizionali all'IRPEF non sono
quindi compatibili con l'attribuzione di un credito di imposta correlato
all'ammontare delle ritenute gravanti sulle retribuzioni corrisposte negli
ordinari periodi di paga.
Relativamente al quesito contraddistinto dalla lettera b), si intende
chiarire che l'entita' del credito di imposta che compete al datore di
lavoro non deve essere influenzata dal credito di imposta per i redditi
prodotti all'estero. Tale ultimo credito di imposta, infatti, e' attribuito
al singolo percipiente.
Si ritiene, infine, che il predetto credito d'imposta non concorra alla
determinazione della base imponibile ai fini IRAP, in quanto trattasi di
contributi riferiti a componenti di costo indeducibili ai fini dell'imposta
regionale sulle attivita' produttive.
6 ADDIZIONALI ALL'IRPEF
6.1 Quesiti vari sulle addizionali all'IRPEF
6.1.1 Prelievo delle rate residuali sulle addizionali 1999
(si veda par. 6.3)
D. L'art. 50, comma 4, del d.lgs. n. 446 del 1997, come modificato dal d.lgs.
n. 506 del 1999, stabilisce che in caso di cessazione del rapporto di lavoro
in corso d'anno l'addizionale regionale (e, quindi anche quella comunale)
all'IRPEF deve essere trattenuta in un'unica soluzione. Qualora la
interruzione avvenga nel 2000, oltre ai tributi di competenza dell'anno,
devono essere prelevate in un'unica soluzione anche le rate residuali delle
addizionali del 1999 in scadenza nei periodi di paga successivi?
6.1.2 Incapienza della busta paga
(si veda par. 6.3)
D. Ove durante i periodi di paga in cui e' in corso la rateizzazione delle
addizionali si verifichi l'incapienza della busta paga, si chiede se valgano
le regole di cui all'art. 23, comma 1, del DPR n. 600/1973 secondo le quali il
sostituito e' tenuto a versare al sostituto l'importo corrispondente
all'ammontare della ritenuta.
6.1.3 Aspettativa non retribuita
D. Nel caso di aspettativa non retribuita (e situazioni similari), il
sostituto d'imposta deve comportarsi secondo le regole previste nell'ipotesi
di cessazione del rapporto di lavoro ovvero di incapienza della retribuzione?
R. Le problematiche rappresentate, in mancanza di una specifica disciplina,
trovano soluzione nei principi generali in materia di determinazione, prelievo
e versamento delle ritenute IRPEF. Pertanto, in caso di cessazione del
rapporto di lavoro, il sostituto e' tenuto a trattenere, in un'unica
soluzione, nel periodo di paga in cui sono effettuate le operazioni di
conguaglio, anche le rate non ancora scadute relative all'addizionale del
periodo d'imposta precedente.
In caso d'incapienza delle retribuzioni, anche per effetto di periodi di
aspettativa non retribuita, il sostituto deve prelevare l'importo non ancora
trattenuto dalle retribuzioni immediatamente successive, operando, in
sostanza, una riduzione del numero delle rate. Entro il mese di dicembre, il
sostituto deve, comunque, versare all'Erario l'importo delle addizionali
IRPEF, determinato all'atto delle operazioni di conguaglio di fine anno,
ancorche' tale importo non sia stato integralmente trattenuto per incapienza
delle retribuzioni.
6.1.4 Innalzamento della quota di compartecipazione
D. Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri del
13 gennaio scorso prevede (art. 3) un innalzamento della aliquota di
addizionale regionale di 0,4 punti percentuali con effetto dal 2000 ma rinvia
la corrispondente riduzione delle aliquote IRPEF al 2001. Quindi, a seguito
della approvazione del citato provvedimento, si avra' un aumento del prelievo
complessivo IRPEF (aliquota ordinaria piu' addizionale regionale) dello 0,40
per cento nel 2000 e una riduzione di uguale misura nel 2001: e' corretta
questa interpretazione?
R. L'interpretazione e' corretta se si ragiona in termini di competenza.
Infatti, il comma 1 dell'articolo 3 dello schema di decreto legislativo
prevede un aumento dello 0,4 per cento dell'addizionale regionale all'IRPEF a
decorrere dall'anno 2000, mentre il comma 2 del citato articolo 3 dispone che,
a decorrere dall'anno 2001, le aliquote IRPEF di cui all'articolo 11, comma 1
del TUIR sono ridotte di 0,4 punti percentuali. Ragionando in termini di
cassa, invece, per i percettori di redditi di lavoro dipendente ed assimilati,
il cui rapporto di lavoro non cessi nel corso dell'anno 2000, non si avra' un
aumento complessivo del prelievo, in considerazione del fatto che tanto la
trattenuta relativa all'addizionale per il 2000 quanto la ritenuta IRPEF per
l'anno d'imposta 2001 saranno operate nel corso del 2001.
7 FISCALITA' FINANZIARIA
7.1 Obbligazioni
7.1.1 Obbligazioni emesse e sottoscritte a partire dal 1 Gennaio 1995, ma
non emesse dopo il 12 gennaio 1996
D. Eventuali obbligazioni emesse in questo periodo ancora in circolazione sono
presumibilmente assoggettate alla ritenuta del 30%, non essendo possibile
provare che il loro "saggio effettivo d'interesse sia allineato a quello di
mercato".
Qualora il tasso di rendimento effettivo di questi titoli al momento
dell'emissione non fosse superiore al TUS vigente all'emissione aumentato di
2/3 o raddoppiato, a secondo dei casi, sarebbe possibile, come la portata
letterale e la logica della norma pare consentire, applicare la ritenuta del
12,5% sugli interessi maturati a partire dal 1 luglio 2000?
R. L'articolo 26, primo comma, del DPR 29 settembre 1973, n. 600, come
modificato dall'articolo 12, comma 1, del d.lgs. 21 novembre 1997, n. 461,
prevede che per le obbligazioni con scadenza non inferiore ai 18 mesi si
applica la ritenuta alla fonte del 12,50 per cento. Tuttavia se queste sono
emesse da societa' o enti, diversi dalle banche, il cui capitale e'
rappresentato da azioni non negoziate in mercati regolamentati italiani ovvero
da quote, l'aliquota del 12,50 per cento si applica a condizione che, al
momento dell'emissione, il tasso di rendimento effettivo non superi il tasso
ufficiale di sconto aumentato di due terzi, per le obbligazioni ed i titoli
similari negoziati in mercati regolamentati italiani o collocati mediante
offerta al pubblico, ovvero di un terzo per le obbligazioni ed i titoli
similari diversi dai precedenti.
La norma e, quindi, i nuovi parametri, si applicano per espressa previsione
normativa limitatamente ai proventi esigibili a partire dal 1 luglio 1998,
relativi ad obbligazioni emesse a partire dal 30 giugno 1997.
L'articolo 2, comma 1, lettera a), n. 1), del d.lgs. 23 dicembre 1999, n. 505,
ha aggiornato i parametri da utilizzare per la verifica della congruita' del
tasso di riferimento effettivo dei prestiti obbligazionari ai fini
dell'applicazione della ritenuta alla fonte del 12,50 per cento. Tali
parametri sono ora fissati al doppio del tasso ufficiale di sconto, per le
obbligazioni e titoli similari negoziati in mercati regolamentati di Paesi
aderenti all'Unione Europea, e al tasso ufficiale di sconto aumentato di due
terzi, per altri titoli obbligazionari e titoli similari.
Considerato che tale nuova disposizione interviene nella disciplina delle
obbligazioni emesse a partire dal 30 giugno 1997, la stessa non si rende
applicabile a quelle emesse prima di tale data. Pertanto, cosi' come previsto
dall'articolo 2, comma 2, del citato d.lgs. n. 505 del 1999, i nuovi parametri
si applicano agli interessi ed altri proventi divenuti esigibili a partire dal
1 luglio 2000, sempreche' relativi a titoli obbligazionari emessi dal 30
giugno 1997.
Ne consegue che per i titoli emessi dal 1 gennaio 1995 al 12 gennaio 1996 non
e' in nessun caso applicabile la nuova disciplina prevista nell'articolo 26,
comma 1, del DPR n. 600 del 1973, ma deve continuarsi ad applicare quella
prevista dall'articolo 32, comma 2, del d.L. n. 69 del 1989 e dall'articolo 5,
comma 1, della L. 23 dicembre 1994, n. 725. Pertanto, i proventi derivanti da
titoli obbligazionari emessi da soggetti diversi da aziende ed istituti di
credito, da enti di gestione delle partecipazioni statali e da societa' per
azioni quotate in borsa, sono assoggettati alla ritenuta alla fonte nella
misura del 30 per cento. La ritenuta si riduce al 12,50 per cento qualora i
titoli obbligazionari, emessi da societa' con azioni non quotate in borsa,
abbiano un saggio effettivo di interesse allineato con quello di mercato.
7.2 Altri quesiti in materia di fiscalita' finanziaria
7.2.1 Capital gain: cessioni a titolo gratuito
D. Una recente interpretazione fornita dalla Direzione regionale delle entrate
per la Lombardia, ha affermato la non tassabilita', a titolo di plusvalenza di
cessione di partecipazione, qualora il contribuente rinunci gratuitamente
all'esercizio del diritto di opzione. Cio' in quanto l'articolo 81, lett. c) e
c-bis), del TUIR fa riferimento alle plusvalenze realizzate mediante la
cessione a titolo oneroso. Si chiede di conoscere il parere in merito
all'interpretazione prospettata. Inoltre, sempre nell'ambito delle
disposizioni in materia di capital gain, si chiede di conoscere se, nella
valutazione delle cessioni effettuate nell'arco dei 12 mesi, ai fini
dell'identificazione di una eventuale cessione di partecipazione qualificata,
si debba tenere conto anche delle transazioni effettuate a titolo gratuito.
R. Quanto al primo quesito, concordemente a quanto esposto dalla Direzione
Regionale delle Entrate per la Lombardia, si ritiene che la rinuncia gratuita
all'esercizio di un diritto di opzione, non costituisce fattispecie
imponibile, atteso che l'articolo 81, comma 1, lettere c), c-bis) e c-ter),
del TUIR fanno riferimento ai trasferimenti a titolo oneroso. Naturalmente, il
contribuente dovra' essere in grado di provare che si tratta di una rinuncia
gratuita dell'opzione e non di cessione a titolo oneroso del diritto di
opzione, ne' di esercizio di opzione e successiva cessione a titolo oneroso.
Per quanto riguarda il secondo quesito, si ritiene che il principio che impone
di tener conto di tutte le cessioni effettuate nei 12 mesi per determinare il
possesso o meno di una partecipazione qualificata imponga di considerare anche
le cessioni a titolo gratuito in quanto, con riferimento a questo aspetto,
la norma non precisa che si tratta di cessioni a titolo oneroso.
7.2.2 Dividendi percepiti dalle ONLUS
D. L'articolo 16 del d.lgs. 460 del 1997 dispone che sui redditi di capitale
di cui all'articolo 41 del testo unico corrisposti alle ONLUS, le ritenute
alla fonte sono effettuate a titolo d'imposta. Cio' significa che anche i
dividendi corrisposti alle ONLUS devono essere assoggettati a ritenuta
d'imposta o - come si ritiene piu' corretto - la norma non e' applicabile ai
dividendi perche' l'articolo 27 del DPR n. 600 del 1973 non prevede
l'applicazione di alcuna ritenuta nei confronti dei soggetti diversi dalle
persone fisiche, con la sola eccezione dei fondi pensione, dei fondi comuni
immobiliari, dei non residenti e dei soggetti esenti dall'IRPEG?
Si ritiene che sia corretto non assoggettare questi dividendi a ritenuta con
l'effetto che concorreranno a formare il reddito imponibile della ONLUS con il
credito d'imposta. Del resto, altrimenti, una norma a carattere agevolativo
produrrebbe un effetto penalizzante.
R. L'articolo 16 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, stabilisce che le
ritenute alla fonte sui redditi di capitale di cui all'articolo 41 del TUIR,
percepiti dalle ONLUS sono effettuate a titolo d'imposta.
