

Circolare dell’Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime)
n. 39 del 24 maggio 2000 ,
"Approvazione del modello Unico 2000, società di capitali, enti ed
equiparati."
Stralcio sulla parte relativa alla "legge Visco".
Agevolazione ex lege n.133 del 1999 (c.d. "legge Visco")
19.1 - L’articolo 2, commi da 8 a 12, della legge 13 maggio 1999, n. 133, ha
introdotto una disciplina di carattere temporaneo volta ad incentivare, all’un
tempo, sia gli investimenti in beni strumentali sia la capitalizzazione delle
imprese, attraverso l’assoggettamento ad aliquota ridotta del 19 per cento
della parte del reddito d’impresa corrispondente al minore importo tra:
l’incremento del patrimonio netto, derivante da conferimenti in denaro e
accantonamenti di utili, e l’ammontare degli investimenti in determinati beni
strumentali nuovi, da assumere al netto degli ammortamenti e dei disinvestimenti
effettuati nello stesso periodo di calcolo dell’agevolazione.
La disciplina agevolativa, si ricorda, era stata originariamente varata dal
decreto legge 12 marzo 1999, n. 63 (recante "Misure urgenti in materia di
investimenti e di occupazione"), con riguardo ai periodi d’imposta 1999 e
2000. Successivamente, il contenuto del citato Dl n. 63 è stato trasfuso nel
richiamato articolo 2 della legge n. 133 del 1999, provvedendosi, al contempo, a
far salvi gli effetti medio tempore dallo stesso prodotti. Delle caratteristiche
e dei profili applicativi del beneficio abbiamo già riferito, per linee
essenziali, nella nostra circolare n.46 del 1999 (pag.41 e ss.). Con circolare
n. 51/E del 20 marzo di quest’anno, il ministero delle Finanze ha dettato le
proprie istruzioni in materia, pervenendo, peraltro, su alcuni punti di
particolare rilievo a soluzioni difformi rispetto a quelle da noi prospettate
nella richiamata circolare dello scorso anno. Con le successive circolari n.98/E
e n.101/E, rispettivamente, del 17 e del 19 maggio scorsi, lo stesso ministero
delle Finanze, rispondendo a specifici quesiti, ha fornito ulteriori chiarimenti
sulla disciplina agevolativa che, peraltro, non sembrano aver fugato tutte le
incertezze interpretative ancora esistenti. A ciò si aggiunga che il vigente
assetto della disciplina agevolativa non può considerarsi definitivo;
l’articolo 3 del disegno di legge collegato alla finanziaria per il 2000 (c.d.
"collegato ordinamentale", A.S. n. 4336) reca, infatti, alcune
modifiche ai commi 8 e 9 del citato articolo 2 della legge n. 133 del 1999. Si
tratta di interventi di non poco rilievo, con i quali, da un lato, vengono
meglio definiti gli investimenti immobiliari ammessi al beneficio e,
dall’altro, viene opportunamente introdotto — in accoglimento di quanto da
noi auspicato nella richiamata circolare n. 46 del 1999 — un meccanismo che
consente di riportare al secondo periodo agevolato i parametri (investimenti e/o
conferimenti) eventualmente non sfruttabili nel primo periodo. Degli effetti di
tali importanti modifiche "in itinere" tengono già conto le stesse
istruzioni dettate dal ministero delle Finanze con le richiamate circolari.
Peraltro, quelle appena indicate non dovrebbero essere le uniche innovazioni
alla disciplina agevolativa. Nel testo dell’articolo 3 del citato disegno di
legge approvato dalla Commissione finanze del Senato, infatti, risulta inserita,
su emendamento presentato dallo stesso relatore di maggioranza, una specifica
disposizione antielusiva tesa a recuperare "ex post" il beneficio nel
caso in cui, entro un determinato lasso di tempo, l’impresa ponga in essere
atti di disinvestimento dei beni che abbiano rilevato ai fini
dell’agevolazione; si tratta, peraltro, di una disposizione che così
formulata appare eccessivamente penalizzante dato che opererebbe anche nel caso
in cui i disinvestimenti operati siano rimpiazzati da investimenti di importo
pari o addirittura superiore.
A prescindere, comunque, per il momento, da ogni altra considerazione di merito,
non c’è dubbio che il ritardo nell’emanazione da parte del ministero delle
Finanze dei chiarimenti ufficiali per l’applicazione del beneficio ha
provocato una situazione di incertezza che può aver ostacolato — stante anche
il carattere temporaneo della disciplina — una tempestiva programmazione delle
scelte da parte delle imprese e, quindi, la piena fruizione dei correlati
benefici. Ma anche l’incertezza riguardo i tempi di approvazione del
"collegato ordinamentale" e la completa definizione delle modifiche al
testo di legge attualmente vigente creano ulteriore disagio. In tale delineata
situazione — e proprio per realizzare in modo più efficace le finalità di
politica economica che hanno ispirato l’adozione della misura congiunturale in
argomento — è opportuno auspicare che l’ambito temporale di applicazione
del beneficio venga esteso almeno fino all’esercizio 2001. In ogni caso, in
considerazione delle cennate vicende parlamentari, dovrebbe essere valutata
l’opportunità che le modifiche alla disciplina agevolativa aventi impatto
sulla presente dichiarazione siano stralciate e dotate di immediata efficacia
ricorrendo alla decretazione di urgenza.
Ciò considerato, soffermiamo di seguito l’attenzione sui punti più
importanti che emergono dalle istruzioni applicative dettate dal ministero delle
Finanze. Non senza aver preliminarmente ricordato che, come chiarito nella
citata circolare n.98/E del 17 maggio 2000 (risposta n. 1.3.4), in caso di
applicazione dell’agevolazione da parte di soggetti tenuti a redigere la
dichiarazione dei redditi sul modello Unico 99, i relativi calcoli dovranno
essere effettuati separatamente — cioè extra dichiarazione — utilizzando
"anche il quadro RJ del nuovo modello Unico 2000 che verrà conservato per
eventuali richieste da parte dell’Ufficio"; l’indicazione della quota
di reddito assoggettabile ad aliquota del 19 per cento potrà, ex articolo 2
della legge n.133 in parola, dunque, direttamente avvenire (per le società di
capitali e gli enti equiparati) in corrispondenza del rigo RG9 del precedente
modello Unico.
19.2 - Un primo aspetto affrontato dal ministero delle Finanze nella citata
circolare n. 51/E del 20 marzo scorso che merita di essere segnalato attiene al
trattamento, agli effetti della disciplina agevolativa, delle imprese di nuova
costituzione. Intendiamo riferirci, in particolare, all’affermazione,
contenuta nel paragrafo 4, secondo cui per i soggetti costituitisi "dopo il
18 maggio 1999" — vale a dire, dopo l’entrata in vigore della legge n.
133 — l’agevolazione è applicabile "esclusivamente per il loro primo
periodo d’imposta". Viene, in tal modo, superato il dubbio originato
dalla formulazione letterale del comma 8 dell’articolo 2 della citata legge n.
133 che, prevedendo l’applicazione della disciplina per il periodo d’imposta
"in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e per il
successivo", poteva anche condurre alla esclusione dei soggetti non aventi
un periodo d’imposta in corso alla suddetta data del 18 maggio 1999. La
soluzione ministeriale appare anche coerente con le finalità della disciplina
agevolativa, essendosi evidentemente ritenuto che fra gli obiettivi dalla stessa
perseguiti ci fosse anche quello di favorire la nascita di nuove imprese.
L’applicazione del beneficio è però preclusa, precisa la stessa circolare
ministeriale, per "i soggetti che si costituiranno dopo il 31 dicembre
2000". Al riguardo, in ordine alla verifica della condizione di
costituzione entro la suddetta data, devono ritenersi valide le soluzioni già
raggiunte in passato in relazione all’analoga disciplina (c.d.
