Circolare dell’Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime) n. 39 del 24 maggio 2000,

"Approvazione del modello Unico 2000, società di capitali, enti ed equiparati."

Stralcio sulla parte relativa alla "legge Visco".

Agevolazione ex lege n.133 del 1999 (c.d. "legge Visco")

19.1 - L’articolo 2, commi da 8 a 12, della legge 13 maggio 1999, n. 133, ha introdotto una disciplina di carattere temporaneo volta ad incentivare, all’un tempo, sia gli investimenti in beni strumentali sia la capitalizzazione delle imprese, attraverso l’assoggettamento ad aliquota ridotta del 19 per cento della parte del reddito d’impresa corrispondente al minore importo tra: l’incremento del patrimonio netto, derivante da conferimenti in denaro e accantonamenti di utili, e l’ammontare degli investimenti in determinati beni strumentali nuovi, da assumere al netto degli ammortamenti e dei disinvestimenti effettuati nello stesso periodo di calcolo dell’agevolazione.

La disciplina agevolativa, si ricorda, era stata originariamente varata dal decreto legge 12 marzo 1999, n. 63 (recante "Misure urgenti in materia di investimenti e di occupazione"), con riguardo ai periodi d’imposta 1999 e 2000. Successivamente, il contenuto del citato Dl n. 63 è stato trasfuso nel richiamato articolo 2 della legge n. 133 del 1999, provvedendosi, al contempo, a far salvi gli effetti medio tempore dallo stesso prodotti. Delle caratteristiche e dei profili applicativi del beneficio abbiamo già riferito, per linee essenziali, nella nostra circolare n.46 del 1999 (pag.41 e ss.). Con circolare n. 51/E del 20 marzo di quest’anno, il ministero delle Finanze ha dettato le proprie istruzioni in materia, pervenendo, peraltro, su alcuni punti di particolare rilievo a soluzioni difformi rispetto a quelle da noi prospettate nella richiamata circolare dello scorso anno. Con le successive circolari n.98/E e n.101/E, rispettivamente, del 17 e del 19 maggio scorsi, lo stesso ministero delle Finanze, rispondendo a specifici quesiti, ha fornito ulteriori chiarimenti sulla disciplina agevolativa che, peraltro, non sembrano aver fugato tutte le incertezze interpretative ancora esistenti. A ciò si aggiunga che il vigente assetto della disciplina agevolativa non può considerarsi definitivo; l’articolo 3 del disegno di legge collegato alla finanziaria per il 2000 (c.d. "collegato ordinamentale", A.S. n. 4336) reca, infatti, alcune modifiche ai commi 8 e 9 del citato articolo 2 della legge n. 133 del 1999. Si tratta di interventi di non poco rilievo, con i quali, da un lato, vengono meglio definiti gli investimenti immobiliari ammessi al beneficio e, dall’altro, viene opportunamente introdotto — in accoglimento di quanto da noi auspicato nella richiamata circolare n. 46 del 1999 — un meccanismo che consente di riportare al secondo periodo agevolato i parametri (investimenti e/o conferimenti) eventualmente non sfruttabili nel primo periodo. Degli effetti di tali importanti modifiche "in itinere" tengono già conto le stesse istruzioni dettate dal ministero delle Finanze con le richiamate circolari. Peraltro, quelle appena indicate non dovrebbero essere le uniche innovazioni alla disciplina agevolativa. Nel testo dell’articolo 3 del citato disegno di legge approvato dalla Commissione finanze del Senato, infatti, risulta inserita, su emendamento presentato dallo stesso relatore di maggioranza, una specifica disposizione antielusiva tesa a recuperare "ex post" il beneficio nel caso in cui, entro un determinato lasso di tempo, l’impresa ponga in essere atti di disinvestimento dei beni che abbiano rilevato ai fini dell’agevolazione; si tratta, peraltro, di una disposizione che così formulata appare eccessivamente penalizzante dato che opererebbe anche nel caso in cui i disinvestimenti operati siano rimpiazzati da investimenti di importo pari o addirittura superiore.

A prescindere, comunque, per il momento, da ogni altra considerazione di merito, non c’è dubbio che il ritardo nell’emanazione da parte del ministero delle Finanze dei chiarimenti ufficiali per l’applicazione del beneficio ha provocato una situazione di incertezza che può aver ostacolato — stante anche il carattere temporaneo della disciplina — una tempestiva programmazione delle scelte da parte delle imprese e, quindi, la piena fruizione dei correlati benefici. Ma anche l’incertezza riguardo i tempi di approvazione del "collegato ordinamentale" e la completa definizione delle modifiche al testo di legge attualmente vigente creano ulteriore disagio. In tale delineata situazione — e proprio per realizzare in modo più efficace le finalità di politica economica che hanno ispirato l’adozione della misura congiunturale in argomento — è opportuno auspicare che l’ambito temporale di applicazione del beneficio venga esteso almeno fino all’esercizio 2001. In ogni caso, in considerazione delle cennate vicende parlamentari, dovrebbe essere valutata l’opportunità che le modifiche alla disciplina agevolativa aventi impatto sulla presente dichiarazione siano stralciate e dotate di immediata efficacia ricorrendo alla decretazione di urgenza.

Ciò considerato, soffermiamo di seguito l’attenzione sui punti più importanti che emergono dalle istruzioni applicative dettate dal ministero delle Finanze. Non senza aver preliminarmente ricordato che, come chiarito nella citata circolare n.98/E del 17 maggio 2000 (risposta n. 1.3.4), in caso di applicazione dell’agevolazione da parte di soggetti tenuti a redigere la dichiarazione dei redditi sul modello Unico 99, i relativi calcoli dovranno essere effettuati separatamente — cioè extra dichiarazione — utilizzando "anche il quadro RJ del nuovo modello Unico 2000 che verrà conservato per eventuali richieste da parte dell’Ufficio"; l’indicazione della quota di reddito assoggettabile ad aliquota del 19 per cento potrà, ex articolo 2 della legge n.133 in parola, dunque, direttamente avvenire (per le società di capitali e gli enti equiparati) in corrispondenza del rigo RG9 del precedente modello Unico.

19.2 - Un primo aspetto affrontato dal ministero delle Finanze nella citata circolare n. 51/E del 20 marzo scorso che merita di essere segnalato attiene al trattamento, agli effetti della disciplina agevolativa, delle imprese di nuova costituzione. Intendiamo riferirci, in particolare, all’affermazione, contenuta nel paragrafo 4, secondo cui per i soggetti costituitisi "dopo il 18 maggio 1999" — vale a dire, dopo l’entrata in vigore della legge n. 133 — l’agevolazione è applicabile "esclusivamente per il loro primo periodo d’imposta". Viene, in tal modo, superato il dubbio originato dalla formulazione letterale del comma 8 dell’articolo 2 della citata legge n. 133 che, prevedendo l’applicazione della disciplina per il periodo d’imposta "in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e per il successivo", poteva anche condurre alla esclusione dei soggetti non aventi un periodo d’imposta in corso alla suddetta data del 18 maggio 1999. La soluzione ministeriale appare anche coerente con le finalità della disciplina agevolativa, essendosi evidentemente ritenuto che fra gli obiettivi dalla stessa perseguiti ci fosse anche quello di favorire la nascita di nuove imprese.

L’applicazione del beneficio è però preclusa, precisa la stessa circolare ministeriale, per "i soggetti che si costituiranno dopo il 31 dicembre 2000". Al riguardo, in ordine alla verifica della condizione di costituzione entro la suddetta data, devono ritenersi valide le soluzioni già raggiunte in passato in relazione all’analoga disciplina (c.d. "agevolazione Tremonti") di cui all’articolo 3 del Dl n. 357 del 1994, convertito dalla legge n. 489 dello stesso anno. Quindi, nel caso di società, sarà sufficiente che entro il 31 dicembre 2000 si verifichi la costituzione della stessa, non essendo necessaria anche l’intervenuta omologa dell’atto costitutivo (cfr. la circolare ministeriale n.108/E del 3 maggio 1996, risp. n. 6.1.10).