Tale disposizione fa riferimento a tutte le tipologie di redditi di capitale
per le quali sia prevista l'applicazione di una ritenuta alla fonte. Pertanto,
tenuto conto che per gli utili derivanti dalla partecipazione in societa' ed
enti soggetti all'IRPEG di cui alla lettera e), comma 1 del citato articolo 41
del TUIR l'articolo 27 del DPR n. 600 del 1973 prevede, relativamente ai
soggetti diversi dalle persone fisiche, l'applicazione di una ritenuta
soltanto nei confronti di fondi pensione, di fondi comuni immobiliari e di
soggetti esenti dall'IRPEG, ne consegue che le ONLUS non sono soggette a tale
ritenuta. I dividendi eventualmente percepiti concorreranno, quindi, a formare
il reddito complessivo.
7.2.3 Ripartizione del valore fiscalmente riconosciuto delle azioni ai soci
D. I soci della societa' scissa ricevono le azioni dalla beneficiaria: quale
criterio deve essere adottato per ripartire il costo originario delle azioni
della societa' scissa tra le vecchie azioni della societa' scissa e le nuove
azioni della beneficiaria?
R. La disposizione contenuta nell'articolo 82, comma 5, del TUIR, ai fini
della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione
delle partecipazioni e delle attivita' finanziarie indicate nelle lettere c),
c-bis) e c-ter) dell'articolo 81 dello stesso testo unico, prevede che la
plusvalenza (o minusvalenza) deve essere determinata sottraendo dal
"corrispettivo percepito" ovvero dalla "somma o il valore dei beni rimborsati"
il "costo o il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni
onere inerente alla loro produzione".
Pertanto, il valore finale da assumere a tal fine si identifica con il
corrispettivo effettivamente percepito nel periodo d'imposta a seguito della
cessione delle partecipazioni. Relativamente, invece, al costo di acquisto
(valore iniziale), e' necessario considerare la circostanza che, nell'esempio
formulato, le partecipazioni azionarie sono state acquisite a seguito di una
scissione societaria.
Come noto, per effetto dell'operazione straordinaria di scissione, ai sensi di
quanto disposto dal comma 3 dell'articolo 123 bis del TUIR, il cambio delle
partecipazioni originarie dell'ente scisso con quelle dell'ente beneficiario
non costituisce ne' realizzo ne' distribuzione di plusvalenze o di
minusvalenze ne' conseguimento di ricavi in capo ai soci della societa'
scissa, fatta salva l'applicazione del comma 3 dell'articolo 44 del TUIR con
riferimento alla tassazione dei redditi di capitale per le somme ricevute dai
soci in caso di conguaglio. Tale disposizione e' finalizzata a sottoporre a
imposizione l'incremento di valore in capo ai soci al verificarsi di
fattispecie distinte da quelle connesse all'operazione che li genera. Infatti,
al momento della scissione va attribuita a ciascuna partecipazione ricevuta in
cambio dai soci della societa' scissa un valore fiscalmente uguale a quello
della partecipazione originaria.
In altre parole, in virtu' dell'esposto principio di neutralita' fiscale della
scissione, l'assegnazione di azioni o di titoli rappresentativi del capitale
della societa' beneficiaria o acquirente ad un socio della societa' conferente
o acquistata, in cambio di titoli rappresentativi del capitale sociale di
quest'ultima societa', non comporta, di per se stessa, alcuna imposizione sul
reddito.
In caso di scissione, ai soci della societa' scissa verranno assegnate le
azioni - in proporzione alla partecipazione posseduta - delle societa'
beneficiarie dell'apporto.
Il criterio da seguire appare quello di ripartizione del costo originario in
proporzione al valore netto contabile del patrimonio trasferito alle
beneficiarie e di quello eventualmente rimasto nella scissa.
Posto una scissione parziale in cui la societa' A trasferisce parte del suo
patrimonio nella societa' B, e posto
p = costo originario della partecipazione
PNA = patrimonio netto della societa' scissa ante scissione
Pnb = patrimonio netto della societa' B post scissione
Pna = patrimonio netto della societa' A post scissione
le azioni di B da attribuire ai soci saranno date da: p x Pnb/PNA
le azioni di A da attribuire ai soci saranno date da: p x Pna/PNA
E' opportuno sottolineare che eventuali operazioni di scissione, prive di
valide ragioni economiche, volte ad attribuire ai soci vantaggi fiscali
connessi ad una ripartizione del costo della partecipazione solo formalmente
corretta, potranno essere contrastate, ricorrendone le condizioni, ai sensi
dell'art. 37-bis del DPR n. 600 del 1973.
8 DICHIARAZIONI
8.1 Dichiarazioni rettificative
8.1.1 Termini di accertamento per la dichiarazione rettificativa
D. Nel caso di presentazione di una dichiarazione che, entro il termine di
presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta in cui
l'infrazione e' stata commessa, rettifica quella gia' presentata quando scade
il termine per l'accertamento? Ad esempio, se il Modello Unico relativo al
1998, presentato nel 1999, e' rettificato nel mese di giugno 2000, il termine
scade il 31 dicembre 2003 o il 31 dicembre 2004?
R. Nel caso di presentazione di una dichiarazione integrativa di quella gia'
presentata, entro il termine stabilito dall'art. 13, lett. b), del d.lgs. n.
472 del 1997, non e' previsto dalla legge alcun allungamento dell'ordinario
termine di decadenza relativo all'accertamento. Del resto una simile
previsione non sarebbe logica, posto che si tratta di una dichiarazione
integrativa a favore dell'Erario.
Nell'esempio formulato, pertanto, il termine scade il 31 dicembre 2003.
8.1.2 Dichiarazione rettificativa e compensazione
D. Nella precedente videoconferenza organizzata da Italia Oggi, il Ministero
delle finanze aveva convenuto che la disposizione di cui all'articolo 2, comma
8, del DPR n. 322 del 1998 consentiva al contribuente di rettificare, a
proprio favore, la dichiarazione originaria, precisando altresi' che, se tale
dichiarazione rettificativa viene presentata entro i termini di cui
all'articolo 38 del DPR n. 602 del 1973 e' da intendersi come istanza di
rimborso. Sulla base di questo principio e' ammissibile la presentazione di
una dichiarazione in relazione alla quale emerga un maggior credito spendibile
dal contribuente in compensazione? In pratica:
- contribuente che ha presentato in via telematica o presso banca e posta un
modello Unico 99;
- entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo
d'imposta 1999 presenta un nuovo modello Unico 99 rettificativo del primo in
relazione al quale emerge un credito superiore a quello della dichiarazione
originaria.
Posto che le istruzioni al modello Unico affermano che la compensazione deve
concludersi, al massimo, nella dichiarazione successiva, il maggior credito
emergente dalla dichiarazione rettificativa puo' essere speso legittimamente
in compensazione?
R. L'articolo 2, comma 8, del DPR n. 322 del 1998 (tenendo conto anche delle
modifiche apportate con DPR 14 ottobre 1999, n. 542) stabilisce che, salva
l'applicazione delle sanzioni amministrative, le dichiarazioni possono essere
integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione
da redigere secondo le modalita' stabilite per le medesime dichiarazioni e da
presentare all'Amministrazione finanziaria per il tramite di un ufficio delle
Poste italiane S.p.A. convenzionato. Tale disposizione ha un ambito
applicativo piu' ampio di quello dell'articolo 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997,
n. 472, il quale dispone delle riduzioni automatiche alle misure minime delle
sanzioni applicabili per le violazioni commesse in sede di predisposizione e
di presentazione della dichiarazione, nonche' di pagamento delle somme dovute.
Infatti, entrambe le disposizioni consentono al contribuente di rimuovere
comportamenti (errori o omissioni), ma il citato articolo 13 del d.lgs. n. 472
del 1997 si riferisce soltanto alle ipotesi in cui il contribuente abbia
tenuto un comportamento (errore o omissione) sanzionabile dall'Amministrazione
finanziaria, e, quindi, in linea generale, non puo' essere utilizzato al solo
fine di esporre un maggior credito. In ogni caso, la dichiarazione presentata
al fine di usufruire dell'istituto del ravvedimento operoso non sostituisce,
ma integra la precedente dichiarazione, la quale segue tutta la procedura
ordinaria. Pertanto, nelle rare ipotesi in cui, pur eliminando un
comportamento sanzionabile dall'Amministrazione finanziaria, il contribuente
chiuda la sua dichiarazione con un credito o con un maggior credito, il
relativo importo non puo' essere utilizzato in compensazione, ma puo' solo
essere richiesto a rimborso.
L'articolo 2, comma 8, del d.lgs. n. 322 del 1998 consente, invece, di
presentare una successiva dichiarazione anche meramente rettificativa della
precedente e fa salvo il potere degli uffici di applicare le sanzioni
amministrative. In merito a questa disposizione e' opportuno chiarire che:
1. la dichiarazione rettificativa presentata entro il termine di presentazione
della dichiarazione originaria, sostituisce completamente la precedente,
pertanto, non si applica alcuna sanzione amministrativa e il contribuente ha
diritto a scegliere l'utilizzo di eventuali crediti risultanti da essa secondo
le ordinarie modalita', rimborso, compensazione, etc.;
2. la dichiarazione rettificativa presentata entro il termine di novanta
giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione
originaria, sostituisce la precedente e da' diritto al contribuente di
utilizzare gli eventuali crediti secondo le modalita' ordinarie, rimborso,
compensazione, etc.. Tale dichiarazione e' valida a tutti gli effetti,
infatti, ma, essendo presentata tardivamente comporta l'applicazione delle
sanzioni amministrative (cfr. circolare n. 23/E del 25 gennaio 1999, paragrafo
n. 1.2);
3. la dichiarazione rettificativa presentata oltre il termine di novanta
giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione
originaria si considera omessa, ma da' titolo per la riscossione delle imposte
dovute in base agli imponibili in essa indicati e delle ritenute indicate dai
sostituti d'imposta. Eventuali crediti emergenti in questa sede possono essere
soltanto richiesti a rimborso.
8.2 Dichiarazioni IVA
8.2.1 Dichiarazione IVA in caso di cessazione dell'attivita'
D. Un imprenditore individuale cessa l'attivita' il 31 dicembre 2000 donando
l'unica azienda ai figli che costituiranno una S.n. c. Le istruzioni alla
dichiarazione IVA 2000 prevedono che nel caso di modificazioni da ditta
individuale in societa' avvenuta dal 1/1/2000 al termine di presentazione
della dichiarazione, in caso di trasferimento al nuovo soggetto del debito o
del credito IVA, la dichiarazione debba essere effettuata dal soggetto
risultante dalla trasformazione. La societa' non e' tenuta alla presentazione
di una propria dichiarazione, in quanto costituita dopo il 31 dicembre 1999.
Si chiede se le modalita' di presentazione corrette sono le seguenti:
- la societa' presenta la dichiarazione IVA in via autonoma relativamente
alle operazioni del dante causa;
- l'imprenditore presenta il modello Unico 2000 ad eccezione della parte IVA.
R. Nel caso in cui nell'atto di donazione non e' stabilito che il debito e il
credito relativi all'IVA rimangono in capo al donante, la societa' donataria
e' tenuta alla presentazione della dichiarazione IVA per l'anno 1999.
Pertanto, come prospettato dalle istruzioni per la compilazione della
dichiarazione IVA 1999, la societa' deve indicare i dati del soggetto donante
nella parte riservata al contribuente e i dati propri nel riquadro riservato
al dichiarante, previa indicazione del codice 9 nella casella relativa al
codice di carica.
Il soggetto donante e' tenuto all'obbligo di presentazione del modello unico
2000, ad eccezione della parte IVA.
8.2.2 Computo del pro-rata nelle liquidazioni e dichiarazioni periodiche
D. La dichiarazione annuale IVA scade a maggio o giugno (modello Unico), ma il
pro-rata deve essere calcolato in via provvisoria in ognuna delle
liquidazioni/dichiarazioni periodiche, che scadono gia' nel mese di febbraio.