"agevolazione Tremonti") di cui all’articolo 3 del Dl n. 357 del
1994, convertito dalla legge n. 489 dello stesso anno. Quindi, nel caso di
società, sarà sufficiente che entro il 31 dicembre 2000 si verifichi la
costituzione della stessa, non essendo necessaria anche l’intervenuta omologa
dell’atto costitutivo (cfr. la circolare ministeriale n.108/E del 3 maggio
1996, risp. n. 6.1.10).
La circolare ministeriale si occupa anche dei soggetti che abbiano chiuso il
periodo d’imposta in una data ricompresa tra il 19 marzo e il 17 maggio 1999:
vale a dire tra la data di entrata in vigore del citato Dl n.63 e quella
antecedente l’entrata in vigore della legge n. 133. Può essere, ad esempio,
il caso di una società con esercizio 1° aprile 1998-31 marzo 1999. Al
riguardo, viene precisato che detti soggetti "mantengono l’agevolazione
per tale periodo che viene così a costituire, per essi, il primo dei due
periodi d’imposta agevolati". La soluzione cui perviene il ministero
delle Finanze non sembra del tutto condivisibile. Ed invero, correttamente,
sulla base della norma di salvezza degli effetti prodotti dal citato Dl n.63, è
stata riconosciuta l’applicabilità dell’agevolazione per il periodo
d’imposta che si è chiuso nell’ambito temporale di vigenza dello stesso, ma
non sembra che tra gli effetti prodotti dal provvedime1nto non convertito ci sia
anche quello relativo all’applicazione del beneficio per il periodo
d’imposta successivo. Le vicende riguardanti i periodi d’imposta successivi
a quello chiuso entro la suddetta data del 17 maggio 1999 devono ritenersi,
infatti, autonomamente ed esclusivamente regolate dall’articolo 2 della legge
n. 133: cosicché, nell’esempio considerato, ferma restando l’applicazione
delle disposizioni del decreto legge non convertito in relazione al periodo 1°
aprile 1998-31 marzo 1999, la società deve ritenersi ammessa a fruire in pieno
delle disposizioni recate dalla legge n. 133 e, quindi, vedersi applicata
l’agevolazione per entrambi i periodi d’imposta da questa individuati (nel
caso considerato periodo 1° aprile 1999-31 marzo 2000 e periodo 1° aprile
2000-31 marzo 2001). È pur vero che in tal modo i soggetti che si trovino nella
descritta situazione verrebbero a sfruttare un maggior ambito temporale di
applicazione del beneficio — ciò che ha probabilmente ispirato la tesi
ministeriale — ma, a parte la soprasvolta considerazione circa
l’impossibilità di far salvi effetti non ancora prodottisi, non può non
osservarsi che, in relazione al periodo d’imposta chiuso entro il 17 maggio
1999, il tempo a disposizione per effettuare i conferimenti e gli investimenti
può essere stato, al massimo, di circa due mesi (13 giorni appena,
nell’esempio considerato). Né varrebbe osservare che agli effetti del
beneficio assumerebbero rilievo anche i beni acquisiti in tutto il periodo
d’imposta in corso al 19 marzo 1999 e, quindi, anche prima di tale data;
essendo evidente che solo casualmente i comportamenti tenuti prima
dell’entrata in vigore della disciplina agevolativa potrebbero aver
determinato parametri sfruttabili a tal fine. La questione, a nostro avviso,
meriterebbe un ulteriore chiarimento, se del caso anche in via normativa.
19.3 - Il primo dei due parametri rilevanti ai fini dell’agevolazione attiene
agli investimenti in beni strumentali; in particolare, assumono rilievo i beni
rientranti fra quelli considerati dagli articoli 67 e 68 del Tuir che abbiano i
requisiti della novità e che siano destinati a strutture produttive site nel
territorio dello Stato. Nel ricordare che sono attratti fra gli investimenti
rilevanti anche quelli attuati tramite contratti di locazione finanziaria —
mentre ne restano espressamente esclusi quelli aventi ad oggetto i beni indicati
nell’articolo 121-bis, comma 1, lettera a, dello stesso Tuir (aeromobili da
turismo, navi, autoveicoli eccetera, fatta eccezione per quelli strumentali per
l’attività propria o adibiti a usi pubblici) — sembra opportuno svolgere
alcune osservazioni in merito all’individuazione degli investimenti
immobiliari ammessi al beneficio.
L’attuale formulazione dell’articolo 2, comma 9, lettera a) della citata
legge n. 133 esclude, com’è noto, dal regime agevolativo gli investimenti in
"beni immobili diversi dagli impianti e dagli opifici appartenenti alla
categoria catastale D/1, utilizzati direttamente dall’impresa nei quali
vengono collocati gli impianti stessi". L’articolo 3 del disegno di legge
collegato alla finanziaria, in corso di approvazione, intende modificare tale
formula, sostituendo le parole "utilizzati direttamente dall’impresa nei
quali vengono collocati gli impianti stessi" con quelle "utilizzati
esclusivamente dal possessore per l’esercizio dell’impresa o, se in corso di
costruzione, destinati a tale utilizzo". Tanto dal testo originario della
disposizione, quanto dalla modifica "in itinere", emerge chiaramente
che l’agevolazione compete, anzitutto, agli opifici appartenenti alla
categoria catastale D/1. Per l’individuazione di tali immobili non dovrebbero
porsi particolari problemi, salva la precisazione che, ovviamente, la loro
rilevanza agli effetti della agevolazione non è subordinata all’avvenuto
accatastamento con attribuzione di rendita, ma semplicemente al fatto che gli
stessi presentino le caratteristiche oggettive che identificano tale categoria.
Peraltro, l’ammissione al beneficio di tali beni viene sottoposta, per una
precisa scelta del legislatore, alla ulteriore condizione che gli stessi devono
essere destinati all’esercizio diretto dell’attività di impresa da parte
del possessore: devono, cioè, concorrere con gli altri fattori aziendali alla
produzione diretta dei ricavi e non semplicemente alla produzione di un reddito
di natura immobiliare, derivante ad esempio da locazione. In questo senso, la
modifica in corso di approvazione intende meglio definire la volontà
legislativa, eliminando le incertezze interpretative cui la vigente formula
normativa darebbe adito.
Senonché, proprio il rispetto della condizione in parola pone in evidenza un
problema generale (riguardante cioè anche i beni mobili) collegato al fatto che
l’agevolazione compete anche alle opere semplicemente in corso di costruzione
nel periodo di applicazione del beneficio nel senso che ai beni costruiti in
economia o in appalto l’agevolazione compete anche se non completati nei
periodi di vigenza del regime (ovviamente, ma sul punto torneremo più avanti,
in relazione alla sola parte di opera eseguita in ciascun periodo). Cosicché,
per gli opifici in costruzione — ferma rimanendo la loro inclusione nel regime
agevolativo — non potendo realizzarsi la predetta condizione nell’ambito dei
due periodi agevolati, la norma ha previsto che essi siano semplicemente
"destinati" all’utilizzo diretto; e, al riguardo, nella citata
circolare n. 51/E, il ministero delle Finanze ha precisato che, in questi casi,
"l’effettiva destinazione dei beni all’esercizio proprio dell’impresa
deve essere verificabile non appena l’investimento è completato".
Come si è visto, nell’ambito di applicazione del beneficio la norma
ricomprende — sia nella versione attualmente vigente che in quella in corso di
approvazione — un’altra categoria di immobili: quella rappresentata dagli
impianti. Per tali beni, diciamo subito — fatto salvo quanto si vedrà a
proposito della posizione interpretativa assunta dal ministero delle Finanze
sulla condizione di entrata in funzione — il legislatore non pone, a
differenza degli opifici classificabili in D/1, alcuna particolare condizione di
spettanza dell’agevolazione.
La concreta individuazione di questa tipologia di immobili ha però suscitato
talune incertezze interpretative. In effetti, la nozione di "impianto"
non è definita direttamente dalla norma fiscale, ma va colta piuttosto dalle
categorie di bilancio elaborate in campo aziendalistico e alle quali si collega,
del resto, la disciplina del reddito d’impresa.