La circolare ministeriale si occupa anche dei soggetti che abbiano chiuso il periodo d’imposta in una data ricompresa tra il 19 marzo e il 17 maggio 1999: vale a dire tra la data di entrata in vigore del citato Dl n.63 e quella antecedente l’entrata in vigore della legge n. 133. Può essere, ad esempio, il caso di una società con esercizio 1° aprile 1998-31 marzo 1999. Al riguardo, viene precisato che detti soggetti "mantengono l’agevolazione per tale periodo che viene così a costituire, per essi, il primo dei due periodi d’imposta agevolati". La soluzione cui perviene il ministero delle Finanze non sembra del tutto condivisibile. Ed invero, correttamente, sulla base della norma di salvezza degli effetti prodotti dal citato Dl n.63, è stata riconosciuta l’applicabilità dell’agevolazione per il periodo d’imposta che si è chiuso nell’ambito temporale di vigenza dello stesso, ma non sembra che tra gli effetti prodotti dal provvedime1nto non convertito ci sia anche quello relativo all’applicazione del beneficio per il periodo d’imposta successivo. Le vicende riguardanti i periodi d’imposta successivi a quello chiuso entro la suddetta data del 17 maggio 1999 devono ritenersi, infatti, autonomamente ed esclusivamente regolate dall’articolo 2 della legge n. 133: cosicché, nell’esempio considerato, ferma restando l’applicazione delle disposizioni del decreto legge non convertito in relazione al periodo 1° aprile 1998-31 marzo 1999, la società deve ritenersi ammessa a fruire in pieno delle disposizioni recate dalla legge n. 133 e, quindi, vedersi applicata l’agevolazione per entrambi i periodi d’imposta da questa individuati (nel caso considerato periodo 1° aprile 1999-31 marzo 2000 e periodo 1° aprile 2000-31 marzo 2001). È pur vero che in tal modo i soggetti che si trovino nella descritta situazione verrebbero a sfruttare un maggior ambito temporale di applicazione del beneficio — ciò che ha probabilmente ispirato la tesi ministeriale — ma, a parte la soprasvolta considerazione circa l’impossibilità di far salvi effetti non ancora prodottisi, non può non osservarsi che, in relazione al periodo d’imposta chiuso entro il 17 maggio 1999, il tempo a disposizione per effettuare i conferimenti e gli investimenti può essere stato, al massimo, di circa due mesi (13 giorni appena, nell’esempio considerato). Né varrebbe osservare che agli effetti del beneficio assumerebbero rilievo anche i beni acquisiti in tutto il periodo d’imposta in corso al 19 marzo 1999 e, quindi, anche prima di tale data; essendo evidente che solo casualmente i comportamenti tenuti prima dell’entrata in vigore della disciplina agevolativa potrebbero aver determinato parametri sfruttabili a tal fine. La questione, a nostro avviso, meriterebbe un ulteriore chiarimento, se del caso anche in via normativa.

19.3 - Il primo dei due parametri rilevanti ai fini dell’agevolazione attiene agli investimenti in beni strumentali; in particolare, assumono rilievo i beni rientranti fra quelli considerati dagli articoli 67 e 68 del Tuir che abbiano i requisiti della novità e che siano destinati a strutture produttive site nel territorio dello Stato. Nel ricordare che sono attratti fra gli investimenti rilevanti anche quelli attuati tramite contratti di locazione finanziaria — mentre ne restano espressamente esclusi quelli aventi ad oggetto i beni indicati nell’articolo 121-bis, comma 1, lettera a, dello stesso Tuir (aeromobili da turismo, navi, autoveicoli eccetera, fatta eccezione per quelli strumentali per l’attività propria o adibiti a usi pubblici) — sembra opportuno svolgere alcune osservazioni in merito all’individuazione degli investimenti immobiliari ammessi al beneficio.

L’attuale formulazione dell’articolo 2, comma 9, lettera a) della citata legge n. 133 esclude, com’è noto, dal regime agevolativo gli investimenti in "beni immobili diversi dagli impianti e dagli opifici appartenenti alla categoria catastale D/1, utilizzati direttamente dall’impresa nei quali vengono collocati gli impianti stessi". L’articolo 3 del disegno di legge collegato alla finanziaria, in corso di approvazione, intende modificare tale formula, sostituendo le parole "utilizzati direttamente dall’impresa nei quali vengono collocati gli impianti stessi" con quelle "utilizzati esclusivamente dal possessore per l’esercizio dell’impresa o, se in corso di costruzione, destinati a tale utilizzo". Tanto dal testo originario della disposizione, quanto dalla modifica "in itinere", emerge chiaramente che l’agevolazione compete, anzitutto, agli opifici appartenenti alla categoria catastale D/1. Per l’individuazione di tali immobili non dovrebbero porsi particolari problemi, salva la precisazione che, ovviamente, la loro rilevanza agli effetti della agevolazione non è subordinata all’avvenuto accatastamento con attribuzione di rendita, ma semplicemente al fatto che gli stessi presentino le caratteristiche oggettive che identificano tale categoria. Peraltro, l’ammissione al beneficio di tali beni viene sottoposta, per una precisa scelta del legislatore, alla ulteriore condizione che gli stessi devono essere destinati all’esercizio diretto dell’attività di impresa da parte del possessore: devono, cioè, concorrere con gli altri fattori aziendali alla produzione diretta dei ricavi e non semplicemente alla produzione di un reddito di natura immobiliare, derivante ad esempio da locazione. In questo senso, la modifica in corso di approvazione intende meglio definire la volontà legislativa, eliminando le incertezze interpretative cui la vigente formula normativa darebbe adito.

Senonché, proprio il rispetto della condizione in parola pone in evidenza un problema generale (riguardante cioè anche i beni mobili) collegato al fatto che l’agevolazione compete anche alle opere semplicemente in corso di costruzione nel periodo di applicazione del beneficio nel senso che ai beni costruiti in economia o in appalto l’agevolazione compete anche se non completati nei periodi di vigenza del regime (ovviamente, ma sul punto torneremo più avanti, in relazione alla sola parte di opera eseguita in ciascun periodo). Cosicché, per gli opifici in costruzione — ferma rimanendo la loro inclusione nel regime agevolativo — non potendo realizzarsi la predetta condizione nell’ambito dei due periodi agevolati, la norma ha previsto che essi siano semplicemente "destinati" all’utilizzo diretto; e, al riguardo, nella citata circolare n. 51/E, il ministero delle Finanze ha precisato che, in questi casi, "l’effettiva destinazione dei beni all’esercizio proprio dell’impresa deve essere verificabile non appena l’investimento è completato".

Come si è visto, nell’ambito di applicazione del beneficio la norma ricomprende — sia nella versione attualmente vigente che in quella in corso di approvazione — un’altra categoria di immobili: quella rappresentata dagli impianti. Per tali beni, diciamo subito — fatto salvo quanto si vedrà a proposito della posizione interpretativa assunta dal ministero delle Finanze sulla condizione di entrata in funzione — il legislatore non pone, a differenza degli opifici classificabili in D/1, alcuna particolare condizione di spettanza dell’agevolazione.

La concreta individuazione di questa tipologia di immobili ha però suscitato talune incertezze interpretative. In effetti, la nozione di "impianto" non è definita direttamente dalla norma fiscale, ma va colta piuttosto dalle categorie di bilancio elaborate in campo aziendalistico e alle quali si collega, del resto, la disciplina del reddito d’impresa.