L'attuale articolo 19-bis del DPR n. 633 del 1972 non riproduce la
disposizione del vecchio articolo 19, terzo comma, sul calcolo provvisorio del
pro-rata con la percentuale dell'anno precedente. Tenendo conto della
sfasatura tra prima liquidazione periodica e successiva dichiarazione annuale,
a partire da quale conteggio mensile o trimestrale si tiene conto del pro-rata
dell'anno precedente? Oppure il mancato richiamo nel vigente articolo 19-bis
sta a significare che durante l'anno la detrazione e' operata per intero e
viene limitata solo in sede di dichiarazione annuale?
R. Il criterio indicato dall'articolo 19, terzo comma del DPR n. 633 del 1972
- nella formulazione precedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 313 del
1997- in base al quale i soggetti interessati alla regola del pro-rata in
corso d'anno devono applicare una percentuale provvisoria di detrazione
basata sul pro-rata dell'anno precedente, salvo conguaglio alla fine
dell'anno, e' attualmente riportato dall'articolo 19, quinto comma, dello
stesso decreto. Tale norma dispone espressamente che i soggetti che esercitano
sia attivita' che danno diritto alla detrazione sia attivita' che danno luogo
ad operazioni esenti, in corso d'anno operano una detrazione provvisoria con
l'applicazione della percentuale di detrazione dell'anno precedente, salvo
conguaglio alla fine dell'anno.
Anche in base alle nuove disposizioni vigenti in tema di detrazione, quali
risultano a seguito delle modifiche apportate al DPR n. 633 del 1972 dal
d.lgs. n. 313 del 1997, occorre fare riferimento alla percentuale di
detrazione dell'anno precedente gia' dalla prima liquidazione/dichiarazione
periodica. La stessa disposizione contenuta nell'articolo 19, quinto comma,
stabilisce, infatti, che in ciascun anno la determinazione del pro-rata
definitivo deve essere realizzata, mediante eventuale conguaglio, alla fine
dell'anno, anche se il predetto conguaglio risultera' in sede di dichiarazione
annuale.
8.2.3 Splafonamento dell'esportatore abituale
D. Per regolarizzare lo splafonamento dell'esportatore abituale, e' stata
pubblicata una risoluzione datata 10 marzo 1999, con il numero 391186, che non
si trova nella raccolta ufficiale del ministero delle finanze, e che
suggerisce una procedura totalmente a carico dell'acquirente, responsabile
della richiesta oltre i limiti, senza piu' chiedere note di variazione al
fornitore, che non ha nessuna responsabilita' al riguardo. Si chiede se questa
posizione e' condivisa dall'amministrazione centrale (verosimilmente la
risoluzione e' di una direzione regionale), che potrebbe opportunamente farne
oggetto di una propria circolare.
R. Il presente quesito e quello riportato al punto 3.1.4 vertono nella stessa
materia e prendono spunto dalla nota della Direzione Centrale per
l'Accertamento n. 391186 del 10 marzo 1999.
Si ritiene di poter confermare la procedura consentita dalla predetta
Direzione Centrale per la regolarizzazione degli acquisti effettuati, ai sensi
dell'articolo 8, primo comma, lettera c), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633,
sulla base di dichiarazione di intento del cessionario o committente, oltre il
limite dell'ammontare consentito (plafond).
In particolare, in alternativa alla richiesta al proprio cedente o prestatore
di effettuare le corrispondenti variazioni in aumento dell'IVA non addebitata
in fattura, ai sensi dell'articolo 26 del citato DPR n. 633 del 1972, e'
consentito allo stesso cessionario o committente di regolarizzare l'operazione
nel modo seguente:
- emissione di autofattura in duplice esemplare;
- versamento dell'imposta non applicata in fattura, oltre gli interessi e le
relative sanzioni ridotte, ai sensi dell'articolo 13 del d.lgs. 18 dicembre
1997, n. 472. In particolare, il versamento di regola andra' effettuato, per
quanto riguarda l'imposta e gli interessi, con utilizzo del modello F24 e, per
quanto riguarda le sanzioni, mediante l'utilizzo del modello F23. Peraltro, in
un'ottica semplificativa del sistema, il versamento dell'imposta e degli
interessi potrebbe anche essere effettuato attraverso la contabilizzazione in
sede di liquidazione periodica, con indicazione nel rigo VP8, colonna 1, della
dichiarazione mensile o trimestrale;
- annotazione dell'autofattura unicamente nel registro degli acquisti;
- presentazione di un esemplare dell'autofattura al competente Ufficio IVA o
delle Entrate, analogamente alla procedura prevista dall'articolo 6, comma 8,
del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
La procedura ha il pregio di non coinvolgere piu' il cedente o prestatore
nella regolarizzazione dell'operazione, atteso che, come e' stato piu' volte
affermato dalla stessa Amministrazione finanziaria, la responsabilita' circa
la regolarita' e correttezza della dichiarazione di intento (sulla quale si
fonda l'operazione agevolata) e, quindi, anche relativamente alla sussistenza
di plafond ancora disponibile, incombe unicamente sull'acquirente del bene o
del servizio.
Come sopra detto, e' comunque possibile regolarizzare l'operazione con la
richiesta di variazione al proprio cedente o prestatore, fermo restando
l'obbligo del pagamento degli interessi e delle sanzioni a carico del
cessionario o committente.
Invece non sembra conforme allo spirito del sistema una procedura basata su
una mera contabilizzazione in sede di dichiarazione periodica, trattandosi di
una "regolarizzazione" che prescinderebbe dalla emissione di un documento
contabile rettificativo della originaria fattura.
8.2.4 Errori nelle dichiarazioni periodiche
D. Anche in relazione all'avvio della procedura nel 1999, molte dichiarazioni
risultano errate specie per quanto riguarda l'imponibile delle vendite e degli
acquisti, senza che vi siano stati effetti nel calcolo dell'imposta.
Queste violazioni possono - alla luce del correttivo al d.lgs. 471 del 1997 -
essere considerate violazioni formali e per il 1999 essere sanate senza
sanzioni rispondendo alla richiesta di chiarimenti da parte dell'ufficio?
R. La violazione prospettata e' di carattere formale, poiche' non
comporta variazioni dell'ammontare del tributo dovuto per il periodo di
imposta (mese o trimestre).
Lo schema di decreto integrativo e correttivo dei decreti legislativi 18
dicembre 1997, numeri 471, 472 e 473, gia' approvato dal Consiglio dei
Ministri, aggiunge all'articolo 25, recante disposizioni transitorie, dopo il
comma 3-bis, il comma 3-ter, che prevede nei casi di omissioni ed errori
relativi alle dichiarazioni presentate nell'anno 1999, che non incidono sulla
determinazione o sul pagamento del tributo, la non applicazione della sanzione
prevista dall'articolo 8 del d.lgs. n. 471 del 1997, a condizione che l'autore
della violazione provveda alla regolarizzazione entro trenta giorni
dall'invito degli Uffici finanziari.
Atteso che il comma aggiunto si riferisce genericamente alle dichiarazioni
presentate nell'anno 1999, si ritiene che in esso vadano comprese anche le
dichiarazioni IVA periodiche.
8.3 Visto pesante
8.3.1 Visto pesante: ammortamenti accelerati
D. Con riferimento all'opportunita' offerta ai revisori contabili, iscritti da
almeno cinque anni negli ordini dei dottori commercialisti, dei ragionieri e
dei consulenti del lavoro di rilasciare la certificazione tributaria ai
contribuenti in contabilita' ordinaria con la ragionevole convinzione che
siano rispettate le norme, anche con riferimento alla interpretazione
ufficiale ministeriale, con tutto quello che ad essa consegue, quale
comportamento deve adottare il professionista nel caso si trovi a verificare
la correttezza o meno dell'ammortamento accelerato relativo ai beni materiali,
visto e considerato che nella scheda n. 10 relativa agli ammortamenti delle
immobilizzazioni materiali non vi e' presente nessun riferimento specifico
agli ammortamenti accelerati? Inoltre, visto e considerato che non vi e'
nessun riferimento concreto a posizioni ufficiali del ministero alle quali
poter far affidamento nel rilascio del visto, quando puo' considerarsi lecito
avvalersi della facolta' dell'ammortamento accelerato e quali documentazioni
probatorie si devono conservare per un eventuale supporto al verificatore?
Quanto detto e' legato alla sola professionalita' del certificatore, cioe'
cimentarsi nel merito dei documenti probatori?
R. L'ammortamento accelerato consiste, com'e' noto nella piu' intensa
utilizzazione dei beni rispetto a quella normale del settore. Il concetto di
maggiore utilizzazione, ha chiarito la Corte di Cassazione con sentenza n.
6837 del 22 luglio 1994, va riferito alla sola azienda in cui e' inserita
l'attrezzatura e non puo' essere fatta valere se riguarda l'intero settore di
appartenenza. Poiche' la possibilita' di effettuare tale maggiorazione e'
subordinata alla condizione che gli impianti dell'impresa siano effettivamente
sottoposti ad un piu' intenso e prolungato sfruttamento oltre il normale
orario di lavoro, l'individuazione del maggior utilizzo di tali beni
strumentali e' da ricercarsi negli indici di produttivita' aziendale.
L'azienda dovra' al riguardo fornire adeguata prova al certificatore
tributario, che la verifichera' anche in via di fatto, oltre alla
documentazione probatoria, cosi' come avviene di consueto in sede di controllo
fiscale.
8.3.2 Visto pesante: poteri di controllo e verifica
D. L'articolo 14 del decreto ministeriale 29 dicembre 1999 sottolinea che
l'attivita' di controllo e di verifica dell'amministrazione finanziaria
relativamente alle dichiarazioni per le quali e' stata rilasciata la
certificazione tributaria "e' riferita di regola alle componenti di reddito
che non hanno costituito oggetto di certificazione". Si chiede quale sia la
portata pratica della locuzione di regola e se tale espressione possa in
qualche modo configurare l'assoggettamento a controllo anche delle voci per
cui e' stata rilasciata la certificazione.
R. Il quesito inerente l'attivita' di controllo e di verifica sulle
certificazioni tributarie rilasciate, verte sull'interpretazione della
locuzione di regola richiamata nell'art. 4 del decreto ministeriale 29
dicembre 1999 e, se tale espressione possa in quale modo configurare
l'assoggettamento a controllo anche delle voci per cui e' stata rilasciata la
certificazione.
L'art. 4 del decreto citato prevede:
a) in sede di programmazione dell'attivita' di controllo e di verifica sono
definiti appositi criteri selettivi finalizzati a riscontrare la correttezza
della certificazione rilasciata (art. 26, comma 2 del decreto ministeriale 31
maggio 1999, n. 164);
b) relativamente alle dichiarazione per le quali e' stata rilasciata la
certificazione tributaria, l'attivita' di controllo e' riferita di regola alle
componenti di reddito che non hanno costituito oggetto di certificazione.
Pertanto la locuzione di regola va interpretata nel suo stretto senso
lessicale e cioe' che non e' preclusa all'Amministrazione finanziaria la
possibilita' di sottoporre a controllo e verifica anche gli elementi positivi
e negativi di reddito che hanno costituito oggetto di certificazione.
8.3.3 Visto pesante: scritture predisposte e tenute dal professionista
D. Ai fini della certificazione tributaria, l'articolo 24 del DM 31 maggio
1999, n. 164, dispone che i professionisti rilasciano la certificazione
tributaria se hanno tenuto e predisposto le dichiarazioni e tenuto le relative
scritture contabili. Ai sensi dello stesso articolo le scritture contabili si
intendono predisposte e tenute dal professionista anche quando sono
predisposte e tenute direttamente dallo stesso contribuente o da una societa'
di servizi di cui uno o piu' professionisti posseggono la maggioranza assoluta
del capitale, a condizione che tali attivita' siano effettuate sotto il
diretto controllo e la responsabilita' dello stesso professionista. Una
interpretazione letterale della norma da supporre, quindi, che la
certificazione sia apponibile solo nel caso in cui la contabilita' e le
scritture siano tenute direttamente dal contribuente (e non attraverso terzi
soggetti non abilitati alla certificazione) o dagli stessi certificatori o
strutture da essi controllate, escludendo quindi la possibilita' che vengano
certificate dichiarazioni relative a contabilita' tenute da soggetti non
abilitati alla certificazione. Qual e' a riguardo l'interpretazione
ministeriale?