Nel sottolineare che tale nozione è, per così dire, "trasversale",
ricomprendendo tutti i cespiti aziendali aventi determinate caratteristiche
tecniche, a prescindere dalla circostanza che, ai diversi effetti della
disciplina civilistica e catastale (costruzioni infisse al suolo, cfr. articolo
812 del cod. civ.), si tratti di beni mobili o immobili, è chiaro che, ai fini
della portata della norma che qui occupa, occorre far concreto riferimento ai
soli impianti costituiti da immobili.
Al riguardo, giova ricordare che un problema identificativo di natura analoga si
era posto in sede di applicazione della speciale disciplina di rivalutazione
obbligatoria dei fabbricati (e delle aree fabbricabili), di cui alla legge 30
dicembre 1991, n. 413. Il decreto ministeriale 13 febbraio 1992 attuativo di
tale disciplina disponeva espressamente, infatti, che l’obbligo di
rivalutazione dovesse applicarsi, oltre che ai fabbricati classificati nei
gruppi catastali A, B e C, anche alle "costruzioni indicate nelle tabelle
dei coefficienti di ammortamento allegate ai decreti ministeriali 29 ottobre
1974 e 31 dicembre 1988, con esclusione degli impianti e dei macchinari ancorché
infissi al suolo". A questo proposito, nella nostra circolare n. 67 del
1992, ponemmo in evidenza, sulla base di un’impostazione sostanzialmente
condivisa dalla circolare ministeriale n.9 del 28 aprile 1992 (in nostra
circolare n. 83 dello stesso anno), che dovevano considerarsi tali, oltre agli
impianti incorporati nei fabbricati e autonomamente ammortizzabili (come, ad
esempio, i generatori per la produzione e distribuzione di energia, i mezzi di
sollevamento, carico, scarico e pesatura, le reti di trasmissione e
distribuzione di merci, i binari e così via), anche tutte le altre costruzioni
infisse al suolo figuranti nelle tabelle dei coefficienti di ammortamento con
voce autonoma rispetto a quella propria dei fabbricati destinati
all’industria. In questo senso, nella nostra richiamata circolare n. 67 del
1992, avemmo modo di precisare come il riferimento dovesse intendersi, ad
esempio, alle gallerie ed ai pozzi per il gruppo IV nonché ai forni e alle loro
pertinenze e agli altri impianti destinati al trattamento e al depuramento delle
acque, fumi nocivi eccetera; per il gruppo V, anche ai silos in materiale
ferroso o plastico; per il gruppo IX agli oleodotti, serbatoi, impianti stradali
di distribuzione; per il gruppo XVII alle opere idrauliche fisse, le condotte
forzate, le centrali idroelettriche (esclusi i fabbricati); per il gruppo XVIII
alle piste, ai suoli e terreni ad essi adibiti, alle opere d’arte fisse,
ponti, viadotti, gallerie eccetera. Si tratta, in definitiva, di costruzioni,
anch’esse rilevanti civilisticamente come immobili, al pari dei fabbricati, ma
che nell’ambito delle attività industriali cui sono destinate assumono la
natura di veri e propri impianti tecnicamente funzionali all’esercizio delle
stesse e aventi specifici coefficienti tabellari di ammortamento. E’ a questa
tipologia di "immobili", dunque, che deve ritenersi abbia inteso fare
riferimento — ai suoi diversi effetti — anche l’odierna disciplina
agevolativi; ciò, in coerenza con l’intento di includere nel suo ambito
applicativo i beni che, pur avendo natura immobiliare, si presentino in tutto
simili agli impianti costituiti da beni mobili.
19.4 - Come si è detto, per assumere rilievo ai fini dell’agevolazione, gli
investimenti devono attenere a beni aventi il requisito della novità e della
territorialità, nel senso cioè di essere destinati a cedere le proprie utilità
in relazione ad attività svolte nel territorio dello Stato. A tali condizioni,
espressamente previste dalla legge, la circolare ministeriale ne ha aggiunte
altre due: la circostanza che gli investimenti risultino iniziati in uno dei
periodi d’imposta di applicazione della disciplina agevolativa e, inoltre, che
i beni oggetto d’investimento risultino effettivamente entrati in funzione
presso l’impresa.
Rinviando al successivo paragrafo le considerazioni da svolgere su
quest’ultimo aspetto, rileviamo che, sul requisito della novità, le
indicazioni contenute nella citata circolare ministeriale n. 51/E sono in linea
con le interpretazioni già consolidatesi in materia riguardo all’analoga
disciplina agevolativa di cui all’articolo 3 del decreto legge 10 giugno 1994,
n. 357, convertito dalla legge 8 agosto 1994, n.489 (c.d. "agevolazione
Tremonti").
Va tuttavia evidenziata l’importante presa di posizione assunta dalla
circolare ministeriale (al paragrafo 5.4), secondo la quale, in assenza di
espressa previsione normativa, dovrebbero ritenersi esclusi dall’agevolazione
"… il completamento di opere sospese, l’ampliamento, la riattivazione e
l’ammodernamento di impianti esistenti".
In effetti, la norma agevolativa attuale — a differenza della richiamata
disciplina contenuta nel Dl n. 357 del 1994 — non contempla espressamente le
attività sopraindicate fra quelle meritevoli del beneficio. Tale circostanza,
peraltro, non sembrerebbe di per sé supportare la conclusione cui perviene il
ministero delle Finanze o, quantomeno, non sembrerebbe giustificarne così ampie
implicazioni. Ed invero, in presenza, ad esempio, del completamento di opere
sospese ovvero dell’ampliamento di un opificio esistente che si concretino
nella costruzione di nuovi corpi di fabbrica o di porzioni d’impianto, sarebbe
a nostro avviso difficile negare il diritto all’agevolazione, trattandosi, in
entrambi i casi, di beni per i quali ricorre sicuramente il concetto di novità;
come risulterebbe del resto inequivocabilmente comprovato dall’esigenza di
procedere all’accatastamento dei beni medesimi.
La riportata affermazione ministeriale va, tuttavia, coordinata con un’altra
affermazione contenuta nel precedente paragrafo 5.2 della stessa circolare n.
51/E (di cui abbiamo fatto già cenno poc’anzi), con la quale, riferendosi
agli investimenti immobiliari, il Ministero pone come condizione di spettanza
del beneficio "… che l’investimento sia iniziato in uno dei due periodi
d’imposta agevolati".
Da quanto riportato, sembra potersi desumere che nell’ottica ministeriale la
semplice circostanza che un determinato investimento sia stato intrapreso
nell’ambito di periodi d’imposta precedenti a quelli agevolati precluda in
radice l’accesso al beneficio della parte di opera realizzata — in economia
o in appalto — nel corso di questi periodi. La delineata impostazione — che,
ancorché espressa in riferimento agli investimenti immobiliari, sembrerebbe
assumere portata generale — suscita qualche dubbio. In particolare, non appare
del tutto convincente l’assunto che un investimento iniziato, ad esempio, nel
corso del 1997 e continuato o completato nel corso del 1999 o del 2000 non
possieda il requisito della novità al pari di un investimento analogo iniziato
e continuato o completato nel 1999 o nel 2000. Ma, soprattutto, non sembra che
tale conclusione sia coerente con le finalità del provvedimento, che dovrebbero
ritenersi rispettate tanto nel caso in cui l’impresa inizi nuovi investimenti
proprio per fruire del trattamento agevolato tanto nel caso in cui l’impresa
completi quelli già iniziati. Senza considerare che sul piano applicativo la
ulteriore condizione richiesta dalla circolare ministeriale creerebbe alcune
incertezze con riferimento, ad esempio, all’ipotesi di investimenti
immobiliari con acquisto, nel corso di periodi anteriori a quelli agevolati,
della sola area edificabile oppure nel caso di acquisizione di un brevetto in
esito ad attività di studio e ricerca iniziata in periodi precedenti e
proseguita nei periodi agevolati. È questo un punto alquanto delicato della
disciplina agevolativi, sul quale non sarebbe inopportuno un esplicito
chiarimento di carattere normativo.