Nel sottolineare che tale nozione è, per così dire, "trasversale", ricomprendendo tutti i cespiti aziendali aventi determinate caratteristiche tecniche, a prescindere dalla circostanza che, ai diversi effetti della disciplina civilistica e catastale (costruzioni infisse al suolo, cfr. articolo 812 del cod. civ.), si tratti di beni mobili o immobili, è chiaro che, ai fini della portata della norma che qui occupa, occorre far concreto riferimento ai soli impianti costituiti da immobili.

Al riguardo, giova ricordare che un problema identificativo di natura analoga si era posto in sede di applicazione della speciale disciplina di rivalutazione obbligatoria dei fabbricati (e delle aree fabbricabili), di cui alla legge 30 dicembre 1991, n. 413. Il decreto ministeriale 13 febbraio 1992 attuativo di tale disciplina disponeva espressamente, infatti, che l’obbligo di rivalutazione dovesse applicarsi, oltre che ai fabbricati classificati nei gruppi catastali A, B e C, anche alle "costruzioni indicate nelle tabelle dei coefficienti di ammortamento allegate ai decreti ministeriali 29 ottobre 1974 e 31 dicembre 1988, con esclusione degli impianti e dei macchinari ancorché infissi al suolo". A questo proposito, nella nostra circolare n. 67 del 1992, ponemmo in evidenza, sulla base di un’impostazione sostanzialmente condivisa dalla circolare ministeriale n.9 del 28 aprile 1992 (in nostra circolare n. 83 dello stesso anno), che dovevano considerarsi tali, oltre agli impianti incorporati nei fabbricati e autonomamente ammortizzabili (come, ad esempio, i generatori per la produzione e distribuzione di energia, i mezzi di sollevamento, carico, scarico e pesatura, le reti di trasmissione e distribuzione di merci, i binari e così via), anche tutte le altre costruzioni infisse al suolo figuranti nelle tabelle dei coefficienti di ammortamento con voce autonoma rispetto a quella propria dei fabbricati destinati all’industria. In questo senso, nella nostra richiamata circolare n. 67 del 1992, avemmo modo di precisare come il riferimento dovesse intendersi, ad esempio, alle gallerie ed ai pozzi per il gruppo IV nonché ai forni e alle loro pertinenze e agli altri impianti destinati al trattamento e al depuramento delle acque, fumi nocivi eccetera; per il gruppo V, anche ai silos in materiale ferroso o plastico; per il gruppo IX agli oleodotti, serbatoi, impianti stradali di distribuzione; per il gruppo XVII alle opere idrauliche fisse, le condotte forzate, le centrali idroelettriche (esclusi i fabbricati); per il gruppo XVIII alle piste, ai suoli e terreni ad essi adibiti, alle opere d’arte fisse, ponti, viadotti, gallerie eccetera. Si tratta, in definitiva, di costruzioni, anch’esse rilevanti civilisticamente come immobili, al pari dei fabbricati, ma che nell’ambito delle attività industriali cui sono destinate assumono la natura di veri e propri impianti tecnicamente funzionali all’esercizio delle stesse e aventi specifici coefficienti tabellari di ammortamento. E’ a questa tipologia di "immobili", dunque, che deve ritenersi abbia inteso fare riferimento — ai suoi diversi effetti — anche l’odierna disciplina agevolativi; ciò, in coerenza con l’intento di includere nel suo ambito applicativo i beni che, pur avendo natura immobiliare, si presentino in tutto simili agli impianti costituiti da beni mobili.

19.4 - Come si è detto, per assumere rilievo ai fini dell’agevolazione, gli investimenti devono attenere a beni aventi il requisito della novità e della territorialità, nel senso cioè di essere destinati a cedere le proprie utilità in relazione ad attività svolte nel territorio dello Stato. A tali condizioni, espressamente previste dalla legge, la circolare ministeriale ne ha aggiunte altre due: la circostanza che gli investimenti risultino iniziati in uno dei periodi d’imposta di applicazione della disciplina agevolativa e, inoltre, che i beni oggetto d’investimento risultino effettivamente entrati in funzione presso l’impresa.

Rinviando al successivo paragrafo le considerazioni da svolgere su quest’ultimo aspetto, rileviamo che, sul requisito della novità, le indicazioni contenute nella citata circolare ministeriale n. 51/E sono in linea con le interpretazioni già consolidatesi in materia riguardo all’analoga disciplina agevolativa di cui all’articolo 3 del decreto legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito dalla legge 8 agosto 1994, n.489 (c.d. "agevolazione Tremonti").

Va tuttavia evidenziata l’importante presa di posizione assunta dalla circolare ministeriale (al paragrafo 5.4), secondo la quale, in assenza di espressa previsione normativa, dovrebbero ritenersi esclusi dall’agevolazione "… il completamento di opere sospese, l’ampliamento, la riattivazione e l’ammodernamento di impianti esistenti".

In effetti, la norma agevolativa attuale — a differenza della richiamata disciplina contenuta nel Dl n. 357 del 1994 — non contempla espressamente le attività sopraindicate fra quelle meritevoli del beneficio. Tale circostanza, peraltro, non sembrerebbe di per sé supportare la conclusione cui perviene il ministero delle Finanze o, quantomeno, non sembrerebbe giustificarne così ampie implicazioni. Ed invero, in presenza, ad esempio, del completamento di opere sospese ovvero dell’ampliamento di un opificio esistente che si concretino nella costruzione di nuovi corpi di fabbrica o di porzioni d’impianto, sarebbe a nostro avviso difficile negare il diritto all’agevolazione, trattandosi, in entrambi i casi, di beni per i quali ricorre sicuramente il concetto di novità; come risulterebbe del resto inequivocabilmente comprovato dall’esigenza di procedere all’accatastamento dei beni medesimi.

La riportata affermazione ministeriale va, tuttavia, coordinata con un’altra affermazione contenuta nel precedente paragrafo 5.2 della stessa circolare n. 51/E (di cui abbiamo fatto già cenno poc’anzi), con la quale, riferendosi agli investimenti immobiliari, il Ministero pone come condizione di spettanza del beneficio "… che l’investimento sia iniziato in uno dei due periodi d’imposta agevolati".

Da quanto riportato, sembra potersi desumere che nell’ottica ministeriale la semplice circostanza che un determinato investimento sia stato intrapreso nell’ambito di periodi d’imposta precedenti a quelli agevolati precluda in radice l’accesso al beneficio della parte di opera realizzata — in economia o in appalto — nel corso di questi periodi. La delineata impostazione — che, ancorché espressa in riferimento agli investimenti immobiliari, sembrerebbe assumere portata generale — suscita qualche dubbio. In particolare, non appare del tutto convincente l’assunto che un investimento iniziato, ad esempio, nel corso del 1997 e continuato o completato nel corso del 1999 o del 2000 non possieda il requisito della novità al pari di un investimento analogo iniziato e continuato o completato nel 1999 o nel 2000. Ma, soprattutto, non sembra che tale conclusione sia coerente con le finalità del provvedimento, che dovrebbero ritenersi rispettate tanto nel caso in cui l’impresa inizi nuovi investimenti proprio per fruire del trattamento agevolato tanto nel caso in cui l’impresa completi quelli già iniziati. Senza considerare che sul piano applicativo la ulteriore condizione richiesta dalla circolare ministeriale creerebbe alcune incertezze con riferimento, ad esempio, all’ipotesi di investimenti immobiliari con acquisto, nel corso di periodi anteriori a quelli agevolati, della sola area edificabile oppure nel caso di acquisizione di un brevetto in esito ad attività di studio e ricerca iniziata in periodi precedenti e proseguita nei periodi agevolati. È questo un punto alquanto delicato della disciplina agevolativi, sul quale non sarebbe inopportuno un esplicito chiarimento di carattere normativo.