R. L'interpretazione letterale, descritta nel quesito, della norma contenuta
nell'art. 24 del decreto ministeriale 31/5/99, n. 164 nel senso che la
certificazione sia apponibile solo nel caso in cui la contabilita' e le
scritture siano tenute direttamente dal contribuente, o dai certificatori o da
societa' di servizi controllate dai certificatori ovvero da un Caf-imprese e'
corretta volendosi espressamente escludere che la certificazione si sostanzi
in un sigillo formale su situazioni al di fuori della sfera di controllo del
certificatore.
8.3.4 Controllo e responsabilita' del certificatore
D. Cosa si intende con la locuzione " diretto controllo e responsabilita'"
del certificatore di cui all'art 24 del d.m. 31 maggio 1999, n. 164?
R. L'articolo 24, comma 1, del d.m. 31 maggio 1999, n. 164, prevede che i
certificatori rilascino la certificazione tributaria se hanno predisposto le
dichiarazioni e tenuto le relative scritture contabili.
In base al comma 2 dello stesso articolo 24, le dichiarazioni e le scritture
contabili si intendono predisposte e tenute dai certificatori anche quando
sono predisposte e tenute:
- direttamente dallo stesso contribuente;
- da un a societa' di servizi di cui uno o piu' certificatori posseggono la
maggioranza assoluta del capitale sociale;
- da un CAF-imprese.
Le attivita' di predisposizione delle dichiarazioni e di tenuta delle
scritture contabili devono peraltro essere effettuate sotto il diretto
controllo e la responsabilita' del certificatore.
La norma presuppone, quindi, che il certificatore mantenga comunque il
controllo di tali attivita' assumendone le responsabilita' come se le avesse
svolte direttamente.
8.3.5 Limite al rilascio delle certificazioni
D. Esiste un tetto massimo di certificazioni tributarie che ogni singolo
professionista puo' rilasciare?
R. Il decreto 29 dicembre 1999 del Ministro delle Finanze non individua un
numero massimo delle certificazioni tributarie che ciascun certificatore puo'
rilasciare con riferimento alle dichiarazioni relative al periodo d'imposta
1999.
8.3.6 Rilascio della certificazione in caso di risultato negativo
(si veda par. 8.3.9.)
D. Nel caso in cui dal controllo delle voci emerga un risultato negativo il
professionista deve rilasciare la certificazione con la valutazione
negativa oppure non deve rilasciare alcuna la certificazione?
8.3.7 Tenuta del registro delle certificazioni
D. Il certificatore deve tenere un apposito registro su cui annotare
l'elenco dei contribuenti per i quali ha rilasciato la certificazione
tributaria?
R. No.
8.3.8 Certificazione della gestione delle scritture contabili
D. Il professionista che ha tenuto le scritture contabili del contribuente,
e' obbligato al rilascio della certificazione tributaria, su richiesta del
contribuente?
R. Su richiesta del contribuente il professionista abilitato non e' obbligato
al rilascio delle certificazione tributaria che rientra sempre nella
discrezionalita' del professionista stesso.
8.3.9 Certificazione a seguito di maggiori esborsi
D. La certificazione puo' essere rilasciata anche quando la non corretta
applicazione della normativa tributaria ha comportato per il contribuente un
maggiore esborso, e quindi complessivamente nessun danno per il fisco?
R. Tenuto conto che il certificatore non e' obbligato a rilasciare la
certificazione richiesta, si deve ritenere che la stessa sara' rilasciata solo
se i risultati del controllo avranno evidenziato la corretta applicazione
delle norme relative alle componenti oggetto della certificazione.
8.4 Presentazione delle dichiarazioni
8.4.1 Presentazione della dichiarazione dei redditi: soggetto IRPEG in
liquidazione ordinaria
D. Nell'ambito delle disposizioni di cui all'articolo 5 del DPR n. 322 del
1998 viene previsto che, nelle ipotesi di liquidazione ordinaria, le
dichiarazioni devono essere presentate entro i termini ordinari previsti in
relazione al singolo soggetto passivo di imposta. Posto che la fattispecie
relativa alle societa' di persona non crea particolari problemi, si chiede di
conoscere quando deve essere identificato il termine di presentazione della
dichiarazione relativa ad un soggetto IRPEG posto in liquidazione in data 30
settembre 1999, con riferimento al periodo 1 gennaio 1999 - 30 settembre 1999.
E' corretto affermare che il predetto termine scade, comunque, considerando
come riferimento quello di approvazione del bilancio relativo all'intero
periodo di imposta 1999?
R. L'articolo 5 del DPR n. 322 del 1998, prevede che in caso di liquidazione
volontaria la dichiarazione relativa al periodo compreso tra l'inizio del
periodo d'imposta e la data di messa in liquidazione deve essere presentata
dal liquidatore o, in mancanza, dal rappresentante legale, entro l'ordinario
termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi. La dichiarazione
relativa alla residua frazione del periodo d'imposta e quelle relative ai
successivi periodi d'imposta, se la liquidazione si prolunga oltre il periodo
d'imposta in cui la liquidazione ha inizio, devono essere presentate sempre
nei termini ordinari.
Sulla base di quanto previsto dall'articolo 2, commi 2 e 3, del DPR n. 322 del
1998, i soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, tenuti
all'approvazione del bilancio o del rendiconto entro un termine stabilito
dalla legge o dall'atto costitutivo, presentano la dichiarazione entro un mese
dall'approvazione del bilancio o del rendiconto. Se il bilancio non e' stato
approvato nel termine stabilito, la dichiarazione deve essere presentata entro
un mese dalla scadenza del termine stesso. I soggetti non tenuti
all'approvazione del bilancio o del rendiconto presentano la dichiarazione
entro sei mesi dalla fine del periodo d'imposta.
Ne discende che un soggetto IRPEG, tenuto all'approvazione del bilancio, con
periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, posto in liquidazione a
decorrere dal 1 ottobre 1999 presenta, entro un mese dall'approvazione del
bilancio relativo al periodo d'imposta 1999, le dichiarazioni:
- con riferimento al periodo 1gennaio 1999 - 30 settembre 1999;
- con riferimento al periodo 1 ottobre 1999 - 31 dicembre 1999.
8.4.2 Obbligo di presentazione della dichiarazione IVA periodica: soggetti
con volume d'affari inferiore a lire cinquanta milioni
D. La dichiarazione IVA periodica non deve essere presentata dalle persone
fisiche che nell'anno precedente hanno conseguito un volume d'affari non
superiore a 50 milioni di lire. Al riguardo si chiede di precisare se:
- l'importo predetto debba essere ragguagliato ad anno e con quale unita' di
riferimento (giorni o mesi), nel caso in cui l'attivita' non sia stata
esercitata per l'intero periodo d'imposta (esempio, inizio attivita');
- i contribuenti che iniziano l'attivita' possono, per il primo anno,
avvalersi dell'esonero facendo riferimento al volume d'affari che presumono di
realizzare; in tal caso si chiede di conoscere gli effetti dell'eventuale
superamento del limite in corso d'anno.
Si rappresenta che problemi analoghi si pongono nei riflessi delle
semplificazioni per i contribuenti minori previste dall'art. 33 del DPR n. 633
del 1972 e confermate dall'art. 7 del DPR correttivo approvato il 3 settembre
1999.
R. In relazione al quesito prospettato si deve preliminarmente far presente
che nel caso d'inizio attivita' non sussistono parametri oggettivi di
determinazione dell'ammontare del volume d'affari che si presume di realizzare
mancando, in tal senso, un'espressa previsione normativa sia nel testo del DPR
23 marzo 1998, n. 100, attualmente vigente, sia nella versione modificata
dall'art. 2 del DPR correttivo approvato il 3 settembre 1999.
Inoltre, tutte le ipotesi in cui il contribuente e' obbligato a prendere in
considerazione, per l'individuazione degli adempimenti da rispettare, il
volume d'affari presunto, sono state espressamente individuate dal
legislatore. A tale proposito si ricorda la previsione normativa contenuta
nell'art. 35 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, in merito alla presentazione
della dichiarazione d'inizio attivita', nonche' a quelle contenute nell'art.
3, commi 168 e 176 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, relativamente ai
contribuenti che si vogliono avvalere del particolare regime semplificato o
forfetario di cui ai commi 165 e 171 della medesima legge n. 662.
Pertanto si deve ritenere che, limitatamente al primo anno d'attivita', i
contribuenti non siano obbligati alla presentazione della dichiarazione IVA
periodica.
Nell'anno successivo l'obbligo di presentazione della dichiarazione periodica
sussistera' o meno a seconda che il volume d'affari sia stato superiore,
ovvero inferiore o uguale, ai 50 milioni di lire.
Non esiste infatti una previsione normativa che obblighi il contribuente a
ragguagliare ad anno il volume d'affari conseguito nel periodo d'imposta in
cui l'attivita' e' stata esercitata per un tempo limitato (attivita'
intrapresa in corso d'anno)
9 SANZIONI TRIBUTARIE
9.1 Ravvedimento operoso
9.1.1 Ravvedimento operoso IVA
D. In materia di IVA "art. 48, comma 1, del DPR n. 633 del 1972) il
ravvedimento operoso del contribuente sanava anche le irregolarita' in materia
di fatturazione, ricevute e scontrini fiscali, documenti di trasporto e
contabilita'. Attualmente (art. 13 del d.lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997)
vale la stessa regola o e' necessario versare anche distinte somme per le
diverse sanzioni irrogabili per ciascuna irregolarita'?
R. La disposizione dell'art. 48 del D.P.R. n. 633 del 1972 che consentiva la
regolarizzazione delle violazioni in materia di fatturazione, registrazione,
etc. era quella contenuta nel primo comma, quarto periodo, relativa al
cosiddetto "ravvedimento preventivo", ossia effettuato in sede di
presentazione della dichiarazione. Esso consisteva, per un verso, nella
indicazione "specifica" in dichiarazione dei corrispettivi non registrati (il
che escludeva la violazione di infedele dichiarazione) e, per altro verso, nel
pagamento di una somma pari al dieci per cento di tali maggiori corrispettivi.
Anche adesso, ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, se il
ravvedimento interviene "preventivamente", non essendo configurabile la
violazione di infedele dichiarazione, la regolarizzazione riguarda
essenzialmente l'omessa fatturazione o registrazione (ed eventualmente
l'omesso versamento che ne e' scaturito).
9.1.2 Ravvedimento operoso: infedele dichiarazione IVA periodica
D. Nelle nuove istruzioni di compilazione della dichiarazione IVA periodica
approvate con d.m. 21 dicembre 1999 viene precisato, riguardo al ravvedimento
operoso, che la regolarizzazione dell'infedelta' della dichiarazione periodica
causata da sottostanti violazioni in materia di fatturazione, registrazione,
detrazione, si effettua regolarizzando semplicemente tali violazioni. Alla
luce di cio', puo' ritenersi superata la circolare n. 192/E del 1998 nella
parte in cui afferma che, in caso di violazioni degli obblighi di
documentazione che abbiano dato luogo ad un carente versamento d'imposta, per
regolarizzare completamente la propria posizione il contribuente deve sanare
sia la violazione prodromica che quella indotta, pagando entrambe le sanzioni
ridotte ai sensi di legge?
R. La risposta e' negativa.
Si ribadisce quanto affermato con circolare n. 192 del 1998: qualora l'omessa
fatturazione (o registrazione) abbia dato origine ad un omesso pagamento,
anche per quest'ultima violazione deve essere pagata la sanzione ridotta ai
fini di una completa regolarizzazione.