Ciò considerato, va tuttavia ricordato che la stessa circolare ministeriale
ammette comunque l’applicabilità del beneficio in ipotesi di interventi su
impianti già esistenti tesi al loro completamento, riattivazione, ampliamento o
ammodernamento "… qualora nelle parti strutturali dell’impianto si
collochino elementi oggettivamente autonomi, che costituiscono di per sé beni
strumentali ammortizzabili, i relativi investimenti sono comunque
agevolabili".
In ordine alla condizione della territorialità — e, cioè, alla circostanza
che i beni oggetto di investimento risultino destinati a strutture situate nel
territorio dello Stato — la circolare ministeriale n. 51/E (paragrafo 5.5)
chiarisce che "… l’effettiva destinazione del bene deve trovare
riscontro in elementi oggettivi, non essendo di per sé sufficiente, ai fini
dell’agevolazione, la mera iscrizione del bene nel bilancio della società
residente o della stabile organizzazione del soggetto non residente".
Tale problematica, naturalmente, viene a porsi in concreto solo per i soggetti
residenti che esercitino la propria attività anche all’estero mediante
stabile organizzazione ovvero possiedano all’estero uffici di rappresentanza o
altre strutture non costituenti stabile organizzazione e, in genere, per le
imprese non residenti con stabile organizzazione in Italia. La precisazione
ministeriale va interpretata nel senso che la dimostrazione della destinazione
territoriale dei beni non può dipendere dalle sole risultanze contabili interne
dell’impresa — dalle quali, appunto, emerga la non "appartenenza"
degli stessi alle sedi estere — ma deve essere supportata anche da elementi
oggettivi.
19.5 - Come si è detto, il ministero delle Finanze ha ritenuto che la fruizione
del beneficio fiscale è subordinata — oltre che alle altre condizioni sopra
considerate — alla circostanza che nello stesso periodo d’imposta in cui
avviene l’acquisizione dei beni, da individuarsi in base alle regole di
competenza poste dall’articolo 75 del Tuir, si verifichi anche la loro entrata
in funzione.
È probabile, ancorché la circolare ministeriale non faccia menzione di tale
argomento, che alla base di tale ulteriore condizione ci siano state anche
preoccupazioni di carattere antielusivo; collegate, in particolare, alla
possibilità che l’acquisizione dei beni nuovi strumentali venga fatta al
precipuo scopo di fruire dell’agevolazione e non già in funzione di un
effettivo incremento della capacità produttiva dell’impresa. In questa
prospettiva, la posizione ministeriale odierna ricalca quella assunta con
riguardo alla precedente disciplina agevolativa di cui al richiamato Dl n. 357
del 1994 (cfr. le istruzioni al modello 760/A del 1995, in ns. circ. n. 53 dello
stesso anno). Non può, tuttavia, non ricordarsi che proprio in relazione a tale
precedente normativo la condizione dell’entrata in funzione dei beni venne,
per così dire, "rimossa" dallo stesso ministero delle Finanze in
concomitanza con la decorrenza di una specifica disciplina antielusiva volta a
penalizzare — attraverso il ricalcolo dell’agevolazione concessa — la
fuoriuscita dal processo produttivo dei beni oggetto di investimento agevolato
non accompagnata dal loro rimpiazzo. Come si è detto, anche in relazione alla
disciplina agevolativa odierna è probabile l’introduzione di norme
antielusive "ad hoc" di portata analoga a quelle ora richiamate. Può,
dunque, ipotizzarsi che similmente a quanto avvenuto all’epoca, la condizione
riguardante l’entrata in funzione dei beni dovrebbe venir meno.
Comunque, prendendo atto dell’impostazione adottata dal ministero delle
Finanze — e prescindendo per il momento dal diverso scenario che potrebbe
prospettarsi in caso di modifiche normative — è opportuno svolgere alcune
considerazioni sui risvolti applicativi della condizione in parola.
In proposito, sembrerebbe logico anzitutto ritenere che l’applicazione del
beneficio può essere subordinata all’effettiva immissione dei beni nel
processo produttivo solo con riguardo ai beni strumentali "finiti":
vale a dire, acquisiti dall’impresa al loro stadio finale e, quindi,
suscettibili di immediato impiego. La verifica della condizione in oggetto non
dovrebbe invece riguardare — si è già accennato nel precedente paragrafo
19.3 — i beni che al termine del periodo d’imposta agevolato risultino in
corso di costruzione, sia in appalto che in economia. Tale circostanza, che per
quanto attiene agli investimenti immobiliari, appare indirettamente confermata,
proprio dalle modifiche al comma 8 dell’articolo 2 della legge n. 133
contenute nel disegno di legge collegato alla finanziaria in corso di
approvazione, deve evidentemente valere in via di principio anche per i beni
mobili. D’altra parte, ove così non fosse, si finirebbe per escludere dal
beneficio proprio gli investimenti più complessi — per la cui realizzazione
è appunto necessario un maggior lasso di tempo — con evidente frustrazione
delle stesse finalità della disciplina agevolativa. Naturalmente, ma è questo
un aspetto di cui ci occuperemo più avanti, gli investimenti in corso di
esecuzione al termine del periodo d’imposta agevolato rilevano ai fini
dell’agevolazione per il solo importo corrispondente alla parte di opera
eseguita nello stesso periodo.
Ma anche con riguardo ai beni "finiti" — la cui acquisizione,
evidentemente, può derivare tanto da un contratto di compravendita tanto da un
contratto di appalto nonché dalla costruzione in proprio — la condizione
relativa all’entrata in funzione non è comunque sempre necessaria. Nella
stessa circolare ministeriale n. 51/E, infatti, viene contemplato il caso in cui
un determinato bene, "… acquisito in prossimità della fine del periodo
d’imposta, presenti caratteristiche tecniche e strutturali che ne impediscano
l’entrata in funzione nello stesso periodo". Al riguardo, proprio per
evitare "… applicazioni aberranti della norma che, in contrasto con le
finalità perseguite dal legislatore, potrebbero vanificare lo sforzo degli
operatori commerciali al rilancio degli investimenti…", il ministero
delle Finanze ha opportunamente riconosciuto che in tali "… circoscritte
ipotesi…" l’investimento può ritenersi "… effettuato nel
periodo d’imposta di acquisizione del bene, a condizione che il soggetto
interessato possa dimostrare l’oggettivo impedimento ad utilizzarlo entro lo
stesso periodo".
Il pensiero ministeriale sul punto è stato poi integrato dalle precisazioni
fornite nella recente circolare n. 101/E del 19 maggio scorso, in risposta ad
uno specifico quesito, con il quale era stato chiesto di meglio precisare in
quali circostanze l’investimento effettuato in un determinato periodo
d’imposta e non messo in funzione potrebbe ugualmente fruire
dell’agevolazione. In proposito (cfr. la risposta n. 2.4), il ministero delle
Finanze ha osservato che, essendo tesa a non penalizzare i contribuenti in caso
di oggettiva e dimostrata impossibilità dell’entrata in funzione nel periodo
agevolato, la previsione contenuta nella precedente circolare n.51/E "...
è necessariamente elastica ..." e che, pertanto, "... non è
possibile fornire al riguardo dei criteri astratti e generali, dovendosi
piuttosto avere riguardo a specifiche fattispecie concretamente
realizzatesi".
Dall’insieme delle riportate affermazioni ministeriali ci sembra potersi
ritrarre, in positivo, la conclusione che l’esimente in questione si renda
applicabile non solo nelle ipotesi in cui l’utilizzo del cespite è impedito
dalle sue caratteristiche tecniche strutturali — vale a dire, legate alla sua
funzionalità a regime — ma anche in tutte le situazioni in cui tale utilizzo
è ugualmente reso impraticabile in ragione del collegamento del bene con altri
elementi del processo produttivo o anche con la stessa attività produttiva. Si
pensi, al riguardo, alla situazione che può presentarsi nel caso in cui gli
investimenti siano destinati a una nuova sede produttiva dell’impresa ovvero
ad essere integrati con altri beni di successiva acquisizione; o anche
all’ipotesi in cui, pur essendo l’apparato produttivo potenzialmente
funzionante, non sia ancora iniziata l’attività per la mancanza dei necessari
provvedimenti autorizzativi legati alla sicurezza degli impianti o alla loro
agibilità eccetera.