Ciò considerato, va tuttavia ricordato che la stessa circolare ministeriale ammette comunque l’applicabilità del beneficio in ipotesi di interventi su impianti già esistenti tesi al loro completamento, riattivazione, ampliamento o ammodernamento "… qualora nelle parti strutturali dell’impianto si collochino elementi oggettivamente autonomi, che costituiscono di per sé beni strumentali ammortizzabili, i relativi investimenti sono comunque agevolabili".

In ordine alla condizione della territorialità — e, cioè, alla circostanza che i beni oggetto di investimento risultino destinati a strutture situate nel territorio dello Stato — la circolare ministeriale n. 51/E (paragrafo 5.5) chiarisce che "… l’effettiva destinazione del bene deve trovare riscontro in elementi oggettivi, non essendo di per sé sufficiente, ai fini dell’agevolazione, la mera iscrizione del bene nel bilancio della società residente o della stabile organizzazione del soggetto non residente".

Tale problematica, naturalmente, viene a porsi in concreto solo per i soggetti residenti che esercitino la propria attività anche all’estero mediante stabile organizzazione ovvero possiedano all’estero uffici di rappresentanza o altre strutture non costituenti stabile organizzazione e, in genere, per le imprese non residenti con stabile organizzazione in Italia. La precisazione ministeriale va interpretata nel senso che la dimostrazione della destinazione territoriale dei beni non può dipendere dalle sole risultanze contabili interne dell’impresa — dalle quali, appunto, emerga la non "appartenenza" degli stessi alle sedi estere — ma deve essere supportata anche da elementi oggettivi.

19.5 - Come si è detto, il ministero delle Finanze ha ritenuto che la fruizione del beneficio fiscale è subordinata — oltre che alle altre condizioni sopra considerate — alla circostanza che nello stesso periodo d’imposta in cui avviene l’acquisizione dei beni, da individuarsi in base alle regole di competenza poste dall’articolo 75 del Tuir, si verifichi anche la loro entrata in funzione.

È probabile, ancorché la circolare ministeriale non faccia menzione di tale argomento, che alla base di tale ulteriore condizione ci siano state anche preoccupazioni di carattere antielusivo; collegate, in particolare, alla possibilità che l’acquisizione dei beni nuovi strumentali venga fatta al precipuo scopo di fruire dell’agevolazione e non già in funzione di un effettivo incremento della capacità produttiva dell’impresa. In questa prospettiva, la posizione ministeriale odierna ricalca quella assunta con riguardo alla precedente disciplina agevolativa di cui al richiamato Dl n. 357 del 1994 (cfr. le istruzioni al modello 760/A del 1995, in ns. circ. n. 53 dello stesso anno). Non può, tuttavia, non ricordarsi che proprio in relazione a tale precedente normativo la condizione dell’entrata in funzione dei beni venne, per così dire, "rimossa" dallo stesso ministero delle Finanze in concomitanza con la decorrenza di una specifica disciplina antielusiva volta a penalizzare — attraverso il ricalcolo dell’agevolazione concessa — la fuoriuscita dal processo produttivo dei beni oggetto di investimento agevolato non accompagnata dal loro rimpiazzo. Come si è detto, anche in relazione alla disciplina agevolativa odierna è probabile l’introduzione di norme antielusive "ad hoc" di portata analoga a quelle ora richiamate. Può, dunque, ipotizzarsi che similmente a quanto avvenuto all’epoca, la condizione riguardante l’entrata in funzione dei beni dovrebbe venir meno.

Comunque, prendendo atto dell’impostazione adottata dal ministero delle Finanze — e prescindendo per il momento dal diverso scenario che potrebbe prospettarsi in caso di modifiche normative — è opportuno svolgere alcune considerazioni sui risvolti applicativi della condizione in parola.

In proposito, sembrerebbe logico anzitutto ritenere che l’applicazione del beneficio può essere subordinata all’effettiva immissione dei beni nel processo produttivo solo con riguardo ai beni strumentali "finiti": vale a dire, acquisiti dall’impresa al loro stadio finale e, quindi, suscettibili di immediato impiego. La verifica della condizione in oggetto non dovrebbe invece riguardare — si è già accennato nel precedente paragrafo 19.3 — i beni che al termine del periodo d’imposta agevolato risultino in corso di costruzione, sia in appalto che in economia. Tale circostanza, che per quanto attiene agli investimenti immobiliari, appare indirettamente confermata, proprio dalle modifiche al comma 8 dell’articolo 2 della legge n. 133 contenute nel disegno di legge collegato alla finanziaria in corso di approvazione, deve evidentemente valere in via di principio anche per i beni mobili. D’altra parte, ove così non fosse, si finirebbe per escludere dal beneficio proprio gli investimenti più complessi — per la cui realizzazione è appunto necessario un maggior lasso di tempo — con evidente frustrazione delle stesse finalità della disciplina agevolativa. Naturalmente, ma è questo un aspetto di cui ci occuperemo più avanti, gli investimenti in corso di esecuzione al termine del periodo d’imposta agevolato rilevano ai fini dell’agevolazione per il solo importo corrispondente alla parte di opera eseguita nello stesso periodo.

Ma anche con riguardo ai beni "finiti" — la cui acquisizione, evidentemente, può derivare tanto da un contratto di compravendita tanto da un contratto di appalto nonché dalla costruzione in proprio — la condizione relativa all’entrata in funzione non è comunque sempre necessaria. Nella stessa circolare ministeriale n. 51/E, infatti, viene contemplato il caso in cui un determinato bene, "… acquisito in prossimità della fine del periodo d’imposta, presenti caratteristiche tecniche e strutturali che ne impediscano l’entrata in funzione nello stesso periodo". Al riguardo, proprio per evitare "… applicazioni aberranti della norma che, in contrasto con le finalità perseguite dal legislatore, potrebbero vanificare lo sforzo degli operatori commerciali al rilancio degli investimenti…", il ministero delle Finanze ha opportunamente riconosciuto che in tali "… circoscritte ipotesi…" l’investimento può ritenersi "… effettuato nel periodo d’imposta di acquisizione del bene, a condizione che il soggetto interessato possa dimostrare l’oggettivo impedimento ad utilizzarlo entro lo stesso periodo".

Il pensiero ministeriale sul punto è stato poi integrato dalle precisazioni fornite nella recente circolare n. 101/E del 19 maggio scorso, in risposta ad uno specifico quesito, con il quale era stato chiesto di meglio precisare in quali circostanze l’investimento effettuato in un determinato periodo d’imposta e non messo in funzione potrebbe ugualmente fruire dell’agevolazione. In proposito (cfr. la risposta n. 2.4), il ministero delle Finanze ha osservato che, essendo tesa a non penalizzare i contribuenti in caso di oggettiva e dimostrata impossibilità dell’entrata in funzione nel periodo agevolato, la previsione contenuta nella precedente circolare n.51/E "... è necessariamente elastica ..." e che, pertanto, "... non è possibile fornire al riguardo dei criteri astratti e generali, dovendosi piuttosto avere riguardo a specifiche fattispecie concretamente realizzatesi".

Dall’insieme delle riportate affermazioni ministeriali ci sembra potersi ritrarre, in positivo, la conclusione che l’esimente in questione si renda applicabile non solo nelle ipotesi in cui l’utilizzo del cespite è impedito dalle sue caratteristiche tecniche strutturali — vale a dire, legate alla sua funzionalità a regime — ma anche in tutte le situazioni in cui tale utilizzo è ugualmente reso impraticabile in ragione del collegamento del bene con altri elementi del processo produttivo o anche con la stessa attività produttiva. Si pensi, al riguardo, alla situazione che può presentarsi nel caso in cui gli investimenti siano destinati a una nuova sede produttiva dell’impresa ovvero ad essere integrati con altri beni di successiva acquisizione; o anche all’ipotesi in cui, pur essendo l’apparato produttivo potenzialmente funzionante, non sia ancora iniziata l’attività per la mancanza dei necessari provvedimenti autorizzativi legati alla sicurezza degli impianti o alla loro agibilità eccetera.