9.1.3 Ravvedimento operoso: affrancamento di cui al d.lgs. n. 461 del 1997
D. La circolare del Ministero delle Finanze n. 207/E del 26 ottobre 1999,
precisa che la disposizione di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 259 del 1999
stabilisce che i ritardati, omessi o insufficienti versamenti delle imposte e
delle ritenute di cui d.lgs. n. 461 del 1997, i cui termini scadevano il 21
giugno 1999, potevano essere sanati entro il mese di ottobre 1999 senza alcuna
sanzione. Viene sottolineato che gli inadempimenti relativi alle dichiarazioni
dei redditi e alle dichiarazioni dei sostituti di imposta nonche' ai
versamenti ed alle ritenute scadenti dopo il 21 giugno 1999, possono essere
invece sanati con le ordinarie procedure di cui all'art. 13 del d.lgs. n . 472
del 1997 (sempreche' la fattispecie rientri tra quelle oggetto di
ravvedimento(. Si chiede pertanto, posto che il ravvedimento operoso si
riferisce, in genere, ad obblighi non correttamente soddisfatti dal
contribuente e non a fattispecie opzionali quali, ad esempio, l'affrancamento
delle partecipazioni possedute alla data del 1 luglio 1998, ma che la
sanatoria ha come causa ostativa un'attivita' svolta dall'amministrazione
finanziaria di cui l'autore della violazione abbia formale conoscenza, se la
mancata indicazione del valore delle partecipazioni che il contribuente
intendeva affrancare alla predetta data nell'ambito del quadro RT e il
conseguente versamento dell'imposta sostitutiva, costituiscano fattispecie
oggetto di possibile ravvedimento operoso entro il termine di presentazione
della dichiarazione relativa al periodo d'imposta 1999.
R. L'art. 14 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 ha previsto una
disciplina transitoria per le partecipazioni possedute al 1 luglio 1998.
Tale disciplina, che aveva carattere opzionale, consentiva al contribuente di
affrancare le plusvalenze maturate fino al 30 giugno 1998, assicurando loro un
trattamento analogo a quello che si sarebbe applicato se tali plusvalenze
fossero state effettivamente realizzate entro tale data. A tal fine, e' stata
concessa la facolta' di determinare il costo o valore di acquisto delle
partecipazioni possedute al 1 luglio 1998 utilizzando criteri alternativi a
quelli ordinari.
Trattandosi di un regime opzionale, la cui mancata adozione non comporta
ovviamente l'applicazione di alcuna sanzione, in linea generale, non puo'
ammettersi l'istituto del "ravvedimento operoso", il quale e' volto a
rimuovere un comportamento del contribuente sanzionabile dall'Amministrazione
finanziaria. Va, peraltro, sottolineato che, nelle ipotesi in cui
l'affrancamento poteva essere effettuato entro un termine predeterminato,
l'istituto del "ravvedimento operoso" non puo' essere invocato per aggirare la
scadenza del termine ormai avvenuta o per modificare la scelta relativa al
criterio di affrancamento adottato.
Quanto sopra premesso, va precisato che il richiamato "ravvedimento operoso"
puo' essere utilizzato, invece, per rimuovere eventuali irregolarita' che
siano state commesse dal contribuente nell'effettuare l'affrancamento delle
plusvalenze maturate entro il 30 giugno 1998.
E' opportuno ricordare che ai fini dell'affrancamento, occorreva distinguere
le ipotesi in cui le partecipazioni, o i diritti attraverso cui possono essere
acquisite partecipazioni, fossero o meno negoziate in mercati regolamentati e
se fossero qualificate o non qualificate:
1) per le partecipazioni non qualificate negoziate in mercati regolamentati
italiani, cosi' come definite dalla lettera c-bis) del comma 1 dell'articolo
81 del TUIR nel testo vigente anteriormente al 1 luglio 1998, il criterio del
valore al 1 luglio 1998 consisteva nell'assumere in luogo dell'originario
costo o valore di acquisto il valore risultante dalla media aritmetica dei
prezzi rilevati presso i medesimi mercati nel mese di giugno 1998. Per la
valorizzazione di tali partecipazioni non era dovuto il pagamento dell'imposta
sostitutiva e pertanto non doveva essere necessariamente compilato il quadro
RT della dichiarazione dei redditi del 1998. In queste ipotesi, se il quadro
RT non e' stato compilato non c'e' alcuna necessita' di ricorrere al
"ravvedimento operoso"; se, invece, e' stato predisposto in modo errato, e'
possibile usufruire del predetto istituto;
2) per le partecipazioni qualificate, negoziate in mercati regolamentati
italiani, cosi' come definite dalla lettera c) del comma 1 dell'articolo 81
del TUIR nel testo vigente anteriormente al 1 luglio 1998, il criterio del
valore al 1 luglio 1998 consisteva nell'assumere, in luogo dell'originario
costo o valore di acquisto, il valore risultante dalla media aritmetica dei
prezzi rilevati presso i medesimi mercati regolamentati nel mese di giugno
1998, a condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore fossero
assoggettate ad imposta sostitutiva con i criteri di cui al d.L. n. 27 del
1991. L'imposta doveva essere versata entro il termine di versamento delle
imposte sui redditi dovute a saldo in base alla dichiarazione dei redditi
relativa al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 1998.
Tale modalita' di affrancamento si applicava anche alle partecipazioni
qualificate e non qualificate, definite tali dalle lettere c) e c-bis) del
comma 1 dell'articolo 81 del TUIR nel testo vigente anteriormente al 1 luglio,
negoziate esclusivamente in mercati esteri. Per queste ipotesi, se il
contribuente ha commesso errori nella determinazione delle plusvalenze o nel
calcolo dell'imposta sostitutiva e' consentito il ricorso "al ravvedimento
operoso" per correggere errori o omissioni;
3) per le partecipazioni qualificate e non qualificate, non negoziate in
mercati regolamentati italiani o esteri, il criterio del valore al 1 luglio
1998 consisteva nell'assumere in luogo dell'originario costo o valore di
acquisto, il valore della frazione del patrimonio netto della societa',
associazione o ente rappresentata da tali titoli, determinato sulla base delle
risultanze contabili dell'ultimo bilancio approvato prima del 1 luglio 1998, a
condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore fossero
assoggettate ad imposta sostitutiva con i criteri di cui al d.L. n. 27 del
1991. L'imposta doveva essere versata entro il termine di versamento delle
imposte sui redditi dovute a saldo in base alla dichiarazione dei redditi
relativa al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 1998.
In alternativa, il valore della frazione di patrimonio netto rappresentato dai
titoli poteva essere determinato, ai sensi del comma 9 del medesimo articolo
14 del d.lgs. n. 461 del 1997, in relazione al valore effettivo di mercato del
patrimonio della societa' partecipata, sulla base di una relazione di stima,
redatta dai soggetti abilitati ivi elencati (soggetti iscritti all'albo dei
dottori commercialisti, dei ragionieri, dei periti commerciali e nell'elenco
dei revisori contabili). Tale relazione doveva essere giurata e al redattore
si applicano le disposizioni del Codice penale relative ai periti (art. 64 del
Codice di procedura civile).
La relazione giurata doveva essere necessariamente indicata nella
dichiarazione dei redditi della societa' (associazione o ente) relativa al
periodo d'imposta in corso alla data del 1 luglio 1998, unitamente ai dati
identificativi dell'estensore della perizia. A tal fine, era stato inserito un
apposito prospetto nel quadro RB della dichiarazione dei redditi, modello
Unico 99 persone giuridiche e nel quadro RP del modello Unico 99 societa' di
persone.
La relazione giurata doveva esprimere il valore effettivo di mercato della
societa' al 1 luglio 1998; tale valore doveva essere reso noto ai soci,
associati o partecipanti che ne avessero fatto richiesta.
Anche in queste ipotesi e' possibile ricorrere all'istituto del "ravvedimento
operoso" per correggere errori ed omissioni nella determinazione delle
plusvalenze e nel calcolo dell'imposta ovvero per indicare nella dichiarazione
della societa' i dati relativi alla perizia giurata, la quale, pero', deve
comunque essere stata redatta e giurata con le modalita' previste dalla norma
ed entro il termine di presentazione della dichiarazione originaria.
9.1.4 Ravvedimento operoso: irregolarita' nei modelli di versamento
D. L'articolo 15 del d.lgs. n. 471 del 1997 prevede, esplicitamente, la
sanzione relativa ad irregolarita' nei documenti di versamento qualora questi
"non contengono gli elementi necessari per l'identificazione del soggetto che
li esegue e per l'imputazione della somma versata". Nell'ipotesi in cui si
verifichi un errore relativo, ad esempio, all'indicazione di somme dovute a
titolo di tributo erariale indicate nella sezione riservata ai tributi
regionali, e' necessario effettuare il ravvedimento operoso in quanto tale
violazione e' sanzionabile o e' sufficiente una comunicazione indirizzata
all'ufficio finanziario e al concessionario della riscossione senza la
necessita' di corrispondere alcuna sanzione anche in misura ridotta?
R. L'art. 15 del d.lgs n. 471 del 1997 disciplina l'ipotesi in cui i documenti
utilizzati per i versamenti diretti non contengano gli elementi necessari per
l'identificazione del soggetto che li esegue e per l'imputazione della somma
versata.
La fattispecie descritta nel quesito, come anche l'errata indicazione del
codice tributo, integra la violazione citata, per la quale e' prevista una
sanzione da lire duecentomila a lire un milione.
Essa puo' essere regolarizzata entro tre mesi senza necessita' di effettuare
alcun pagamento, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997.
Qualora, invece, la regolarizzazione intervenga oltre i tre mesi, ma entro il
termine di cui al comma 1, lettera b), del citato articolo 13, deve essere
corrisposto l'importo di lire 33.000, pari ad un sesto del minimo della
sanzione.
Quanto alle concrete modalita' di ravvedimento relative al Mod. F24, oltre
all'eventuale pagamento il contribuente dovra' inviare, entro i termini di cui
si e' detto, un'apposita comunicazione al Ministero delle Finanze
(precisamente all'Ufficio Struttura di Gestione della Direzione Centrale per
la Riscossione del Dipartimento delle Entrate) fornendo chiarimenti circa la
corretta imputazione del pagamento. Non e' possibile, dunque, regolarizzare
attraverso la presentazione di un nuovo modello F24.
9.1.5 Ravvedimento operoso: violazioni IVA prodromiche e indotte
D. Al paragrafo 20 dell'appendice alle istruzioni della dichiarazione annuale
IVA 2000, nel punto 3 b) viene trattata l'ipotesi della regolarizzazione di
errori ed omissioni non rilevabili in sede di controllo ex articolo 54-bis,
DPR n. 633 del 1972, quali omessa fatturazione o registrazione di operazioni
imponibili, ecc., precisando che il ravvedimento si effettua pagando un sesto
della sanzione (vale a dire il 16,66% dell'imposta), il tributo e gli
interessi moratori e presentando dichiarazione integrativa. Il fatto che non
si accenni alla regolarizzazione anche della violazione "prodromica" che ha
provocato l'infedelta' della dichiarazione, attraverso il pagamento della
corrispondente sanzione ridotta, significa che sanando l'infedelta' della
dichiarazione vengono automaticamente sanate anche le violazioni "a monte"?
R. La risposta e' negativa.
Si precisa, in premessa, che le istruzioni relative alla compilazione di una
dichiarazione hanno riferimento limitato alla dichiarazione da presentare e
non possono, quindi, essere interpretate in maniera estensiva in relazione a
fattispecie non attinenti.
Nel caso in esame, nelle istruzioni alla compilazione della dichiarazione IVA,
in tema di ravvedimento, correttamente e' stata menzionata soltanto la
violazione relativa all'infedelta' della dichiarazione e non anche quelle
prodromiche (omessa fatturazione, etc.).
Trattandosi di fattispecie distinte, infatti, in linea di principio il
ravvedimento relativo ad una violazione non dipende necessariamente dal
ravvedimento relativo alle altre, fermo restando il potere
dell'Amministrazione di sanzionare le violazioni non regolarizzate.