Tutto ciò considerato, non può tuttavia escludersi che in determinati casi la
mancata messa in funzione di un bene strumentale sia dipesa non già da un
impedimento oggettivo — nel senso sopra specificato — ma da una precisa
scelta operata dall’impresa che, ad esempio, in relazione ad un investimento
meramente sostitutivo decida di sfruttare il bene da rimpiazzare fino al termine
dell’esercizio; così come non può neanche escludersi che, pur sussistendo
una causa di impedimento oggettivo, l’impresa ne valuti incerta la
dimostrazione secondo i criteri prospettati dal ministero delle Finanze.
In tali situazioni, ci sembrerebbe soluzione ragionevole quella di ritenere che
per la verifica della condizione in parola sia sufficiente che l’entrata in
funzione del bene intervenga entro il termine di scadenza per la presentazione
della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta agevolato. Si
tratterebbe, a ben guardare, di un criterio che garantirebbe ugualmente le
esigenze di carattere antielusivo dell’Amministrazione finanziaria; senza
considerare che un tale tipo di soluzione venne già accolta all’epoca della
c.d. "agevolazione Tremonti", di cui al citato Dl n. 357 del 1994, ai
fini del trattamento del costo sostenuto per l’acquisizione dell’area
edificabile (che, come si ricorderà, venne ritenuto rilevante ai fini del
beneficio, a condizione che i lavori di costruzione risultassero avviati entro
il termine di presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta di
acquisizione dell’area). Il punto meriterebbe di essere esplicitamente
affrontato dai competenti organi ministeriali, anche al fine di chiarire la
sorte, ai fini agevolativi, dei beni eventualmente messi in funzione dopo il
suddetto termine ma comunque entro la chiusura del secondo periodo agevolato.
Naturalmente, si ribadisce, tutta questa vicenda della condizione di entrata in
funzione dei beni potrebbe risultare superata a seguito dell’introduzione
della disciplina antielusiva.
19.6 - Anche in relazione ai criteri di computo degli investimenti ci sono da
segnalare importanti chiarimenti da parte ministeriale.
Un primo punto su cui è intervenuto il ministero delle Finanze riguarda il
trattamento, ai fini del calcolo del volume degli investimenti in beni
agevolabili, dei contributi in conto impianti. Al riguardo, muovendo dal
presupposto che il costo degli investimenti dev’essere assunto secondo le
regole fiscali poste dall’articolo 76 del Tuir — e considerando che per
effetto delle modifiche recate dall’art.21 della legge 27 dicembre 1997,
n.449, fra tali regole non figura più quella che consentiva di assumere il
costo dei beni acquisiti con il concorso dei contributi pubblici al lordo degli
stessi — la circolare ministeriale n. 98/E (risp. n.1.3.5), confermando
peraltro quanto già affermato nel paragrafo 5.6 della precedente circolare n.
51/E, ha precisato che il costo di tali beni deve essere assunto al netto del
contributo.
Per la verità, la conclusione cui è pervenuto il ministero delle Finanze non
appare, per così dire, necessitata; nel senso cioè che dall’eliminazione
della richiamata regola dall’articolo 76 del Tuir non può inferirsi
automaticamente l’applicazione di una regola esattamente contraria, essendo
tale modifica collegata semplicemente al nuovo regime di tassazione dei
contributi in conto impianti. D’altra parte, basterebbe considerare che in
caso di iscrizione del bene in bilancio al lordo del contributo — con
conseguente tassazione di questo sotto forma di risconto — il costo fiscale su
cui parametrare le quote tabellari di ammortamento sarebbe proprio quello lordo.
La soluzione ministeriale sembra, piuttosto, ispirata proprio dall’intento di
assicurare lo stesso trattamento, ai fini del meccanismo agevolativo, a
prescindere dalle modalità di contabilizzazione del contributo. In effetti,
identico risultato si sarebbe potuto ottenere affermando l’opposta soluzione
e, quindi, riconoscendo la rilevanza della parte di costo coperta dal contributo
anche se non iscritta in bilancio. La scelta ministeriale, che in questa diversa
ottica troverebbe più chiara spiegazione, è stata evidentemente nel senso di
ritenere non coerente con il regime agevolativo il riconoscimento di costi non
effettivamente sostenuti dall’impresa.
L’assunzione del costo dei beni, in ogni caso, al netto dei contributi
pubblici, va coordinata anche con l’altra soluzione affermata nella stessa
circolare ministeriale (e di cui ci occuperemo tra breve) concernente la
irrilevanza, ai fini dei "disinvestimenti" delle quote di ammortamento
stanziate sui beni oggetto di investimento agevolato. Soluzione questa che, in
concreto, rende del tutto indifferente, agli effetti agevolativi,
l’impostazione contabile adottata dall’impresa in sede di iscrizione del
bene acquisito con sovvenzione; in altri termini, ipotizzando un bene di costo
pari a 1000, acquisito con un contributo di 300, e un coefficiente di
ammortamento del dieci per cento, tanto l’impresa che contabilizzi il bene al
lordo del contributo, stanziando ammortamenti per 100, tanto l’impresa che
contabilizzi il bene al netto del contributo, stanziando ammortamenti per 70,
assumeranno ai fini agevolativi l’importo di 700.
Ciò posto, occorre tuttavia rilevare che non sempre al momento di effettuazione
dell’investimento l’impresa può avere la certezza del diritto al
riconoscimento del contributo da parte dello Stato o di altri enti pubblici; né,
tale certezza potrebbe essere maturata alla data di liquidazione dell’imposta
relativa al periodo oggetto di agevolazione. Sarebbe opportuno che il ministero
fornisse specifichi chiarimenti sul corretto comportamento da adottare in tali
situazioni.
Sempre in relazione ai criteri di computo degli investimenti agevolabili vanno,
poi, ricordate le precisazioni contenute nella risposta n. 2.3 della circolare
n. 101/E del 19 maggio scorso in tema di determinazione del costo rilevante in
ciascun periodo d’imposta dei beni realizzati tramite contratti di appalto. Al
riguardo, a integrazione di quanto già affermato nel paragrafo 5.6 della
precedente circolare n. 51/E, il ministero delle Finanze ha chiarito che il
criterio di commisurazione degli investimenti all’ammontare dei corrispettivi
liquidati in base allo stato di avanzamento lavori "... rileva per le opere
in corso di esecuzione al termine dell’esercizio, oggetto di contratti di
appalto di durata non solo ultrannuale, ma anche infrannuale ..."; il
riferimento alle somme così liquidate permette, infatti, "anche alla luce
degli articoli 1655 e ss. del Codice civile..." "... di individuare
con certezza la porzione di opera realizzata (cioè ultimata, in quanto
verificata ed accettata dal committente) e quindi agevolabile nell’ambito di
ciascun periodo d’imposta".
Le riportate affermazioni ministeriali sono di grande importanza per due motivi.
Anzitutto, perché vengono correttamente ad equiparare, per l’individuazione
del momento di effettuazione dell’investimento, agli effetti della disciplina
agevolativa, le opere infrannuali a quelle ultrannuali.
L’altro aspetto rilevante è che, in sede di calcolo della quota parte di
investimento che può considerarsi realizzata in ciascun periodo d’imposta,
non assume rilevanza la eventuale diversa quantificazione della parte di opera
eseguita che l’impresa appaltatrice determina agli effetti delle valutazioni
fiscali delle proprie rimanenze.
Ciò posto, non possiamo tuttavia non rilevare — riproponendo sul punto alcune
osservazioni che avemmo già modo di svolgere nella circolare n. 151 del 1994 (cfr.
pag. 21 e ss.) a commento della precedente agevolazione recata dal citato Dl n.