Tutto ciò considerato, non può tuttavia escludersi che in determinati casi la mancata messa in funzione di un bene strumentale sia dipesa non già da un impedimento oggettivo — nel senso sopra specificato — ma da una precisa scelta operata dall’impresa che, ad esempio, in relazione ad un investimento meramente sostitutivo decida di sfruttare il bene da rimpiazzare fino al termine dell’esercizio; così come non può neanche escludersi che, pur sussistendo una causa di impedimento oggettivo, l’impresa ne valuti incerta la dimostrazione secondo i criteri prospettati dal ministero delle Finanze.

In tali situazioni, ci sembrerebbe soluzione ragionevole quella di ritenere che per la verifica della condizione in parola sia sufficiente che l’entrata in funzione del bene intervenga entro il termine di scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta agevolato. Si tratterebbe, a ben guardare, di un criterio che garantirebbe ugualmente le esigenze di carattere antielusivo dell’Amministrazione finanziaria; senza considerare che un tale tipo di soluzione venne già accolta all’epoca della c.d. "agevolazione Tremonti", di cui al citato Dl n. 357 del 1994, ai fini del trattamento del costo sostenuto per l’acquisizione dell’area edificabile (che, come si ricorderà, venne ritenuto rilevante ai fini del beneficio, a condizione che i lavori di costruzione risultassero avviati entro il termine di presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta di acquisizione dell’area). Il punto meriterebbe di essere esplicitamente affrontato dai competenti organi ministeriali, anche al fine di chiarire la sorte, ai fini agevolativi, dei beni eventualmente messi in funzione dopo il suddetto termine ma comunque entro la chiusura del secondo periodo agevolato. Naturalmente, si ribadisce, tutta questa vicenda della condizione di entrata in funzione dei beni potrebbe risultare superata a seguito dell’introduzione della disciplina antielusiva.

19.6 - Anche in relazione ai criteri di computo degli investimenti ci sono da segnalare importanti chiarimenti da parte ministeriale.

Un primo punto su cui è intervenuto il ministero delle Finanze riguarda il trattamento, ai fini del calcolo del volume degli investimenti in beni agevolabili, dei contributi in conto impianti. Al riguardo, muovendo dal presupposto che il costo degli investimenti dev’essere assunto secondo le regole fiscali poste dall’articolo 76 del Tuir — e considerando che per effetto delle modifiche recate dall’art.21 della legge 27 dicembre 1997, n.449, fra tali regole non figura più quella che consentiva di assumere il costo dei beni acquisiti con il concorso dei contributi pubblici al lordo degli stessi — la circolare ministeriale n. 98/E (risp. n.1.3.5), confermando peraltro quanto già affermato nel paragrafo 5.6 della precedente circolare n. 51/E, ha precisato che il costo di tali beni deve essere assunto al netto del contributo.

Per la verità, la conclusione cui è pervenuto il ministero delle Finanze non appare, per così dire, necessitata; nel senso cioè che dall’eliminazione della richiamata regola dall’articolo 76 del Tuir non può inferirsi automaticamente l’applicazione di una regola esattamente contraria, essendo tale modifica collegata semplicemente al nuovo regime di tassazione dei contributi in conto impianti. D’altra parte, basterebbe considerare che in caso di iscrizione del bene in bilancio al lordo del contributo — con conseguente tassazione di questo sotto forma di risconto — il costo fiscale su cui parametrare le quote tabellari di ammortamento sarebbe proprio quello lordo. La soluzione ministeriale sembra, piuttosto, ispirata proprio dall’intento di assicurare lo stesso trattamento, ai fini del meccanismo agevolativo, a prescindere dalle modalità di contabilizzazione del contributo. In effetti, identico risultato si sarebbe potuto ottenere affermando l’opposta soluzione e, quindi, riconoscendo la rilevanza della parte di costo coperta dal contributo anche se non iscritta in bilancio. La scelta ministeriale, che in questa diversa ottica troverebbe più chiara spiegazione, è stata evidentemente nel senso di ritenere non coerente con il regime agevolativo il riconoscimento di costi non effettivamente sostenuti dall’impresa.

L’assunzione del costo dei beni, in ogni caso, al netto dei contributi pubblici, va coordinata anche con l’altra soluzione affermata nella stessa circolare ministeriale (e di cui ci occuperemo tra breve) concernente la irrilevanza, ai fini dei "disinvestimenti" delle quote di ammortamento stanziate sui beni oggetto di investimento agevolato. Soluzione questa che, in concreto, rende del tutto indifferente, agli effetti agevolativi, l’impostazione contabile adottata dall’impresa in sede di iscrizione del bene acquisito con sovvenzione; in altri termini, ipotizzando un bene di costo pari a 1000, acquisito con un contributo di 300, e un coefficiente di ammortamento del dieci per cento, tanto l’impresa che contabilizzi il bene al lordo del contributo, stanziando ammortamenti per 100, tanto l’impresa che contabilizzi il bene al netto del contributo, stanziando ammortamenti per 70, assumeranno ai fini agevolativi l’importo di 700.

Ciò posto, occorre tuttavia rilevare che non sempre al momento di effettuazione dell’investimento l’impresa può avere la certezza del diritto al riconoscimento del contributo da parte dello Stato o di altri enti pubblici; né, tale certezza potrebbe essere maturata alla data di liquidazione dell’imposta relativa al periodo oggetto di agevolazione. Sarebbe opportuno che il ministero fornisse specifichi chiarimenti sul corretto comportamento da adottare in tali situazioni.

Sempre in relazione ai criteri di computo degli investimenti agevolabili vanno, poi, ricordate le precisazioni contenute nella risposta n. 2.3 della circolare n. 101/E del 19 maggio scorso in tema di determinazione del costo rilevante in ciascun periodo d’imposta dei beni realizzati tramite contratti di appalto. Al riguardo, a integrazione di quanto già affermato nel paragrafo 5.6 della precedente circolare n. 51/E, il ministero delle Finanze ha chiarito che il criterio di commisurazione degli investimenti all’ammontare dei corrispettivi liquidati in base allo stato di avanzamento lavori "... rileva per le opere in corso di esecuzione al termine dell’esercizio, oggetto di contratti di appalto di durata non solo ultrannuale, ma anche infrannuale ..."; il riferimento alle somme così liquidate permette, infatti, "anche alla luce degli articoli 1655 e ss. del Codice civile..." "... di individuare con certezza la porzione di opera realizzata (cioè ultimata, in quanto verificata ed accettata dal committente) e quindi agevolabile nell’ambito di ciascun periodo d’imposta".

Le riportate affermazioni ministeriali sono di grande importanza per due motivi. Anzitutto, perché vengono correttamente ad equiparare, per l’individuazione del momento di effettuazione dell’investimento, agli effetti della disciplina agevolativa, le opere infrannuali a quelle ultrannuali.

L’altro aspetto rilevante è che, in sede di calcolo della quota parte di investimento che può considerarsi realizzata in ciascun periodo d’imposta, non assume rilevanza la eventuale diversa quantificazione della parte di opera eseguita che l’impresa appaltatrice determina agli effetti delle valutazioni fiscali delle proprie rimanenze.