Al paragrafo 20 dell'appendice alle istruzioni della dichiarazione annuale IVA
2000, nel punto 3 b), si spiega dunque che ai fini del ravvedimento relativo
all'infedele dichiarazione non e' necessario sanare (o aver sanato) anche le
violazioni prodromiche, ma cio' non significa che queste ultime siano
assorbite nell'infedele dichiarazione.
Tale assorbimento, in realta', non sarebbe neppure possibile, considerato che
nel momento in cui interviene il ravvedimento relativo alla dichiarazione e'
gia' scaduto il termine per regolarizzare le violazioni "a monte".
9.1.6 Ravvedimento operoso: debito previdenziale compensato con credito
tributario non capiente
D. La risoluzione del ministero delle finanze n. 70/E del 13 luglio 1998
afferma che, nell'ipotesi di errata compensazione, il contribuente che intende
effettuare il ravvedimento operoso deve procedere al versamento delle somme a
debito corrispondenti al credito non capiente od indebitamente compensato.
Tale procedura, che non presenta particolari problematiche qualora la
compensazione sia effettuata nell'ambito dei tributi e' bloccata in relazione
alle ipotesi in cui, attraverso crediti tributari, si compensano debiti
previdenziali. E' possibile che, ai fini della semplificazione, in una
situazione di questo genere il contribuente proceda al ravvedimento operoso
ripristinando, per intero, il credito indebitamente utilizzato in
compensazione?
R. La risoluzione n. 70/E 13 luglio 1998, nel caso di compensazione di crediti
inesistenti, riconosce la possibilita' al contribuente di avvalersi
dell'istituto del ravvedimento, effettuando il versamento delle somme a debito
corrispondenti al credito inesistente erroneamente compensato.
Al riguardo, si fa presente che sono allo studio soluzioni, sia a livello
normativo che amministrativo, volte a consentire di effettuare il ravvedimento
in riferimento al credito inesistente.
9.1.7 Ravvedimento (Art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997)
D. Si chiede di conoscere quali siano i termini e le relative sanzioni del
ravvedimento ex art. 13 d.lgs. 472 del 1997 per le seguenti fattispecie:
------------------------------------------------------------------------------
Termine entro il quale ammontare delle
puo' essere effettuato sanzioni
il ravvedimento
------------------------------------------------------------------------------
Dichiarazione annuale
per le imposte sui
redditi
------------------------------------------------------------------------------
dichiarazione
annuale dei sostituti
di imposta
------------------------------------------------------------------------------
dichiarazione annuale
IVA
------------------------------------------------------------------------------
dichiarazione
periodica IVA
------------------------------------------------------------------------------
dichiarazione di
successione
------------------------------------------------------------------------------
Si chiede inoltre:
- se ed entro quale termine e' possibile il ravvedimento anche per la
correzione di soli errori formali;
- se l'imposta dovuta a seguito del ravvedimento puo' essere compensata con
altri crediti del contribuente sia in senso "verticale" che "orizzontale".
R.
------------------------------------------------
II.DD.- IVA
OMESSA DICHIARAZIONE
entro 90 giorni dal termine di scadenza 1/8 del minimo
per la presentazione della dichiarazione
VIOLAZIONI SOSTANZIALI
entro il termine per la presentazione 1/5 del minimo
della dichiarazione dell'anno in cui e'
stata commessa la violazione
VIOLAZIONI FORMALI
-entro 3 mesi dal termine di scadenza
per la presentazione della dichiarazione nessuna sanzione
-entro il termine per la presentazione
della dichiarazione dell'anno in cui
e' stata commessa la violazione 1/5 del minimo
OMESSI PAGAMENTI
-entro 30 giorni dalla data dell'infrazione 1/8 del minimo
-entro il termine per la presentazione
della dichiarazione dell'anno in cui e'
stata commessa la violazione 1/5 del minimo
DICHIARAZIONE DI SUCCESSIONE
OMESSA DICHIARAZIONE
-entro 90 giorni dal termine di scadenza
per la presentazione della dichiarazione 1/8 del minimo
-entro 1 anno dal termine di scadenza
per la presentazione della dichiarazione 1/5 del minimo
VIOLAZIONI SOSTANZIALI
entro 1 anno dalla commessa violazione 1/5 del minimo
VIOLAZIONI FORMALI
-entro 3 mesi dalla commessa violazione nessuna sanzione
-entro 1 anno dalla commessa violazione 1/5 del minimo
---------------------------------------------------------
Si considerano "violazioni formali" le omissioni e gli errori che non incidono
sulla determinazione e sul pagamento del tributo.
Si considerano "violazioni sostanziali" le omissioni e gli errori che incidono
sulla determinazione e sul pagamento del tributo, violazioni rilevabili cioe'
sia in sede di liquidazione dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione
prodotta che in sede di rettifica della stessa.
In ordine alla compensazione delle imposte derivanti dal ravvedimento si
precisa che i crediti risultanti dalla dichiarazione annuale precedente
possono essere utilizzati in compensazione dal giorno successivo a quello in
cui si e' chiuso il periodo d'imposta.
Pertanto si ritiene, in linea di principio, che i debiti emergenti a seguito
del ravvedimento di cui all'articolo 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, possono
essere compensati con i crediti del periodo d'imposta precedente, fatta
eccezione dei crediti IVA risultanti dalle liquidazioni periodiche effettuate,
che possono essere computati in detrazione ai fini di ridurre i debiti IVA
emergenti dalle successive liquidazioni periodiche.
Anche in tale ipotesi, tuttavia, e' possibile la compensazione dell'IVA a
debito emergente dal ravvedimento relativo ad omissioni ed errori rilevanti ai
fini delle liquidazioni periodiche, ma solo con la cosiddetta procedura
semplificata.
Fermo restando il versamento, entro i termini stabiliti dal citato articolo
13, con Modello F23 delle sanzioni ridotte.
9.1.8 Ravvedimento con procedura "speciale"
D. In caso di ravvedimento con la procedura "speciale" indicata nelle
istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni IVA periodiche, come
occorre comportarsi nelle ipotesi di omessa fatturazione e/o di indebita
detrazione riferite allo stesso anno? Quali righi e caselle vanno compilati?
Inoltre, gli interessi moratori vanno calcolati solo in caso di dichiarazione
a debito ovvero anche per le dichiarazioni a credito? E' opportuna una mappa
con le diverse ipotesi anche in ordine alla misura delle sanzioni ridotte.
R. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 472 del 1997 il
ravvedimento va operato entro il termine di presentazione della dichiarazione
annuale relativa all'anno in cui la violazione e' stata commessa.
In caso di ravvedimento con procedura "semplificata" relativo alle
dichiarazioni IVA periodiche infedeli, la regolarizzazione puo' essere
effettuata, inserendo nel rigo VP8 le variazioni di imposta e nei righi dal
VP1 al VP3 le variazioni dell'imponibile previa barratura della casella 2
posta nell'intestazione del riquadro.
Nel rigo VP8 vanno indicate le variazioni di imposta comprensive degli
eventuali interessi compensativi dovuti dai soggetti che hanno optato per la
liquidazione trimestrale dell'imposta maggiorati degli interessi moratori
dovuti per il ravvedimento.
E' possibile utilizzare la procedura semplificata fino al termine di
presentazione dell'ultima dichiarazione periodica del periodo d'imposta,
relativa cioe' al mese di dicembre o al quarto trimestre dell'anno.
Nell'ipotesi di omessa fatturazione e/o indebita detrazione che abbia dato
origine all'omesso o carente versamento dell'imposta, la regolarizzazione
comporta il pagamento delle sanzioni ridotte per omessa fatturazione e/o
indebita detrazione e per omesso pagamento, oltre al versamento dell'imposta e
degli interessi moratori.
In linea generale, come peraltro affermato dalle circolari n. 180 e n. 192 del
1998, il ravvedimento opera su singole violazioni e di conseguenza sia sulle
violazioni prodromiche che su quelle indotte. In nessun caso, quindi, il
ravvedimento operato su violazioni indotte si estende sulle violazioni
prodromiche e viceversa.
Resta inteso che nelle fattispecie omissive o commissive distinte, il
ravvedimento relativo ad una violazione non dipende dal ravvedimento delle
altre, fermo restando il potere degli uffici finanziari di irrogare le
sanzioni previste per le violazioni non oggetto di regolarizzazione.
In alternativa alla procedura semplificata si potra' presentare una
dichiarazione periodica integrativa relativa al periodo nel corso del quale e'
stata commessa la violazione originaria. Se la violazione originaria ha
provocato l'infedelta' delle successive dichiarazioni occorre procedere alla
regolarizzazione di tutte le dichiarazioni periodiche prodotte.
Nell'ipotesi di "dichiarazioni irregolari", e cioe' di dichiarazioni
periodiche nelle quali sono stati indicati dati errati non rilevanti ai fini
della determinazione o pagamento dell'imposta, la regolarizzazione puo' essere
operata, presentando dichiarazioni integrative, entro tre mesi senza
applicazione di sanzioni o nel termine di presentazione delle dichiarazioni
annuali con il contestuale pagamento della sanzione ridotta di lire 83.000.
In caso di omissione delle dichiarazioni periodiche la regolarizzazione va
operata, entro trenta giorni, presentando ai sensi dell'articolo 13, comma 1,
lett. c), la dichiarazione e provvedendo al pagamento della sanzione ridotta
pari a 1/8 del minimo.
9.2 Altri quesiti in materia di sanzioni
9.2.1 Mancato pagamento entro sessanta giorni delle somme accertate ai fini
IVA
D. In caso di omesso pagamento dell'IVA accertata dall'ufficio nei termini
stabiliti dall'articolo 60 del DPR n. 633 del 1972, si rende oppure no
applicabile la sanzione prevista dall'articolo 13 del d.lgs. n. 471 del 1997?
R. La previsione dell'art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 e' di carattere
generale, riguarda cioe' tutti i casi in cui sorge l'obbligo di pagare
un'imposta entro una precisa scadenza e tale incombenza viene disattesa.
Pertanto, anche il mancato pagamento dell'imposta accertata dall'ufficio entro
i termini stabiliti dall'art. 60 del DPR n. 633 del 1972 e' soggetto alla
sanzione del trenta per cento.
9.2.2 Irrogazione sanzioni: termini di decadenza
D. L'irrogazione delle sanzioni per omesso o tardivo versamento delle imposte
sui redditi e dell'IVA deve effettuarsi nei termini indicati dall'articolo 20
del d.lgs. n. 472 del 1997 oppure in quelli indicati nell'articolo 17, lettere
a) e b), del DPR 602/73, come sostituito dall'articolo 6 del d.lgs. n. 46 del
1990? Qualora fosse esatta la prima ipotesi, il "diverso termine previsto per
l'accertamento dei singoli tributi" del quale e' cenno nell'articolo 20, nel
testo risultante a seguito delle modifiche previste dallo schema di D.Lgs.
approvato il 29/12/99, nei riflessi dell'IVA e delle imposte sui redditi va
identificato con il termine quinquennale di cui agli art. 43 del DPR n. 600
del 1973 e art. 57 del DPR n. 633 del 1972?
R. L'art. 20 del d.lgs. 472 del 1997 prevede che il termine di decadenza entro
cui gli Uffici devono notificare l'atto di contestazione o d'irrogazione
(ovvero irrogare le sanzioni contestualmente all'atto di accertamento o
rettifica o iscrizione a ruolo del tributo) e' fissato nel 31 dicembre del
quinto anno successivo a quello in cui e' avvenuta la violazione o nel diverso
termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi.
Con il decreto legislativo approvato in data 29 dicembre 1999, infatti,
l'espressione "maggior termine" e' stata sostituita con quella "diverso
termine".
L'espressione "accertamento dei singoli tributi", contenuta nella norma
richiamata, deve essere intesa in senso lato.
Pertanto, quanto alla sanzione prevista per l'omessa o infedele dichiarazione
i termini di riferimento sono quelli di cui all'art. 43 del DPR n. 600 del
1973 e all'art. 57 del DPR n. 633 del 1972.
Quanto, invece, alla sanzione prevista per l'omesso versamento del tributo,
deve aversi riguardo ai nuovi termini previsti dall'art. 17 del DPR n. 602 del
1973, come modificato dal d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.