357 del 1994 — come non sempre il criterio di calcolo secondo gli stati
avanzamento lavori potrebbe risultare applicabile. A parte, infatti, l’ipotesi
di contratti che non prevedano tale formula di liquidazione parziale, c’è da
considerare il caso in cui la data dello stato di avanzamento lavori non
coincida con quella di chiusura del periodo d’imposta del soggetto agevolato.
In queste situazioni, riterremmo possibile, ma il punto meriterebbe di essere
confermato dai competenti uffici ministeriali, che per l’individuazione della
"tranche" di investimento effettuata sia sufficiente una dichiarazione
rilasciata dall’impresa appaltatrice che attesti tale dato.
19.7 - Dal volume degli investimenti effettuati in beni nuovi appartenenti alle
tipologie indicate dalla legge vanno detratti i "disinvestimenti",
intendendosi per tali gli ammortamenti dei beni strumentali dedotti
dall’impresa nel corso del periodo d’imposta agevolato nonché le cessioni e
le dismissioni dei beni stessi. Nel ricordare che tra i "disinvestimenti"
a tal fine rilevanti non devono essere ovviamente considerati quelli relativi a
beni non agevolabili — quali, ad esempio, gli ammortamenti o le cessioni o le
dismissioni riguardanti gli immobili classificabili nella categoria catastale C1
ovvero gli autoveicoli e gli altri beni indicati nell’articolo 121-bis, comma
1, lettera a), n. 1 del Tuir — vanno segnalate due importanti prese di
posizione da parte ministeriale.
La prima attiene al trattamento degli ammortamenti stanziati sui beni oggetto di
investimento agevolato che, com’è noto, il ministero delle Finanze ha
ritenuto di poter escludere dal computo dei "disinvestimenti".
Si ricorderà, al riguardo, che nella circolare n. 46 dello scorso anno, proprio
muovendo dalla opposta convinzione — basata sul dato letterale della norma
che, in effetti, non opera alcuna distinzione fra ammortamenti, cessioni e
dismissioni dei beni nuovi agevolabili e ammortamenti, cessioni e dismissioni
dei beni già posseduti — avevamo prospettato l’opportunità che venissero
almeno neutralizzati a tali fini gli ammortamenti anticipati. Va, peraltro,
ricordato, a testimonianza dell’incertezza che il tema ha suscitato, che lo
stesso ministero delle Finanze, nelle istruzioni al quadro RJ del nuovo modello,
ha affermato esattamente il contrario di quanto poi precisato nella citata
circolare n. 51/E del 20 marzo e, successivamente, ribadito — proprio per
eliminare ogni residuo dubbio sul contrasto di tesi che si era venuto a creare
— nella più recente circolare n. 101/E del 19 maggio scorso.
Si tratta, com’è evidente, di un’interpretazione favoritiva per il
contribuente e alla quale il ministero delle Finanze ha ritenuto di poter
accedere anche al fine di non determinare, opportunamente, discriminazioni di
trattamento tra investimenti in proprietà (che sarebbero risultati penalizzati)
e investimenti in leasing (che sarebbero stati avvantaggiati, stante la
letterale non ricomprensione fra i "disinvestimenti" previsti dalla
norma dei canoni di locazione finanziaria). L’apertura ministeriale, peraltro,
è anche apprezzabile poiché risolve implicitamente il problema del trattamento
ai fini agevolativi dei beni strumentali ammortizzabili di costo unitario non
superiore a un milione di lire; tali beni, infatti, in caso di opzione per
l’immediata imputazione del costo al conto economico, sarebbero stati di fatto
esclusi dal beneficio.
Va, inoltre, ricordato che, secondo quanto chiarito dal ministero delle Finanze,
l’esclusione degli ammortamenti dei beni nuovi agevolabili vale sia per il
primo che per il secondo periodo d’imposta di applicazione del beneficio. Per
converso, l’esclusione dai disinvestimenti, è bene sottolineare, non vale
secondo lo stesso ministero nel caso di cessione o dismissione dei beni
medesimi.
Ciò posto, preme evidenziare, nella delineata prospettiva, il problema del
trattamento degli ammortamenti (nonché delle cessioni e delle dismissioni)
relativi a beni acquisiti nel corso del periodo d’imposta di applicazione del
beneficio e rientranti nelle tipologie di quelli agevolabili, ma non rilevanti a
questi effetti in quanto privi del requisito della novità. A nostro avviso,
sarebbe soluzione coerente con le finalità della disciplina quella di trattare
tali "disinvestimenti" alla stregua di quelli riguardanti i beni, pur
sempre acquisiti nei periodi agevolati, ma non appartenenti alle categorie
agevolabili (ad esempio, immobili classificabili in C1 ovvero autoveicoli
eccetear).
Diversamente, infatti, dai "disinvestimenti" riguardanti i beni
della stessa tipologia di quelli agevolabili già posseduti dall’impresa
anteriormente al primo periodo agevolato (siano stati essi acquisiti come nuovi
o come usati) — che rappresentano comunque un decremento dello
"stock" del volume di investimenti il cui incremento la legge intende
invece incentivare - i "disinvestimenti" riguardanti i beni suddetti
dovrebbero essere "neutralizzati" proprio perché costituirebbero
decremento di investimenti di per sé inidonei a influenzare positivamente il
meccanismo agevolativo. Per la soluzione positiva del problema, osserviamo, non
sembrerebbe di ostacolo la risposta fornita dal ministero delle Finanze nella
citata circolare n. 101/E del 19 maggio scorso (cfr. risp. n. 2.5) che, a quanto
è dato di capire, dovrebbe intendersi riferita ai soli beni acquisiti come
usati, ma già in possesso dell’impresa da epoca antecedente ai periodi
agevolati. Il punto meriterebbe di essere ripreso dai competenti organi
ministeriali.
Ciò detto, occorre tuttavia aggiungere che nessun dubbio deve invece porsi
circa la irrilevanza dei "disinvestimenti" che abbiano ad oggetto i
beni acquisiti nei periodi agevolati che, pur rientrando nelle tipologie di
quelli agevolabili, siano destinati a strutture situate all’estero e, quindi,
privi del requisito di territorialità (tanto se usati tanto se nuovi).
L’altra importante questione affrontata e risolta in modo difforme da
quanto da noi prospettato nella circolare n. 46 dello scorso anno, attiene al
"quantum" da assumere come "disinvestimento" in caso di
cessione dei beni. Sul punto, si ricorderà, abbiamo espresso l’avviso secondo
cui, in coerenza con le peculiarità del meccanismo agevolativo odierno che —
a differenza di quanto previsto nell’analoga disciplina del citato Dl n. 357
del 1994 — richiede espressamente che l’impresa "autofinanzi" con
incrementi di patrimonio netto il costo dei nuovi investimenti, sarebbe stato
logico assumere il costo fiscale residuo del bene oggetto di cessione e non già
il corrispettivo conseguito. Si trattava, è bene ulteriormente precisare, di
una soluzione preferibile, fra l’altro, anche per motivi di semplificazione
del meccanismo agevolativo poiché avrebbe consentito in ogni caso di
determinare automaticamente il "quantum" disinvestito. Comunque, va
evidenziato che la scelta operata dal ministero delle Finanze risulta, per così
dire, ambivalente sul piano degli effetti; essa, infatti, così come determina
l’assunzione di un maggior "disinvestimento" nel caso in cui il
corrispettivo sia superiore al costo fiscale del bene (plusvalenza) così anche
comporta l’assunzione di un "disinvestimento" minore nel caso
inverso (minusvalenza).
19.8 - Si è accennato che tra i principali obiettivi dell’agevolazione in
esame figura quello di incentivare la capitalizzazione delle imprese. Sotto
questo profilo, quindi, essa è diretta a rafforzare, nel biennio considerato
1999-2000, la ordinaria disciplina della Dit. In coerenza con tali finalità, si
è pertanto riconosciuta la contemporanea operatività dei due regimi di
riduzione dell’aliquota, ponendosi particolare cura ad evitare che tra gli
stessi si potessero determinare situazioni di sovrapposizione o interferenza.