Ciò posto, non possiamo tuttavia non rilevare — riproponendo sul punto alcune osservazioni che avemmo già modo di svolgere nella circolare n. 151 del 1994 (cfr. pag. 21 e ss.) a commento della precedente agevolazione recata dal citato Dl n. 357 del 1994 — come non sempre il criterio di calcolo secondo gli stati avanzamento lavori potrebbe risultare applicabile. A parte, infatti, l’ipotesi di contratti che non prevedano tale formula di liquidazione parziale, c’è da considerare il caso in cui la data dello stato di avanzamento lavori non coincida con quella di chiusura del periodo d’imposta del soggetto agevolato. In queste situazioni, riterremmo possibile, ma il punto meriterebbe di essere confermato dai competenti uffici ministeriali, che per l’individuazione della "tranche" di investimento effettuata sia sufficiente una dichiarazione rilasciata dall’impresa appaltatrice che attesti tale dato.

19.7 - Dal volume degli investimenti effettuati in beni nuovi appartenenti alle tipologie indicate dalla legge vanno detratti i "disinvestimenti", intendendosi per tali gli ammortamenti dei beni strumentali dedotti dall’impresa nel corso del periodo d’imposta agevolato nonché le cessioni e le dismissioni dei beni stessi. Nel ricordare che tra i "disinvestimenti" a tal fine rilevanti non devono essere ovviamente considerati quelli relativi a beni non agevolabili — quali, ad esempio, gli ammortamenti o le cessioni o le dismissioni riguardanti gli immobili classificabili nella categoria catastale C1 ovvero gli autoveicoli e gli altri beni indicati nell’articolo 121-bis, comma 1, lettera a), n. 1 del Tuir — vanno segnalate due importanti prese di posizione da parte ministeriale.

La prima attiene al trattamento degli ammortamenti stanziati sui beni oggetto di investimento agevolato che, com’è noto, il ministero delle Finanze ha ritenuto di poter escludere dal computo dei "disinvestimenti".

Si ricorderà, al riguardo, che nella circolare n. 46 dello scorso anno, proprio muovendo dalla opposta convinzione — basata sul dato letterale della norma che, in effetti, non opera alcuna distinzione fra ammortamenti, cessioni e dismissioni dei beni nuovi agevolabili e ammortamenti, cessioni e dismissioni dei beni già posseduti — avevamo prospettato l’opportunità che venissero almeno neutralizzati a tali fini gli ammortamenti anticipati. Va, peraltro, ricordato, a testimonianza dell’incertezza che il tema ha suscitato, che lo stesso ministero delle Finanze, nelle istruzioni al quadro RJ del nuovo modello, ha affermato esattamente il contrario di quanto poi precisato nella citata circolare n. 51/E del 20 marzo e, successivamente, ribadito — proprio per eliminare ogni residuo dubbio sul contrasto di tesi che si era venuto a creare — nella più recente circolare n. 101/E del 19 maggio scorso.

Si tratta, com’è evidente, di un’interpretazione favoritiva per il contribuente e alla quale il ministero delle Finanze ha ritenuto di poter accedere anche al fine di non determinare, opportunamente, discriminazioni di trattamento tra investimenti in proprietà (che sarebbero risultati penalizzati) e investimenti in leasing (che sarebbero stati avvantaggiati, stante la letterale non ricomprensione fra i "disinvestimenti" previsti dalla norma dei canoni di locazione finanziaria). L’apertura ministeriale, peraltro, è anche apprezzabile poiché risolve implicitamente il problema del trattamento ai fini agevolativi dei beni strumentali ammortizzabili di costo unitario non superiore a un milione di lire; tali beni, infatti, in caso di opzione per l’immediata imputazione del costo al conto economico, sarebbero stati di fatto esclusi dal beneficio.

Va, inoltre, ricordato che, secondo quanto chiarito dal ministero delle Finanze, l’esclusione degli ammortamenti dei beni nuovi agevolabili vale sia per il primo che per il secondo periodo d’imposta di applicazione del beneficio. Per converso, l’esclusione dai disinvestimenti, è bene sottolineare, non vale secondo lo stesso ministero nel caso di cessione o dismissione dei beni medesimi.

Ciò posto, preme evidenziare, nella delineata prospettiva, il problema del trattamento degli ammortamenti (nonché delle cessioni e delle dismissioni) relativi a beni acquisiti nel corso del periodo d’imposta di applicazione del beneficio e rientranti nelle tipologie di quelli agevolabili, ma non rilevanti a questi effetti in quanto privi del requisito della novità. A nostro avviso, sarebbe soluzione coerente con le finalità della disciplina quella di trattare tali "disinvestimenti" alla stregua di quelli riguardanti i beni, pur sempre acquisiti nei periodi agevolati, ma non appartenenti alle categorie agevolabili (ad esempio, immobili classificabili in C1 ovvero autoveicoli eccetear).

Diversamente, infatti, dai "disinvestimenti" riguardanti i beni della stessa tipologia di quelli agevolabili già posseduti dall’impresa anteriormente al primo periodo agevolato (siano stati essi acquisiti come nuovi o come usati) — che rappresentano comunque un decremento dello "stock" del volume di investimenti il cui incremento la legge intende invece incentivare - i "disinvestimenti" riguardanti i beni suddetti dovrebbero essere "neutralizzati" proprio perché costituirebbero decremento di investimenti di per sé inidonei a influenzare positivamente il meccanismo agevolativo. Per la soluzione positiva del problema, osserviamo, non sembrerebbe di ostacolo la risposta fornita dal ministero delle Finanze nella citata circolare n. 101/E del 19 maggio scorso (cfr. risp. n. 2.5) che, a quanto è dato di capire, dovrebbe intendersi riferita ai soli beni acquisiti come usati, ma già in possesso dell’impresa da epoca antecedente ai periodi agevolati. Il punto meriterebbe di essere ripreso dai competenti organi ministeriali.

Ciò detto, occorre tuttavia aggiungere che nessun dubbio deve invece porsi circa la irrilevanza dei "disinvestimenti" che abbiano ad oggetto i beni acquisiti nei periodi agevolati che, pur rientrando nelle tipologie di quelli agevolabili, siano destinati a strutture situate all’estero e, quindi, privi del requisito di territorialità (tanto se usati tanto se nuovi).

L’altra importante questione affrontata e risolta in modo difforme da quanto da noi prospettato nella circolare n. 46 dello scorso anno, attiene al "quantum" da assumere come "disinvestimento" in caso di cessione dei beni. Sul punto, si ricorderà, abbiamo espresso l’avviso secondo cui, in coerenza con le peculiarità del meccanismo agevolativo odierno che — a differenza di quanto previsto nell’analoga disciplina del citato Dl n. 357 del 1994 — richiede espressamente che l’impresa "autofinanzi" con incrementi di patrimonio netto il costo dei nuovi investimenti, sarebbe stato logico assumere il costo fiscale residuo del bene oggetto di cessione e non già il corrispettivo conseguito. Si trattava, è bene ulteriormente precisare, di una soluzione preferibile, fra l’altro, anche per motivi di semplificazione del meccanismo agevolativo poiché avrebbe consentito in ogni caso di determinare automaticamente il "quantum" disinvestito. Comunque, va evidenziato che la scelta operata dal ministero delle Finanze risulta, per così dire, ambivalente sul piano degli effetti; essa, infatti, così come determina l’assunzione di un maggior "disinvestimento" nel caso in cui il corrispettivo sia superiore al costo fiscale del bene (plusvalenza) così anche comporta l’assunzione di un "disinvestimento" minore nel caso inverso (minusvalenza).

19.8 - Si è accennato che tra i principali obiettivi dell’agevolazione in esame figura quello di incentivare la capitalizzazione delle imprese. Sotto questo profilo, quindi, essa è diretta a rafforzare, nel biennio considerato 1999-2000, la ordinaria disciplina della Dit. In coerenza con tali finalità, si è pertanto riconosciuta la contemporanea operatività dei due regimi di riduzione dell’aliquota, ponendosi particolare cura ad evitare che tra gli stessi si potessero determinare situazioni di sovrapposizione o interferenza.