L'art. 17 citato, nel disciplinare i termini di decadenza per l'iscrizione a
ruolo, dispone che le somme dovute a seguito dell'attivita' di controllo
formale ex art. 36-bis ed ex art. 36-ter del DPR n. 600 del 1973 vengano
iscritte in ruoli resi esecutivi rispettivamente entro il 31 dicembre del
secondo anno ed entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di
presentazione della dichiarazione.
Si ricorda, in ogni caso, che le disposizioni di cui al citato art. 17 sono
applicabili esclusivamente alle imposte dirette ed all'imposta sul valore
aggiunto (ex art. 23 d.lgs. n. 46 del 1999) e, per quanto riguarda le lettere
a) e b) dello stesso articolo, con riferimento alle dichiarazioni presentate a
decorrere dal 1 gennaio 1999 (ex art. 36, comma 2, d.lgs. n. 46 del 1999).
9.2.3 Tardiva o omessa trasmissione telematica delle dichiarazioni
D. Il comma 3-ter aggiunto nell'articolo 25 del d.lgs. n. 472 del 1997 con
decreto approvato dal Consiglio del Ministri il 29 dicembre 1999, prevede
quali omissioni ed errori, sanabili entro 30 giorni dall'invito, anche quelli
fatti dagli intermediari nella trasmissione della dichiarazione (errori,
ritardi nella trasmissione, ecc.)?
R. La risposta e' negativa. Il comma 3-ter, aggiunto nell'art. 25 del d.lgs.
n. 472 del 1997 con il decreto correttivo approvato dal Consiglio dei ministri
il 29.12.1999, riguarda, infatti, soltanto la sanatoria delle violazioni
formali di carattere tributario.
La sanzione a carico degli intermediari per tardiva od omessa trasmissione
telematica delle dichiarazioni, prevista dall'art. 7-bis del d.lgs. 9 luglio
1997, n. 241, non ha carattere tributario ma amministrativo, come precisato
con circolare n. 197/99.
Pertanto non sono applicabili le disposizioni contenute nel d.lgs. 472 del 97,
che detta regole generali in materia di sanzioni tributarie.
9.2.4 Violazioni relative agli obblighi di documentazione, registrazione ed
individuazione delle operazioni IVA: sanzione minima
D. Per l'omessa fatturazione o registrazione di operazioni imponibili,
l'articolo 6, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 commina la sanzione dal 100
al 200% dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato nel
corso dell'esercizio; il comma 3 commina la sanzione pari al 100%
dell'imposta per le violazioni di omesso rilascio di scontrini e ricevute
fiscali.
In entrambi i casi, la sanzione non puo' essere inferiore ad un milione di
lire, come previsto dal comma 4. Stando alla circolare n. 23 del 1999, tale
minimo riguarda ogni singola violazione. Questa interpretazione si riflette,
pero', negativamente sul ravvedimento operoso, scoraggiandone l'applicazione
per via dell'eccessiva onerosita' della sanzione da corrispondere; al di fuori
di tale contesto, invece, tanto rigore sarebbe pressoche' del tutto vanificato
dall'istituto del cumulo giuridico. Va, inoltre, considerato che la suddetta
interpretazione sembra sottendere un'ingiustificata disparita' di trattamento
a vantaggio dei contribuenti tenuti soltanto all'annotazione dei
corrispettivi, poiche' in caso di omessa contabilizzazione la soglia minima di
un milione andrebbe riferita all'imponibile non documentato "nel corso
dell'esercizio" e non ad ogni singola violazione. Alla luce di quanto
rappresentato, si chiede se non si ritenga opportuno modificare
l'interpretazione del citato comma 4 dell'articolo 6 fornita con la circolare
n. 23 del 1999.
R. Per le violazioni previste ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 6 del d.lgs.471 del
1997 (relative agli obblighi di documentazione, registrazione ed
individuazione delle operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto) la
sanzione, commisurata all'importo delle operazioni, non puo' comunque essere
inferiore a lire un milione, ai sensi del comma 4 dello stesso articolo.
Con la circolare n. 23/E del 1999, stante il dato testuale ed in base a
considerazioni di ordine sistematico, e' stato chiarito che, nel caso di piu'
violazioni, il minimo di lire un milione deve essere riferito ad ogni singola
violazione e non all'ammontare complessivo delle stesse.
Ai fini del ravvedimento, in particolare, le violazioni da sanare sono
autonome e cosi' le sanzioni, non essendo corretto ipotizzare una violazione
unitaria, consistente nella ripetuta omissione di documentazione, con relativa
sanzione commisurata all'importo complessivo non documentato. Ugualmente,
nell'ambito del citato art. 6, non e' possibile ipotizzare una sanzione minima
"unitaria" per violazioni autonome, in quanto ciascuna violazione, salvo
espressa previsione normativa, deve essere punita con la sanzione
corrispondente.
Ne' e' possibile, peraltro, applicare l'istituto della continuazione (previsto
dall'art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997) in occasione del ravvedimento
(disciplinato dall'art. 13 dello stesso decreto). Il ravvedimento, in
particolare, si configura quale facolta' attribuita al contribuente, volta ad
eliminare le violazioni commesse nei termini ed alle condizioni stabilite
dalla legge. La rimozione va operata per ogni singola violazione, sia
prodromica che indotta, essendo preclusa al contribuente, in questo ambito, la
valutazione degli elementi che potrebbero dar luogo al cumulo giuridico;
quest'ultima valutazione, infatti, e' di competenza dell'Ufficio impositore,
nell'ambito dell'attivita' di accertamento, e non del contribuente in sede di
ravvedimento.
Chiaramente, quando si tratta di violazioni di esiguo ammontare, il minimo di
un milione previsto per ogni singola violazione dal citato art. 6, comma 4,
d.lgs. n. 471 del 1997, puo' avere un effetto disincentivante sul
ravvedimento. L'inconveniente, peraltro, non incide sulla correttezza
dell'interpretazione fornita, fondata su un dato normativo vincolante.
Viceversa, allorche' si tratti di violazioni di notevole ammontare,
considerare le stesse come autonome e distinte non solo e' irrilevante agli
effetti del ravvedimento - in quanto la soglia minima di un milione di lire e'
superata- ma puo' comportare un effetto positivo per il contribuente, nel caso
di irrogazione da parte dell'ufficio, in base al principio del cumulo
giuridico di cui al citato art. 12 che non sarebbe applicabile, ovviamente,
qualora una violazione fosse considerata unitaria.
In ogni caso, si precisa che non esiste alcuna disparita' a vantaggio dei
contribuenti tenuti all'annotazione dei corrispettivi ai sensi dell'art. 25
del DPR n. 633 del 1972. L'annotazione deve, infatti, essere eseguita entro il
giorno non festivo successivo a quello in cui le operazioni sono state
effettuate e, quindi, anche per tale adempimento sono, di regola,
configurabili distinte violazioni.
9.2.5 Quadro W - Sanzioni
D. Dopo la riforma del regime sanzionatorio e, soprattutto, dopo la scomparsa
nelle istruzioni al quadro W di specifici riferimenti al regime sanzionatorio,
si e' consolidato il convincimento che sia applicabile l'articolo 8 del d.lgs.
471 del 1997 e che quindi le sanzioni di cui all'articolo 5 del d.l. n. 167
del 1990 debbano considerarsi implicitamente abrogate. E' necessario che il
ministero delle Finanze chiarisca la propria opinione in proposito.
R. Il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 ha modificato organicamente la
disciplina delle sanzioni tributarie non penali applicabili in materia di
imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi.
In particolare, l'art. 8, comma 1, del menzionato decreto prevede la sanzione
amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni se nella
dichiarazione dei redditi, tra l'altro, "non e' indicato in maniera esatta e
completa ogni altro elemento prescritto per il compimento dei controlli".
La disposizione, come e' noto, si applica fuori dei casi previsti negli
articoli 1, 2 e 5 dello stesso decreto, concernenti - tra l'altro -
l'indicazione di un reddito imponibile inferiore a quello accertato o,
comunque, di un'imposta inferiore a quella dovuta o di un credito superiore a
quello spettante (con sanzione dal cento al duecento per cento della maggior
imposta o della differenza del credito, aumentata di un terzo se le violazioni
riguardano redditi prodotti all'estero).
L'art. 16 del medesimo decreto prevede l'abrogazione di alcune norme,
espressamente richiamate al comma 1, e di ogni altra disposizione in contrasto
con il decreto stesso (comma 2).
Pertanto, si ritiene che le sanzioni applicabili alle violazioni connesse con
la compilazione del quadro RW, previste dall'art. 5, commi 2,4, 5 e 6, del
d.l. 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla l. 4 agosto 1990, n. 227,
debbano considerarsi abrogate, in quanto diversamente disciplinate dalle
sopravvenute disposizioni normative, sopra richiamate.
9.2.6 Deducibilita' delle sanzioni UE
D. Sono deducibili le sanzioni pecuniarie irrogate dalla UE per la violazione
degli articoli 85 e 86 del Trattato di Roma in tema di concorrenza oppure
dall'autorita' italiana antitrust?
R. Le sanzioni pecuniarie irrogate dalla UE o da altri organismi non sono
deducibili dal reddito d'impresa in quanto trattasi di oneri non inerenti
all'attivita' d'impresa.
L'irrogazione della sanzione e' infatti una conseguenza del comportamento
illecito tenuto dal contribuente.
10 RISCOSSIONE
10.1 Quesiti vari in materia di riscossione
10.1.1 Compensazione di credito IVA superiore a 500 milioni di lire
D. Attualmente il limite per il rimborso del credito da parte del
concessionario e per la compensazione ex art. 17, d.lgs. n. 241 del 1997, e'
fissato in 500 milioni di lire per l'anno d'imposta. Come deve comportarsi in
sede di presentazione del modello VR per il rimborso dell'IVA di un credito
superiore a mezzo miliardo, il contribuente che, intendendo utilizzare il
plafond di 500 milioni nella compensazione, non vuole ottenere il rimborso del
credito dal concessionario?
R. Il quesito trova risposta nel comunicato stampa diffuso dal Ministero delle
Finanze il 31 gennaio 2000. Se ne richiama dunque il testo, per la parte che
qui interessa:
I contribuenti che intendono richiedere il rimborso del credito IVA emergente
dalla dichiarazione annuale relativa all'anno 1999, devono presentare al
competente concessionario della riscossione il Mod. VR/2000 (approvato con
decreto dirigenziale del 30 dicembre 1999 e pubblicato nel supplemento
ordinario alla G.U. n. 5 dell'8 gennaio 2000) in due esemplari, entrambi
sottoscritti in originale.
Da quest'anno infatti i modelli di dichiarazione non riportano espressamente
l'indicazione "copia per il contribuente", "copia per il concessionario" o
"copia per l'Ufficio" in quanto sono resi disponibili gratuitamente dal
Ministero delle Finanze in formato elettronico nell'apposito sito Internet dal
quale possono essere prelevati.
Qualora, in sede di presentazione del modello, il contribuente non possa
fruire della procedura semplificata di rimborso tramite il concessionario,
avendo gia' superato il limite di 500 milioni per anno solare previsto
dall'art. 25, comma 2, d.lgs. n. 241 del 9/7/97, o ne intenda fruire solo in
parte per poter godere della compensazione, deve presentare, in allegato al
modello VR/2000, una espressa richiesta contenente l'indicazione specifica
dell'importo del rimborso che si intende richiedere al concessionario nel
rispetto del predetto limite.
Si ricorda che l'importo complessivo richiesto a rimborso, da indicare nel
rigo VR4 del modello VR/2000, dovra' corrispondere a quanto indicato nella
dichiarazione IVA relativa al 1999 (rigo VX3 del modello IVA 2000).
L'eventuale importo da compensare dovra', invece, essere compreso nel rigo VX4
del medesimo modello.