Al riguardo, secondo quanto sottolineato dalla stessa relazione di
accompagnamento alla legge n. 133 del 1999, il coordinamento tra i due
richiamati regimi va effettuato dando priorità all’agevolazione in esame
rispetto alla disciplina Dit. Ciò, in particolare, comporta che il reddito
d’impresa viene dapprima assoggettato, fino a concorrenza, alla c.d.
"agevolazione Visco" e, quindi, per la quota eventualmente eccedente,
alla disciplina Dit (beninteso, ricorrendone i presupposti di applicazione).
Da tale criterio di coordinamento derivano, come abbiano già avuto modo di
rilevare nella nostra richiamata circolare n. 46 dello scorso anno, importanti
conseguenze sostanziali. Da un lato, l’aliquota di favore accordata ai sensi
della legge n. 133 del 1999 non risente del limite dell’aliquota media
previsto dalla disciplina Dit (27 per cento o 20 per cento per le società
neoquotate che beneficiano dell’ulteriore riduzione di aliquota di cui
all’articolo6 del Dlgs n. 466 del 1997). Di conseguenza, la c.d.
"agevolazione Visco" può essere pienamente fruita anche nel caso in
cui per effetto della sua applicazione si determinasse un’imposizione media
sul reddito complessivo inferiore al 27 o al 20 per cento. D’altro lato,
proprio per evitare che la fruizione del beneficio medesimo interferisse con il
calcolo del limite dell’aliquota media cui soggiace la quota di reddito
assoggettabile alla disciplina Dit, è stato previsto che detto limite va
calcolato senza tener conto del reddito fruente dell’aliquota del 19 per cento
e della relativa imposta; sicché, a questo specifico effetto, la parte di
reddito agevolata ex lege n. 133 del 1999 si considera come non concorrente alla
formazione dell’imponibile complessivo - alla stregua, vale a dire, di un
reddito assoggettato ad imposizione sostitutiva.
L’impostazione sopra delineata è fedelmente rispecchiata dalla struttura
del quadro RJ del modello Unico 2000 in rassegna dove, nella sezione I, viene
individuato, anzitutto, la quota di reddito su cui applicare la c.d.
"agevolazione Visco" (rigo RJ7, da riportare al rigo RN8 del quadro RN
relativo alla determinazione dell’imposta) e, successivamente, viene
determinato, nella sezione II (rigo RJ19), l’ammontare del reddito
potenzialmente assoggettabile all’aliquota Dit da calcolare — come avvertono
le istruzioni ministeriali — partendo dal reddito complessivo di periodo (rigo
RN6 del quadro RN) "...diminuito dell’importo di rigo RJ7". Cosicché,
anche se l’importo così residuato dovesse risultare inferiore al rendimento
ordinario, viene ad innestarsi automaticamente il meccanismo di riporto
dell’agevolazione Dit non fruita per incapienza di reddito; ancorché il
reddito complessivo (comprensivo cioè della quota assoggettata all’aliquota
agevolata per effetto della c.d. "agevolazione Visco") sia pari o
superiore al rendimento ordinario medesimo.
19.9 - Come accennato, il disegno di legge collegato alla finanziaria — in
corso di approvazione — reca un’importante modificazione del regime
agevolativo in esame, consistente nell’aggiunta, al comma 8 dell’articolo 2
della legge n. 133 del 1999, dopo il primo periodo, del seguente:
"Tuttavia, per il secondo dei predetti periodi sono computati anche gli
importi, determinati ai sensi del comma 9, degli investimenti, dei conferimenti
e degli accantonamenti di utili relativi al periodo precedente che non hanno
rilevato ai fini dell’applicazione dell’agevolazione in detto periodo".
Con questa disposizione, viene chiarito nella relazione di accompagnamento,
si intende meglio calibrare il regime agevolativo in ragione delle diverse
situazioni che, nei due periodi di applicazione del regime medesimo, possono
verificarsi riguardo alla concreta realizzazione dei due parametri richiesti
dalla norma: investimenti in beni nuovi a incrementi del patrimonio netto. In
effetti, come avevamo messo in luce nella circolare n. 46 dello scorso anno, la
formulazione attuale della norma appare eccessivamente rigorosa perché
riferisce, autonomamente, il regime agevolativo ai suddetti periodi di imposta
nei limiti della realizzazione in ciascuno di essi di entrambi gli anzidetti
parametri. Sicché, un’impresa che nel primo di detti periodi realizzi
maggiori investimenti rispetto agli incrementi del proprio patrimonio o
viceversa, si troverebbe nella situazione — dato il meccanismo agevolativo
operante solo fino a concorrenza dei due parametri — di non sfruttare la parte
eccedente dell’uno o dell’altro parametro e di non poterla sfruttare,
oltretutto, neanche nel secondo periodo di applicazione della agevolazione, data
l’autonomia, per l’appunto, dei due periodi. Tanto da ipotizzare, ad
esempio, che l’impresa che si capitalizzi interamente nel primo esercizio ed
effettui investimenti in beni nuovi interamente nel secondo esercizio — o
viceversa — sarebbe totalmente esclusa dalla applicazione del regime di
favore. Proprio per tener conto, dunque, dei vari modi in cui le imprese
programmano gli investimenti e la loro capitalizzazione e non creare effetti
penalizzanti, altrimenti non giustificabili sotto il profilo logico e
sistematico, si intende consentire con questa modifica normativa di riportare il
parametro non utilizzato per mancanza dell’altro nell’esercizio successivo
al fine di computarlo per il calcolo della agevolazione eventualmente spettante
per tale secondo esercizio sussistendone, ovviamente, le altre condizioni.
Sottolinea, peraltro, la stessa relazione di accompagnamento che questa mancata
utilizzazione dei parametri può verificarsi nel primo periodo di applicazione
della agevolazione anche nell’ipotesi in cui, pur risultando i parametri
entrambi esistenti, sia mancante in tutto o in parte il reddito da sottoporre ad
agevolazione. La citata circolare ministeriale n. 51/E (cfr. il paragrafo 7)
precisa, al riguardo, che in questo caso entrambi i parametri vanno
autonomamente riportati per la parte in cui ciascuno di essi risulti eccedere il
reddito che avrebbe potuto fruire del beneficio. Così, ad esempio, posti
investimenti in beni nuovi per 200, conferimenti per 100 e un reddito di 40, il
parametro degli investimenti da riportare nel secondo esercizio è pari a 160 e
quello dei conferimenti è pari a 60. Naturalmente, gli importi dei parametri
così riportati vanno trattati alla stregua, rispettivamente, di investimenti e
incrementi di patrimonio netto verificatisi nel secondo periodo, aggiungendosi
alle ulteriori vicende incrementative e decrementative effettivamente realizzate
in tale secondo periodo.
19.10 - L’articolo 2, comma 12, della legge n. 133 in commento, dispone che
per i periodi di imposta di applicazione delle agevolazioni gli acconti dell’Irpeg
(e dell’Irpef) vanno calcolati senza tener conto della agevolazione stessa. Su
tale particolare previsione, abbiamo già svolto alcune considerazioni nella
richiamata circolare n. 46 dello scorso anno (pagg. 45 e 46). Occorre, tuttavia,
richiamare l’attenzione sull’affermazione contenuta nella citata circolare
ministeriale n.51/E, secondo cui "le imprese che fruiscono delle
agevolazioni in esame sono comunque tenute a calcolare gli acconti relativi ai
periodi d’imposta 1999, 2000 e 2001, sulla base dell’aliquota non agevolata,
ossia al lordo dell’agevolazione".
Ad avviso del ministero delle Finanze, dunque, il più oneroso criterio di
commisurazione dell’acconto estenderebbe i suoi effetti anche al periodo
d’imposta 2001, vale a dire, al primo periodo successivo a quello di
conclusione del regime agevolativo. Tale posizione interpretativa si fonda sulla
presunzione, evidentemente, che a parità di reddito, l’imposta dovuta per il
periodo di imposta successivo a quello di conclusione della agevolazione è
superiore a quella che il contribuente può legittimamente prendere a
"riferimento" per l’acconto (e, cioè, l’imposta relativa al
secondo periodo agevolato); di qui, l’esigenza, nell’ottica ministeriale, di
rideterminare anche tale imposta di "riferimento" per impedire che
l’agevolazione produca effetti (benefici) ulteriori.