Al riguardo, secondo quanto sottolineato dalla stessa relazione di accompagnamento alla legge n. 133 del 1999, il coordinamento tra i due richiamati regimi va effettuato dando priorità all’agevolazione in esame rispetto alla disciplina Dit. Ciò, in particolare, comporta che il reddito d’impresa viene dapprima assoggettato, fino a concorrenza, alla c.d. "agevolazione Visco" e, quindi, per la quota eventualmente eccedente, alla disciplina Dit (beninteso, ricorrendone i presupposti di applicazione).

Da tale criterio di coordinamento derivano, come abbiano già avuto modo di rilevare nella nostra richiamata circolare n. 46 dello scorso anno, importanti conseguenze sostanziali. Da un lato, l’aliquota di favore accordata ai sensi della legge n. 133 del 1999 non risente del limite dell’aliquota media previsto dalla disciplina Dit (27 per cento o 20 per cento per le società neoquotate che beneficiano dell’ulteriore riduzione di aliquota di cui all’articolo6 del Dlgs n. 466 del 1997). Di conseguenza, la c.d. "agevolazione Visco" può essere pienamente fruita anche nel caso in cui per effetto della sua applicazione si determinasse un’imposizione media sul reddito complessivo inferiore al 27 o al 20 per cento. D’altro lato, proprio per evitare che la fruizione del beneficio medesimo interferisse con il calcolo del limite dell’aliquota media cui soggiace la quota di reddito assoggettabile alla disciplina Dit, è stato previsto che detto limite va calcolato senza tener conto del reddito fruente dell’aliquota del 19 per cento e della relativa imposta; sicché, a questo specifico effetto, la parte di reddito agevolata ex lege n. 133 del 1999 si considera come non concorrente alla formazione dell’imponibile complessivo - alla stregua, vale a dire, di un reddito assoggettato ad imposizione sostitutiva.

L’impostazione sopra delineata è fedelmente rispecchiata dalla struttura del quadro RJ del modello Unico 2000 in rassegna dove, nella sezione I, viene individuato, anzitutto, la quota di reddito su cui applicare la c.d. "agevolazione Visco" (rigo RJ7, da riportare al rigo RN8 del quadro RN relativo alla determinazione dell’imposta) e, successivamente, viene determinato, nella sezione II (rigo RJ19), l’ammontare del reddito potenzialmente assoggettabile all’aliquota Dit da calcolare — come avvertono le istruzioni ministeriali — partendo dal reddito complessivo di periodo (rigo RN6 del quadro RN) "...diminuito dell’importo di rigo RJ7". Cosicché, anche se l’importo così residuato dovesse risultare inferiore al rendimento ordinario, viene ad innestarsi automaticamente il meccanismo di riporto dell’agevolazione Dit non fruita per incapienza di reddito; ancorché il reddito complessivo (comprensivo cioè della quota assoggettata all’aliquota agevolata per effetto della c.d. "agevolazione Visco") sia pari o superiore al rendimento ordinario medesimo.

19.9 - Come accennato, il disegno di legge collegato alla finanziaria — in corso di approvazione — reca un’importante modificazione del regime agevolativo in esame, consistente nell’aggiunta, al comma 8 dell’articolo 2 della legge n. 133 del 1999, dopo il primo periodo, del seguente: "Tuttavia, per il secondo dei predetti periodi sono computati anche gli importi, determinati ai sensi del comma 9, degli investimenti, dei conferimenti e degli accantonamenti di utili relativi al periodo precedente che non hanno rilevato ai fini dell’applicazione dell’agevolazione in detto periodo".

Con questa disposizione, viene chiarito nella relazione di accompagnamento, si intende meglio calibrare il regime agevolativo in ragione delle diverse situazioni che, nei due periodi di applicazione del regime medesimo, possono verificarsi riguardo alla concreta realizzazione dei due parametri richiesti dalla norma: investimenti in beni nuovi a incrementi del patrimonio netto. In effetti, come avevamo messo in luce nella circolare n. 46 dello scorso anno, la formulazione attuale della norma appare eccessivamente rigorosa perché riferisce, autonomamente, il regime agevolativo ai suddetti periodi di imposta nei limiti della realizzazione in ciascuno di essi di entrambi gli anzidetti parametri. Sicché, un’impresa che nel primo di detti periodi realizzi maggiori investimenti rispetto agli incrementi del proprio patrimonio o viceversa, si troverebbe nella situazione — dato il meccanismo agevolativo operante solo fino a concorrenza dei due parametri — di non sfruttare la parte eccedente dell’uno o dell’altro parametro e di non poterla sfruttare, oltretutto, neanche nel secondo periodo di applicazione della agevolazione, data l’autonomia, per l’appunto, dei due periodi. Tanto da ipotizzare, ad esempio, che l’impresa che si capitalizzi interamente nel primo esercizio ed effettui investimenti in beni nuovi interamente nel secondo esercizio — o viceversa — sarebbe totalmente esclusa dalla applicazione del regime di favore. Proprio per tener conto, dunque, dei vari modi in cui le imprese programmano gli investimenti e la loro capitalizzazione e non creare effetti penalizzanti, altrimenti non giustificabili sotto il profilo logico e sistematico, si intende consentire con questa modifica normativa di riportare il parametro non utilizzato per mancanza dell’altro nell’esercizio successivo al fine di computarlo per il calcolo della agevolazione eventualmente spettante per tale secondo esercizio sussistendone, ovviamente, le altre condizioni. Sottolinea, peraltro, la stessa relazione di accompagnamento che questa mancata utilizzazione dei parametri può verificarsi nel primo periodo di applicazione della agevolazione anche nell’ipotesi in cui, pur risultando i parametri entrambi esistenti, sia mancante in tutto o in parte il reddito da sottoporre ad agevolazione. La citata circolare ministeriale n. 51/E (cfr. il paragrafo 7) precisa, al riguardo, che in questo caso entrambi i parametri vanno autonomamente riportati per la parte in cui ciascuno di essi risulti eccedere il reddito che avrebbe potuto fruire del beneficio. Così, ad esempio, posti investimenti in beni nuovi per 200, conferimenti per 100 e un reddito di 40, il parametro degli investimenti da riportare nel secondo esercizio è pari a 160 e quello dei conferimenti è pari a 60. Naturalmente, gli importi dei parametri così riportati vanno trattati alla stregua, rispettivamente, di investimenti e incrementi di patrimonio netto verificatisi nel secondo periodo, aggiungendosi alle ulteriori vicende incrementative e decrementative effettivamente realizzate in tale secondo periodo.

19.10 - L’articolo 2, comma 12, della legge n. 133 in commento, dispone che per i periodi di imposta di applicazione delle agevolazioni gli acconti dell’Irpeg (e dell’Irpef) vanno calcolati senza tener conto della agevolazione stessa. Su tale particolare previsione, abbiamo già svolto alcune considerazioni nella richiamata circolare n. 46 dello scorso anno (pagg. 45 e 46). Occorre, tuttavia, richiamare l’attenzione sull’affermazione contenuta nella citata circolare ministeriale n.51/E, secondo cui "le imprese che fruiscono delle agevolazioni in esame sono comunque tenute a calcolare gli acconti relativi ai periodi d’imposta 1999, 2000 e 2001, sulla base dell’aliquota non agevolata, ossia al lordo dell’agevolazione".

Ad avviso del ministero delle Finanze, dunque, il più oneroso criterio di commisurazione dell’acconto estenderebbe i suoi effetti anche al periodo d’imposta 2001, vale a dire, al primo periodo successivo a quello di conclusione del regime agevolativo. Tale posizione interpretativa si fonda sulla presunzione, evidentemente, che a parità di reddito, l’imposta dovuta per il periodo di imposta successivo a quello di conclusione della agevolazione è superiore a quella che il contribuente può legittimamente prendere a "riferimento" per l’acconto (e, cioè, l’imposta relativa al secondo periodo agevolato); di qui, l’esigenza, nell’ottica ministeriale, di rideterminare anche tale imposta di "riferimento" per impedire che l’agevolazione produca effetti (benefici) ulteriori.