10.1.2 Rateazione di somme iscritte a ruolo: discrezionalita' dell'ufficio
D. Ai sensi dell'articolo 19 del DPR n. 602 del 1973, come sostituito
dall'articolo 7 del d.lgs. n. 46 del 1990, l'ufficio puo' concedere, su
richiesta del contribuente, la dilazione del pagamento delle somme iscritte a
ruolo fino ad un massimo di sessanta rate mensili, oppure la sospensione della
riscossione per un anno seguita dalla rateizzazione fino ad un massimo di
quarantotto rate mensili. La discrezionalita' dell'ufficio riguarda
esclusivamente la concessione o meno del beneficio oppure attiene anche alla
determinazione del numero delle rate, eventualmente in difformita' della
richiesta del debitore? Se l'ammontare del debito non supera cinquanta milioni
di lire, l'ufficio puo' ugualmente subordinare la concessione del beneficio
alla prestazione di idonea garanzia fideiussoria?
R. La circolare n. 15 del 26 gennaio 2000 chiarisce che, all'Ufficio che ha
emesso il ruolo, e' attribuita la piena titolarita' del potere di rateazione
anche ai fini della determinazione del numero di rate da accordare.
L'art. 19 del DPR n. 602 del 1973 non esclude che, per gli importi inferiori a
50 milioni di lire, l'Ufficio possa subordinare la concessione della
rateazione al rilascio di idonea garanzia in considerazione della specifica
situazione del contribuente, da valutare caso per caso.
11 ALTRI QUESITI
11.1 Quesiti vari
11.1.1 Classificazione ai fini ICIAP degli agenti di assicurazione
D. Ai fini dell'imposta sui redditi l'agente di assicurazione e' equiparato
all'agente di commercio con il chiarimento espresso al punto 2.1.3.5 della
circolare 10 febbraio 1998 n. 48/E. Siccome il reddito e' determinato ai sensi
del TUIR e' da ritenere che anche ai fini dell'ICIAP venga estesa
l'equiparazione per gli "agenti in gestione libera" i quali vengono remunerati
in base a provvigioni commisurate sia sull'acquisto di contratti che sul
mantenimento degli stessi, a differenza degli "agenti in economia" e degli
"agenti di citta'". Per i primi pertanto e' corretto l'inquadramento nel
settore di attivita' "5" e non "9" ai fini dell'ICIAP?
R. La rappresentata circostanza che, ai fini dell'imposta sui redditi, gli
agenti di assicurazione sono equiparati agli agenti di commercio, giusta la
precisazione contenuta nella circolare ministeriale n. 48/E del 10 febbraio
1998, non induce a valutazioni interpretative difformi da quelle che hanno, in
passato, determinato l'orientamento della Direzione Centrale per la Fiscalita'
Locale, secondo il quale l'attivita' di detti agenti di assicurazione e'
inquadrabile nel IX settore di riferimento della tabella prevista in materia
di imposta ICIAP.
Cio' anche tenuto conto delle diverse modalita' di esercizio dell'attivita'
medesima.
La capacita' reddituale dichiarata per ciascuna annualita' rappresenta,
infatti, solo un parametro correttivo dell'imposta gia' predeterminata nella
menzionata tabella in base alle tipologie di attivita' tassativamente
raggruppate per settori e alla superficie di aree o locali eventualmente
utilizzati dal contribuente.
L'orientamento di cui sopra, come gia' si e' avuto modo di far presente in
molteplici occasioni (risoluzioni, risposte a interrogazioni parlamentari,
decreti, appunti per il Gabinetto dell'On. le Sig. Ministro), si basa su una
interpretazione logico-sistematica delle disposizioni vigenti in materia che,
nel rispetto di determinati elementi caratterizzanti le singole attivita',
tiene conto dei meccanismi e dei criteri previsti per la specifica imposizione
locale.
In sostanza, l'interpretazione di cui innanzi, per nulla disconoscendo la
qualificazione dei soggetti interessati ai fini civilistici e previdenziali,
parte dalla considerazione che l'elencazione delle attivita' costituenti
parametro di tassazione ICIAP, contenuta nella tabella allegata al d.L.30
settembre 1989, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre
1989,n. 384, abbia carattere tassativo e riposi sul principio della diretta
correlazione tra le attivita' di commercio previste nel V settore e
l'attivita' di intermediazione nello stesso indicata. L'esistenza di tale
correlazione porta, dunque, ad escludere ogni connessione tra quell'attivita'
e gli agenti di assicurazione. Cio', peraltro, sembra trovare conferma nella
circostanza che l'attivita' di intermediazione e' evidenziata unicamente nei
settori IV e V della tabella, riguardanti, rispettivamente, l'esercizio di
determinate attivita' di commercio all'ingrosso e di commercio al minuto.
Da quanto sopra discende che, non riscontrandosi nella normativa tributaria
ICIAP uno specifico settore corrispondente all'attivita' degli agenti di
assicurazione, la sua collocazione va ricercata nell'ambito del settore IX, di
carattere residuale, sotto la voce " servizi vari".
11.1.2 Documentazione del vincolo pertinenziale relativo all'abitazione
principale
D. Ai fini delle varie agevolazioni tributarie (in particolare: IVA, IRPEF,
ICI) previste per le unita' immobiliari costituenti pertinenze di case di
abitazione, e' necessario che il vincolo pertinenziale risulti da atto
pubblico o scrittura privata autenticata, secondo il principio in base al
quale il rapporto di oggettiva accessorieta' non e' sufficiente ad integrare
la nozione di pertinenza, occorrendo a tal fine anche un'espressa
dichiarazione di volonta' diretta a manifestare la destinazione della cosa
accessoria al servizio di quella principale, oppure puo' prescindersi da tale
requisito formale?
R. In base alla disciplina generale dettata dall'articolo 817 del Codice
civile sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un'altra cosa e tale destinazione puo' essere effettuata da chi
sia proprietario o sia titolare di un diritto reale sulla cosa principale. Per
la qualificazione del concetto di pertinenza non e' pertanto sufficiente il
rapporto funzionale con il bene principale ma e' anche necessario un elemento
soggettivo consistente nella volonta' effettiva del soggetto che ne abbia
titolo di destinare il bene medesimo al servizio o ad ornamento del bene
principale.
Ai fini dell'IVA, per quanto concerne l'applicazione dell'aliquota IVA del 4%
per gli immobili destinati a costituire pertinenze di "prima casa", la
volonta' di destinare l'immobile a pertinenza deve essere manifestata per
iscritto nell'atto di acquisto. Tale principio si ricava dall'articolo 3,
comma 131, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, secondo cui l'aliquota IVA
del 4% prevista per l'acquisto della prima casa di abitazione, si applica
all'acquisto, anche con atto separato, delle pertinenze dell'immobile
medesimo.
Le stesse conclusioni possono essere riproposte con riferimento all'imposta di
registro, nella considerazione che il comma 3 della nota II-bis) all'articolo
1 della tariffa, parte prima, del DPR n. 131 del 1986, prevede espressamente
le condizioni ed i limiti per l'applicabilita' dell'agevolazione all'acquisto,
anche con atto separato, delle pertinenze "dell'immobile di cui alla lettera
a)".
Per quanto concerne invece l'IRPEF si prescinde dal requisito formale della
dichiarazione di volonta' espressa nell'atto facendosi esclusivamente
riferimento al comportamento concludente delle parti.
L'art. 10, comma 3-bis, del TUIR, inserito dall'articolo 6, comma 1, lett. a),
della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stabilisce infatti che sono pertinenze
ai fini dell'IRPEF le cose immobili di cui all'articolo 817 del c.c.,
classificate o classificabili in categorie diverse da quelle ad uso abitativo,
destinate ed effettivamente utilizzate in modo durevole a servizio dell'unita'
immobiliare adibita ad abitazione principale delle persone fisiche.
Ai fini dell'ICI, per l'applicazione delle agevolazioni alle pertinenze di una
abitazione principale si prescinde dalla sussistenza di un atto formale di
destinazione.
Si precisa, inoltre, riguardo all'ICI, che l'art. 30, comma 12, della legge
finanziaria (n. 488 del 1999) ha stabilito che fino all'anno 1999 compreso,
l'aliquota ridotta si applica soltanto agli immobili adibiti ad abitazione
principale a meno che, come precisa il successivo comma 13, il Comune non
abbia deliberato per questa annualita', l'estensione dell'aliquota ridotta
anche alle pertinenze. A decorre, invece, dal 1 gennaio 2000, alla pertinenza
deve riservarsi lo stesso trattamento dell'abitazione principale, come del
resto precisato nella circolare n. 114/E del 25 maggio 1999.
11.1.3 Disapplicazione di norme antielusive ai sensi dell'art. 37-bis del DPR
n. 600 del 1973
D. L'articolo 37-bis, comma 8, del DPR n. 600/73 prevede che i contribuenti
possano indirizzare apposita istanza di disapplicazione delle norme tributarie
che, limitando "deduzioni, detrazioni, crediti di imposta o altre posizioni
soggettive altrimenti ammesse".
La risposta dell'amministrazione finanziaria ha valenza oltre che ai fini
delle imposte sui redditi anche ai fini IVA ovvero, in considerazione del
fatto che il disposto normativo e' posto nell'ambito del DPR n. 600 del 1973,
l'ambito di applicazione e' limitato alle disposizioni in materia di
imposizione diretta?
R. La portata delle nuove disposizioni antielusive, introdotte all'art. 37-bis
del DPR n. 600 del 1973 dall'art. 7, comma 1, del d.lgs. 8 ottobre 1997 n.
358, e' stata precisata con la circolare n. 320/E del 19 dicembre 1997, la
quale ha chiarito che le disposizioni antielusive contenute nei commi da 1 a 7
del citato articolo possono trovare applicazione soltanto con riferimento al
settore delle imposte sui redditi e sempre che sia stata effettuata una o piu'
delle operazioni predeterminate, data la loro collocazione nell'ambito del DPR
n. 600 del 1973, contenente disposizioni in materia di accertamento delle
imposte sui redditi.
Anche l'ulteriore disposizione recata al successivo comma 8, secondo cui "Le
norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi,
limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive
altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, possono essere disapplicate
qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali
effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve
presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per
territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni
normative di cui chiede la disapplicazione", in quanto inserita nel corpus
delle norme disciplinanti l'accertamento delle imposte sui redditi, non puo'
spiegare effetti per altri settori impositivi. Si ritiene, tuttavia, che
qualora una stessa fattispecie costituisce oggetto di previsioni normative
parallele, rispondenti alla stessa ratio antielusiva, quando sussista, cioe',
una evidente, stretta connessione logica tra norme tributarie diverse, il
direttore regionale delle entrate, nel provvedere in ordine a istanze di
disapplicazione di norme riguardanti le imposte sui redditi, possa estendere
l'esame anche ai fini di tributi diversi.
11.1.4 Studi di settore: adeguamento in corso d'anno
D. Cosa si intende per adeguamento in corso d'anno in relazione alle attivita'
soggette agli studi di settore? La previsione dell'esclusione dalle sanzioni
per coloro che provvedano a correggere il proprio comportamento nel corso del
periodo di imposta, come puo' concretizzarsi materialmente?
R. L'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1995, n.
195, prevede che solo per il primo periodo di imposta in cui trovano
applicazione gli studi di settore, ovvero le modifiche conseguenti alla
revisione del medesimo, l'adeguamento alle risultanze degli studi stessi puo'
essere effettuato, senza applicazione di sanzioni e interessi:
indicando nella dichiarazione dei redditi ricavi o compensi non annotati nelle
scritture contabili per adeguare i ricavi o compensi a quelli derivanti
dall'applicazione dei predetti studi di settore;
effettuando entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi
il versamento dell'imposta sul valore aggiunto derivante dall'adeguamento del
volume di affari.
Tale disposizione trova, pertanto, applicazione solo per i periodi di imposta
in cui per la prima volta il contribuente viene a conoscenza dell'entita' dei
ricavi e compensi che l'amministrazione finanziaria ritiene congrui. Nei
successivi potra' evidenziare ricavi e compensi congrui contabilizzando
regolarmente i predetti componenti.
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Le Direzioni regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle
presenti istruzioni.
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