Al riguardo, pur comprendendo le ragioni di gettito che possono aver ispirato
l’affermazione ministeriale, non possiamo non osservare come la stessa non
trovi alcun supporto normativo; non sembra dubbio, invero, che stando al dato
letterale del citato comma 12 dell’articolo 2 della legge n. 133, gli effetti
di rideterminazione degli acconti sono circoscritti ai periodi di applicazione
del beneficio. D’altra parte, non sembra inutile ricordare che, proprio per
ovviare agli effetti riduttivi che si sarebbero scaricati sugli acconti del
primo periodo d’imposta successivo all’applicazione della precedente
disciplina agevolativi di cui ai commi 85 e ss. dell’articolo3 della legge n.
549 del 1995 (c.d. "proroga Tremonti"), fu necessario introdurre una
disposizione "ad hoc" con il comma 92 di detto articolo 3.
Comunque, sotto il profilo sostanziale, c’è da chiedersi se la previsione
in parola vada attuata, in ogni caso, procedendo semplicemente ad assoggettare
ad aliquota ordinaria la parte di reddito assoggettata al 19 per cento ovvero se
il contribuente possa fare a questi effetti riferimento all’imposta che
avrebbe potuto determinare in assenza del beneficio ex lege n. 133 ma tenendo
conto in suo luogo di altre discipline agevolative: intendiamo riferirci, in
particolare, alla situazione, che ben potrebbe verificarsi, in cui, in
considerazione del reddito complessivo disponibile, l’applicazione della c.d.
"agevolazione Visco" abbia sostituito in tutto o in parte la fruizione
della Dit che, pertanto, in assenza della "agevolazione Visco",
sarebbe venuta a "riespandersi".
Considerazioni di ordine sistematico indurrebbero a privilegiare questa
seconda soluzione; tuttavia, il punto, per la sua delicatezza, meriterebbe
opportuni chiarimenti da parte del ministero delle Finanze.
19.11 - A completamento dell’indagine è opportuno svolgere alcune
considerazioni in ordine alle principali problematiche che potrebbero
presentarsi in sede di applicazione della disciplina agevolativa in occasione di
operazioni di fusione e scissione, alle quali vanno accomunate, ai fini che qui
occupano, le operazioni di conferimento di azienda effettuate in regime di
neutralità ai sensi dell’articolo4 del decreto legislativo 8 ottobre 1997, n.
358 (in nostra circolare n. 42 del 1998).
Al riguardo, ci sembra che nessun problema dovrebbe porsi in caso di
operazioni di fusione per incorporazione senza effetto retroattivo. Stante,
infatti, l’autonomia dei periodi d’imposta della società incorporante e
della (o delle) società incorporata(e), ciascun soggetto si troverà ad
applicare la disciplina agevolativa con riferimento ai propri investimenti (e
disinvestimenti) e ai propri incrementi di patrimonio netto. È chiaro,
peraltro, che ove in capo alla società incorporata l’applicazione del
meccanismo agevolativo desse diritto al riporto dei parametri non utilizzabili
dalla stessa in relazione al periodo d’imposta in cui interviene la fusione
— e sempreché, ovviamente, si tratti per essa del primo periodo agevolabile
— tale diritto si trasferirebbe sulla società incorporante.
Per l’ipotesi di fusione con effetto retroattivo e, quindi, con
annullamento del periodo d’imposta della (o delle) società incorporata(e),
deve ritenersi che la società incorporante sia tenuta, in sede di applicazione
del beneficio, semplicemente a sommare gli investimenti e i disinvestimenti —
nonché gli incrementi di patrimonio netto — da essa effettuati con quelli di
pertinenza della (o delle) società estinta(e).
Soluzioni analoghe a quelle sopra prospettate per la fusione non retroattiva,
dovrebbero valere anche nell’ipotesi di scissione totale senza effetto
retroattivo; nel senso cioè che la società scissa applicherebbe su di sé
autonomamente il beneficio in relazione al suo ultimo periodo d’imposta e
trasmetterebbe eventualmente il diritto alle società beneficiarie a fruire del
riporto dei parametri. In questo caso, peraltro, tenendo presente le specifiche
disposizioni contenute nell’articolo 123-bis del Tuir, sembrerebbe logico
ritenere che, sul lato degli incrementi di patrimonio netto, il diritto al
riporto venga fruito dalle società beneficiarie in proporzione alla quota di
patrimonio netto contabile a ciascuna di esse trasferita. Con riguardo, invece,
al parametro degli investimenti, sembrerebbe più logico procedere
all’attribuzione del diritto al riporto in funzione dell’allocazione dei
beni oggetto di investimenti agevolabili: procedendo, cioè, anche in questo
caso in modo proporzionale, ma sulla base dell’ammontare degli investimenti
agevolabili allocati presso ciascuna beneficiaria.
Considerazioni particolari merita l’ipotesi di scissione parziale. In
questo caso, infatti, ferma restando l’autonoma applicazione del beneficio in
capo ai vari soggetti partecipanti all’operazione, si dovrebbe ritenere che le
società beneficiarie possano sommare ai propri incrementi di patrimonio netto
anche la quota parte degli incrementi di patrimonio netto della scissa e, ai
propri investimenti agevolabili, quelli effettuati da tale società e a ciascuna
di esse trasferiti per effetto della scissione. In tal modo, con specifico
riferimento a quest’ultimo parametro, si affermerebbe il principio che i beni
agevolabili provenienti dalla società scissa — e da questa eventualmente
messi anche in funzione — conservano presso il soggetto beneficiario il
requisito della novità; naturalmente, lo spostamento degli effetti agevolativi
sulle società beneficiarie determinerebbe una corrispondente neutralizzazione
di tali effetti in capo alla stessa società scissa. Maggiori incertezze vengono
a porsi invece in ordine al trattamento dei "disinvestimenti", e cioè
degli ammortamenti, cessioni e dismissioni effettuate dalla scissa prima
dell’operazione. Al riguardo, riterremmo che, a questi effetti, gli
ammortamenti relativi ai beni trasferiti debbano pesare per intero sul soggetto
beneficiario. Quanto invece ai disinvestimenti derivanti da cessioni effettuate
prima della scissione, essi non dovrebbero pesare per intero sulla scissa ma
essere ripartiti fra i vari soggetti dell’operazione in proporzione
all’ammontare del costo dei beni (sia nuovi che già posseduti) rientranti
nella tipologia di quelli agevolabili trasferito a ciascun soggetto beneficiario
(o rimasto in capo alla scissa). Quali che siano, comunque, le soluzioni più
corrette da applicare in questo caso, occorre aggiungere che le stesse
dovrebbero valere, stante l’analogia di situazione, anche con riguardo alle
operazioni di conferimento di azienda effettuate in regime di neutralità ai
sensi del richiamato articolo 4 del Dlgs n. 358 del 1997.
Nella scissione totale con effetti retroattivi, infine, e con specifico
riguardo alla ripartizione presso le beneficiarie degli incrementi di patrimonio
netto effettuati dalla scissa, non si pongono problemi diversi da quelli sopra
considerati ai fini dell’attribuzione del diritto al riporto di tale parametro
nell’operazione non retroattiva; si opererà, quindi, in funzione delle quote
di patrimonio netto contabile trasferito a ciascuna beneficiaria. Analogamente,
non si evidenziano problemi diversi anche con riferimento al trasferimento dei
beni oggetto di investimento agevolato e degli ammortamenti costituenti, ai fini
agevolativi, "disinvestimenti". Per i "disinvestimenti"
rappresentati da cessioni, invece, dovrebbero valere le medesime impostazioni
sostanziali applicabili per il caso di scissione parziale.
Le soluzioni sopra prospettate meriterebbero ovviamente di essere
opportunamente approfondite e confermate da parte del ministero delle Finanze.
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