Al riguardo, pur comprendendo le ragioni di gettito che possono aver ispirato l’affermazione ministeriale, non possiamo non osservare come la stessa non trovi alcun supporto normativo; non sembra dubbio, invero, che stando al dato letterale del citato comma 12 dell’articolo 2 della legge n. 133, gli effetti di rideterminazione degli acconti sono circoscritti ai periodi di applicazione del beneficio. D’altra parte, non sembra inutile ricordare che, proprio per ovviare agli effetti riduttivi che si sarebbero scaricati sugli acconti del primo periodo d’imposta successivo all’applicazione della precedente disciplina agevolativi di cui ai commi 85 e ss. dell’articolo3 della legge n. 549 del 1995 (c.d. "proroga Tremonti"), fu necessario introdurre una disposizione "ad hoc" con il comma 92 di detto articolo 3.

Comunque, sotto il profilo sostanziale, c’è da chiedersi se la previsione in parola vada attuata, in ogni caso, procedendo semplicemente ad assoggettare ad aliquota ordinaria la parte di reddito assoggettata al 19 per cento ovvero se il contribuente possa fare a questi effetti riferimento all’imposta che avrebbe potuto determinare in assenza del beneficio ex lege n. 133 ma tenendo conto in suo luogo di altre discipline agevolative: intendiamo riferirci, in particolare, alla situazione, che ben potrebbe verificarsi, in cui, in considerazione del reddito complessivo disponibile, l’applicazione della c.d. "agevolazione Visco" abbia sostituito in tutto o in parte la fruizione della Dit che, pertanto, in assenza della "agevolazione Visco", sarebbe venuta a "riespandersi".

Considerazioni di ordine sistematico indurrebbero a privilegiare questa seconda soluzione; tuttavia, il punto, per la sua delicatezza, meriterebbe opportuni chiarimenti da parte del ministero delle Finanze.

19.11 - A completamento dell’indagine è opportuno svolgere alcune considerazioni in ordine alle principali problematiche che potrebbero presentarsi in sede di applicazione della disciplina agevolativa in occasione di operazioni di fusione e scissione, alle quali vanno accomunate, ai fini che qui occupano, le operazioni di conferimento di azienda effettuate in regime di neutralità ai sensi dell’articolo4 del decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358 (in nostra circolare n. 42 del 1998).

Al riguardo, ci sembra che nessun problema dovrebbe porsi in caso di operazioni di fusione per incorporazione senza effetto retroattivo. Stante, infatti, l’autonomia dei periodi d’imposta della società incorporante e della (o delle) società incorporata(e), ciascun soggetto si troverà ad applicare la disciplina agevolativa con riferimento ai propri investimenti (e disinvestimenti) e ai propri incrementi di patrimonio netto. È chiaro, peraltro, che ove in capo alla società incorporata l’applicazione del meccanismo agevolativo desse diritto al riporto dei parametri non utilizzabili dalla stessa in relazione al periodo d’imposta in cui interviene la fusione — e sempreché, ovviamente, si tratti per essa del primo periodo agevolabile — tale diritto si trasferirebbe sulla società incorporante.

Per l’ipotesi di fusione con effetto retroattivo e, quindi, con annullamento del periodo d’imposta della (o delle) società incorporata(e), deve ritenersi che la società incorporante sia tenuta, in sede di applicazione del beneficio, semplicemente a sommare gli investimenti e i disinvestimenti — nonché gli incrementi di patrimonio netto — da essa effettuati con quelli di pertinenza della (o delle) società estinta(e).

Soluzioni analoghe a quelle sopra prospettate per la fusione non retroattiva, dovrebbero valere anche nell’ipotesi di scissione totale senza effetto retroattivo; nel senso cioè che la società scissa applicherebbe su di sé autonomamente il beneficio in relazione al suo ultimo periodo d’imposta e trasmetterebbe eventualmente il diritto alle società beneficiarie a fruire del riporto dei parametri. In questo caso, peraltro, tenendo presente le specifiche disposizioni contenute nell’articolo 123-bis del Tuir, sembrerebbe logico ritenere che, sul lato degli incrementi di patrimonio netto, il diritto al riporto venga fruito dalle società beneficiarie in proporzione alla quota di patrimonio netto contabile a ciascuna di esse trasferita. Con riguardo, invece, al parametro degli investimenti, sembrerebbe più logico procedere all’attribuzione del diritto al riporto in funzione dell’allocazione dei beni oggetto di investimenti agevolabili: procedendo, cioè, anche in questo caso in modo proporzionale, ma sulla base dell’ammontare degli investimenti agevolabili allocati presso ciascuna beneficiaria.

Considerazioni particolari merita l’ipotesi di scissione parziale. In questo caso, infatti, ferma restando l’autonoma applicazione del beneficio in capo ai vari soggetti partecipanti all’operazione, si dovrebbe ritenere che le società beneficiarie possano sommare ai propri incrementi di patrimonio netto anche la quota parte degli incrementi di patrimonio netto della scissa e, ai propri investimenti agevolabili, quelli effettuati da tale società e a ciascuna di esse trasferiti per effetto della scissione. In tal modo, con specifico riferimento a quest’ultimo parametro, si affermerebbe il principio che i beni agevolabili provenienti dalla società scissa — e da questa eventualmente messi anche in funzione — conservano presso il soggetto beneficiario il requisito della novità; naturalmente, lo spostamento degli effetti agevolativi sulle società beneficiarie determinerebbe una corrispondente neutralizzazione di tali effetti in capo alla stessa società scissa. Maggiori incertezze vengono a porsi invece in ordine al trattamento dei "disinvestimenti", e cioè degli ammortamenti, cessioni e dismissioni effettuate dalla scissa prima dell’operazione. Al riguardo, riterremmo che, a questi effetti, gli ammortamenti relativi ai beni trasferiti debbano pesare per intero sul soggetto beneficiario. Quanto invece ai disinvestimenti derivanti da cessioni effettuate prima della scissione, essi non dovrebbero pesare per intero sulla scissa ma essere ripartiti fra i vari soggetti dell’operazione in proporzione all’ammontare del costo dei beni (sia nuovi che già posseduti) rientranti nella tipologia di quelli agevolabili trasferito a ciascun soggetto beneficiario (o rimasto in capo alla scissa). Quali che siano, comunque, le soluzioni più corrette da applicare in questo caso, occorre aggiungere che le stesse dovrebbero valere, stante l’analogia di situazione, anche con riguardo alle operazioni di conferimento di azienda effettuate in regime di neutralità ai sensi del richiamato articolo 4 del Dlgs n. 358 del 1997.

Nella scissione totale con effetti retroattivi, infine, e con specifico riguardo alla ripartizione presso le beneficiarie degli incrementi di patrimonio netto effettuati dalla scissa, non si pongono problemi diversi da quelli sopra considerati ai fini dell’attribuzione del diritto al riporto di tale parametro nell’operazione non retroattiva; si opererà, quindi, in funzione delle quote di patrimonio netto contabile trasferito a ciascuna beneficiaria. Analogamente, non si evidenziano problemi diversi anche con riferimento al trasferimento dei beni oggetto di investimento agevolato e degli ammortamenti costituenti, ai fini agevolativi, "disinvestimenti". Per i "disinvestimenti" rappresentati da cessioni, invece, dovrebbero valere le medesime impostazioni sostanziali applicabili per il caso di scissione parziale.

Le soluzioni sopra prospettate meriterebbero ovviamente di essere opportunamente approfondite e confermate da parte del ministero delle Finanze.

 
 
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